da boiler.it Auto, è l’ora delle alternative
Il motore del 2000, cantava Lucio Dalla, sarà bello e lucente, veloce e silenzioso, un motore delicato. In realtà siamo nel 2002 e combattiamo quotidianamente contro smog, inquinamento, polveri cancerogene. Basteranno pochi anni per dimenticare tutto questo e passare a un’automobile a idrogeno, abbandonando il vecchio motore a benzina? Sembra impossibile, ma c’è chi giura di sì. L’America sceglie l’idrogeno di Roberto Chinzari IL MOTORE DEL 2000, cantava Lucio Dalla, sarà bello e lucente, sarà veloce e silenzioso, sarà un motore delicato. In realtà siamo nel 2002 e combattiamo quotidianamente contro smog, inquinamento, polveri cancerogene. Basteranno pochi anni per dimenticare tutto questo e per passare a un’automobile a idrogeno, abbandonando il vecchio motore a benzina? Sembra impossibile, ma c’è chi è pronto a giurare di sì. L’auto a idrogeno è un vecchio sogno di scienziati ed ecologisti. L’innovazione tecnologica è riuscita a farlo diventare una realtà nei prototipi. Le grandi case costruttrici di automobili stanno investendo nella ricerca e stanno portando avanti diversi progetti per sviluppare alternative al vecchio combustibile. L’idrogeno è diventata una delle prospettive più interessanti. Ma un ulteriore passo in avanti deve arrivare grazie alla politica. E la politica si è mossa… “Automobile e libertà” All’inizio di gennaio, infatti, Spencer Abraham, segretario del Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti, ha annunciato l’intenzione dell’amministrazione Bush di puntare sullo sviluppo «dell’idrogeno come un carburante primario per automobili e camion». Si tratta del progetto Freedom Car (Cooperative Automotive Research), una partnership per unire pubblico e privato nel progetto comune di sviluppare entro dieci anni automobili con un sistema a cella a combustibile, alimentato a idrogeno. Coinvolti nell’iniziativa lo stesso dipartimento e l’Us Council for Automotive Research, un cartello delle grandi case automobilistiche americane, General Motors, Daimler Chrisler e Ford. Entusiasti i big dell’industria veicolare. «Con il progetto Freedom Car stiamo facendo un grosso passo in avanti nella creazione di un futuro in cui la automobili non faranno più parte del dibattito su ambiente ed energia», dichiara Jack Smith, presidente della Gm. Il progetto Freedom Car è stato ufficialmente inserito nel budget fiscale del 2003 del governo degli Stati Uniti, presentato lunedì 4 febbraio da George W. Bush e in particolare nella sezione del dipartimento dell’energia, in cui viene esplicitamente nominato. Il via ufficiale al progetto è comunque legato alla richiesta di finanziamenti, contenuti nella relazione al congresso di Spencer Abraham. Solo 150 milioni di dollari sono inclusi nel budget di Freedom Car, in un quadro che prevede un investimento di quasi 22 miliardi, suddivisi tra sicurezza, ricerca, energia e ambiente. Ma non bisogna dimenticare che l’America è ancora un paese in guerra e le priorità di Bush sono la sicurezza nazionale, la difesa e la crescita economica. Luci e ombre del progetto Bush La scelta dell’amministrazione Bush di puntare sullo sviluppo di automobili a emissioni-zero, contando sull’idrogeno, è insieme applaudita e criticata dalla maggior parte degli scienziati. Il problema e la colpa, secondo molti, è l’aver abbandonato un vecchio progetto. Si tratta della Partnership for a New Generation of Vehicles, nata nel 1993 grazie all’iniziativa dell’allora vicepresidente Al Gore. Lo scopo era quello di arrivare a costruire entro il 2004 una macchina che potesse percorrere 34 chilometri con un litro di benzina. Un progetto, insomma, che mirava al risparmio energetico, e che ha prodotto risultati non brillanti. Ora però il rischio è di «focalizzarsi su un obiettivo a lungo termine, perdendo importanti miglioramenti nelle tecnologie attuali», come ha detto John Heywood, direttore dello Sloan Auto Lab del Mit. La decisione di Abraham di abbandonare il vecchio progetto è avvenuta nonostante il parere contrario del rapporto del National Research Council, che raccomandava di portarlo avanti. «Ci vorranno almeno dieci anni prima che i veicoli equipaggiate con celle a combustibile diventino una risposta seria alla necessità di risparmiare energia», afferma Therese Langor, direttore dell’American Council for an Energy-Efficient Economy. «La mia preoccupazione», aggiunge, «è che non dovremmo far interferire obiettivi di lungo periodo con quelli a breve termine, di cui abbiamo disperatamente bisogno». Intanto, in Italia… E in Italia che cosa succede? Il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, ha affermato che a partire dal primo gennaio 2005, verranno immatricolate nella regione soltanto auto ecologiche al 100 per cento. Inoltre ha puntato sull’idrogeno, dichiarando che già nel 2007 potrebbe essere pronta una parte delle vetture. Condivide l’idea, ma si è detto scettico sui tempi, il ministro per l’ambiente Altero Matteoli. Entusiasta per l’opzione idrogeno è il premio nobel per la fisica Carlo Rubbia. In un’intervista al Corriere della Sera, afferma che potremo avere auto all’idrogeno in cinque anni. Le auto con la cella a combustibile a idrogeno, infatti, già esistono, solo che «oggi vengono costruite in maniera artigianale, mentre dobbiamo passare a una produzione di massa». La politica si è messa in moto, anche perché il problema appare sempre più grave. Secondo uno studio della rivista Science, riducendo l’inquinamento in grandi città