Title: Re: [e-laser] bios
bios arriva sulle pagine di nature review genetics. non male.

Senza voler fare paragoni con Nature Genetics, vi segnalo l'articolo che ho scritto per il numero del "Sole 24 Ore Medici" uscito in marzo a pagina 3 (è un mensile per medici, distribuito solo per abbonamento).

Biotecnologie e ricerca - Illustrata su "Nature" la prima tecnica efficiente di trasferimento genico non brevettata
L'open source insidia le biotech
Nessuna royalty: tutti possono usare tutto a patto che si condividano i miglioramenti apportati

Fabio Turone
La notizia è passata quasi sotto silenzio, ma rischia di scuotere dalle fondamenta un settore - quello delle biotecnologie - in cui poche grandi aziende possiedono quelli che finora erano gli ingredienti fondamentali per qualsiasi innovazione: i brevetti.
In febbraio, la rivista britannica Nature ha infatti pubblicato un articolo che descrive la prima tecnica efficiente di trasferimento genico (in ambito agricolo) che non usa nessuno dei brevetti alla base della tecnologia più largamente usata finora, e - sorpresa - non ne registra di nuovi: i suoi ideatori, infatti, hanno scelto la strada del cosiddetto open source, che già ha iniziato a intaccare lo strapotere dei colossi dell'informatica. Il meccanismo è semplice: tutti possono usare tutto - mettendo in commercio qualsiasi tipo di applicazione - senza dover pagare un centesimo di royalty, purché mettano a disposizione anche della collettività tutti i miglioramenti apportati.
"L'idea è quella di provare a realizzare un sistema che ci permetta di avere un diverso modello di business" spiega Richard Jefferson, coautore dell'articolo di Nature e direttore del gruppo di ricerca no-profit australiano CAMBIA (Center for the Application of Molecular Biology to International Agriculture). Il gruppo ha contribuito anche alla nascita del sito BioForge.net, che si prefigge lo scopo di favorire la collaborazione tra i ricercatori del settore biotech sul modello di quanto da tempo accade tra programmatori anche in ambito bioinformatica.
In California, patria dell'open source nella computer science, la condivisione delle conoscenze sta ricevendo impulso anche dai cospicui investimenti pubblici - pari a 3 miliardi di dollari - stanziati per ricerche sulle cellule staminali, embrionali e adulte. La società US BioDefense sta sviluppando una piattaforma per permettere a ricercatori privati, di università ed agenzie governative di leggere, distribuire, modificare e arricchire le ricerche più all'avanguardia in tema di staminali. "La piattaforma amplierà la dimensione e la profondità della nostra rete di esperti, e ci aiuterà a identificare le tecnologie più mature, pronte per la commercializzazione" spiega David Chin, amministratore delegato della US BioDefense. Tra gli artefici di questo sbocciare di iniziative va senz'altro citata anche la cooperativa BIOS (Biotechnology Innovation for Open Society), che ha ricevuto corposi finanziamenti dalla Fondazione Rockefeller.
E' presto per parlare di rivoluzione, ed è persino difficile prevedere se e quando questo approccio conquisterà fette di mercato significative a discapito degli attuali dominatori. "Potrebbe non rivoluzionare l'industria biotech" ha scritto di recente il settimanale Economist "ma è un passo significativo in una nuova direzione".
Se le piccole e grandi novità biotech descritte in queste pagine si devono all'uso di scoperte e tecnologie ottenute in regime di royalty, insomma, l'attuale sistema dei brevetti - messo in discussione anche in un'analisi apparsa sul Journal of the American Medical Association di cui si dà conto nel box - potrebbe presto avere concreti motivi di preoccupazione: "Se questo sforzo riesce ad attrarre il contributo dei ricercatori di punta in tutto il mondo" spiega Michael Swenson, manager della Life Science Insight di Framingham, nel Massachusetts "ha il potenziale per accelerare la ricerca e quindi ampliare l'accesso ai risultati delle ricerche".


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"La proliferazione eccessiva di ostacoli legati alla proprietà intellettuale rischia di compromettere la cooperazione o di rendere i progetti di collaborazione insormontabilmente costosi": parte da questa considerazione la disamina pubblicata sul JAMA dai due farmacoepidemiologi e farmacoeconomisti di Harvard Aaron Kesselheim e Jerry Avorn, allarmati dai sempre più frequenti casi giudiziari in cui ricercatori del settore pubblico si vedono imporre da società private il pagamento di royalties per poter usare strumenti e tecnologie sviluppate in grandissima parte grazie al denaro pubblico.
Lungi dal suggerire di anticipare la brevettabilità alla ricerca sempre più di base (quella più costosa che si compie quasi esclusivamente in ambito accademico con i sempre più striminziti finanziamenti pubblici), perché rischierebbe di ingessare completamente il progresso scientifico, Kesselheim e Avorn identificano due modifiche rispetto all'attuale sistema che potrebbero almeno alleviare i problemi: la creazione di "brevetti di pool" per la scienza di base, e l'introduzione di un arbitrato obbligatorio che risolva le dispute valutando caso per caso il contributo che ciascuna delle parti in causa ha fornito, e suddividendo di conseguenza tutti i vantaggi economici. "Un'attribuzione di proprietà con più sfumature nella scienza di base e nella biotecnologia sarà difficile da ottenere" riconoscono gli autori "ma è un tentativo che va fatto".


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Agli italiani servono informazioni

Gli italiani sono convinti che si parli troppo poco di biotecnologie: ben sette su dieci vorrebbero un'informazione più dettagliata, e più adeguata alle proprie - modeste - competenze. Il dato proviene dall'indagine su "biotecnologie e opinione pubblica in Italia" curata da sociologi della scienza dell'Associazione Observa - science in society, in collaborazione con il Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie. L'indagine - che ha interpellato telefonicamente un campione rappresentativo di italiani con più di vent'anni, ed è stata presentata alla metà di marzo a Palazzo Chigi - rileva come oltre metà della popolazione (55%) vorrebbe ricevere aggiornamenti su queste tematiche non tanto da stampa quotidiana e televisione, quanto piuttosto per mezzo di opuscoli e incontri tra scienziati e cittadini.
L'atteggiamento rimane globalmente positivo nei confronti delle biotecnologie applicate alla medicina, e scettico o negativo in ambito alimentare. Al lusinghiero 92% di favorevoli in generale all'uso biomedico (che scende al 60% quando si parla di cellule staminali e diagnosi precoce delle malatie genetiche) fa da contraltare un orientamento decisamente negativo nei confronti degli alimenti OGM: rischiosi per un italiano su tre (66%), sono per di più inutili agli occhi di tre su cinque (59%).


Approfitto dell'occasione per salutare Nicoletta Dentico, che probabilmente ricorda di aver scritto alcuni articoli per me quendo ero redattore a Tempo Medico, una quindicina di anni fa.

Ciao
Fabio  Turone


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Fabio Turone
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