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Andrea


APOGEOnline Webzine di cultura digitale - Sabato, 8 Febbraio 2003


EDIZIONE STRAORDINARIA



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di Redazione Apogeonline
Uscito in libreria a febbraio, il libro di Sam Williams sulla vita di
Richard Stallman viene inviato in versione elettronica,
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Codice Libero - Capitolo 5



Una piccola pozzanghera di libertà

Basta interpellare chiunque abbia avuto l™opportunità di trascorrere più di
un minuto in presenza di Richard Stallman, e se ne ricaverà la medesima
impressione: se tralasci i capelli lunghi e qualche atteggiamento un po™
strambo, la prima cosa che noti è il suo sguardo. È sufficiente un™occhiata
agli occhi verdi di Stallman per rendersi conto di avere davanti qualcuno
che ci crede davvero.
Definire intenso quello sguardo è dire poco. Uno sguardo penetrante, che
non si accontenta di osservarti. Anche quando smetti di fissarlo per un
gesto di pura cortesia, i suoi occhi rimangono invece bloccati, intenti a
trapassarti il cranio come raggi fotonici.
Forse è per questo che nel descriverlo parecchi giornalisti tendono a
sottolinearne la visuale religiosa. In un articolo dal titolo œIl santo del
software libero, apparso nel 1998 su Salon.com, Andrew Leonard ne
descrive gli occhi come œirradianti la forza di un profeta del Vecchio
Testamento.[27] Un articolo del 1999 sul mensile Wireddipinge la barba di
Stallman simile a œquella di Rasputin[28], mentre un profilo del London
Guardian ne descrive il sorriso come di œun discepolo che ha visto
Gesù.[29]
Analogie che, pur avendo le loro ragioni, alla fin fine non colgono il
segno. Ciò perché non considerano il lato vulnerabile dell™alter ego di
Stallman. Basta infatti osservarne lo sguardo per un certo arco di tempo
per notare un sottile cambiamento. Quello che inizialmente appare come
un test per intimidire o ipnotizzare l™interlocutore, a una seconda o terza
occhiata si rivela come il tentativo frustrato di creare e mantenere il
contatto. Se, come lo stesso Stallman ha sospettato di tanto in tanto, la
propria personalità è il prodotto dell™autismo o sindrome di Asperger,
quello sguardo non fa che confermare una tale diagnosi. Anche al
massimo livello di intensità, i suoi occhi rivelano la tendenza a farsi
offuscati e distanti, come quelli di un animale ferito che si prepara a
morire.
Il mio primo incontro con il leggendario sguardo di Stallman risale al
marzo 1999, in occasione della LinuxWorld Convention & Expo di San
Josè, in California. Sorta di grande festa per il debutto della comunità
Linux, l™evento riportò Stallman all™attenzione dei media specializzati.
Determinato a farsi riconoscere i propri meriti, Stallman approfittò della
manifestazione per informare il pubblico e i reporter sulla storia del
progetto GNU, puntualizzandone gli obiettivi politici.
In qualità di giornalista inviato a seguire l™evento, mi vidi rimproverare
apertamente da Stallman durante la conferenza stampa per il lancio di
GNOME 1.0, l™interfaccia grafica libera. Senza volerlo, toccai alcune
questioni assai delicate fin dalla prima domanda rivolta allo stesso
Stallman: œRitieni che la maturità di GNOME possa danneggiare la
popolarità commerciale raggiunta dal sistema operativo Linux?
œTi prego di non chiamare più Linux quel sistema operativo, replicò
Stallman, puntandomi immediatamente gli occhi addosso. œIl kernel Linux
non è altro che una minima parte del sistema. Molti dei programmi che
compongono quel sistema che chiami Linux non sono stati affatto
sviluppati da Linus Torvalds. Li hanno invece creati quei volontari cui si
deve il progetto GNU, i quali hanno messo a disposizione il proprio tempo
per consentire a tutti noi l™impiego di un sistema operativo libero come
l™attuale. Il mancato riconoscimento del contributo di questi volontari è
una dimostrazione di scarsa educazione oltre che un™errata lettura storica.
Ecco perché, riferendosi a quel sistema operativo, ti chiedo di usare il
nome corretto, GNU/Linux.
Mentre prendevo nota di quelle sferzate sul mio taccuino, non potei fare a
meno di notare il pesante silenzio piombato nella stanza. Quando
finalmente alzai la testa, trovai ad attendermi gli occhi impassibili di
Stallman. Timidamente un altro giornalista lanciò una domanda,
assicurandosi di usare il termine œGNU/Linux anziché Linux. Stavolta a
replicare fu Miguel de Icaza, leader del progetto GNOME. Fu soltanto a
metà della sua risposta che lo sguardo di Stallman smise finalmente di
inchiodarmi. Contemporaneamente sentii dei brividi freddi corrermi lungo
la schiena. Quando Stallman iniziò una ramanzina a un altro reporter per
un presunto errore lessicale, mi sentii più sollevato. Almeno voleva dire
che non ce l™aveva proprio con me, pensai.
Per Stallman questi confronti faccia a faccia assumono un significato
preciso. Al termine del primo LinuxWorld, la maggioranza dei giornalisti
aveva imparato a non usare il termine œLinux in sua presenza, mentre
wired.com pubblicava un articolo in cui lo si dipingeva come un
rivoluzionario pre-stalinista cancellato dai libri di storia da quegli hacker e
imprenditori desiderosi di mettere in ombra gli obiettivi eccessivamente
politici del progetto GNU[30]. Altri articoli vennero pubblicati, e sebbene
furono pochi i giornalisti della carta stampata a usare il nome corretto
œGNU/Linux, la maggior parte riconbbe a Stallman il merito di aver
aperto la strada alla realizzazione di un sistema operativo libero già 15
anni prima.
Avrei rivisto Stallman solo 17 mesi dopo. Durante questo periodo,
avrebbe fatto ritorno almeno una volta nella Silicon Valley, in occasione
del LinuxWorld dell™agosto 1999. Pur se non invitato ufficialmente a
intervenire, Stallman riuscì a distinguersi per la migliore battuta
dell™evento. Accettando il Linus Torvalds Award for Community Service a
nome della Free Software Foundation, dichiarò al microfono: œOffrire il
Linus Torvalds Award alla Free Software Foundation è un po™ come dare
il Premio Han Solo all™alleanza ribelle di Guerre Stellari.
Stavolta però i commenti non trovarono spazio nei media specializzati. A
metà settimana faceva il suo ingresso in borsa Red Hat, Inc., maggiore
distributore di GNU/Linux. La notizia non fece che confermare quanto già
intuito dai giornalisti, incluso il sottoscritto: œLinux era diventato una
parola chiave all™interno di Wall Street, come già accaduto in precedenza
per œe-commerce e œdot-com. Mentre il mercato azionario s™accostava al
passaggio del nuovo millennio come un™iperbole vicina al suo asintoto
verticale, ogni intervento sul software libero o sull™open source in quanto
fenomeni politici finiva velocemente nel dimenticatoio.
Fu forse questo il motivo per cui, quando il LinuxWorld giunse alla sua
terza edizione nell™agosto 2000, Stallman era del tutto assente.
Il mio secondo incontro con Stallman e il suo sguardo inconfondibile si
svolse poco dopo la terza edizione del LinuxWorld. Avendo saputo della
sua presenza a Silicon Valley, ero riuscito a organizzare un'intervista
all'ora di pranzo a Palo Alto, in California. Il luogo prescelto sembrava
ironico, non soltanto perché si trovava nei pressi dell'evento che Stallman
aveva disertato, ma anche per via del contesto più generale. All™infuori di
Redmond, poche città offrono una testimonianza maggiore del valore
economico del software proprietario. Ero curioso di vedere in che modo
Stallman “ un uomo che ha dedicato gli anni migliori della sua vita a
lottare contro la predilezione della nostra cultura per la cupidigia e
l™egocentrismo “ riuscisse a cavarsela in una città in cui perfino le villette
più piccole costano almeno mezzo milione di dollari. Mi misi quindi al
volante in direzione sud, partendo da Oakland, nella Bay Area di San
Francisco.
Seguii le indicazioni fornitemi da Stallman finché non raggiunsi la sede di
Art.net, un œcollettivo di artisti virtuali nonprofit. Situato in un edificio
circondato da alte siepi nell™area nord della città, il quartier generale di
Art.net appariva, per fortuna, alquanto modesto. Improvvisamente, l™idea
di Stallman appostato nel cuore della Silicon Valley si rivelò tutt™altro che
strana.
Lo trovai seduto in una stanza semibuia, intento a digitare sul suo
portatile grigio. Appena fui entrato, sollevò gli occhi per trafiggermi con
uno sguardo a 200 watt. Al suo semplice œSalve replicai prontamente,
ma i suoi occhi erano già tornati sul monitor del portatile.
œSto giusto finendo un articolo sullo spirito dell™hacking, disse senza
smettere di digitare. œDai un™occhiata.
Mi avvicinai, nella stanza scarsamente illuminata. Il testo appariva in
lettere verde chiaro su sfondo nero, il contrario dei colori usati nella gran
parte dei programmi di elaborazione testi, per cui i miei occhi
impiegarono qualche istante per adattarsi. Una volta a posto, mi trovai a
scorrere il racconto di Stallman su un recente pranzo in un ristorante
coreano. Prima di sedersi, fece un™interessante scoperta: sistemando il
tavolo dove si stava per sedere, un cameriere aveva lasciato sei
bastoncini anziché i soliti due. Laddove chiunque altro avrebbe ignorato
la cosa, Stallman la prese come una sfida: trovare il modo di usare
contemporaneamente tutti e sei i bastoncini. Come nel caso dell™hacking,
la soluzione si rivelò allo stesso tempo ovvia ma intelligente. Da qui la
sua decisione di usarla come illustrazione grafica del pezzo.
Mentre leggevo l™articolo, mi sentii addosso il suo sguardo intenso. Notai
un mezzo sorriso, con un punta d™orgoglio ma infantile, aprirsi sul suo
volto. Quando gli feci i miei compliemnti per il saggio, il mio commento
meritò a malapena un™alzata di sopracciglia.
œSono pronto in un attimo rispose, riprendendo a scrivere sul suo
portatile. Si trattava di un computer grigio e voluminoso, niente a che fare
con gli attuali modelli sofisticati così diffusi tra i programmatori al recente
LinuxWorld. Sopra la tastiera ve n'era appoggiata un'altra più leggera, a
testimonianza dell™invecchiamento delle sue mani. Verso la fine degli anni
˜80, quando Stallman lavorava 70-80 ore a settimana sui primi programmi
e strumenti software per il progetto GNU, il dolore alle mani divenne
talmente insopportabile da costringerlo a ingaggiare una dattilografa.
Oggi Stallman si affida a una tastiera i cui tasti richiedono una pressione
assai minore rispetto a quella delle comuni tastiere.
Quando è al lavoro, Stallman ha la tendenza a bloccare qualsiasi stimolo
esterno. Osservandone lo sguardo conficcato nello schermo mentre le
dita danzano sulla tastiera, se ne ricava subito l™impressione di due
vecchi amici immersi in una profonda conversazione.
Alcuni tasti premuti rumorosamente e la sessione era terminata.
Lentamente mise via il portatile.
œPronto per andare a pranzo?, chiese.
Raggiungemmo la mia macchina. Lamentandosi per una caviglia
dolorante, Stallman camminava zoppicando. La causa era una ferita al
tendine del piede sinistro risalente a tre anni prima, ma ancora così
dolorosa che Stallman, fanatico delle danze popolari, aveva dovuto
interrompere ogni attività di danza. œAmo molto le danze popolari, si
lamentò Stallman. œIl fatto di aver dovuto smettere è stata un tragedia.
Una tragedia dalle chiare ripercussioni a livello fisico. La mancanza di
esercizio lo aveva lasciato con il viso gonfio e una pancia alquanto
pronunciata, entrambi assai meno visibili l™anno precedente. Era evidente
come avesse messo su parecchi chili, perché quando camminava
tendeva a inarcare la schiena come una donna incinta che deve adattarsi
a un peso insolito.
La passeggiata venne ulteriormente rallentata perchéStallman decise di
fermarsi per sentire il profumo di un cespuglio di rose. Adocchiando
un™infiorescenza particolarmente bella, ne solleticò i petali interni con il
suo naso prodigioso, inalando profondamente per poi indietreggiando con
un sospiro deliziato.
œMmm, rhinophytophilia[31], dichiarò grattandosi la schiena.
In meno di tre minuti di macchina fummo al ristorante. Seguendo il
consiglio di Tim Ney, ex-direttore esecutivo della Free Software
Foundation, lasciai scegliere Stallman. Mentre qualche giornalista si
divertiva a sparare a zero sul suo stile di vita monastico, la verità è che
quando si trattava di mangiare, Stallman si rivelava un vero epicureo.
Uno dei vantaggi collaterali di fare il missionario viaggiante per la causa
del software libero, stava nella possibilità di assaggiare piatti deliziosi di
ogni parte del mondo. œPrendi una della città più note, e molto
probabilmente Richard ne conosce i ristoranti migliori sostiene Ney.
œProva enorme piacere a conoscere le pietanze sul menù e ad ordinare
per l™intero tavolo.
Per il pranzo di quel giorno, Stallman optò per un piccolo ristorante in stile
cantonese poco distante da University Avenue, la maggiore arteria
cittadina di Palo Alto. Una scelta parzialmente ispirata al suo recente
viaggio in Cina ove, nella provincia di Guangdong, aveva tenuto anche
una lezione, in aggiunta alla sua personale avversione per le cucine più
speziate delle regioni Hunan e Szechuan. œNon sono un grande
appassionato dei piatti piccanti, ammise.
Arrivammo qualche minuto dopo le 11 del mattino e fummo costretti a
un™attesa di 20 minuti. Considerato il fastidio degli hacker per ogni perdita
di tempo, trattenni un attimo il respiro temendo qualche scatto d™ira. Ma
Stallman, contrariamente alle attese, prese la notizia con tranquillità.
œPeccato non essere riusciti a invitare nessun altro, mi disse. œCi si
diverte sempre di più a mangiare in gruppo.
Durante l™attesa Stallman si esercitò in alcuni passi di danza. I suoi
movimenti apparvero titubanti ma ben eseguiti. Iniziammo quindi a
discutere su eventi di attualità. Disse che l™unico rimpianto per non aver
partecipato al LinuxWorld era aver perso la conferenza stampa per il
lancio della GNOME Foundation. Nata grazie al supporto di Sun
Microsystems e di IBM, la fondazione rappresentava per molti versi una