come New York, Milano, San Paolo, si salverebbero 64 mila vite in venti anni. E l’auto a idrogeno è ancora molto lontana. Ma il futuro prossimo è “ibrido” di Roberto Chinzari LA PAROLA VINCENTE nella sfida al motore a benzina è “ibrida”. Mentre si aspettano i nuovi motori a idrogeno, fuel cell o meno, la parte più importante del mercato “alternativo” è conquistato dalle macchine che montano due motori diversi: uno a benzina e uno elettrico. In questo modo si tenta di compensare l’innovazione con l’affidabilità. La battaglia per la riduzione dell’inquinamento si coniuga con un sistema che permette all’automobilista di usare le infrastrutture già esistenti (le normali stazioni di rifornimento) e di non spendere troppo di più. Alla ricerca dell’auto pulita La storia della ricerca di una macchina pulita in realtà è cominciata in tutt’altro modo. Sono state le macchine elettriche la prima grande promessa, che avrebbe fatto dimenticare i veleni degli scappamenti delle vetture a benzina. L’auto elettrica, che funziona esclusivamente a batterie con un’autonomia fino a cento chilometri, che necessitano almeno sette/otto ore per ricaricarsi, è una vettura realmente a emissioni zero. Non inquina, non rilascia polveri o anidride carbonica, è silenziosa. In più funziona bene in città, ha un discreto rendimento e la ricarica costa poco. Il problema è che costa invece moltissimo comprarla e mantenerla. La Fiat vende la Seicento elettrica a più di 22 mila euro e la Citroen Saxo, ne costa più di 23 mila. Un’enormità, rispetto al prezzo delle sorelle a benzina (meno di 8.000 euro). Infatti, le vendite ristagnano e più di una volta si è recitata l’estrema unzione per questo tipo di autovetture. Le grosse case costruttrici non hanno nessuna intenzione di investire nel settore. Le associazioni ambientaliste le accusano di scarsa buona volontà. Dalla loro hanno le cifre di un mercato in crisi. Negli Stati Uniti lo scorso anno sono state vendute solamente 1277 autovetture elettriche. Nonostante questo non si abbandona del tutto il segmento. La Toyota, per esempio esce sul mercato con la nuova elettrica Rav4-Ev, un fuoristrada che sarà nei concessionari della California da questo mese. E non è un caso. Proprio nello stato americano c’è una legge che ha fissato l’obiettivo di arrivare entro il 2003 al 4 per cento di auto a emissioni zero in vendita sul totale del mercato. Un programma che promette anche forti finanziamenti alle case costruttrici. Le indicazioni del mercato, tuttavia, sono chiare: sono le ibride a dettar legge in attesa del futuro a idrogeno. Della Bmw 750Hl si è già parlato. Tra le altre le case, le più attive sembrano essere quelle giapponesi. E non a caso sono due giapponesi le uniche vetture ibride straniere sul mercato italiano: la Honda Insight e la Toyota Prius. Entrambe costano più di 25 mila euro, ma, al contrario delle elettriche, promettono molto di più, anche se non sono a emissioni zero. Anche la Fiat presenta un suo modello: la Multipla Hybrid Power. La classifica delle emissioni Lo sviluppo di macchine meno inquinanti, che coniughino l’innovazione con la tradizione è evidente anche dalla quinta edizione del Green Book: the Environmental Guide to Cars and Trucks, pubblicata dall’American Council for an Energy Efficient Economy. In questa guida, che classifica le automobili in base al loro impatto inquinante, al grado di emissioni e alla loro economicità, dieci delle prime dodici sono auto che possono rifornirsi a qualsiasi stazione di servizio. La corona della macchina più verde è toccata alla già citata Honda Insight, che negli Usa ha venduto in meno di due anni già 8.500 esemplari. Pochi rispetto alle 75 mila Toyota Prius circolanti negli States (un dato che fa della Prius l’ibrida più venduta), ma tanti in prospettiva. Honda, infatti, ritorna sul mercato e si prepara a lanciare in aprile la nuova Civic Hybrid. La casa giapponese prevede di produrne e venderne 2000 al mese. Gm, Ford e Daimler Chrisler hanno annunciato un piano per costruire camion ad alimentazione ibrida entro pochi anni. Il sistema ibrido, inoltre, è già usato in varie città nel trasposto pubblico. Un’altra alternativa alla benzina nel breve termine sono i gas naturali, il metano, il Gpl. Quest’ultimo è già da anni disponibile sul mercato, offerto da molti produttori. Il vero problema, però, resta una rete di rifornimento ancora troppo debole e la pericolosità dalle bombole per contenere il gas. In positivo ci sono gli incentivi pubblici, che a volte vengono offerti per convertire la propria auto a questo combustibile. Per esempio, l’azienda del gas di Monza offre sconti e rifornimento gratuiti per 7 mila chilometri a chi prende questa strada. Si stanno studiando anche nuovi tipi di gasolio. Così sta facendo l’Enel nel suo stabilimento di Cesi, così sta facendo la Pirelli con il suo Gecam, il “gasolio bianco”. Un’ultima alternativa è il biodiesel e l’ecodiesel, un diesel ricavato da sostanze alternative. Per esempio c’è quello prodotto dalla colza, una normale pianta selvatica che cresce in abbondanza nelle nostre campagne. Il rendimento di questo carburante ecologico è addirittura superiore a quello tradizionale, tanto che viene utilizzato in gare sportive, mentre il costo è più basso. Unico inconveniente: un leggero odore di patatine fritte dallo scarico della macchina. E inoltre: per produrre colza sufficiente ad alimentare il parco automobilistico mondiale bisognerebbe riconvertire una larga porzione delle terre fertili del pianeta…