Lunga vita alla Repubblica Popolare Cinese!

1) Manlio Dinucci: 70° della Rpc: la cancellazione della storia
2) Andrea Catone: La proposta strategica della Cina nel mondo attuale. Per i 70 
anni dalla nascita della RPC


Vedi anche:

La parata militare per il 70.mo anniversario della fondazione della RPC (RT, 
1/10/2019)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Ceuffur2RKM 
<https://www.youtube.com/watch?v=Ceuffur2RKM>

Abbandonate le illusioni, preparatevi alla lotta (di Mao Zedong, 14 agosto 1949)
http://contropiano.org/documenti/2019/10/02/abbandonate-le-illusioni-preparatevi-alla-lotta-0119197
 
<http://contropiano.org/documenti/2019/10/02/abbandonate-le-illusioni-preparatevi-alla-lotta-0119197>

1949, Stella Rossa sulla Cina. Settanta anni dopo: Mao e la rivoluzione 
possibile (Michele Franco intervista Mauro Casadio, 30 Settembre 2019)
http://contropiano.org/fattore-k/2019/09/30/70-anniversario-della-rivoluzione-cinese-mao-e-la-rivoluzione-possibile-0119125
 
<http://contropiano.org/fattore-k/2019/09/30/70-anniversario-della-rivoluzione-cinese-mao-e-la-rivoluzione-possibile-0119125>


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https://ilmanifesto.it/70-della-rpc-la-cancellazione-della-storia/ 
<https://ilmanifesto.it/70-della-rpc-la-cancellazione-della-storia/>

L'arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

70° della Rpc: la cancellazione della storia

di Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 1.10.2019

Settanta anni fa, il 1° ottobre 1949, Mao Zedong proclamava, dalla porta di 
Tien An Men, la nascita della Repubblica popolare cinese. L’anniversario viene 
celebrato oggi con una parata militare, di fronte alla storica porta a Pechino. 
Dall’Europa al Giappone e agli Stati uniti, i grandi media la presentano come 
una ostentazione di forza di una potenza minacciosa. Praticamente nessuno 
ricorda le drammatiche vicende storiche che portarono alla nascita della Nuova 
Cina.

Scompare così la Cina ridotta allo stato coloniale e semicoloniale, sottomessa, 
sfruttata e smembrata, fin dalla metà dell’Ottocento, dalle potenze europee 
(Gran Bretagna, Germania, Francia, Belgio, Austria e Italia), dalla Russia 
zarista, dal Giappone e dagli Stati uniti. Si cancella il sanguinoso colpo di 
stato effettuato nel 1927 da Chiang Kai-shek – sostenuto sia dagli 
anglo-americani che da Hitler e Mussolini, alleati del Giappone – che stermina 
gran parte del Partito comunista (nato nel 1921) e massacra centinaia di 
migliaia di operai e contadini. Non si fa parola della Lunga Marcia 
dell’Esercito Rosso che, iniziata nel 1934 quale disastrosa ritirata, viene 
trasformata da Mao Zedong in una delle più grandi imprese politico-militari 
della storia. Si dimentica la guerra di aggressione alla Cina scatenata dal 
Giappone nel 1937: le truppe nipponiche occupano Pechino, Shanghai e Nanchino, 
massacrando in quest’ultima oltre 300 mila civili, mentre oltre dieci città 
vengono attaccate con armi biologiche. Si ignora la storia del Fronte unito 
antigiapponese, che il Partito comunista costituisce con il Kuomintang: 
l’esercito del Kuomintang, armato dagli Usa, da un lato combatte gli invasori 
giapponesi, dall’altro sottopone a embargo le zone liberate dall’Esercito rosso 
e fa sì che si concentri contro di esse l’offensiva giapponese; il Partito 
comunista, cresciuto da 40 mila a 1,2 milioni di membri, guida dal 1937 al 1945 
le forze popolari in una guerra che logora sempre più l’esercito nipponico. Non 
si riconosce il fatto che, con la sua Resistenza costata oltre 35 milioni di 
morti, la Cina contribuisce in modo determinante alla sconfitta del Giappone il 
quale, battuto nel Pacifico dagli Usa e in Manciuria dall’Urss, si arrende nel 
1945 dopo il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. Si nasconde cosa 
avviene subito dopo la sconfitta del Giappone: secondo un piano deciso a 
Washington, Chiang Kai-shek tenta di ripetere quanto aveva fatto nel 1927, ma 
le sue forze, armate e sostenute dagli Usa, si trovano di fronte l’Esercito 
popolare di liberazione di circa un milione di uomini e una milizia di 2,5 
milioni, forti di un vasto appoggio popolare. Circa 8 milioni di soldati del 
Kuomintang vengono uccisi o catturati e Chiang Kai-shek fugge a Taiwan sotto 
protezione Usa.