rivincita dello stesso Stallman, il quale sosteneva da tempo come il
software libero e l™economia del libero mercato non dovessero ritenersi
reciprocamente esclusivi. Ciò nonostante, rimase deluso dal messaggio
diffuso. œVisto come è stata presentata l™iniziativa, le aziende hanno
parlato di Linux senza mai menzionare il progetto GNU, disse.
Simili delusioni facevano da contrasto alle calorose risposte ricevute
oltreoceano, soprattutto in Asia, aggiunse però Stallman. I suoi itinerari di
viaggio del 2000 riflettevano infatti la crescente popolarità del messaggio
veicolato dal software libero. Sommando le ultime visite in India, Cina e
Brasile, Stallman aveva trascorso sul suolo americano appena 12 degli
ultimi 115 giorni. Questi viaggi gli offrirono l™opportunità di osservare da
vicino il modo in cui il software libero viene tradotto in altri linguaggi e
culture.
œIn India riscuote l™interesse di molta gente perché consente di costruire la
propria infrastruttura informatica senza dover spendere troppo, mi
spiegò. œIn Cina, l™idea si è diffusa con maggior lentezza. Accomunare il
software libero alla libertà d™espressione è assai più difficile quando
quest™ultima non esiste. Eppure nel corso della mia ultima visita, ho
ricevuto ottimi riscontri.
La conversazione si spostò quindi su Napster, l™azienda di San Mateo, in
California, venuta alla ribalta dei media pochi mesi prima. La società
commercializzava un programma controverso che consentiva agli utenti
di cercare e copiare i file musicali di altri appassionati di musica. Grazie
alla forza amplificatrice di Internet, tale programma definito œpeer-to-peer
si è evoluto de facto in una sorta di juke-box online, offrendo a tutti la
possibilità di ascoltare file MP3 via computer senza dover pagare diritti o
canoni di abbonamento, suscitando così le ire delle etichette
discografiche.
Anche se era basato su software proprietario, il sistema Napster traeva
ispirazione dalla posizione sostenuta a lungo da Stallman per cui, una
volta che un™opera entra nel regno digitale “ in altri termini, quando farne
una copia diventa più una questione di duplicare informazione e meno di
duplicare suoni o atomi “ diviene assai difficile limitare l™impulso naturale
degli esseri umani a condividere quell™opera. Anziché imporre ulteriori
restrizioni, i responsabili di Napster decisero di approfittare di un tale
impulso. Offrendo agli ascoltatori un luogo centralizzato destinato allo
scambio di file musicali, l™azienda aveva scommesso sulla propria
capacità di guidare il risultante traffico d™utenza verso altre opportunità
commerciali.
L™improvviso successo del modello Napster terrorizzò l™industria
discografica tradizionale, e a ragione. Appena qualche giorno prima del
mio incontro con Stallman a Palo Alto, il giudice distrettuale Marilyn Patel
accolse la richiesta presentata dalla Recording Industry Association of
America (RIAA) approvando un™ingiunzione contro Napster, ingiunzione
successivamente sospesa dalla Corte d™Appello. Ma all™inizio del 2001
quest™ultima stabilì anche l™infrazione alle norme sul copyright da parte
dell™azienda di San Mateo[32], una decisione che il portavoce della RIAA
avrebbe in seguito proclamato come œuna netta vittoria a favore di quanti
difendono i contenuti creativi nonché del mercato online legale.[33]
Per hacker come Stallman, il modello commerciale di Napster appariva
controverso sotto diversi aspetti. La decisione dell™azienda di appropriarsi
di principi propri del mondo hacker, quali la condivisione dei file e la
proprietà comune dell™informazione, cercando al contempo di vendere un
servizio basato su software proprietario, generava un segnale equivoco.
Nei panni di qualcuno che deve sudare parecchio per far passare sui
media il proprio messaggio attentamente studiato, Stallman appariva
comprensibilmente reticente a lasciarsi andare su questo caso. Eppure
ammise di aver imparato un paio di cose sull™aspetto sociale innescato
dal fenomeno Napster.
œPrima di Napster, ritenevo giusta la libera distribuzione a livello privato di
opere di intrattenimento, spiegò Stallman. œIl numero di persone per cui
Napster si è rivelato utile mi dice, tuttavia, che il diritto alla redistribuzione
di copie, non solo nell™ambito del vicinato ma a livello di un pubblico più
vasto, rimane un fatto essenziale e perciò non può essere cancellato.
Non fece in tempo a finire la frase che si aprì la porta del ristorante e un
cameriere ci invitò a entrare. In pochi secondi eravamo seduti in un
tavolo d™angolo vicino a una grande parete a specchio.
Il menù del ristorante si aprì come un modulo d™ordine, mentre Stallman
operava rapidamente le sue scelte prima ancora che il cameriere
portasse l™acqua in tavola. œInvoltini di gamberi e tofu, lesse Stallman.
œSembra davvero interessante, credo che dovremmo provarlo.
Il commento ci portò a una rapida escursione sul cibo cinese e la sua
recente visita in quelle regioni. œIn Cina la cucina è assolutamente
squisita, disse Stallman, la cui voce per la prima volta nella mattinata
lasciava trasparire emozione. œTantissimi piatti diversi che non ho mai
visto negli Stati Uniti, ingredienti locali fatti con funghi e vegetali tipici di
una certa zona. Ero arrivato al punto di tenere un diario soltanto per
conservare il ricordo di quei piatti eccezionali. La conversazione
proseguì affrontando la cucina coreana. Nel corso del suo viaggio in Asia
nel giugno 2000 Stallman visitò anche la Corea del Sud. Il suo arrivo
scatenò una piccola tempesta tra i media locali grazie a una conferenza
sul software, prevista per quella stessa settimana, cui prese parte Bill
Gates, fondatore e responsabile della Microsoft. Dopo aver visto la
propria foto sopra quella di Gates sulla prima pagina del maggiore
quotidiano di Seul, la cosa migliore di quel viaggio fu il cibo, ricordò
Stallman. œUna volta assaggiai una tazza di naeng myun, una sorta di
pasta in brodo fredda, iniziò a spiegare. œAveva un sapore veramente
intrigante. Generalmente i locali non usano lo stesso tipo di pasta per
quel piatto, perciò posso affermare con piena cognizione di causa che si
trattò del naeng myun più squisito che avessi mai provato.
Il termine œsquisito rappresentava un grosso complimento da parte di
Stallman. Me ne resi conto perché, qualche istante dopo aver tessuto le
lodi del naeng myun, sentii il suo sguardo sfiorare la mia spalla destra.
œAppena dietro di te siede una donna davvero squisita, bisbigliò
Stallman.
Mi girai dando un™occhiata alle spalle della donna. Era giovane, sui
venticinque anni, e indossava un vestito bianco con lustrini. Era insieme a
un uomo e si apprestavano a pagare il conto. Quando si alzarono per
lasciare il ristorante me ne accorsi senza voltarmi perché
improvvisamente la luce negli occhi di Stallman diminuì d™intensità. œOh,
no, disse. œVanno via. E pensare che probabilmente non mi capiterà di
rivederla mai più.
Dopo un breve sospiro, Stallman si riprese. Il momento mi offriva
l™opportunità per spostare la discussione sulla sua reputazione nei rapporti
faccia a faccia con il gentil sesso. Una reputazione a tratti contraddittoria.
Qualche hacker segnalava la predilezione di Stallman nel salutare ogni
donna baciandole la mano[34]. Un articolo apparso il 26 maggio 2000 su
Salon.com, invece, lo descrisse come un hacker libertino. Operando
l™associazione software libero-amore libero, la giornalista Annalee Newitz
presentò uno Stallman che rifiutava i tradizionali valori familiari, con frasi
tipo: œCredo nell™amore, ma non nella monogamia.[35]
Stallman abbassò leggermente il menù non appena sollevai la questione.
œBé, la maggior parte degli uomini sembra volere il sesso eppure tratta le
donne in maniera alquanto sprezzante, disse. œAnche quelle con cui
hanno una relazione. Non riesco a comprenderne il motivo.
Citai un passaggio dal libro del 1999 Open Sources in cui egli confessava
di aver pensato di chiamare il kernel GNU mai realizzato con il nome
della sua ragazza di allora, Alix, nome che si adattava perfettamente alla
convenzione degli sviluppatori di mettere una œx alla fine del nome di
ogni nuovo kernel “ è il caso di œLinux. Dato che quella ragazza era
amministratore di un sistema Unix, Stallman precisò come la scelta si
sarebbe rivelata un tributo ancor più significativo. Purtroppo, aggiungs, lo
sviluppatore che alla fine prese il mano il progetto optò per il nome
HURD[36].
Anche se in seguito quella relazione s™interruppe, la vicenda suggeriva
una domanda: mentre l™immaginario dei media lo dipingeva come un
fanatico dallo sguardo stralunato, non erainvece Richard Stallman un
inguaribile romantico, un Don Chisciotte vagabondo che lottava contro i
mulini a vento delle grandi corporation nel tentativo di incantare qualche
Dulcinea ancora da identificare?
œIn realtà non stavo cercando di essere romantico, replicò Stallman
sull™episodio di Alix. œEra anche un modo per punzecchiarla. Insomma,
romantico sì, ma anche provocatorio. Sarebbe stata una piacevole
sorpresa.
Per la prima volta quella mattina Stallman rise apertamente. Gli ricordai
la faccenda del baciamano. œSi, mi piace farlo, replicò. œTrovo che sia
una dimostrazione di simpatia piacevole per molte donne. Un modo per
esprimere amicizia ed essere anche apprezzati.
Il sentimento di amicizia è sempre stato un tema importante nella vita di
Richard Stallman, e su questo punto rispose con dolorosa sincerità: œNon
è che ne abbia ricevuta granché in vita mia, tranne forse nella mia
mente. La discussione stava velocemente prendendo una strana piega.
Dopo qualche replica a monosillabi, Stallman sollevò il menù, bloccando
ogni ulteriore domanda.
œChe ne dici di qualche shimai?, mi chiese.
Quando iniziarono a portarci da mangiare, la conversazione si mosse
come uno slalom tra le varie portate. Parlammo dell™attrazione, così
spesso evidenziata, degli hacker per la cucina cinese; delle incursioni
settimanali nel quartiere di Chinatown, a Boston, negli anni in cui
lavorava al laboratorio di intelligenza artificiale; della logica alla base
della lingua cinese e del relativo sistema di scrittura. Ogni mia battuta
stimolava una replica assai informata da parte di Stallman.
œL™ultima volta che sono stato in Cina ho sentito qualcuno parlare la lingua
di Shangai, raccontò Stallman. œÈ interessante da ascoltare. Tutta
un™altra sonorità [dal mandarino]. Mi son fatto dire alcuni termini analoghi
in mandarino e shanghainese. In qualche caso la somiglianza è evidente,
ma mi chiedevo se l™intonazione della voce sarebbe stata simile. Non lo
è. Mi interessava scoprirlo perché secondo una certa teoria tale
intonazione deriva dalle sillabe aggiuntive andate perdute e poi sostituite.
Il loro effetto sopravvive nel tono della voce. Se ciò è vero, e ho studiato
le ipotesi che lo confermano in determinate epoche storiche, i dialetti
devono essersi sviluppati prima della perdita di queste sillabe finali.
Arrivò la prima portata, un piatto di tortine di rape fritte. Ci dedicammo
entrambi a quelle torte rettangolari, che avevano l™odore di cavolo bollito
e il sapore di patate fritte nella pancetta.
Decisi di tornare nuovamente sulla questione del suo isolamento
giovanile, chiedendogli se gli anni dell™adolescenza lo avessero in
qualche modo condizionato al punto tale da assumere in seguito posizioni
impopolari, in particolare la difficile battaglia avviata fin dal 1994 per
convincere utenti e media a sostituire l™ormai diffuso termine œLinux con
œGNU/Linux.
œCredo mi abbia aiutato, replicò Stallman continuando a masticare. œNon
ho mai compreso appieno le implicazioni della pressione dei coetanei su
qualcuno. Credo il motivo fosse che venivo respinto senza speranza, così
non avevo nulla da guadagnare cercando di seguire le mode del
momento. Nel mio caso non avrebbe portato ad alcuna differenza. Mi
avrebbero rifiutato ugualmente, così non ci provai neppure.
A riprova delle sue tendenze anticonformiste, Stallman citò i propri gusti
in fatto di musica. Da adolescente, quando la gran parte dei compagni
delle medie ascoltava la Motown e l™acid rock, preferiva la musica
classica. Il ricordo portò a uno dei rari episodi divertenti di quegli anni. Nel
1964, subito dopo l™apparizione dei Beatles all™Ed Sullivan Show in
televisione, quasi tutti i suoi compagni di classe corsero ad acquistare i
loro ultimi album e singoli. Fu proprio in quel momento che, disse
Stallman, egli prese la decisione di boicottare i œFab Four.
œMi piaceva qualche pezzo popolare dell™era pre-Beatles, rammentò
Stallman. œMa loro non m™interessavano. Mi dava particolarmente fastidio
il modo in cui la gente reagiva a quel fenomeno. Era come dire: chi
parteciperà all™assemblea sui Beatles per imparare come adularli al
meglio?
Quando la sua proposta di boicotaggio dei Beatles non ottenne seguito,
Stallman cercò altre soluzioni per evidenziare la mentalità da gregge dei
coetanei. Raccontò di aver considerato brevemente di mettere insieme
un gruppo rock apposta per prendere in giro i quattro di Liverpool. œAvrei
voluto chiamarlo Tokyo Rose & Japanese Beetles.
Data la sua passione per la musica folk internazionale, gli chiesi se
avesse mai avuto un™analoga affinità per Bob Dylan e gli altri musicisti
folk dei primi anni ™60. Scosse la testa. œMi piacevano Peter, Paul &
Mary, replicò. œMi ricordavano alcune grandi parodie musicali[37].
Quando gli chiesi maggiori dettagli, Stallman mi spiegòche si trattava di
canzoni popolari le cui parole originali venivano sostituite da strofe
ironiche. Un simile processo di riscrittura è tuttora attività diffusa tra gli
hacker e gli appassionati di fantascienza. Tra i grandi classici ci sono œOn
Top of Spaghetti, versione rivista di œOn Top of Old Smokey[38], e il
capolavoro di œWeird Al Yankovic œYoda, versione sul tema Guerre
Stellari di œLola, dei Kinks[39].
Stallman mi chiese poi se desiderassi ascoltare una canzone di quel tipo.
Al mio cenno positivo, iniziò a cantare, con una voce inaspettatamente
chiara:[40]

