dal manifesto
 
    
 

09 Marzo 2002 
  
 
  
Le assicurazioni sul carro dei nuovi fondi 
La finanza è in attesa di conoscere le scelte sul sistema previdenziale.
Tutti pronti a partecipare alla grande gara del cliente, se si dovessero
liberalizzare anche i fondi sindacali 
PAOLO ANDRUCCIOLI 

Se hai la fortuna di trovare un lavoro in Inghilterra e ti assumono a tempo
indeterminato, la prima cosa che ti verrà richiesta è l'iscrizione a un
fondo pensione. E' un fatto automatico in un sistema che gira sui mercati
finanziari. I fondi pensione sono infatti una creatura dei sistemi
capitalistici anglosassoni, mentre nel resto dell'Europa i modelli
previdenziali sono diversi e qualcuno sta cercando anche strade alternative
o quanto meno "bilanciate" tra pubblico e privato, come si spiega
nell'articolo che pubblichiamo in questa pagina. In Italia stiamo
pericolosamente in mezzo al guado perché da una parte si sta riducendo
sempre di più il "tasso di sostituzione", ovvero il grado di copertura
della pensione rispetto all'ultimo stipendio (vedi scheda). Dall'altra i
fondi non sono ancora decollati e potrebbero risentire presto di un vero e
proprio scontro tra soggetti in competizione. I fondi negoziali dei
sindacati sono per ora protetti (ovvero un chimico si iscrive al fondo dei
chimici, il Fondchim, un metalmeccanico a Cometa e via dicendo). Ma se si
opterà per la liberarizzazione comincerà la guerra delle compagnie per
accaparrarsi i "clienti" e il tesoro dei loro risparmi. In prila fila - su
questo campo di battaglia - ci sono e ci saranno le compagnie private di
assicurazione.
I fondi negoziali (ovvero quelli di categoria) dovranno per forza di cose
preparsi. Lo spiega chiaramente il consigliere del Fondchim (il fondo dei
chimici), Francesco Lorenzetti. "Se si dovessero cambiare le regole che
prevedono un vincolo del lavoratore al suo fondo pensione per un
determinato numero di anni, è chiaro che si entrerebbe in un regime di
libera concorrenza". Ogni soggetto potrebbe cioè mettersi in competizione
con quelli istituzionali per convincere quel lavoratore che il suo fondo
andrà meglio, sarà più redditizio e più sicuro. "Il problema però - spiega
Lorenzetti, un uomo che è sicuramente tra i pioneri, in questo settore -
sta nel tipo di concorrenza che si vuole attuare. Per avere una
competizione sana, infatti, si devono mettere in campo soggetti omogenei. I
fondi negoziali hanno un preciso modello, delle regole di funzionamento e
di trasparenza. Gli altri dovranno adeguarsi a questo, altrimenti qualsiasi
gara sarà impari e quindi tendenzialmente scorretta".
Secondo Lorenzetti la nascita dei fondi pensione negoziali ha fatto bene al
sistema finanziario italiano. Il modello scelto dai fondi sindacali
all'inizio degli anni novanta, basato sulla divisione rigida dei poteri
(gestore finanziario, service amministrativo e banca depositaria) ha
assicurato un sistema di trasparenza, di riduzione dei costi per gli
iscritti e di maggiore sicurezza in un settore che comunque è esposto
all'altalena delle borse. "E' un modello talmente forte - dice ancora
Lorenzetti - che è stato imitato poi anche da altre esperienze come quelle
delle Casse e delle Fondazioni, soggetti che si basano oggi su un giro di
affari ben più ampio di quello dei fondi stessi". L'altro aspetto positivo
dell'esperienza dei fondi negoziali riguarda il ruolo delle Sgr, le società
di gestione del risparmio che proprio nei fondi dei sindacati si sono fatte
le ossa in un mercato che per l'Italia è ancora ai primi passi. I fondi
negoziali non sono riusciti invece a influenzare il mercato finanziario nel
suo complesso e le scelte dei singoli gruppi quotati in borsa perché sono
un soggetto relativamente "debole" con un bilancio di circa 10.000 miliardi
contro i circa 80.000 delle Fondazioni.
Ma se questi sono gli aspetti finanziari della questione, risultano ancora
più preoccupanti altri aspetti sociali ed economici. Per prima cosa c'è
infatti da dire che i fondi - per ora - sono un fenomeno del Nord. La Covip
(commissione di vigilanza sui fondi previdenziali), stima che il 39% dei
fondi negoziali si concentra nell'Italia nord occidentale e il 26% in
quella nord orientale. Anche per quanto riguarda i fondi aperti, quelli a
cui chiunque si può iscrivere a prescindere dalla sua collocazione, il
grosso si concentra al nord. Sempre la Covip dice infatti che il 51% delle
adesioni ai fondi aperti proviene dalle regioni settentrionali. Il fenomeno
si spiega facilmente pensando sia alle caratteristiche produttive del
paese, sia alle risorse economiche. Chi ha i soldi per "capitalizzare"? Chi
si può permettere oggi, soprattutto al sud, di risparmiare per il proprio
futuro? E poi, legato a questi, un altro problema non da poco: come
inciderà sul sistema del risparmio il nuovo modello di occupazione
precaria, flessibile e sempre a tempo determinato?
E oltre alle questioni di caraterre generale, ce ne sono di specifiche che
frenano la corsa ai fondi pensione. Una di queste è proprio l'insicurezza
per il futuro che viene perfino amplificata dalle paure sul rischio dei
crolli in borsa. Tutti gli operatori che abbiamo sentito finora per questa
inchiesta negano che in Italia possa mai verificarsi un caso come quello
della Enron. E tutti, da punti di osservazione diversi (banche, sindacati,
fondi, sgr) parlano in difesa del modello dei fondi negoziali. Ma finora ci
sono state due grandi garanzie: un sistema pubblico che seppure indebolito
tiene e ci garantisce la pensione, un sistema di regole che governa la
pensione integrativa o complementare. Ma che cosa succederà se le pensioni
pubbliche saranno ridotte al 30% della retribuzione e i fondi saranno
gestiti dai privati? In campo già si scaldano vari concorrenti, con nomi di
grande prestigio: Mediolanum, Generali, Ras, Sai, Lloyd, Unipol. (3.continua)





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