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To:                     "NoOMC Italia" <[EMAIL PROTECTED]>
From:                   "kowalski" <[EMAIL PROTECTED]>
Date sent:              Fri, 18 Jan 2002 01:30:24 +0100
Subject:                [noomc-it] "Cosa c'è dietro la crisi 
dell'Argentina" di Domen
        ico De Simone

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[ Domenico De Simone è l'autore di due intriganti e provocatori saggi
di controeconomia pubblicati dall'editore Malatempora, "Un Milione al
mese a tutti: subito!" e "Dove andrà a finire l'economia dei ricchi?".
Con questa lucida analisi delle cause della crisi argentina inizia la
sua collaborazione con Information Guerrilla -
http://www.informationguerrilla.org ]

E alla fine anche l'Argentina non ce l'ha fatta più a sostenere il
peso del proprio debito, ed è andata a fare compagnia a Tailandia,
Corea, Messico, Brasile eccetera, eccetera. Oltre, ovviamente, ai
paesi dell'Africa, a quelli del mondo arabo, all'est europeo che da
tempo versano in una crisi economica irreversibile scossa qua e là da
lampi di guerra o conflitti civili. Tutti paesi in cui il FMI e la
Banca Mondiale sono intervenuti in maniera massiccia, imponendo le
proprie ricette per uscire dalla crisi ma senza cavare un ragno dal
buco. Ah, dimenticavo il Giappone. Che non è un paese insolvente,
perché le proprie cambiali le paga, ma come dimenticare che da dodici
anni quel paese si trova anch'esso in una crisi che appare senza
soluzione, nonostante tutti gli sforzi fatti per tirarlo fuori dalle
secche della stagnazione?

Se poi volgiamo lo sguardo in casa nostra, non è che vediamo
sbrilluccicare di gioia gli occhi della gente. La crescita è ridotta,
alcuni paesi stanno ufficialmente in recessione, e non parliamo del
Lichtenstein, bensì della Germania e della Francia che stanno
sperimentando le delizie della crisi finanziaria che sta dando le
convulsioni al mondo intero.

Si parla di ripresa dietro l'angolo. Sono mesi, oltre un anno, che se
ne parla, ma la ripresa non si vede, e d'altra parte, se il cavallo
non si rimette a bere, la ripresa resterà un sogno per lungo tempo.

Da noi l'arte di arrangiarsi regna sovrana, in fondo ci siamo abituati
a vivere in una crisi endemica e le prospettive dell'economia
dell'Euro non sono affatto incoraggianti.

Nel frattempo, tutto il Sud America rischia di essere travolto dalla
crisi dell'Argentina, che rappresenta parte consistente della
produzione e dell'economia di tutto il continente. Ma che hanno
combinato questi argentini, per meritarsi una simile catastrofe?

Si parla dell'Argentina, in giro per il web, come di un paese povero e
agricolo, la cui industrializzazione selvaggia è stata finanziata a
piene mani dal FMI e dalla BM, senza che sussistessero le condizioni
per una crescita dell'economia adeguata al livello dell'indebitamento
raggiunto con il FMI.

Niente di più falso. Negli anni trenta e ancora negli anni cinquanta,
l'Argentina era un paese molto ricco e dalle prospettive eccellenti,
grazie alla ricchezza della sua terra, alla presenza di materie prime
e di fonti di energie, alla fattiva alacrità della sua popolazione.
L'intero contesto sud americano è ricchissimo di materie prime e di
popolazioni operose, per la maggior parte provenienti dall'Europa,
così come quelle che hanno colonizzato e si sono moltiplicate nel Nord
America. Andare ad imputare all'indolenza delle popolazioni locali o
agli sprechi di qualche riccone la crisi del debito Argentino, è
davvero stupido e falso.

Gli argentini lavorano, producono, si dannano di fatica, però la loro
economia non funziona ed il loro prodotto viene sempre di più
assorbito dal debito e dagli interessi sul debito. Ma com'è possibile,
si dirà, se pure lavorano, che non siano in grado di pagare il proprio
debito?