How much wood could a woodchuck chuck,
If a woodchuck could chuck wood?
How many poles could a polak lock,
If a polak could lock poles?
How many knees could a negro grow,
If a negro could grow knees?
The answer, my dear, is stick it in your ear.
The answer is to stick it in your ear.
Alla fine del pezzo, le labbra di Stallman erano piegate in un mezzo
sorriso da bambino. Diedi un™occhiata ai tavoli intorno. Le famigliole
asiatiche intente a gustare il pranzo domenicale stavano prestando ben
poca attenzione al contralto barbuto lì vicino[41]. Dopo qualche attimo di
esitazione, anch™io mi lasciai andare in un sorriso.
œVuoi quell™ultima di polpetta di mais?, chiese con gli occhi che gli
brillavano. Prima ancora che potessi replicare aveva già afferrato la
polpetta con i bastoncini e la teneva sollevata con orgoglio. œForse me la
merito concluse.
Finite le pietanze, la conversazione assuse le dinamiche di una normale
intervista. Stallman si distese sulla sedia cullando una tazza di tè tra le
mani. Riprendemmo a parlare di Napster e delle implicazioni per il
movimento del software libero. I principi alla base di quest™ultimo
avrebbero forse dovuto estendersi ad ambiti limitrofi quali la
pubblicazione di opere musicali?, chiesi.
œÈ un errore trasferire le risposte da un contesto all™altro, spiegò
Stallman, contrapponendo le canzoni con il software. œL™approccio
corretto consiste nel considerare singolarmente ogni tipo di opera e
vedere quali conclusioni è possibile raggiungere in quell™ambito.
Secondo Stallman le opere sotto copyright vanno divise in tre diverse
categorie. La prima include quelle œfunzionali, ovvero programmi
informatici, dizionari, libri di testo. La seconda è per le opere definite
œtestimoniali, cioè relazioni scientifiche e documenti storici. Si tratta di
lavori il cui senso verrebbe stravolto qualora lettori e altri autori potessero
modificarli a piacimento. L™ultima categoria riguarda le opere di
espressione personale, quali diari, resoconti, autobiografie. Modificare
questi documenti significherebbe alterarne i ricordi o il punto di vista “
azione eticamente ingiustificabile nell™opinione di Stallman.
Delle tre categorie, la prima dovrebbe garantire agli utenti il diritto
illimitato alla creazione di versioni modificate, mentre per la seconda e la
terza tale diritto andrebbe regolamentato a seconda della volontà
dell™autore originale. Indipendentemente dalla categoria di appartenenza,
dovrebbe tuttavia rimanere inalterata la libertà di copia e redistribuzione a
livello non commerciale, insiste Stallman. Se ciò significa consentire agli
utenti Internet di generare un centinaio di copie di un articolo,
un™immagine, una canzone o un libro per poi inviarle via e-mail a un
centinaio di sconosciuti, ebbene così sia. œÈ chiaro che la redistribuzione
occasionale in ambito privato debba essere permessa, perché soltanto
uno stato di polizia potrebbe impedirlo, aggiunge. œÈ pratica antisociale
frapporsi tra una persona e i propri amici. Napster mi ha convinto della
necessità di permettere perfino la redistribuzione non-commerciale al
pubblico più ampio anche solo per il divertimento. Perché c™è così tanta
gente che la considera un™attività utile.
Quando gli chiesi se i tribunali sarebbero disposti ad accettare uno
scenario talmente permissivo, Stallman m™interruppe bruscamente.
œEcco una domanda sbagliata, replicò. œHai spostato completamente
l™argomento, passando da una questione etica all™interpretazione
legislativa. Si tratta di due aspetti totalmente diversi pur nello stesso
ambito. È inutile saltare da uno all™altro. I tribunali continueranno a
interpretare le norme attuali per lo più in maniera restrittiva, poiché è così
che tali norme sono state imposte dagli editori.
Il commento portò a una riflessione sulla filosofia politica di Stallman:
solo perché attualmente il sistema legale permette agli imprenditori di
trattare il copyright come l™equivalente informatico di un contratto di
proprietà terriera, ciò non significa che gli utenti debbano
necessariamente conformarsi a queste regole. La libertà è una faccenda
etica, non legale. œGuardo al di là delle norme esistenti per considerare
come invece dovrebbero essere, spiegò Stallman. œNon sto cercando di
stilare una legislazione. Mi sto forse occupando delle applicazioni della
legge? Piuttosto, considero le norme che vietano la condivisione di copie
col vicino come l™equivalente morale di Jim Crow[42]. Qualcosa che non
merita alcun rispetto.
Il richiamo a quelle politiche portò alla domanda successiva. Quanta
influenza o ispirazione avevano per Stallman i leader politici del passato?
Come il movimento per i diritti civili degli anni ™50 e ™60, il suo tentativo di
guidare il cambiamento sociale poggiava su valori inalterati nel tempo:
libertà, giustizia, onestà.
Stallman divideva la sua attenzione tra la mia analogia e una ciocca di
capelli particolarmente annodata. Quando allargai la questione fino al
punto di paragonarlo a Martin Luther King, Jr., dopo aver dato uno
strattone a una doppia punta ed essersela infilata in bocca, Stallman
m™interruppe prontamente.
œNon faccio parte di quella squadra, ma gioco la stessa partita replicò
masticando.
Suggerii un altro confronto, quello con Malcolm X. Come nel caso dell™ex-
portavoce della Nazione dell™Islam, Stallman si era guadagnato la
reputazione di voler creare controversie, alienarsi potenziali alleati e
predicare l™autosufficienza contro ogni integrazione culturale.
Masticando un™altra doppia punta, rifiutò anche questo paragone. œIl mio
messaggio è più vicino a quello di King, rispose. œSi tratta di un
messaggio universale, di una decisa condanna di certe pratiche ingiuste
nei confronti degli altri. Non è un messaggio di odio contro chicchessia.
Neppure è diretto a un gruppo ristretto di individui. È un invito rivolto a
chiunque ad apprezzare e a sperimentare la libertà.
Comunque sia, il sospetto nei confronti di ogni alleanza politica rimane un
tratto fondamentale del personaggio Stallman. Considerato il disgusto,
ampiamente pubblicizzato, per il termine œopen source, diventa
comprensibile il rifiuto di prendere parte ai recenti progetti mirati alla
costruzione di possibili coalizioni. Nel ruolo di qualcuno che ha passato gli
ultimi vent™anni a far sentire la sua voce per sostenere il software libero, il
capitale politico di Stallman era profondamente intessuto con quest™ultimo
termine. Eppure commenti come quello sul Premio Han Solo all™Alleanza
Ribelle di Guerre Stellari del LinuxWorld 1999, non fecero che rinforzare
la reputazione, acquisita nell™industria del software, di un conservatore
scontroso contrario a scendere a patti con le nuove tendenze della
politica o del mercato.
œAmmiro e rispetto Richard per tutto il lavoro svolto finora, afferma
Robert Young, presidente di Red Hat, sintetizzando la paradossale natura
politica di Stallman. œLa mia sola critica è che talvolta finisce per trattare
gli amici peggio di quanto faccia con i nemici.
L™opposizione di Stallman alla ricerca di alleanze suscita analoghe
perplessità quando si considerano i suoi interessi politici al di fuori del
movimento del software libero. Visitando il suo ufficio al MIT, ci si imbatte
in una copiosa raccolta di articoli sinistroidi sugli abusi dei diritti civili
commessi in ogni paese del mondo. Mentre il sito web personale include
discussioni su temi quali il Digital Millennium Copyright Act, la War on
Drugs e la World Trade Organization.
Considerate le sue tendenze verso l™attivismo diretto, gli chiesi, perché
mai non aveva cercato di dar maggior spazio alla propria voce? Perché
non ha usato la visibilità guadagnata nel mondo hacker come piattaforma
per amplificare, anziché ridimensionare, il proprio credo politico?
Stallman lasciò andare i cappelli annodati e rifletté per un istante sulla
domanda.
œSì, ho esitato ad ampliare l™importanza di questa piccola pozzanghera di
libertà, rispose. œPerché le aree convenzionali e collaudate in cui si
lavora per la libertà e per una società migliore sono tremendamente
importanti. Non ritengo ugualmente vitale la battaglia a sostegno del
software libero. Questa è la responsabilità che mi sono assunto, perché
mi è caduta in grembo e ho capito che avrei potuto portare contributi
positivi. Ma, ad esempio, porre fine alla brutalità della polizia, alla guerra
per droga, alle forme di razzismo tuttora presenti, oppure aiutare
qualcuno a vivere meglio, a tutelare il diritto delle donne ad abortire, a
proteggerci dalla teocrazia, si tratta di questioni di enorme importanza,
ben superiori a ogni mio possibile intervento. Non saprei come offrire
contributi efficaci in quei contesti.
Ancora una volta Stallman presentava la propria attivitàpolitica come
dipendente dalla fiducia in sé stessi. Considerando il tempo che aveva
impiegato per sviluppare e affinare i principi cardine del movimento del
software libero, appariva esitante a coinvolgersi in ogni tematica o
tendenza che potesse trascinarlo in territori inesplorati.
œVorrei essere in grado di contribuire in maniera significativa alle
questioni di maggiore rilevanza, ne sarei tremendamente orgoglioso, ma
si tratta di problemi davvero grossi e quanti se ne occupano, ben più in
gamba del sottoscritto, non sono ancora riusciti a risolvere granché,
aggiunse. œEppure, per come la vedo io, mentre altre persone ci
difendevano contro queste grandi minacce ben visibili, io ne ho
individuata un™altra rimasta sguarnita. E così ho deciso di combatterla.
Forse non è un minaccia altrettanto grande, ma io sono stato l™unico a
farmi avanti.
Masticando un™ultima punta di capelli, Stallman suggerì di pagare il conto.
Prima che il cameriere potesse prendere il denaro, però, Stallman
aggiunse una banconota di colore bianco. Appariva così chiaramente
falsa che non potei fare a meno di prenderla per osservarla da vicino. Era
palesemente contraffatta. Al posto dell™immagine di George Washington o
Abramo Lincoln, un lato della banconota presentava la caricatura di un
maiale. Invece della scritta United States of America in alto, sopra il
maiale si leggeva œUnited Swines of Avarice (suini uniti dell™avarizia). La
banconota era di zero dollari, e quando il cameriere venne a prendere il
denaro, Stallman lo afferrò per la manica. œHo aggiunto uno zero extra
alla mancia, gli disse accennando un mezzo sorriso. Il cameriere, che
forse non aveva capito o era rimasto interdetto dall™aspetto della
banconota, sorrise e corse via.
œCredo ciò significhi che siamo liberi di andarcene, concluse Stallman.


