Ciao,
incollo di seguito un pezzo che abbiamo scritto per Frame, rivista bolognese fatta da cari amici.
La riflessione partiva da alcuni scritti (che ho gia' mandato in lista, ma li potete trovare anche su www.framemagazine.org) sulle crisi ambientali e sociali (a grandi linee).
Purtroppo, a causa di impegni vari non siamo riusciti a darci i tempi giusti. Domani mattina questo pezzo lo dobbiamo mandare alla redazione (di cui, fra l'altro, qualcuno legge la lista....).
SE qualcun* in lista ha voglia di leggere e magari commentare e magari suggerire qualche aggiunta o eliminazione, è benvenut*. Io domani mattina alle 11.30 esco: a quell'ora mandero' il pezzo a Frame. Dunque se mandatae le correzioni in tempo utile saranno integrate. Altrimenti, si possono tentare sostituzioni al volo in fase redazionale, ma dubito che ce le facciano fare.
scusate la brutalita' e il poco tempo. buona lettura
ciao
m






Crisis


C’è sempre una crisi dietro l’angolo. Il millenarismo apocalittico non ci abbandona mai. Scienza e tecnologia non ne sono esenti. A volte si parla di rivoluzioni paradigmatiche, a volte si parla dell’esaurimento di alcuni modelli di sviluppo.

Ad esempio si dice che la scienza non sa più cosa scoprire e che ha finito il suo ruolo baconiano. Ma poi nascono le nanotecnologie, e un nuovo spazio si apre. Vecchie e nuove discipline convivono e mescolano modelli teorici e sperimentazione: chimica, fisica, biologica molecolare.

C’è chi dice che il modello di sviluppo attuale ci porta alla sciagura. Il petrolio scarseggia e i consumi di energia del mondo occidentale sono troppo elevati. Si invoca così un nuovo mondo: la fine delle metropoli. Negli anni Sessanta-Settanta, anche le lobby nucleariste sostenevano queste tesi. Poi i petrolieri hanno iniziato a usare i surfattanti per migliorare il rendimento delle estrazioni, hanno iniziato a scoprire e sfruttare i giacimenti in mare. E il ciclo dell’accumulazione di conoscenze e profitti prosegue in barba al millenarismo fin-de-siècle.

Diamo per scontato che questo modello di sviluppo è da modificare radicalmente, o che quanto meno è responsabilità di ognuno di noi lavorare per frenare lo sfruttamento del pianeta e dei popoli che lo abitano. Tuttavia, la cosa bella (o drammatica e paradossale) è che la scienza e la tecnologia riescono a far saltare tutte le previsioni. La storia e la cronaca insegnano dunque diffidare tanto dei positivisti quanto dei catastrofisti, due facce della stessa medaglia. Esse infatti tralasciano un punto fondamentale della riflessione sulla scienza, per noi imprescindibile: la critica della scienza stessa, cioè l’identificazione del legame contraddittorio tra scienza e potere (economico e politico) e lo sviluppo di una proposta politica che permetta alla scienza di essere (anche) strumento di liberazione. Ci sembra di poter dire che la critica della scienza si debba porre oggi due obiettivi: la fine della ricerca privata nella forma obsoleta del brevetto, e l’inizio di una nuova ricerca scientifica senza brevetti che si sedimenti in fase sperimentale in uno spazio liberato, multietnico e cooperativo – il laboratorio Europa.


Segreti


Con l’introduzione delle comunicazioni di rete, con lo sviluppo del capitale finanziario, con la nascita delle discipline di frontiera e con l’esteso potenziale applicativo delle ricerche la scienza ha conosciuto la sua transizione al post-fordismo. La chiave della transizione è stata il brevetto. Storicamente, l brevetto sta alla ricerca scientifica come la proprietà privata al sistema capitalistico. Non ne è il motore trainante, ma è tuttavia essenziale nella definizione di ruoli di potere. Nella sua versione primitiva, il brevetto assicurava una rendita a colui che faceva un'invenzione. Nella sua versione attuale – nelle dimensioni della big science e della new economy – il brevetto è prevalentemente uno strumento nelle mani delle multinazionali che lo sfruttano per reclamare diritti nella gestione delle risorse naturali e umane.


In alcuni casi la brevettazione non si limita ad una singola scoperta ma coinvolge una massiccia quantità di dati: per esempio, le sequenze geniche o il parco proteico di un organismo. Il brevetto vincola oggi la circolazione della conoscenza scientifica. Le università e i centri di ricerca pubblici si sono attrezzati per facilitare la nascita di imprese a contenuto scientifico basate sulla commercializzazione di qualche ricerca brevettata. Ma è la ricerca privata gestita dalle multinazionali farmaceutiche e di altri settori di ricerca che ha avuto un notevole incremento. Si deve inoltre pensare alla trasformazione del lavoratore scientifico, che in una azienda o università votata al profitto scivola sempre più verso un precariato sottopagato a lungo termine, mentre le rigide norme brevettuali garantiscono ben pochi vantaggi agli scopritori. Le riforme universitarie degli ultimi anni non fanno che confermare questa tendenza, rendendo sempre più flessibile la ricerca e finanziandola sempre meno attraverso il pubblico e sempre più attraverso il privato. Può la scienza uscire dalle strettoie di questa logica?