Se gli investimenti fatti nel paese sono stati investimenti realmente
produttivi, per quale ragione questi investimenti non sono in grado di
pagare almeno la quota di debito contratta con l'estero, o meglio
perché non sono in grado di remunerare compiutamente i fattori di
produzione? Per fattori di produzione si intendono tutti gli elementi
che occorrono per costituire un ciclo completo di produzione, ovvero
capitale, materie prime e lavoro.

Il problema è puramente finanziario, ed anche qui non si tratta di una
scelta, ma di una questione di potere. Poiché dietro la finanza si
nasconde il vero potere che sta dominando il mondo intero e che lo sta
strangolando.

Le multinazionali, le istituzioni finanziarie internazionali, i paesi
ricchi del mondo hanno tutti interesse a che con i paesi terzi il
differenziale tra le monete sia elevato. Questo differenziale, è
quello che consente all’ occidente di acquistare a prezzi irrisori i
beni prodotti dai paesi terzi, tra i quali assume un ruolo crescente
il lavoro umano e soprattutto le loro materie prime. E di rivendere
loro a prezzi crescenti sia i manufatti che le produzioni immateriali
che compongono in misura sempre maggiore il prodotto dell’occidente.

E come fanno gli occidentali a far crescere il differenziale tra le
monete dell’occidente e quelle dei paesi terzi? Lo strumento di potere
che le istituzioni finanziarie adoperano, capeggiate dal FMI e dalla
BM, è il debito. E’ stato detto nei TG di questi giorni, che lo
spaventoso debito pubblico argentino ha portato il paese al collasso.
Niente di più falso. Paesi come l’Italia, il Belgio, la Francia, la
stessa Germania, il Giappone hanno un debito pubblico ben maggiore 
in
proporzione al PIL. Il debito sta strangolando tutto il mondo. E’
attraverso il debito che viene creata la moneta necessaria
all’economia, e di conseguenza alla crescita dell’economia si
accompagna la crescita del debito. E poiché il debito è in mano a
qualcuno, e questo qualcuno è il potere finanziario, la crescita dell’
economia comporta un potere crescente delle istituzioni finanziarie. 
Fino al punto in cui tutto il mondo, cittadini, imprese, Stati di
tutto il mondo, compreso quello occidentale, saranno ostaggi di questi
signori, che si sono arrogati il diritto di impadronirsi della nostra
vita e del nostro lavoro senza dare nulla in cambio. E senza nemmeno
consultarci. E che se decidono che l’Argentina deve cadere, la fanno
cadere, poiché gli strumenti del credito sono nelle loro mani, così
come gli strumenti per creare fiducia nei confronti di un paese.

Già, perché ciò che tiene in piedi l’economia di un paese, è la
“fiducia” delle istituzioni finanziarie nei suoi confronti, che
comporta la possibilità di continuare ad alimentare quello spaventoso
strumento di morte che è il debito complessivo di quel paese. Il
rapporto debito/ PIL in Italia, è il doppio rispetto all’Argentina. 
Però per l’Italia c’è quella “fiducia” che è stata tolta invece agli
Argentini.  E non perché questi fossero stati particolarmente cattivi,
ma semplicemente perché in Argentina non c’era più niente da 
prendere.
Con quel maleodorante pezzo di carta colorato che si chiama dollaro, i
“gringos” si sono comprati tutto il paese, e allora che senso ha
continuare a garantire una parità dollaro peso che non ha mai avuto
altro senso se non quello di consentire agli americani di comprarsi il
paese?

E quando finirà di crescere il debito, perché una fine ce la deve
avere questa spirale infernale, allora l’Argentina verrà anche qui da
noi, e in Germania e in Francia e poi negli USA. A meno che non siamo
capaci di farli smettere. Ma subito. Però.