[27] Si veda Andrew Leonard, œThe Saint of Free Software, Salon.com,
agosto 1998.
http://www.salon.com/21st/feature/1998/08/cov_31feature.html

[28] Si veda Leander Kahney, œLinux™s Forgotten Man, Wired News, 5
marzo 1999. http://www.wired.com/news/print/0,1294,18291,00.html

[29] Si veda œProgrammer on moral high ground; Free software is a moral
issue for Richard Stallman believes in freedom and free software,
London Guardian, 6 novembre 1999. Queste sono soltanto alcuni dei
paragoni religiosi in circolazione. Fino ad oggi la palma del confronto più
estremo spetta a Linus Torvalds, il quale, nella sua autobiografia - si veda
Linus Torvalds & David Diamond, Rivoluzionario per caso, Garzanti, 2001
-- scrive: œRichard Stallman è il Dio del Software Libero. Una menzione
d™onore spetta a Larry Lessig, il quale in una nota a descrizione di
Stallman inclusa nella sua opera -- si veda Larry Lessig, The Future of
Ideas, Random House, 2001, p. 270 -- lo paragona a Mosé:
[...] come Mosé, toccò a un altro leader, Linus Torvalds, guidare
finalmente il movimento alla terra promessa, facilitando lo sviluppo della
parte finale del sistema operativo. Come Mosé, anche Stallman viene
contemporaneamente rispettato e vilipeso dagli stessi alleati all™interno
del movimento. Si tratta di un leader implacabile, e quindi d™ispirazione
per molti, in un ambito criticamente importante per la cultura moderna.
Nutro un profondo rispetto per i principi e l™abnegazione di questo
straordinario individuo, sebbene abbia grande rispetto anche per coloro
talmente coraggiosi da metterne in dubbio il pensiero e poi sostenerne
l™ira funesta.
Durante un™intervista conclusiva con Stallman, gli chiesi la sua opinione
su quei raffronti religiosi. œQualcuno mi paragona a uno dei profeti del
Vecchio Testamento, e ciò perché allora costoro andavano sostenendo
l™ingiustizia di certe pratiche sociali. Sulle questioni morali non
scendevano a compromessi. Non potevano essere comprati e
generalmente venivano trattati con disprezzo.

[30] Si veda Leander Kahney, œLinux™s Forgotten Man Wired News, 5
marzo 1999. http://www.wired.com/news/print/0,1294,18291,00.html

[31] In quel momento mi sembrò che Stallman citasse il termine scientifico
della pianta. Qualche mese dopo avrei scoperto invece che
rhinophytophilia era in realtà un riferimento umoristico all™attività in corso,
ovvero lo stesso Stallman mentre affondava il naso nel fiore e ne godeva.
Per un altro incidente divertente in tema floreale, si veda:
http://www.stallman.org/texas.html

[32] Si veda Cecily Barnes & Scott Ard, œCourt Grants Stay of Napster
Injunction News.com, 28 luglio 2000. http://news.cnet.com/news/0-1005-
200-2376465.html

[33] Si veda œA Clear Victory for Recording Industry in Napster Case,
comunicato stampa della RIAA (12 febbraio 2001).
http://www.riaa.com/PR_story.cfm?id=372

[34] Si veda Mae Ling Mak, œMae Ling™s Story (17 dicembre 1998).
http://www.crackmonkey.org/pipermail/crackmonkey/1998q4/003006.htm.
Finora Mak si è dimostrata l™unica persona disposta a parlare
apertamente di questa pratica, anche se ne avevo già avuto notizia da
altre fonti femminili. Superata una certa repulsione iniziale, in seguito
Mak riuscì a mettere da parte ogni preconcetto per cimentarsi in una
danza con Stallman durante il LinuxWorld del 1999.
http://www.linux.com/interact/potd.phtml?potd_id=44

[35] Si veda Annalee Newitz, œIf Code is Free Why Not Me? Salon.com, 26
maggio 2000.
http://www.salon.com/tech/feature/2000/05/26/free_love/print.html

[36] Si veda Richard Stallman, œIl progetto GNU in Open Sources, Voci
dalla rivoluzione Open Source, Apogeo, 1999, p. 65.

[37] œFilk nell™originale inglese. Si tratta di un neologismo nato da un errore
tipografico sul termine œfolk, entrato nell™uso comune per indicare le
versioni umoristiche delle canzoni popolari [N.d.R.]

[38] Canzone popolare incisa, tra gli altri, anche da Harry Belafonte,
œScarlet Ribbons, Camden. Il testo della versione œfilk con
accompagnamento MIDI è disponibile online all™indirizzo
http://www.scoutsongs.com/lyrics/ontopofspaghetti.html[N.d.R.]

[39] Vedi http://www.com-www.com/weirdal/ per il testo di œYoda [N.d.R.]

[40] Parodia di œBlowing in the Wind, di Bob Dylan [N.d.R.]

[41] Per saperne di più su analoghe parodie di canzoni popolari di
Stallman, si veda: http://www.stallman.org/doggerel.html. Per ascoltare
Stallman cantare œThe Free Software Song:
http://www.gnu.org/music/free-software-song.html.

[42] Le politiche di segregazione razziale applicate nel sud degli Stati Uniti
all™inizio del XX secolo. [N.d.T.]