Questo, in estrema sintesi, è il percorso che porta alla nascita della 
Repubblica popolare cinese 70 anni fa. Una storia scarsamente o per niente 
trattata nei nostri testi scolastici, improntati a una ristretta visione 
eurocentrica del mondo, sempre più anacronistica. Una storia volutamente 
cancellata da politici e opinion makers perché porta alla luce i crimini 
dall’imperialismo, mettendo sul banco degli imputati le potenze europee, il 
Giappone e gli Stati uniti: le «grandi democrazie» dell’Occidente che si 
autoproclamano giudici supremi col diritto di stabilire, in base ai loro 
canoni, quali paesi siano e quali non siano democratici. Non siamo però più 
all’epoca delle «concessioni» (aree urbane sotto amministrazione straniera) che 
queste potenze avevano imposto alla Cina, quando al parco Huangpu a Shanghai 
veniva «vietato l’ingresso ai cani e ai cinesi».


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http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/30023-la-proposta-strategica-della-cina-nel-mondo-attuale-per-i-70-anni-dalla-nascita-della-rpc
 
<http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/30023-la-proposta-strategica-della-cina-nel-mondo-attuale-per-i-70-anni-dalla-nascita-della-rpc>

La proposta strategica della Cina nel mondo attuale. Per i 70 anni dalla 
nascita della RPC

di Andrea Catone, 30 Settembre 2019

In occasione dell'anniversario della vittoria comunista in Cina pubblichiamo 
questo interessante contributo di Andrea Catone


Caratteri della rivoluzione cinese

Il 1° ottobre 1949 Mao Zedong proclama a Pechino la nascita della Repubblica 
Popolare Cinese. È l’annuncio della prima grande vittoria nella lunga lotta di 
emancipazione del popolo cinese, sorta dal “secolo delle umiliazioni”, quando 
le potenze imperialiste lo avevano ridotto allo status di paese semicoloniale.

La nascita della RPC segna una svolta nella storia mondiale. Dopo la 
Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione russa del 1917, la Rivoluzione 
cinese è la terza grande rivoluzione della storia contemporanea.

La Rivoluzione cinese è importante non solo perché si è svolta nel paese più 
popoloso del mondo, ma anche perché, come la Rivoluzione vietnamita, è la 
rivoluzione dei popoli oppressi dal colonialismo e dall’imperialismo, che apre 
la strada all’emancipazione e al superamento dell’arretratezza e del divario 
con i paesi capitalistici avanzati.

La nascita della RPC nel 1949 è il culmine della grande intuizione di Lenin e 
della Terza Internazionale (di cui celebriamo quest’anno il centenario) che, 
ampliando lo slogan di Marx ed Engels nel Manifesto del 1848, unifica la lotta 
dei lavoratori del mondo capitalista con quella dei popoli oppressi e sfruttati 
dall’imperialismo: Proletari e popoli oppressi del mondo intero, unitevi!

Nella lotta vittoriosa condotta dal PCC si fondono due rivoluzioni: quella 
anticoloniale e antimperialista e quella socialista. Sono rivoluzioni che, da 
un lato, hanno tempi e tappe distinte, ma che, dall’altro lato, si intrecciano 
e sono intimamente connesse.