***************************

Il lavoro in Argentina costa molto poco. Così poco che un operaio
argentino, dopo decenni di lotte e di sacrifici, prende circa un
ventesimo di un suo collega americano, anche se è più fortunato di un
operaio tailandese che prende all'incirca un trentesimo, per non
parlare di quelli africani la cui remunerazione non è commisurabile ai
nostri parametri tanto è irrisoria. E' anche vero che il pane e il
latte in Argentina costano in proporzione, e sotto questo aspetto
tutto sembra perfettamente logico. Anche il petrolio ed il ferro
costano molto meno in Argentina che negli USA e pure questo sembra
normale. Ma ci siamo mai chiesti perché ci sono queste differenze? Ci
siamo mai chiesti per quale ragione, se ce n'è una, per la prima volta
nella storia della razza umana, a partire dagli anni settanta, le
differenze di remunerazione del lavoro e, in generale, dei fattori di
produzione è diventata così macroscopica e, oltretutto, cresce sempre
di più invece di ridursi? Cos'ha di speciale il pane di Los Angeles
per costare venti volte quello di Bangkok, e cosa fa di tanto
straordinario un operaio di Chicago rispetto ad uno di Bangalore? E
perché vendendo perline colorate sulle spiagge del nostro paese, un
Nigeriano guadagna molto ma molto di più di un suo compatriota
ingegnere presso un istituto di ricerca di Nairobi?

La cosa sconvolgente è che questa storia è cominciata relativamente 
da
poco. Se vi prendete la briga di andare a controllare l'andamento dei
prezzi nel mondo dal medioevo ai giorni nostri (ci sono innumerevoli
ed eminenti studi in proposito, soprattutto di storici dell'economia
come Gerchenkron, Baehrel, Hamilton), vi rendete conto che mai nella
storia dell'umanità le differenze di retribuzione sono state così
marcate, e che le differenze di prezzi erano dovuto più che altro alle
difficoltà dei trasporti e degli scambi (oltre che alle dogane). la
divaricazione tra le retribuzioni si è progressivamente accentuata
negli ultimi trent'anni, andando in senso contrario a quelli che
dovrebbero essere gli effetti della globalizzazione e della riduzione
delle dogane. Ho cercato nel mio ultimo libro, (Per un’ economia dal
volto umano, Malatempora editrice, Roma 2002) una risposta: eccola.

"Il punto è uno solo, non c’è una ragione sensata in queste differenze
di prezzi, se non il fatto che i rapporti relativi tra le monete
vedono in enorme vantaggio quelle dei paesi dominanti dell’occidente.
E questo per via del fatto che il credito, la finanza e il cambio
delle monete è in mano al potere dell’occidente.

Insomma quello che gli inglesi imponevano con la forza dei fucili, un
prezzo basso del the indiano, adesso gli americani impongono con la
forza del dollaro. Ovviamente tutto il sistema finanziario locale deve
essere adeguato al rapporto tra le monete, e quindi anche il pane, del
tutto irragionevolmente costerà un decimo in India, e magari un
ventesimo in Nigeria o in Patagonia.

Questo strumento di rapina viene giustificato dietro la considerazione
del tutto inconferente, della diversa capacità produttiva dei paesi le
cui monete sono messe a confronto: maggiore è la capacità produttiva,
maggiore è il valore relativo della moneta.

Questa spiegazione è insensata, poiché contraddice la stessa legge
della domanda e dell’offerta, che pure regola tutti i mercati.
Infatti, ad una maggiore produzione corrisponde una maggiore offerta
di beni prodotti sul mercato, e quindi una riduzione dei prezzi e non
il loro aumento, e inoltre, il sovrappiù di produzione diretto verso i
paesi del terzo mondo dovrebbe comportare prezzi più bassi e non
prezzi più alti, soprattutto perché diretta verso paesi nei quali la
domanda di tali beni, per effetto della povertà locale è scarsa ed è
certamente minore dell’offerta.

Insomma il benessere dei paesi occidentali, consiste proprio nel fatto
che la produzione elevata di beni di consumo ha consentito una loro
ampia diffusione in tutte le fasce della popolazione proprio a causa
dell’ abbattimento dei prezzi.

E’ quindi solo il potere finanziario che impedisce alle monete di quei
paesi di essere competitive sui mercati.

Attraverso quali strumenti il potere finanziario opera questa
discriminazione?