Codice Libero - Capitolo 6



La comune dell™Emacs

Il laboratorio di intelligenza artificiale degli anni ™70 era un luogo
speciale sotto tutti gli aspetti. Il connubio tra progetti d™avanguardia
e ricercatori di livello insuperabile, gli conferivano una posizione di
primo piano nel mondo dell™informatica. La cultura hacker vigente al
suo interno con le sue politiche anarchiche, gli conferiva un™aurea
ribelle. Soltanto più avanti, con l™addio dei migliori ricercatori e delle
superstar del software, gli hacker avrebbero compreso quanto fosse
unico ed effimero il mondo in cui avevano vissuto un tempo.
œEra una sorta di paradiso terrestre, cosìStallman ricorda il
laboratorio e l™ethos della condivisone del software, in un articolo del
1998 per la rivista Forbes. œNon ci veniva neppure in mente di non
collaborare tra noi[43].
Queste descrizioni mitologiche, per quanto eccessive, sottolineano
un fatto importante. Erano in parecchi a ritenere il nono piano dello
stabile al 545 di Tech Square come qualcosa di più di un luogo di
lavoro. Hacker come Stallman lo consideravano la loro casa.
Nel lessico di quest™ultimo, il termine œcasa riveste un significato del
tutto particolare. Con una nota polemica verso i propri genitori,
ancora oggi rifiuta di riconoscere come casa propria nessun™altra
abitazione precedente alla Currier House, il dormitorio in cui viveva
ai tempi di Harvard. Luogo che tra l™altro dovette abbandonare in
maniera tragicomica, almeno stando alla sua stessa descrizione.
Una volta, parlando dei suoi anni ad Harvard, Stallman disse che il
suo unico rimpianto fu di essere stato sbattuto fuori. Non appena gli
chiesi cosa avesse provocato quell™episodio, mi resi conto di aver
toccato un altro mito della sua vita.
œAd Harward hanno questa politica: se passi troppi esami, ti
chiedono di andartene, mi disse.
Lasciato il dormitorio e senz™alcuna voglia di tornarsene a New York,
Stallman seguì la strada già percorsa da Greenblatt, Gosper,
Sussman e numerosi altri hacker prima di lui. Dopo essersi iscritto al
MIT e aver preso in affitto un appartamento nella vicina Cambridge,
ben presto Stallman si rese conto di come il laboratorio di
intelligenza artificiale fosse divenuto di fatto la sua dimora. In un
intervento del 1986, così ricorda quel periodo:
È probabile che io abbia vissuto al laboratorio piùdi altri, perché
quasi ogni anno per un motivo o per l™altro dovevo trovarmi un
nuovo appartamento, e nell™attesa finivo per trascorrere lì qualche
mese. Mi ci sono trovato sempre bene, in estate era proprio fresco.
Capitava di frequente che qualcuno vi si addormentasse, altro
effetto dell™entusiasmo; stai alzato davanti al monitor fino allo
stremo delle forze perché non vuoi smettere, e quando sei
completamente esausto non fai altro che distenderti sulla superficie
morbida e orizzontale più vicina. Un™atmosfera davvero informale[44].
Talvolta questa atmosfera casalinga creava dei problemi. Quello
che alcuni consideravano alla stregua di dormitorio, per altri non era
altro che una specie di ritrovo per œoppiomani elettronici. Nel libro
Computer Power and Human Reason, del 1976, Joseph
Weizenbaum, ricercatore presso il MIT, non risparmia pesanti
critiche ai œvagabondi informatici, nella sua definizione degli hacker
che popolavano quei locali. œVestiti trasandati, capelli sporchi e
spettinati, barba lunga, testimoniavano la loro indifferenza al corpo e
al mondo circostante scrive Weizenbaum. œ[I vagabondi informatici]
vivono, almeno relativamente a questo contesto, soltanto grazie e
per il computer.[45]
Un quarto di secolo dopo la pubblicazione di quel libro, Stallman
rispose alla descrizione dei œvagabondi informatici di Weizenbaum
come se quest™ultimo gli fosse stato di fronte in quel preciso istante.
œVuole che tutti siano dei professionisti, gente che lavora per i soldi
e che appena possibile dimentica e abbandona i progetti di cui si
occupa, spiega Stallman. œQuello che a lui appare come uno
scenario comune, a me sembra una vera tragedia.
E tuttavia, anche la vita dell™hacker non era priva di tali tragedie.
Stallman descrive la sua transizione da hacker del fine settimana a
ricercatore a tempo pieno nel laboratorio di intelligenza artificiale
come una serie di dolorose sventure, che riuscì a superare soltanto
grazie all™euforia dell™hacking. Nel suo racconto, il primo di questi
episodi risale all™epoca della laurea ad Harvard. Convinto di voler
proseguire gli studi in fisica, Stallman si iscrisse subito al MIT. Una
scelta naturale che non soltanto gli permetteva di seguire le orme di
alcuni grandi studenti del MIT come William Shockley (1936),
Richard P. Feynman (1939) e Murray Gell-Mann (1951), ma gli
consentiva anche di vivere a meno di tre chilometri dal laboratorio di
intelligenza artificiale e dal nuovo computer PDP-10. œEro attratto
dalla programmazione, ma pensavo ancora che avrei potuto
coltivare entrambe le cose, ricorda Stallman.
Di giorno a seguire i corsi di laurea e la notte a programmare nei
monastici confini del laboratorio di intelligenza artificiale, Stallman
era alla ricerca del perfetto equilibrio. Il fulcro di questa frenetica
attività stava però nelle uscite settimanali con il gruppo di danze
popolari, evento sociale che gli garantiva quantomeno un modico
livello di interazione con l™altro sesso. Fu sul finire del primo anno al
MIT, tuttavia, che avvenne il disastro. Una ferita al ginocchio lo
costrinse a lasciare il gruppo. All™inizio lo considerò un problema
temporaneo e dedicò al laboratorio d™intelligenza artificiale l™ulteriore
tempo libero distolto alla danza. Ma al termine dell™estate iniziò a
preoccuparsi seriamente, col ginocchio ancora dolorante e
l™approssimarsi dei nuovi corsi. œIl ginocchio non ne voleva sapere di
migliorare, ricorda Stallman, œcon la conseguenza che dovetti
smettere definitivamente di danzare. Fu un colpo mortale.
Senza né dormitorio né danze, il suo universo sociale finì per
implodere. Al pari di un astronauta alle prese con i postumi
dell™assenza di gravità, si rese conto di come la sua capacità di
interagire con i non-hacker, soprattutto di genere femminile, si fosse
atrofizzata in maniera considerevole. Dopo 16 settimane trascorse
al laboratorio di intelligenza artificiale, quella fiducia in se stesso
lentamente accumulata durante i quattro anni ad Harvard era
praticamente scomparsa.
œIn pratica mi sentivo svuotato di ogni energia, rammenta Stallman.
œNon avevo voglia di far nulla se non quel che mi attirava al
momento, non avevo energia per altro. Ero disperato.
Finì presto per ritirarsi ulteriormente dal mondo, dedicandosi
unicamente al lavoro nel laboratorio di intelligenza artificiale.
Nell™ottobre 1975, abbandonò i corsi al MIT, per non farvi mai più
ritorno. Da semplice hobby iniziale, l™attività di hacking era diventata
la sua vocazione.
Riflettendo su quel periodo, Stallman considera inevitabile il
passaggio da studente a tempo pieno ad hacker a tempo pieno.
Prima o poi, così ritiene, quest™ultimo richiamo avrebbe superato
ogni altro interesse a livello professionale. œIn materie come fisica o
matematica, non riuscivo mai a proporre contributi originali,
sostiene Stallman riferendosi alle vicissitudini precedenti la ferita al
ginocchio. œSarei stato orgoglioso di fornire contributi allo sviluppo di
uno dei due campi, ma non vedevo come avrei potuto farlo. Non
sapevo da che parte cominciare. Col software, invece, sapevo già
come scrivere cose funzionanti e utili. Il piacere di questa
conoscenza mi portò a desiderare di proseguire su questa strada.
Stallman non era certo il primo ad equiparare hacking e piacere.
Gran parte di coloro che lavoravano al laboratorio di intelligenza
artificiale vantavano un curriculum accademico analogamente
incompleto. Molti di loro si erano iscritti a corsi di laurea in
matematica o in ingegneria elettrica soltanto per poi abbandonare le
proprie ambizioni professionali per la sottile soddisfazione che si
ottiene risolvendo problemi mai affrontati prima. Come San
Tommaso d™Aquino, noto per aver lavorato talmente a lungo sulle
questioni teologiche da avere talvolta delle visioni spirituali, gli
hacker raggiungevano stati di trascendenza interiore grazie alla
concentrazione mentale e alla spossatezza fisica. Come la maggior
parte di loro, Stallman rifiutava l™uso di droghe ma era attirato dallo
stato di ebbrezza che si prova dopo 20 ore trascorse a scrivere
codice.
Forse l™emozione più piacevole era il senso di appagamento
personale. Per Stallman l™arte dell™hacking era qualcosa di naturale.
Le lunghe notti passate a studiare quando era bambino, gli
permettevano di lavorare a lungo, con poche ore di sonno. Asociale
e individualista fin da quando aveva dieci anni, non aveva alcun
problema a lavorare in completa solitudine. E in quanto matematico
eccellente con capacità innate per la logica e un occhio critico,
Stallman riusciva a superare quelle barriere progettuali che
facevano dannare gran parte degli hacker.
œEra davvero speciale, ricorda Gerald Sussman, membro di facoltà
al MIT ed ex ricercatore presso il laboratorio di intelligenza
artificiale. Descrivendolo come œpensatore e progettista acuto, fu
Sussman ad assumere Stallman come assistente per un progetto di
ricerca a partire dal 1975. Si trattava di un progetto complesso, che
richiedeva la creazione di un programma di IA in grado di analizzare
i diagrammi dei circuiti. Qualcosa che richiedeva non soltanto un
esperto di Lisp, un linguaggio di programmazione realizzato