La rivoluzione cinese anticoloniale e antimperialista di liberazione nazionale 
è stata possibile in Cina solo grazie al fatto che è stata guidata dal Partito 
Comunista, come esplicitamente affermato e ribadito in molti scritti di Mao e 
dei principali leader cinesi. Le altre forze politiche e culturali presenti in 
Cina non avevano la forza politica o l’apparato teorico adeguato per analizzare 
correttamente la situazione e indicare la via della salvezza della Cina dal 
secolo delle umiliazioni. Solo i comunisti e il marxismo-leninismo sono in 
grado di indicare la via della salvezza, della liberazione. Perché il 
marxismo-leninismo e il Partito comunista hanno rappresentato il risultato più 
avanzato della cultura e della politica di emancipazione dell’umanità a livello 
mondiale, perché il marxismo, come ha chiarito Lenin in un famoso testo (Tre 
fonti e tre parti integrali del marxismo, 1913), è stato l’erede della cultura 
più avanzata - economica, politica, filosofica - del tempo, sviluppatasi nei 
Paesi europei, dove le forze produttive erano le più sviluppate. Possiamo dire 
con una metafora che la RPC, nata nel 1949, ha come madre la grande lotta 
eroica del popolo cinese sfruttato e oppresso dalle “tre grandi montagne” 
dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico, e come padre 
il marxismo internazionale e il comunismo, che, con la vittoriosa rivoluzione 
russa, che rompe l’anello più debole della catena imperialista, e la creazione 
della Terza Internazionale, si pongono come il partito mondiale 
dell’emancipazione dei popoli.

La rivoluzione cinese, che ha superato la sua prima tappa con la fondazione 
della RPC, ha quindi, ancor più della rivoluzione russa del 1917, un carattere 
sia nazionale che internazionalista: nazionale, perché libera il popolo cinese 
dall’oppressione delle potenze coloniali e imperialiste e crea una repubblica 
indipendente e sovrana; internazionalista, per il ruolo fondamentale svolto in 
essa dal marxismo e dal comunismo. La Repubblica Popolare Cinese è parte 
integrante del movimento operaio e comunista internazionale. I leader cinesi lo 
hanno ribadito in diverse occasioni. Uno dei testi più chiari e completi del 
rapporto tra la rivoluzione cinese e il movimento comunista internazionale è 
certamente La nuova democrazia (1940) di Mao Zedong. In essa, il paragrafo IV è 
significativamente intitolato “la rivoluzione cinese è parte della rivoluzione 
mondiale”:

Per il suo carattere sociale, nella sua prima fase o primo passo, la 
rivoluzione in una colonia o semicolonia resta fondamentalmente una rivoluzione 
democratica borghese e oggettivamente il suo obiettivo è quello di sgombrare il 
terreno per lo sviluppo del capitalismo; tuttavia questa rivoluzione non è più 
una rivoluzione del vecchio tipo, diretta dalla borghesia e mirante 
all’edificazione di una società capitalista e di uno Stato di dittatura 
borghese. Essa fa parte del nuovo tipo di rivoluzione, diretta dal proletariato 
e mirante all’edificazione, nella prima fase, di una società di nuova 
democrazia e di uno Stato di dittatura congiunta delle varie classi 
rivoluzionarie. Perciò questa rivoluzione ha il compito effettivo di aprire una 
strada ancora più larga per lo sviluppo del socialismo. Nel corso del suo 
sviluppo, essa può percorrere altre fasi minori, in relazione ai mutamenti nel 
campo nemico e nelle file dei suoi alleati; ma il suo carattere fondamentale 
resterà immutato. Questa rivoluzione attacca l’imperialismo nelle sue radici, 
perciò non è tollerata, ma combattuta dall’imperialismo. Essa ha invece 
l’approvazione e l’appoggio del socialismo ed è aiutata dallo Stato socialista 
e dal proletariato socialista internazionale. Ecco perché una tale rivoluzione 
non può non diventare parte della rivoluzione mondiale socialista proletaria.

