Questo e' il pezzo che ho mandato ad Aprile. Se vi piace lo mettiamo 
online.

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Brevetti in Europa

L'ingresso nella società dell'informazione è ormai un dato acquisi dai
cittadini dell'Unione Europea. Non serve una formazione specialistica,
per misurare nel quotidiano l'importanza dei linguaggi, dell'innovazione
e dell'educazione in società avanzate come la nostra.  Si può ormai
parlare della conoscenza come di una risorsa economica imprescindibile
quanto il petrolio. L'Europa unita nacque innanzitutto negli accordi di
cooperazione nel campo delle materie prime, con l'istituzione della
Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio nel '51: non sarebbe male,
allora, se le basi della UE futura implicassero una maggiore
cooperazione anche nel campo delle risorse immateriali.  

Stavolta, non si tratta di abbattere barriere doganali e cancellare
dazi. Oggi la circolazione dell'innovazione e della ricerca è regolata
dall'istituto della proprietà intellettuale: i brevetti nel campo delle
invenzioni, e il copyright nel campo della creazione culturale, oggi
determinano quanto e come un prodotto dell'intelletto (sia esso un CD
musicale o un'invenzione tecnica) debba circolare nello spazio europeo.  
Su questo terreno l'Europa ha finora scimmiottato gli Stati Uniti,
prendendoli a modello di una società fortemente innovativa: inseguendo
l'ennesimo american dream, l'Europa di questi anni ha dato un forte
impulso ai brevetti, ventennali monopoli sulle scoperte scientifiche. I
decisori europei ritengono infatti che solo un regime di proprietà
intellettuale orientato alla privatizzazione e alla commercializzazione
delle scoperte possa convincere enti pubblici e privati ad investire in
innovazione. Il detentore del brevetto, infatti, può vendere ad altri
la possibilità di utilizzare un'invenzione e così rientrare
economicamente degli investimenti necessari a realizzarla. 

Peccato che, alla luce di studi sempre più frequenti, il monopolio
autorizzato dai brevetti si stia rivelando un limite alle attività di
ricerca e innovazione, più che un incentivo. Ricerche svolte nel campo
farmaceutico, in massima espansione dal punto di vista della proprietà
intellettuale, mostrano come l'industria privata sia in realtà meno
efficiente rispetto al sistema della ricerca pubblica fondata sulla
libera circolazione delle idee [1]. E d'altronde le ricadute sociali
sono evidenti, negli States: l'aumento del numero di brevetti
farmaceutici non corrisponde a una maggiore attività di innovazione,
visto che i nuovi farmaci approvati ogni anno dalla Food and Drug
Administration (l'autorità sanitaria americana) sono oggi meno della
metà rispetto a dieci anni fa [2].

Proprietà intellettuale e ricerca non vanno poi così d'accordo,
quindi. L'abbaglio europeo nasce da un'errata lettura macroeconomica
degli ultimi due decenni americani: il rafforzamento legislativo della
protezione brevettuale non ha causato l'aumento degli investimenti in
ricerca e sviluppo, ma l'ha seguito. Anzi, la possibilità di
commercializzare scoperte realizzate da università ed enti di ricerca
federali si è rivelato un boomerang per i ricercatori pubblici
americani, che spesso si sono trovati a dover "ricomprare" l'utilizzo di
strumenti di ricerca sviluppati da altri laboratori pubblici. E i
guadagni percepiti dalle università sono irrisori, insufficienti a
compensare i tagli alla ricerca pubblica subiti in molti stati europei
ed americani [3]: un altro mito sfatato, di cui l'Unione Europea non sta
tenendo conto. 

Mentre l'UE discute sull'estensione al software della brevettabilità
(cui la sola Polonia sembra opporsi, per ora), quindi, fioccano le
smentite del luogo comune secondo cui scienziati e brevetti siano
alleati. Un sondaggio appena realizzato mostra che gli stessi
sviluppatori informatici sono favorevoli a modelli di innovazione
aperti. Nel campo del diritto d'autore, strettamente correlato perché
determina la circolazione dell'informazione scientifica, nel 2003 decine
di università ed enti di ricerca si sono impegnate formalmente a
sostenere il libero accesso alla letteratura scientifica, contro le
restrizioni imposte dai monopoli del copyright: ma, mentre nei
laboratori si richiede una maggiore libertà di scambiare conoscenze,
sono i governi a difendere gli interessi di lobby e multinazionali [4].  

Se a Strasburgo si tenesse conto di questo fermento, l'Europa potrebbe
giocare un ruolo importante. Nonostante l'affannoso inseguimento, l'UE
non sta colmando il gap tecnologico con gli Stati Uniti, mentre la Cina
avanza e presto toccherà anche mercati finora protetti. Ma come pochi
ricordano, il primato culturale europeo deriva dal patrimonio di culture
ibridate nello stesso continente, ruolo cui sembriamo aver abdicato.  
L'instaurazione di una sorta di "spazio Schengen" dell'informazione
potrebbe rivelarsi una salutare novità. Abbassando le barriere alla
condivisione del sapere, eliminando i monopoli sulla ricerca sviluppati
grazie ai brevetti, l'Europa tornerebbe ad essere un polo attrattivo a
livello internazionale per le conoscenze e i cervelli assetati di
libertà.

Note:

[1] Secondo un'analisi del 2002 realizzata da Dean Baker e Noriko 
Chatani del Center for Economic and Policy Research di Washington, le 
innovazioni ottenute in questi anni dalle imprese farmaceutiche 
sarebbero costate molte decine di milioni di dollari in meno al settore 
pubblico, che non deve occuparsi anche di piazzarle sul mercato.

[2] Alex Berenson, "Pricey Drug Trials Turn Up Few New Blockbusters", 
New York Times, 18-12-2004: "The number of new drugs approved by the 
Food and Drug Administration has declined sharply since the mid-1990's, 
falling from 53 in 1996 to 21 in 2003"

[3] Lita Nelsen, "The Rise of Intellectual Property Protection in The 
American University"- Science, Vol 279, Issue 5356, 1460-1461 , 6 March 
1998

[4] Recentemente, il governo laburista di Tony Blair ha rifiutato di 
tenere conto delle raccomandazione di una commissione del parlamento 
inglese, che ha sostenuto i benefici di una maggiore libertà di accesso 
all'informazione scientifica, oggi concentrata nelle mani di pochi 
editori privati.

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