appositamente per applicazioni nel campo dell™intelligenza
artificiale, ma anche la piena comprensione di come un essere
umano avrebbe affrontato lo stesso problema.
Quando non lavorava a progetti ufficiali come quello di Sussman sul
programma automatico di analisi dei circuiti, Stallman si dedicava a
progetti personali. Era nel miglior interesse di ciascun hacker
contribuire al miglioramento dell™infrastruttura del laboratorio, e uno
dei suoi progetti più importanti di quel periodo riguardava l™editor
TECO.
Negli anni ™70 il suo impegno in tale progetto appare
inestricabilmente connesso alla successiva leadership del
movimento del software libero, oltre a rappresentare un passaggio
significativo nella storia dello sviluppo dell™informatica, motivo per
cui val la pena riassumerlo qui. Nel corso degli anni ™50 e ™60,
quando il computer fece la sua prima apparizione nelle aule
universitarie, la programmazione costituiva qualcosa di puramente
astratto. Per comunicare con la macchina, gli sviluppatori creavano
una serie di schede perforate, ognuna delle quali rappresentava un
singolo comando software. Tali schede venivano poi passate
all™amministratore centrale del sistema, il quale le avrebbe a sua
volta introdotte una ad una nella macchina, aspettando che questa
ne producesse in uscita una nuova serie, che andava infine
decifrata come output dai programmatori. Questa procedura, nota
come œelaborazione batch, era tanto noiosa ed estenuante quanto
soggetta ad abusi di autorità. Uno dei fattori a monte dell™innata
avversione degli hacker per la centralizzazione, stava nel potere
conferito ai primi amministratori di sistema cui spettava decidere
quali lavori avessero priorità più alta.
Nel 1962 i ricercatori informatici e gli hacker riuniti sotto il progetto
MAC del MIT, precursore del laboratorio di intelligenza artificiale,
presero a darsi da fare per alleviare quel senso di frustrazione. Il
œtime sharing (condivisione di tempo) all™inizio detto œtime stealing
(furto di tempo), aveva reso possibile a più programmatori l™uso
contemporaneo delle capacità operative di una macchina.
L™interfaccia a telescrivente consentiva inoltre la comunicazione non
più tramite una serie di fori in una scheda, bensì grazie
all™interazione testuale. Il programmatore digitava dei comandi e
leggeva poi, riga per riga, il risultato prodotto dalla macchina.
Sul finire degli anni ™60, lo studio dell™interfaccia compì altri passi in
avanti. Nel 1968 in un famoso intervento Doug Engelbart, allora
ricercatore presso lo Stanford Research Institute, illustrò il prototipo
di quella che sarebbe diventata l™interfaccia grafica moderna. Con
l™aggiunta di un monitor televisivo e di un puntatore chiamato
œmouse, Engelbart mise a punto un sistema ancora più interattivo di
quello a condivisione di tempo sviluppato al MIT. Trattando il
monitor come una stampante ad alta velocità, tale sistema offriva la
possibilità di seguire gli spostamenti del cursore sul video in tempo
reale. Tutt™a un tratto l™utente era in grado di posizionare il testo in
una parte qualunque dello schermo.
Queste innovazioni non sarebbero arrivate sul mercato prima di altri
vent™anni, ma già dagli anni ™70 i monitor stavano iniziando a
sostituire le telescriventi come terminali di visualizzazione, dando la
possibilità di lavorare a tutto schermo anziché riga per riga.
Uno dei primi programmi a sfruttare tali potenzialità fu appunto
TECO. Acronimo per Text Editor and COrrector, si trattava in
pratica dell™aggiornamento di un vecchio editor di linea per
telescriventi, adattato alla macchina PDP-6 del laboratorio[46].
Pur rappresentando un notevole passo avanti rispetto ai primi
programmi analoghi, TECO presentava ancora dei difetti. Per creare
e modificare un documento, il programmatore doveva inserire una
serie di comandi specificando ogni singola operazione di modifica.
Si trattava di un processo del tutto astratto. Al contrario degli odierni
elaboratori di testi, capaci di aggiornare il testo ogni volta che si
preme un tasto, TECO richiedeva di inserire una lunga sequenza di
istruzioni seguita da un œend of command (fine del comando) per
poter cambiare una sola frase. Col passar del tempo gli hacker
divennero sufficientemente abili da scrivere interi documenti in
questa modalità, ma come sottolineò in seguito Stallman il processo
richiedeva œuno sforzo mentale simile a quello di una partita a
scacchi giocata a occhi bendati.[47]
Onde facilitare la procedura, gli hacker del laboratorio di intelligenza
artificiale misero a punto un sistema in grado di visualizzare
entrambe le modalità (œsource e œdisplay) sullo schermo diviso a
metà. Nonostante la mossa innovativa, il passaggio da una modalità
all™altra rappresentava pur sempre una gran seccatura.
TECO non era l™unico elaboratore testi a tutto schermo che girava
nel mondo informatico di allora. Nel 1976 durante una visita al
laboratorio di intelligenza artificiale di Stanford, Stallman si imbattè
in un editor chiamato E. Il programma comprendeva una funzione
interna grazie alla quale l™utente poteva aggiornare il testo
visualizzato dopo aver digitato ogni tasto. Nel lessico della
programmazione anni ™70, si può dire che E era uno dei primi
rudimentali esempi di software WYSIWYG. Abbreviazione di œwhat
you see is what you get (quello che vedi è quello che ottieni), il
termine stava ad indicare la possibilità, da parte dell™utente, di
manipolare il file spostando direttamente il testo prescelto, anziché
operare tramite una serie ulteriore di istruzioni.[48]
Colpito da quell™idea, al MIT Stallman si mise all™opera per
espandere le funzionalità di TECO in maniera analoga. Partì da una
funzione nota come Control-R, scritta da Carl Mikkelson e così
chiamata per la combinazione dei tasti tramite cui veniva attivata.
Tale combinazione consentiva il passaggio dall™abituale modalità di
esecuzione astratta a quella più intuitiva operabile tasto dopo tasto.
Stallman modificò la funzione in maniera sottile ma sgnificativa,
rendendo possibile l™attivazione di altre stringhe di comando, cioè le
cosiddette œmacro, mediante diverse combinazioni di tasti. Laddove
in precedenza l™utente doveva digitare una stringa di istruzioni per
poi perderla al momento di passare alla riga successiva, la funzione
ideata da Stallman permetteva di salvare su file le macro utilizzate
così da richiamarle all™occorrenza. La modifica di Mikkelson aveva
elevato TECO al livello di un editor WYSIWYG, quella di Stallman
al livello di un editor WYSIWYG programmabile dall™utente. œSi
trattò di una vera e propria rivoluzione, sostiene Guy Steele, uno
degli hacker allora presenti nel laboratorio di intelligenza artificiale
del MIT.
Nel ricordo dello stesso Stallman, l™idea delle macro provocò
un™esplosione di innovazioni a catena. œOgnuno costruì la propria
serie di comandi per l™editor, ciascuno dei quali attivava le funzioni
più comunemte utilizzate, avrebbe successivamente ricordato. œLe
macro venivano passate di mano in mano e migliorate, così da
ampliarne la portata e l™utilizzo. Gradualmente le raccolte di macro
si trasformarono in veri e propri programmi. L™innovazione si rivelò
utile per così tante persone, che la inserirono nella loro versione di
TECO, tanto che quest™ultimo divenne secondario rispetto alla
mania delle macro così generata. œIniziammo a categorizzarlo
mentalmente come un linguaggio di programmazione piuttosto che
un elaboratore testi, aggiunge Stallman. œGli utenti si dilettavano ad
affinare il software e a scambiarsi nuove idee.
Due anni dopo quel boom, il tasso di innovazione cominciòa
mostrare pericolosi effetti collaterali. La crescita esplosiva aveva
fornito una conferma esaltante della validità dell™approccio
collaborativo tra gli hacker, conducendo però anche ad un™eccessiva
complessità. œEra l™effetto Torre di Babele, sostiene Guy Steele.
Questo effetto minacciava di uccidere lo stesso spirito da cui aveva
tratto origine. Il sistema ITS (Incompatible Time Sharing) era stato
progettato dagli hacker per facilitare la condivisione delle
informazioni e migliorare reciprocamente il lavoro degli altri. Ciò
significava essere in grado di sedersi davanti al monitor di un altro
programmatore per inserire direttamente commenti e correzioni nel
software su cui stava lavorando. œTalvolta la maniera più semplice
per mostrare a qualcuno come scrivere o sistemare il codice era
semplicemente quella di sedersi al terminale e farlo al posto suo,
spiega Steele.
A un certo punto, dopo due anni di applicazioni, le macro iniziarono
a mascherare le funzioni stesse del programma. Desiderosi di
sfruttare al meglio le nuove funzionalità a tutto schermo, gli hacker
avevano personalizzato a tal punto le loro versioni di TECO che,
sedendosi davanti al terminale di qualcun altro ci voleva un™ora
buona solo per scoprire quali macro eseguissero le diverse
operazioni.
Frustrato, Steele si fece carico di risolvere il problema. Raccolse
quattro diversi pacchetti di macro e iniziò a compilare un grafico che
documentasse i comandi più utili. Fu mentre lavorava
all™implementazione dei vari comandi specifici che Steele attrasse
l™attenzione di Stallman. œPrese a sbirciare dietro le mie spalle,
chiedendomi cosa stessi facendo, rammenta.
Per Steele, hacker tranquillo che raramente si era trovato ad
interagire con Stallman, il ricordo è ancora palpabile. Osservare un
hacker al lavoro da dietro le spalle costituiva un™attività comune in
quel laboratorio. Stallman, incaricato della gestione di TECO, definì