Il Preambolo della Costituzione cinese afferma chiaramente che la Rivoluzione 
cinese e la sua prima conquista fondamentale, la nascita della RPC, sono parte 
integrante della rivoluzione socialista mondiale, del movimento operaio 
internazionale e dei popoli che lottano contro l’imperialismo:

Le conquiste della Cina nella rivoluzione e nella costruzione sono inseparabili 
dal sostegno dei popoli del mondo. Il futuro della Cina è strettamente legato a 
quello del mondo intero.

Si tratta di un’affermazione molto importante, che non troviamo nemmeno nella 
Costituzione sovietica. Per certi versi, anticipa l’obiettivo, iscritto dal 19° 
Congresso (2017) nello statuto del PCC, di lottare per costruire una comunità 
di futuro condiviso dell’umanità.

Dunque:

1) grazie alla vittoria della rivoluzione cinese il movimento comunista diventa 
di fatto e non solo in teoria un movimento mondiale;

2) la vittoria della rivoluzione cinese suggella l’unità tra il proletariato 
dei paesi capitalisti avanzati e le lotte di liberazione dei popoli oppressi 
dall’imperialismo;

3) la vittoria della Rivoluzione cinese indica ai popoli oppressi 
dall’imperialismo che è possibile - ciascuno secondo le specifiche condizioni 
nazionali - intraprendere la strada della liberazione nazionale e sociale;

4) la Rivoluzione cinese e la formazione della RPC sono parte integrante del 
movimento comunista internazionale.

Lo straordinario sviluppo della Cina

Oggi la Cina è un paese straordinario nel mondo. Storicamente siamo di fronte 
alla più grande trasformazione economica, sociale, culturale (per oltre un 
miliardo e 300 milioni di persone, quasi 1/5 della popolazione del pianeta) che 
si è verificata nella storia del mondo in un periodo storicamente breve (la 
storia della “lunga durata” si misura in secoli e non in anni o decenni). Non 
un numero limitato di persone, ma il paese più popoloso del mondo è uscito 
dalla povertà e nel corso del suo sviluppo riduce sempre più le sacche di 
povertà ancora presenti.

Questo straordinario sviluppo - anche se è stato segnato da quelle 
contraddizioni che il rapporto di Xi Jinping al XIX congresso del CPC ha 
sottolineato - è stato tuttavia caratterizzato da minori contrasti di classe, 
minori disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza, rispetto allo 
sviluppo storico del capitalismo occidentale.

Inoltre - e questo va sottolineato - contrariamente allo sviluppo del 
capitalismo occidentale, che si è avvalso della conquista e dello sfruttamento 
delle colonie e del dominio imperialista, che hanno contribuito alla 
accumulazione primitiva del capitale (si veda il capitolo 24 del I Libro del 
Capitale e i numerosi saggi di Samir Amin in proposito) - è intervenuto in un 
sistema di relazioni internazionali basato su quanto scritto nel preambolo 
della Costituzione della RPC:

La Cina attua costantemente una politica estera indipendente e aderisce ai 
cinque principi del rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità 
territoriale, della non aggressione reciproca, della non interferenza negli 
affari interni degli altri paesi, dell’uguaglianza e del vantaggio reciproco e 
della coesistenza pacifica nello sviluppo delle relazioni diplomatiche e degli 
scambi economici e culturali con gli altri paesi. La Cina si oppone 
costantemente all’imperialismo, all’egemonismo e al colonialismo, lavora per 
rafforzare l’unità con i popoli di altri paesi, sostiene le nazioni oppresse e 
i paesi in via di sviluppo nella loro giusta lotta per conquistare e preservare 
l’indipendenza nazionale e sviluppare le loro economie nazionali, e si sforza 
di salvaguardare la pace nel mondo e promuovere la causa del progresso umano.

