eravamo all'Aquila alle 3.32 di lunedì mattina. eravamo lì davanti alle rovine rese più spettrali dalla luce delle torce che si rifletteva in centinaia di occhi lucidi.
eravamo lì. ad abbracciare la gente dell'Aquila, che non finiva di ringraziarci in mezzo a un dolore composto. eravamo lì, a dirgli che non sono soli. eravamo lì, a sentirci raccontare cosa vuol dire vivere nelle tende, e morirci. Perchè si muore, nelle tende, non solo civilmente, socialmente, politicamente. Si muove davvero, per il freddo per il caldo per l'umidità per le condizioni igieniche. eravamo lì, a vergognarci all'improvviso di lamentarci della pioggia. Noi che poi saremmo tornati all'asciutto. eravamo lì, a vergognarci di storcere un po' il naso nei bagni. Noi che saremmo tornati alle nostre case deodorate. eravamo lì, a vergognarci di maledire la nebbia. Noi che l'avremmo lasciata presto alle nostre spalle e avremmo dormito sotto un tetto e non sotto un telo inzuppato. eravamo lì, a sentirci dire che loro resistono e resisteranno, perchè non vogliono essere sradicati dalla loro terra. eravamo lì, a sentirci dire cosa si prova a vedere la propria casa che non è stata ancora neppure puntellata, mentre gli operai e le ruspe lavorano giorno e notte a rendere superefficiente la parte che ospiterà il G8. eravamo lì a sentirci dire che gli aquilani non vogliono essere una vetrina. eravamo lì, a sentirci dire che vogliono verità e giustizia. eravamo lì con i terremotati dell'80 che ci raccontavano come una new town diventa Scampia. eravamo lì, a sentirci chiedere perchè questo Paese compra gli F35 anzichè mettere in sicurezza le scuole. eravamo lì, per capire qualcosa di più. e chissà se ci siamo riusciti. per questo c'eravamo e per questo ci torneremo. ci proveremo a dire che questo mondo così com'è non va. probabilmente non ci ascolteranno. ma se non ci provassimo perderemmo il rispetto di noi stessi. lorella lari
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