œinteressante l™idea di Steele e decise di condurla rapidamente in
porto.
œCome mi piace sostenere, io curai il primo 0,001 per cento
dell™implementazione e Stallman si occupò del resto, ricorda Steele
con un sorriso.
Il nome per il nuovo progetto, Emacs, venne scelto dallo stesso
Stallman. Abbreviazione di œediting macros, stava a indicare la
trascendenza evolutiva avvenuta nel corso di quei due anni
dall™esplosione delle macro. Approfittava inoltre di un vuoto nel
lessico della programmazione interna. Notando la mancanza nel
sistema ITS di programmi che iniziavano con la lettera œE, la scelta
di Emacs ne rese possibile l™identificazione tramite la sola lettera
iniziale. Ancora una volta la brama degli hacker per la massima
efficienza aveva centrato l™obiettivo[49].
Mentre lavoravano allo sviluppo di un sistema standard per i
comandi macro, Stallman e Steele dovettero fare alcune acrobazie
politiche. Con la creazione di un programma standard, Stallman si
poneva in chiara violazione di uno dei comandamenti dell™etica
hacker: œpromuovi la decentralizzazione. E contemporaneamente
minacciava di ostacolare la flessibilità che aveva inizialmente
alimentato l™esplosiva innovazione di TECO.
œDa una parte stavamo cercando di ricreare una serie uniforme di
comandi, dall™altra volevamo mantenerli aperti salvaguardando
l™importanza della programmabilità, puntualizza Steele.
Per risolvere il problema, Stallman, Steele e i colleghi David Moon e
Dan Weinreib decisero allora di limitare tale standardizzazione alle
istruzioni WYSIWYG che controllavano la visualizzazione del testo
sul monitor. Il resto del progetto Emacs avrebbe conservato
l™estensibilità a piacimento dei comandi.
Stallman si trovava però di fronte a un nuovo rompicapo: se gli
utenti avessero apportato modifiche senza comunicarle al resto
della comunità, l™effetto Torre di Babele sarebbe semplicemente
riemerso altrove. Rifacendosi alla dottrina hacker sulla condivisione
delle innovazioni, Stallman inserì nel codice sorgente una
dichiarazione che ne stabiliva le modalità d™utilizzo. Ciascuno era
libero di modificare e ridistribuire il codice a condizione di informare
gli altri sulle ulteriori estensioni ideate. E scelse come soprannome
œEmacs Commune (la comune dell™Emacs). Così come TECO era
divenuto qualcosa di più di un semplice elaboratore testi, Emacs era
diventato qualcosa di più di un semplice programma. Per Stallman
si trattava di un contratto sociale. In uno dei primi appunti relativi al
progetto, ne descrisse in dettaglio i termini. œL™EMACS, scrisse,
œviene distribuito sulla base della condivisione comune, ovvero ogni
miglioramento deve essere ritrasmesso a me che provvederò a
incorporarlo nelle successive redistribuzioni.[50]
Non tutti accettarono quel contratto. Il ritmo esplosivo
dell™innovazione proseguì per tutto il decennio, dando vita a una
miriade di programmi simili all™Emacs con diversi livelli di
compatibilità tra loro. Alcuni indicavano la relazione con l™originale
progetto di Stallman tramite nomi ironicamente ricorsivi: Sine (Sine
is not Emacs), Eine (Eine is not Emacs), Zwei (Zwei was Eine
initially). In quanto devoto esponente dell™etica hacker, Stallman non
vide alcun motivo per bloccare questa ventata innovativa ricorrendo
a pressioni legali. E tuttavia, il fatto che qualcuno decidesse di
appropriarsi di software appartenente all™intera comunità, per poi
modificarlo e dargli un nuovo nome, dimostrava una palese
mancanza di stile.
Tale comportamento si affiancava ad altri sviluppi negativi in atto
nella comunità hacker. La decisione di Brian Reid del 1979 di
inserire œbombe a tempo all™interno di Scribe, consentendo così alla
Unilogic di limitare l™accesso al software da parte di utenti non-
paganti, rappresentò un oscuro presagio per Stallman. œLo ritenne
l™evento peggiore, addirittura nazista, in cui si fosse mai imbattuto,
ricorda Reid. Pur avendo raggiunto successivamente una certa
notorietà in quanto co-ideatore della gerarchia œalt su Usenet, Reid
afferma che deve ancora farsi perdonare quella decisione del 1979,
almeno agli occhi di Stallman: œsecondo lui, tutto il software
dovrebbe essere libero e l™idea di far pagare un programma
andrebbe considerata un crimine contro l™umanità.[51]
Pur se impossibilitato a fare alcunché per impedire quella manovra
di Reid, Stallman riuscì a ridimensionare altri comportamenti ritenuti
contrari all™etica hacker. In qualità di gestore centrale del codice per
la œcomune dell™Emacs, iniziò a utilizzare quella posizione di potere
a scopo politico. Nella fase finale del conflitto con gli amministratori
del laboratorio d™informatica sulla questione delle password,
Stallman lanciò uno œsciopero del software[52], rifiutandosi di fornire
allo staff di quel laboratorio le ultime versioni di Emacs fino a
quando non avessero eliminato il sistema di sicurezza dai computer
del laboratorio. La mossa non migliorò molto la crescente
reputazione di estremista acquisita da Stallman, raggiunse però
l™obiettivo prefissato: gli aderenti alla comune si sarebbero fatti
sentire a difesa dei valori base degli hacker.
œParecchia gente ce l™aveva con me sostenendo che li stessi
tenendo in ostaggio o ricattando, e sotto certi aspetti avevano
ragione, avrebbe raccontato in seguito Stallman al giornalista
Steven Levy. œAvevo lanciato un™operazione violenta nei loro
confronti perché ritenevo fossero costoro ad agire violentemente
contro tutti gli altri in senso più generale.[53]
Col passare del tempo, Emacs si trasformò in un veicolo per la
diffusione dell™etica hacker. La flessibilità di cui lo avevano dotato
Stallman e gli altri hacker non soltanto incoraggiava la
collaborazione ma anzi la imponeva. Gli utenti che non si
aggiornavano sullo sviluppo del software o che non inviavano a
Stallman i propri contributi, correvano il rischio di rimanere tagliati
fuori dalle ultime novità. E queste erano tutt™altro che poca cosa. A
vent™anni dalla sua creazione, gli utenti avevano modificato Emacs
per consentirne l™impiego in molti ambiti -- come foglio di calcolo,
calcolatrice, database, browser Web -- al punto che gli ultimi
sviluppatori, per rappresentarne l™ampia versatilità, adottarono
l™immagine di un lavandino in cui l™acqua fuoriesce. œEra questa
l™idea che volevamo comunicare, spiega Stallman. œLa quantità di
funzioni al suo interno è allo stesso tempo meravigliosa e
terrificante.
I contemporanei di Stallman nel laboratorio di intelligenza artificiale
si mostrano più benevoli. Hal Abelson, laureando al MIT, già
collaboratore di Stallman negli anni ™70 e successivamente membro
del direttivo della Free Software Foundation, descrive l™Emacs come
œuna creazione assolutamente brillante. Consentendo ai
programmatori di aggiungere nuove librerie e funzioni senza
mettere sottosopra il sistema, secondo Abelson, Stallman aprì la
strada verso futuri progetti analoghi su larga scala. œLa struttura si
dimostrò sufficientemente robusta da permettere l™aperta
collaborazione da parte di persone di ogni parte del mondo,
aggiunge. œNon mi risulta che questo sia mai stato fatto prima.[54]
Analoga l™ammirazione espressa da Guy Steele. Attualmente
ricercatore presso la Sun Microsystems, ricorda Stallman soprattutto
come œbrillante programmatore con la capacità di generare notevoli
quantità di codice sostanzialmente privo di errori. Pur tra le
rispettive incompatibilità caratteriali, i due collaborarono abbastanza
a lungo da permettere a Steele di apprezzare la profondità dello stile
di Stallman nella programmazione. Ne rammenta in particolare un
episodio specifico verso la fine degli anni ™70, quando lavorarono
assieme alla stesura della funzione œpretty print, per la stampa del
codice. Inizialmente concepita da Steele, tale funzione veniva
attivata dall™ennesima combinazione di tasti che riformattava il
codice sorgente in modo da risultare più leggibile e occupare meno
spazio, esaltandone ulteriormente le qualità WYSIWIG. Un™opzione
sufficientemente strategica da attrarre l™attivo interesse di Stallman,
e non ci volle molto perché i due ne progettassero insieme una
versione migliorata.
œUna mattina ci sedemmo davanti al monitor, ricorda Steele. œIo ero
alla tastiera e lui di fianco. Non aveva problemi a lasciarmi digitare,
ma era lui a suggerirmi cosa fare.
La sessione durò 10 ore. Durante tutto quel tempo, aggiunge Steele,
né lui né Stallman fecero alcuna pausa, e nemmeno avviarono
qualche breve conversazione. Alla fine erano riusciti a ridurre il
codice per la funzione di stampa a meno di 100 righe. œPer tutto quel
tempo, le mie dita erano rimaste sulla tastiera, ricorda Steele, œma
erano le idee di entrambi a fluire sullo schermo. Lui mi diceva cosa
digitare, e io procedevo.
La lunghezza della sessione si rese evidente quando finalmente
Steele uscì dal laboratorio. Una volta fuori dall™edificio al 545 di
Tech Square, rimase sorpreso di trovarsi circondato dal buio della
notte. Come programmatore Steele era abituato a maratone
analoghe. Eppure stavolta c™era qualcosa di diverso. Quel lavoro
con Stallman lo aveva costretto a bloccare ogni stimolo esterno per
concentrare tutte le sue energie mentali sull™unico obiettivo che
avevano davanti. Ripensando a quella circostanza, Steele sostiene
di aver considerato la forza mentale di Stallman esilarante e
terrificante al tempo stesso. œIl mio primo pensiero subito dopo fu
questo: è stata una grande esperienza, molto intensa, ma non avrei
mai voluto ripeterla in vita mia.