Pertanto, nonostante le contraddizioni interne che l’impetuoso processo di 
riforma e apertura ha provocato, il modello di sviluppo cinese rappresenta uno 
degli esempi più avanzati della storia universale del mondo: dalla fondazione 
della RPC nell’ottobre 1949, di cui celebriamo quest’anno il 70° anniversario, 
la ricchezza attuale della Cina è stata costruita con il duro lavoro dei suoi 
lavoratori, non sulla pelle o con lo sfruttamento di altri popoli.

Lo sviluppo che la Repubblica Popolare Cinese ha realizzato nei 70 anni della 
sua esistenza è stato ancora maggiore di quello del primo paese socialista del 
mondo, l’Unione Sovietica, che, grazie alla sua rapida industrializzazione, è 
riuscita a sconfiggere gli eserciti nazisti nella seconda guerra mondiale, ad 
impedire agli Stati Uniti di avere il monopolio dell’arma atomica, a mandare il 
primo uomo nello spazio.

Lo sviluppo non deve essere inteso solo in termini quantitativi, ma anche 
qualitativi. Ci può essere anche crescita economica, ma essa rimane subordinata 
alle grandi potenze se non si appropria delle tecnologie e delle scienze più 
avanzate. Il modello di sviluppo cinese, aperto alle conquiste universali della 
scienza e della tecnologia e che investe massicciamente nell’istruzione e nella 
ricerca, è riuscito a stabilire una propria base indipendente.

Questa straordinaria rivoluzione economico-sociale, culturale e politica della 
RPC è ancora più importante perché guidata dal più grande partito comunista del 
mondo, perché fa parte della grande storia del socialismo e dell’emancipazione 
dell’umanità dalle catene della miseria, dello sfruttamento, dell’oppressione, 
e fa esplicito riferimento al pensiero e all’azione dei fondatori del marxismo 
(lo scorso anno la Cina ha dedicato più di ogni altro paese conferenze e 
celebrazioni per i 200 anni della nascita di Marx).

Una periodizzazione del mondo post 1991

È indubbio che il crollo dell’URSS e dei paesi socialisti dell’Europa 
centro-orientale segni una svolta radicale nel movimento comunista 
internazionale, non solo perché è accaduto, ma anche per il modo in cui è 
accaduto. Nel 1871 il primo tentativo di “assalto al cielo” del movimento 
operaio, la Comune di Parigi, fu stroncato dalla repressione dell’esercito 
borghese. Migliaia di comunardi resistettero con le armi in pugno, fino alla 
morte. Fu una sconfitta. Ma essa apriva la strada a futuri “assalti al cielo” 
del proletariato organizzato, che aveva studiato e appreso la lezione della 
Comune: la rivoluzione d’Ottobre nel 1917. Il crollo dell’URSS nel 1991 non 
ebbe queste caratteristiche, l’URSS fu presa dall’interno e gli autentici 
comunisti non riuscirono ad organizzare un’efficace resistenza di massa 
all’ondata controrivoluzionaria.

Il crollo dell’URSS nel 1991, a meno di 20 anni dalla disfatta 
dell’imperialismo yankee in Vietnam (1975), rivela anche la capacità dei 
maggiori paesi capitalistici guidati dagli USA di rinnovarsi, portare avanti 
una nuova rivoluzione tecnologica, sviluppare ancora le forze produttive e 
sapersi dotare di una strategia a tutto campo che si è rivelata vincente nei 
confronti dell’URSS e nei paesi dell’Europa centro-orientale, in cui possiamo 
vedere già alla fine degli anni 80 i primi modelli di “rivoluzioni colorate”, 
caratterizzate da una sapiente combinazione di soft e hard power (ad esempio la 
cosiddetta Velvet Revolution di Praga, 1989).

La disfatta dell’URSS pose i vincitori della guerra fredda in una posizione 
dominante non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche 
ideologico-culturale. Gli ideologi borghesi potevano proclamare che l’unico 
regime sociale e politico per tutta l’umanità era quello capitalistico-borghese 
nella sua versione più dura e antioperaia, il neoliberismo, e che con la fine 
dell’URSS finiva il comunismo, era la “fine della storia”.

