Intervista. MOnica Frassoni (Verdi Europei): ''Per ora abbiamo fermato
le lobby''
      Rinviata la decisione sulla brevettabilità del software, possibile un
nuovo iter legislativo
      La questione della brevettabilità del software, e quindi delle idee
che si concretizzano in procedure e algoritmi matematici, è un argomento
rilevante di dibattito per il fatto che si trova al crocevia di interessi
diversi che vedono piccole imprese opporsi a quelle grandi e le
organizzazioni della società civile scontrarsi coi governi. Non solo perché
il software è alla base di ogni forma di comunicazione avanzata e di tutta
l'industria tecnologica, della produzione immateriale ma perchè riguarda il
futuro dei consumi, della ricerca e quindi il destino delle economie locali,
ma anche il tipo di società che vogliamo costruire: solidale o darwiniana.
Infatti il tema della brevettabilità delle conoscenze incorporate in
processi e prodotti non riguarda solo il software ma anche il vivente e le
conoscenze collegate al "sistema operativo della società", cioè ai metodi di
cura, di istruzione, commerciali, industriali. Dopo il rinvio di lunedì
scorso che ha aperto nuove possibilità per rivedere la pessima proposta di
brevettare le idee conteute nel linguaggio software abbiamo chiesto a Monica
Frassoni, capogruppo dei Verdi al Parlamento Europeo di darci la sua
opinione.

      Ci spieghi cosa sono i Trips e perché è importante che la società
civile e la politica se ne occupino in maniera costante e responsabile?
      Trips è l'acronimo di Trade Related Intellectual Property Rights,
ossia diritti di proprietà intellettuale legati al commercio,
malauguratamente entrati a far parte degli accordi del WTO all'epoca del
lancio del cosiddetto "Uruguay Round", su forte pressione, anzi sarebbe
meglio dire ricatto, degli Stati Uniti e delle multinazionali che puntavano
a questo risultato. Da più parti oramai si contesta quella scelta
sciagurata, poiché la proprietà intellettuale non è un "diritto naturale",
bensì un privilegio legalmente riconosciuto per premiare ed incentivare le
invenzioni. Essa ha un senso quindi nella misura in cui si riconosce
all'autore dell'invenzione un compenso per l'attività di ricerca svolta, ma
una volta che questa è stata ampiamente ripagata, non ha senso continuare a
far pagare, virtualmente in eterno, costi ormai coperti agli utenti finali e
ad altri che potrebbero apportare delle migliorie all'invenzione. Le
invenzioni, soprattutto in ambiti come la medicina, il software o altre
tecnologie della comunicazione, devono essere considerate un bene pubblico e
rese accessibili a tutti. E' fondamentale quindi che la società civile e le
forze politiche che vedono nelle invenzioni un bene di tutti prestino sempre
la massima attenzione a ciò che si muove in questo ambito, mobilitandosi
quando occorre.

      Torniamo al software. Nel pomeriggio di lunedì si sono rincorse voci
confuse circa le decisioni dei ministri Ue sulla questione della
brevettabilità del software. Le ultime notizie dicono che c'è stato
l'ennesimo rinvio. Ci spieghi a cosa sono dovuti questi continui rinvii?
      Lunedì pomeriggio il Consiglio dei Ministri per l'Agricoltura, su
pressione della Polonia, ha rinviato per l'ennesima volta l'adozione
dell'accordo sulla brevettabilità del software. Ciò significa che ora la
parola torna al Parlamento europeo o attraverso quella che si chiama una
seconda lettura del provvedimento originariamente proposto dal Consiglio
oppure attraverso il riavvio dell'intera procedura. Nel primo caso si
arriverebbe ad un voto nel giro di tre quattro mesi e ci vorrebbe una
maggioranza del 70% per respingere la proposta del Consiglio. Nel secondo
caso invece avremmo più tempo a nostra disposizione e potremmo intervenire
in modo molto più incisivo sulla proposta di direttiva.

      In tutta questa vicenda chi è chi ci guadagna e chi ci perde? E'
possibile ipotizzare come andrà a finire? O meglio, chi vincerà?
      I rinvii del Consiglio sono dovuti al fatto che spesso i documenti
portati in discussione sono il frutto di riunioni preparatorie cui prendono
parte solo figure di tipo tecnico, inviate dalle amministrazioni degli Stati
membri e spesso molto favorevoli all'idea di brevettare il software. Quando
però i documenti giungono sul tavolo dei governi, la questione assume un
taglio molto più politico e ci si accorge che la brevettabilità del software
non è affatto un'idea così indolore come i tecnici più entusiasti fanno
credere. I rallentamenti ed i rinvii sono proprio dovuti al fatto che c'è
molta opposizione alla proposta di direttiva.
      Al momento i perdenti sono le multinazionali del software, mentre a
guadagnarci sono gli utenti e le piccole e medie imprese che progettano
software.
      Quando il pubblico viene a conoscenza dei contenuti della proposta di
direttiva e si apre un dibattito anche sui media, come in questo caso,
allora gli oppositori non possono che guadagnarci, perché è relativamente
facile dimostrare l'insensatezza dell'idea di brevettare il software.

      I verdi sono da sempre in prima fila sulle questioni che abbiamo
discusso. Cosa avete intenzione di fare per il futuro? Ci sono vostre
inziative in programma?
      Già lo scorso ottobre abbiamo ospitato qui la gruppo Verdi/ALE al
Parlamento europeo un seminario in cui esperti europei ed americani hanno
potuto confrontarsi sui pericoli insiti nel modello statunitense di
brevettabilità del software e prevediamo di ripetere questo tipo di
iniziative anche in futuro. Naturalmente continueremo a batterci perché non
si arrivi mai alla brevettabilità del software e perché, più in generale,
per ciò che riguarda la circolazione di idee e la comunicazione nel mondo
dell'IT e dell'elettronica ci sia la massima libertà possibile.
      [Arturo Di Corinto]


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