No Patent


Pensiamo di sì, perché il brevetto è ormai diventato un freno allo sviluppo della ricerca scientifica. Il brevetto rappresenta innanzitutto un costo supplementare troppo alto imposto allo sviluppo tecnologico. Esso infatti non occulta la conoscenza, semplicemente impone un dazio al suo utilizzo, creando un ostacolo allo scambio di tecnologia. I pochi ricercatori che traggono profitto dai su specifiche invenzioni e assecondando i protocolli di intesa con le multinazionali si contrappongono ai molti la cui ricerca viene ostacolata mediante l’imposizione di dazi sulla produzione della conoscenza (ad esempio nella privatizzazione del software di ricerca). Secondo punto, il brevetto crea dei conflitti brutali tra sviluppo della tecnologia e l'uso della stessa. L’accessibilità dei farmaci generici contro l’AIDS è un caso eclatante. Inoltre, il brevetto è un rallentamento allo sviluppo di ulteriore conoscenza. Fino a qualche tempo fa, la differenza tra ricerca di base e applicativa era molto forte. La sbornia degli anni Novanta e l'avvento dell’imprenditoria scientifica hanno mischiato le carte e lo spettro di conoscenze commercializzabili è molto più vasto. Come conseguenza, quella sorta di tacito accordo che le imprese e i centri pubblici di ricerca avevano stipulato – se fai ricerca di base non paghi il brevetto – è saltato. Se infatti anche la ricerca di base, guarda speranzosa al mercato, perché mai un’impresa dovrebbe non fare pagare i brevetti ai ricercatori pubblici? Negli Stati Uniti la contraddizione è già esplosa nelle aule di tribunale. Non parliamo poi dello stress, dei tempi accorciati che la corsa ai brevetti, intesi come strumento di scambio e finanziamento, ha causato. Sintetizzando il brevetto rallenta la circolazione della conoscenza, la sua evoluzione e ne distorce l'utilizzo. Soprattutto crea una barriera alla partecipazione e all’indirizzo delle ricerche. Con i brevetti non c’è spazio per il pubblico accesso alla conoscenza e alla sua costruzione. Dunque, la costituzione di uno spazio aperto per la circolazione del sapere fuori dalla logica dei brevetti diventa oramai una esigenza interna e esterna per la gestione delle conoscenze.

Un secondo aspetto su cui occorre riflettere è la crisi della new economy. Per la ricerca, la crisi della new economy ha significato una virata di 180° nelle strategie di finanziamento basate sull’uso di capitali di rischio per l’appropriazione dei brevetti. Gli USA hanno riscoperto, dopo l’11 settembre, la via della difesa e del controllo ovvero il sistema del warfare. Aumentando il deficit interno, il finanziamento pubblico è stato richiamato in causa per sostituire il buco lasciato dal crollo dei mercati. La propaganda e la retorica indirizzano questi finanziamenti verso le attività militari, di sicurezza e di controllo. Rinnovando il meccanismo classico per cui l’investimento pubblico nella guerra fa da volano alla ripresa economica, si tenta di superare la crisi della new economy attraverso finanziamenti a pioggia tanto della ricerca militare quanto della ricerca di base e applicativa lasciata senza risorse. La valanga di finanziamenti riempirà il bicchiere della ricerca bellica e di controllo, ma inonderà allo stesso modo la ricerca di base più disparata.


Laboratorio Europa


Se attraversiamo l’oceano e guardiamo la nostra piccola Europa che cosa osserviamo? Dopo molti anni, lo spazio della ricerca si sta organizzando, puntando sull'imitazione delle strategie che hanno consentito lo sviluppo USA negli ultimi due decenni: brevetto, imprenditoria scientifica. Tuttavia ciò avviene in un panorama dove il capitale privato dedicato alla ricerca è scarso e il mercato non sorride certo all’idea di investire alla cieca sulle proposte dello scienziato di turno. Anche in Europa dunque l’iniezione di capitali pubblici sarà decisiva. Rimane però insoluto il problema delle strutture in grado di accogliere e far fruttare questi capitali. Dunque ecco la nostra proposta: immaginiamo lo spazio Europa come un enorme parco scientifico, dove la circolazione della conoscenza, non è vincolata ai brevetti ma è libera e tutelata da una sorta di OpenPatent. Tutti possono usare una conoscenza free patent liberamente ma con la condizione di non generare futuri brevetti. Questo meccanismo proietterebbe l’Europa in avanti, essa diventerebbe uno spazio aperto, stimolante e attraente. Un modello alternativo di sviluppo e condivisione della conoscenza. L’OpenPatent creerebbe una naturale diversificazione tra un mondo proiettato verso la privatizzazione e la belligeranza e un altro aperto alla cooperazione. L’Europa è il laboratorio ideale per sperimentare sul piano della tecnologia hard, quello che già Linux e la licenza GPL hanno dimostrato essere un valido percorso per il software. In questo modo, si potrebbe inoltre creare un circolo virtuoso tra scienza e società: una ricerca non asservita al mercato sarebbe più capace di soddisfare i (bi)sogni della cittadinanza. Passo dopo passo, da questo incontro potrebbe nascere un nuovo modello di sviluppo compatibile. È urgente una spinta dal basso che abbatta le barriere dei laboratori: quelle commerciali e quelle intellettuali. Aprire i laboratori alla società e alle sue esigenze sarà decisivo il prossimo futuro.




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