La disfatta del 1991 pose i partiti comunisti e operai del mondo in una 
situazione di grandissima difficoltà, sia dal punto di vista 
ideologico-culturale che economico-politico. La propaganda borghese martellava 
sul “fallimento del comunismo”, mentre le forze capitalistiche e imperialiste 
scatenavano una offensiva pesantissima contro i lavoratori e le conquiste 
economiche, sociali, politiche da essi ottenute in un secolo e mezzo di lotte. 
Finita l’URSS, dopo il 1991 si può dispiegare pienamente la globalizzazione 
imperialista portata avanti dall’imperialismo USA, che proclama apertamente, 
nei documenti ufficiali della Casa Bianca, l’unipolarismo. Essi programmano di 
impiegare qualsiasi mezzo per evitare che, scomparsa la potenza sovietica, 
qualsiasi altra potenza possa emergere e fare ombra al dominio assoluto degli 
USA, che battezzano il secolo futuro come il “secolo americano”.

Tuttavia, la storia non era alla fine e il comunismo non era stato spazzato 
via. Continuavano ad esistere e svilupparsi alcuni paesi socialisti, diretti da 
partiti comunisti: in primo luogo il più popoloso paese del mondo, la RPC, in 
cui il PCC aveva saputo fronteggiare il pericoloso tentativo di stravolgimento 
del suo assetto politico e sociale nel maggio 1989; e poi Cuba, che aveva 
resistito anch’essa a tentativi di esportare in essa la “perestrojka”, la 
Repubblica socialista del Vietnam, la Repubblica Popolare Democratica di Corea, 
la Repubblica Popolare Democratica del Laos.

La resistenza di questi paesi all’ondata controrivoluzionaria del 1989-91 è 
stata un importantissimo supporto alla resistenza e riorganizzazione degli 
altri partiti operai comunisti del mondo.

Possiamo schematicamente periodizzare (sapendo che nella storia non vi sono 
quasi mai delle cesure nette, ma elementi di una fase si ritrovano anche 
nell’altra) gli anni post 1991 in due fasi:

La prima è caratterizzata dall’offensiva della globalizzazione imperialista, 
dagli sforzi degli USA per affermare l’unipolarismo con ogni mezzo, dispiegando 
un enorme apparato militare, oltre che economico-finanziario, e ricorrendo alla 
guerra diretta contro paesi sovrani colpevoli di non volersi piegare ai diktat 
dell’Occidente: Iraq (1991; 2003); Serbia (1999); Afghanistan (2001); Libia 
(2011), Siria (2011). Per il movimento operaio e comunista è la fase della 
resistenza all’offensiva ideologica e politica dell’imperialismo, e della 
riorganizzazione delle forze. Tutti i partiti comunisti in lotta contro le 
rispettive borghesie del proprio paese hanno subito il contraccolpo del crollo 
dell’URSS, ma ciò non è avvenuto – e non poteva accadere - in modo uniforme, 
dipendendo dalle basi ideologiche, politiche, organizzative dei diversi 
partiti, dalla loro storia. In alcuni paesi il movimento comunista si è ripreso 
in tempi brevi, in altri vive ancora situazioni di difficoltà.

