-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:        [RK] una nota a "free culture" di Lessig
Data:   Fri, 02 Apr 2004 22:45:32 +0200
Da:     rattus norvegicus



Ho dato un'occhiata rapida al testo di Lessig "Free Culture". Si tratta di un testo importante, e sara' interessante vedere se e quando qualche editore si decidera' a pubblicarlo in Italia. Lessig esprime con grande chiarezza concetti importanti, che meritano l'attenzione di quanti hanno riflettuto con raziocinio sui problemi del copyright nei nuovi scenari.
Visto che il libro e' liberamente disponibile in download, non posso che esortarvi a seguire il consiglio di Matteo di scaricarlo.


C'e' pero' un elemento, in particolare, che mi ha spinto a riflettere. Riguarda la famosa causa Eldred vs. Ashcroft. Avendo seguito a suo tempo la vicenda, ho letto con grande interesse le autocritiche di Lessig sul suo comportamento nel corso del dibattimento, i dettagli sulle posizioni dei giudici della suprema corte, il ruolo di Eldred e cosi' via. Su Rekombinant il ricorso di Lessig alla suprema corte contro il potere del Congresso di estendere illimitatamente il copyright e' stato discusso in diverse occasioni.
Un particolare che non sapevo e' che Lessig, dopo la sconfitta alla Suprema Corte, non senza una certa ironia, ha lanciato una sorta di proposta di legge che ama definire "Eldred Act".
La proposta e' chiara ed elementare: chi vuole mantenere i diritti di copyright sulle opere deve versare una piccola somma (diciamo un dollaro) presso un apposito ufficio. Le opere ancora sotto copyright, per le quali questa somma non viene versata entro tot, divengono automaticamente di pubblico dominio.


Sempice ed elegante.

In questo modo, dice Lessig, la Disney puo' dormire sonni tranquilli. E con lei possono dormire tranquilli tutti i rari autori e le corporation che, a distanza di cinquant'anni o novant'anni anni, ricevono ancora i benefici dalle pubblicazioni del passato. In compenso, afferma il professore, tutte le opere che non hanno piu' alcun interesse commerciale tornano ad appartenere alla sfera pubblica, senza restrizioni di sorta.

Con quella forma di candore un po' stupido che caratterizza molti liberal americani, Lessig si stupisce che anche questa sua ragionevolissima proposta sia stata sbeffeggiata ed osteggiata dalle lobbyes che difendono la proprieta' intellettuale.

Alla fine giunge a darsi qualche risposta di questa inspiegabile ostilita': la questione, dice Lessig e' che questa gente non difende la proprieta', ma ostacola la tradizione. Non gli basta insomma proteggere quanto gli appartiene, pretende invece che tutto cio' che e' in circolazione sia suo.

Bravo professor Lessig !

Ma allora questo discorso andrebbe approfondito. La liberazione gratuita del sapere, per esempio quello contenuto nei libri del passato, costituisce un attacco al giacimento di attenzione disponibile a livello planetario. In altri termini, il problema del controllo sulla conoscenza circolante non e' riconducibile solo a questioni economiche in senso "stretto" (voglio che consumino solo quanto io fornisco) ma anche e soprattutto in senso largo (non voglio che siano distratti da opere che non sono monetizzabili). Qui gli interessi delle corporation convergono. Si tratta a tutti gli effetti di monopolio, il monopolio dell'attenzione. Detenuto, guarda un po', da un "cartello". Non stupisce dunque che rispondano a "reti unite" a qualsiasi proposta minacci questo territorio.
Se prendiamo sul serio questo secondo approccio, assai piu' generale, arriviamo facilmente a concludere che tutti i tentativi di raccontarsi la storiella che esiste un fronte "produttivo" ( "in senso monetario" ) della libera circolazione della cultura e' destinato al fallimento.


Non c'e' niente da fare: se io immetto in libera circolazione, attraverso un sistema di scambio o attraverso una nuova legge sul copyright, centinaia di migliaia di libri, allora quei libri saranno letti da qualcuno che, mentre li legge, non soddisfa nessuna esigenza immediata del mercato: non leggera' il giornale, non si connettera' alla rete, non comprera' il testo in libreria. Costui abitera' uno spazio non monetizzabile, cioe' non riducibile alla logica di mercato. Le persone che leggeranno libri di pubblico dominio saranno (come dire?) "sospese" rispetto a qualsiasi interesse produttivo (sempre in senso monetario). Saranno delle entita' produttivamente "congelate", la loro attivita' di lettura non andra' (almeno immediatamente) a beneficio di nessuno.

E' questa la vera ragione dell'estensione illimitata delle leggi sul copyright. Ed e' inutile starsela a menare tanto con Topolino e la Disney. Il fatto e' che la mente (e il suo tempo) sono di fatto uno spazio di colonizzazione del mercato. Immettere conoscenza libera significa occupare porzioni di un territorio che un settore particolarmente aggressivo ha interesse a lasciare "vuoto" e disponibile (available).
Questo territorio si chiama "attenzione".
Se si capisce questo, si capisce anche perche' questa gente monta su tutte le furie davanti a una proposta innocente come l'Eldred Act di Lessig.


Ma se si capisce questo, allora si deve anche saper portare una critica ragionata, ragionevole, non partigiana, al concetto di produttivita' capitalistica cosi' come oggi e' intesa. Non si scappa. Ha mille ragioni Lessig a sostenere che il futuro si costruisce sul passato. E che questa gente ci costringe all'eterno presente riducendo il nostro accesso al passato. Ma allora, a meno di pensare seriamente che esistono "bugie che mandano in paradiso", si dovra' anche riconoscere che la logica di mercato dominante si imballa di fronte alla produzione di arte e di conoscenza. E non e' questione di piccole correzioni, di dettagli. Lessig la sua "piccola correzione" l'ha proposta. Guarda un po', viene spernacchiato.

A questo punto la verita' sembra a un palmo dal naso: non e' affatto vero che la produttivita' (in senso generale) coincida con la monetizzazione del tempo e dell'attenzione e, a ben guardare, non e' nemmeno vero che si debba essere sempre e per forza produttivi (in qualsiasi senso).

Dunque c'e' spazio per un'altra produttivita'. Il problema e' che questa "altra" produttivita' - probabilmente "superiore" a quella del mercato attuale - non riesce a trovare forme (o ci riesce raramente).
E secondo me qui e' Rodi. Problema non da poco, chi lo nega? Ma almeno e' posto nei termini corretti.


Ciao
Rattus



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