Anzitutto, dobbiamo notare che queste differenze nei rapporti tra le
monete si sono verificate nella storia, per la prima volta in maniera
significativa, solo dopo la seconda guerra mondiale. Nella storia
dell’ umanità mai si erano verificate differenze così significative
nell’andamento dei prezzi relativi dei beni di consumo.

Certamente le differenze di prezzo tra i paesi sono sempre esistite e
tra l’ altro sono proprio queste differenze, che dipendono dalla
maggiore o minore scarsità dei beni, a giustificare i commerci più
rischiosi. Ma non c’era una grande differenza di costi, nel complesso,
tra vivere a Londra o a Istambul, nel diciannovesimo secolo e nei
primi anni del successivo.

L’enorme diffusione della moneta cartacea, e soprattutto il fatto che
essa sia del tutto svincolata da qualunque merce, ha quindi portato a
queste enormi differenze. Nei paesi arabi produttori di petrolio, la
moneta rimane forte rispetto al dollaro e alle altre europee, per la
semplice ragione che le loro monete sono legate al prezzo del
petrolio, e questo si traduce in uno strumento di potere contrattuale.
A parte il petrolio, infatti, la produzione di un paese come l’Arabia
Saudita è irrisoria rispetto ad un qualunque paese europeo, anche
proporzionandola alla popolazione. Però il "valore" del Rial sul
mercato dei cambi regge il confronto con quello delle monete europee,
mentre il bati tailandese, nonostante la produzione nazionale della
Tailandia sia di gran lunga maggiore di quella saudita, non regge
alcun confronto.

Insomma, il problema è che i rapporti tra le monete sono pilotati ai
fini del controllo mondiale delle economie da quel potere occulto e
onnipotente che è il potere finanziario.

I paesi che non aderivano all’accordo di Bretton Woods, hanno dovuto
subire per trent’anni le decisioni del FMI sulla quotazione della
propria moneta, poiché non erano in grado da soli di difenderla sul
mercato dei cambi. E che il FMI pilotasse al ribasso le monete dei
paesi produttori di materie prime per favorire le industrie
occidentali è considerazione che appartiene alla storia.

Ora che il ruolo del FMI è relativamente ridimensionato rispetto al
mercato, esso svolge comunque un’opera di regolazione sul mercato e 
di
orientamento della speculazione finanziaria. Che sfrutta le
oscillazioni sulle monete per trarne grandi vantaggi e, allo stesso
tempo, utilizza il proprio potere contrattuale per incrementare gli
utili delle multinazionali che, a loro volta, costituiscono con i
propri investimenti, parte consistente dei mezzi finanziari dei fondi.

I paesi del terzo mondo non hanno alcuna difesa nei confronti del
potere finanziario. Le loro economie dipendono dalle briciole che gli
vengono gettate dalla Banca Mondiale e dalle altre istituzioni
finanziarie. La loro produzione è controllata, spesso in misura
monopolistica da un pugno di multinazionali, e le loro monete sono
sottoposte alle pressioni della speculazione sul mercato
internazionale, che si abbatte su di esse come una tempesta tropicale,
tirandole su e poi lasciandole cadere come se fossero dei fuscelli.

D’altra parte le proporzioni dei mezzi finanziari sono proprio queste:
la massa degli strumenti finanziari sul mercato è tale da non
consentire alcuna possibilità di difesa del cambio di paesi
industrialmente avanzati come quelli europei (come ha dimostrato la
speculazione che si abbatté su lira e sterlina nel 1992), figuriamoci
a nazioni dell’Africa o del sud America che hanno pochissima moneta in
circolazione.

La conseguenza assurda è che il pane a Bangkok costa un ventesimo 
che
a New York, e un operaio prende un salario pari ad un ventesimo di
quello americano, mentre un qualunque macchinario occidentale costa 
la
stessa cifra sia a Bangkok che in America. Insomma, un operaio
tailandese deve lavorare venti volte di più per potersi permettere il
lusso di acquistare una macchina occidentale. Alla faccia della
globalizzazione."

Domenico de Simone
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