I comunisti hanno cercato di risollevare la bandiera rossa su cui i capitalisti 
gettavano palate di fango; hanno cercato di riappropriarsi dell’orgoglio di 
essere comunisti, portatori del più grande ideale di liberazione dell’umanità. 
Hanno cercato anche di analizzare e studiare la nuova situazione mondiale che 
si era creata con la caduta dell’URSS. Hanno cercato di rilanciare un movimento 
sociale e politico di lotta e opposizione all’imperialismo neoliberista, 
promuovendo e organizzando movimenti contro la guerra e contro le politiche 
neoliberiste imposte dai governi occidentali. Hanno dovuto fare ciò in 
condizioni sempre più difficili, poiché la classe dominante conquistava una 
dopo l’altra le roccaforti ideologiche e politiche dei comunisti, la campagna 
anticomunista era sempre più forte (ricordiamo ad esempio il documento votato 
dal parlamento della UE che equipara vergognosamente fascismo e comunismo, 
Germania nazista e URSS come parimenti responsabili della II guerra mondiale) e 
mirava all’annientamento definitivo di essi, senza cessare di ricorrere alle 
vecchie tattiche di corrompere i capi del movimento comunista, di lavorare per 
la loro divisione. Inoltre, l’attacco ai lavoratori procedeva velocemente sul 
terreno economico-sociale: le grandi imprese che radunavano migliaia di 
lavoratori venivano smantellate, i lavoratori venivano divisi anche 
fisicamente, sempre più sottoposti al ricatto del licenziamento. In queste 
difficili condizioni oggettive i comunisti hanno dato vita a conferenze annuali 
dei partiti comunisti e operai del mondo, che giungono ora al loro ventesimo 
appuntamento.

Possiamo periodizzare gli inizi della seconda fase, o meglio ancora di una 
“nuova era” intorno al 2007-2009. Sono gli anni in cui scoppia la grande bolla 
finanziaria americana dei mutui subprime, che gli USA scaricano su tutti i 
paesi capitalistici e che si rovescia pesantemente sui paesi UE, in cui le 
scelte di politica finanziaria ed economica dei paesi più forti (in primis la 
Germania) producono effetti catastrofici sui paesi meno forti (in primis la 
Grecia), col risultato di aprire all’interno della UE, che fino ad allora era 
stata capace di esercitare una forte attrazione sugli altri paesi, un periodo 
di crisi non solo economica, ma anche politica e culturale, con una crescente 
divaricazione tra le masse e i tradizionali gruppi dirigenti, che si è espressa 
nella grande avanzata di forze populiste, prevalentemente di destra.

In quegli stessi anni la RPC superava il Pil del Giappone e si collocava come 
seconda economia mondiale dopo gli USA. Mentre le economie occidentali dovevano 
fare i conti con la crisi, la RPC, utilizzando le leve della politica economica 
e finanziaria disponibili grazie al suo sistema economico-sociale , allargava 
ampiamente il suo mercato interno, aumentava più volte il salario minimo, 
estendeva il welfare per sanità e pensioni, e continuava a crescere a ritmi 
molto sostenuti. Era una brillante dimostrazione della forza del socialismo con 
caratteristiche cinesi...

Ma non solo. L’unipolarismo USA, nonostante le diverse guerre scatenate contro 
i paesi riluttanti a piegarsi ai suoi diktat, doveva riconoscere il suo 
fallimento di fronte alla straordinaria crescita della Cina, la formazione di 
nuovi poli, quali i BRICS, l’accordo di Shanghai, la consistenza della 
Federazione russa sotto la guida di Putin, che, resiste ai tentativi di 
disgregazione da parte dell’Occidente attraverso le diverse “rivoluzioni 
colorate” e la minacciosa avanzata della NATO fino ai suoi confini. L’elezione 
di Donald Trump e la sua politica protezionistica dell’America first e di 
guerra commerciale contro la Cina (ma anche contro i paesi capitalistici 
europei) rappresentano il riconoscimento della fallimentare politica perseguita 
dagli USA dopo il 1991 di affermare il loro primato assoluto e, ad un tempo, il 
tentativo di rilanciare il primato degli USA attraverso politiche diverse da 
quelle dei suoi predecessori. Ma, diversamente dal precedente “sogno 
americano”, che si proponeva come modello espansivo e di sviluppo all’intero 
mondo (ad esempio il piano Marshall dopo la II guerra mondiale, o la “nuova 
frontiera” di J.F. Kennedy negli anni 60), gli USA di Trump sono chiusi in se 
stessi, non hanno una nuova frontiera da proporre al mondo, gli interessi degli 
USA si contrappongono a quelli dell’intero pianeta, a cominciare dagli accordi 
sul clima, che Trump straccia.