[43] Si veda Josh McHugh, œFor the Love of Hacking, Forbes, 10
agosto 1998.
http://www.forbes.com/forbes/1998/0810/6203094a.html

[44] Si veda Stallman (1986).

[45] Si veda Joseph Weizenbaum, Computer Power and Human
Reason: From Judgment to Calculation, W. H. Freeman, 1976, p.
116.

[46] Secondo il Jargon File, orginariamente l™acronimo TECO stava
per Tape Editor and Corrector.
http://www.tuxedo.org/~esr/jargon/html/entry/TECO.html

[47] Si veda Richard Stallman, œEMACS: The Extensible,
Customizable, Display Editor, annotazione interna per il laboratorio
di intelligenza artificiale (1979). Una versione HTML aggiornata di
questa nota, dalla quale ho tratto la citazione, è disponibile online:
http://www.gnu.org/software/emacs/emacs-paper.html.

[48] Si veda Richard Stallman, œEmacs the Full Screen Editor (1987).
http://www.lysator.liu.se/history/garb/txt/87-1-emacs.txt

[49] http://www.lysator.liu.se/history/garb/txt/87-1-emacs.txt

[50] Si veda Stallman (1979): #SEC34.

[51] In un™intervista del 1996 per la rivista online MEME, Stallman
definì incresciosa la vendita di Scribe, ma esitò nel fare il nome di
Reid. œIl problema fu che nessuno censurò o punì quello studente
per quanto aveva combinato, sostenne Stallman. œCome
conseguenza, altre persone furono tentate di seguirne l™esempio. Si
veda MEME 2.04. http://memex.org/meme2-04.html

[52] Si veda Steven Levy, Hackers, Penguin USA, 1984, p. 419.

[53] Ibid.

[54] In questo capitolo ho scelto di concentrarmi maggiormente sul
significato sociale dell™Emacs piuttosto che su quello legato al
software. Per saperne di più in tal senso, raccomando la nota di
Stallman del 1979. Consiglio in particolare la sezione denominata
œResearch Through Development of Installed Tools (#SEC27). Non
soltanto risulta comprensibile per il lettore non-tecnico, ma mette
altresì in evidenza la stretta interconnessione tra la filosofia politica
e quella relativa allo sviluppo del software nella concezione di
Stallman. Quanto segue è un breve estratto:
L™EMACS non avrebbe potuto vedere la luce tramite un processo di
attenta progettazione, poiché simili procedure raggiungono
l™obiettivo preposto soltanto nel caso questo risulti visibile e sia
auspicabile fin dall™inizio. Né il sottoscritto ne altri potevamo
immaginare un elaboratore testi estendibile prima di averlo
realizzato, e nessuno avrebbe potuto apprezzarne il valore prima di
averlo utilizzato sul campo. L™EMACS esiste perché mi sentivo
libero di inserirvi miglioramenti ridotti e unici lungo una strada la cui
direzione era impossibile da intravedere.








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