La proposta strategica della RPC nel mondo attuale

Al contrario, la RPC, che in passato, concentrata nello sviluppo interno delle 
forze produttive, ha tenuto a livello internazionale un profilo piuttosto basso 
(seguendo allora l’indicazione di Deng Xiaoping), si propone oggi sulla scena 
mondiale come un soggetto, l’unico a ben guardare, portatore di un grandioso 
progetto di sviluppo economico, sociale, culturale win-win per l’intero 
pianeta, che si articola e concretizza sempre più con la Belt and Road 
Initiative. Esso procede di pari passo con una delle più importanti decisioni 
del XIX Congresso del PCC nel 2017: l’iscrizione nello statuto del partito 
dell’attività volta a costruire una comunità di futuro condiviso per tutta 
l’umanità.

Questo tema è stato sviluppato più volte e in più occasioni - in particolare 
dal 2013 - dal Presidente Xi Jinping e in numerosi articoli e saggi di studiosi 
cinesi su molte riviste. La proposta di una Comunità di destino condiviso ha un 
ampio spettro, è una strategia di trasformazione del mondo nel suo complesso 
che guarda al mondo intero nei suoi molteplici aspetti, anche culturali e 
spirituali. È una bussola che può orientare l’azione dei partiti comunisti, del 
movimento operaio, delle forze socialiste e progressiste. È il fronte unito dei 
popoli del mondo per rovesciare l’oppressione, lo sfruttamento, la fame, la 
miseria e l’arretratezza.

La Belt and Road Initiative non è solo una proposta concreta per i paesi 
dell’Asia, Europa, Africa, America Latina; è anche una metafora dell’idea della 
nuova globalizzazione che Xi ha esposto in molti discorsi critici contro la 
politica protezionista. Xi propone una “nuova globalizzazione”. Non è solo un 
progetto economico ma anche culturale di universalismo concreto nel 
riconoscimento della diversità e nella proposta di agire per la costruzione di 
una comunità di futuro condiviso per l’umanità. È la visione strategica del 
futuro del mondo intero come mondo sempre più interconnesso, che richiede un 
nuovo tipo di globalizzazione, completamente diversa da quella, in atto dal 
1991, guidata dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali,.

In definitiva, possiamo dire che oggi nel mondo ci sono due concezioni opposte 
sul futuro, e di conseguenza due politiche opposte: la nuova globalizzazione 
proposta dalla Cina e un nazionalismo esclusivista, che è una vera e propria 
regressione per l’umanità. Siamo ad un bivio. La vecchia strada - che, 
nonostante il fumo della novità è anche quella della “America first” di Trump - 
è chiusa, è in bancarotta. In questo senso, il pensiero di Xi Jinping è 
l’opposto di quello di Trump di “America first”: Xi pensa alla comunità del 
futuro condiviso dell’umanità, non solo al destino della sua nazione. Il 
pensiero di Xi è universalistico, non particolaristico.

Nella “nuova era” incontriamo la nuova fase di sviluppo della Cina e la 
proposta ai popoli del mondo, al movimento operaio e a tutte le forze 
autenticamente democratiche e progressiste di una progressiva uscita in avanti 
(e non reazionaria e regressiva) dalla crisi della globalizzazione imperialista.

È dovere dei partiti comunisti e dei lavoratori del mondo, delle forze 
autenticamente democratiche e progressiste, raccogliere la sfida strategica che 
il pensiero di Xi Jinping propone. La proposta cinese dell’Iniziativa Belt and 
Road e la costruzione di una comunità di un futuro condiviso per l’umanità può 
contribuire enormemente allo sviluppo del movimento comunista internazionale: 
essa fornisce ad ogni partito comunista e operaio, così come alle forze 
autenticamente progressiste, una prospettiva concreta di costruzione di un 
fronte unito nella lotta per uno sviluppo sostenibile. Contribuisce a far 
rivivere il grande ideale dell’internazionalismo comunista dandogli una base 
concreta. È una proposta con grandi potenzialità e sviluppi per l’intero 
movimento internazionale dei lavoratori.


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