A Genova volevo mettermi le mutande e giarrettiera rosa, invece mi sono
imbottito di bottiglie e materrassini cercando di distribuire bottigliette
d'acqua nel corteo ex-bianco.
Quando vado al supermercato vorrei comprare solo la rivista Bitch o Adbuster, ma poi finisce che mi accatto anche NewYorker e Harper.
Se girello in rete mi piacerebbe solo guardare tra siti erotici/porno, leggere barzellette, ammirare effetti Flash delle homepage Manga; regolarmente invece seleziono dal bookmark e-magazine seriose, leggiucchio indymedia, scorro addirittura il manifesto perche' con il fuso orario e' ancora quello del giorno giusto.
Parlando di politica vorrei essere un leggero epicureo ma poi quei rigurgiti di marxismo riescono fuori, se immagino la politica adoro usare concetti esotici rubati alla scienza: reti, caos, sistemi complessi, dinamici, fuori dall'equilibri, ma alla fin fine mi sembra che i vecchio Galileo e Newton c'azzeccavano di piu'.
A volte mi ripeto: non prenderti troppo sul serio, fai Diogene il Cane, ma appena comincio a masturbarmi furiosamente davanti ad una foto fetish con dita dei piedi smaltate ecco che mi vergogno e vorrei sublimare i miei desideri nella potenza dell'intelletto e quindi penso che ciascun punto e virgola della mia vita sia troppo seriosa e vada argomentata.


Che c'entra tutto cio'? Centre perche' il movimento dei precari, rischia di fare la stessa fine, trasfigurando una parade in un palazzo d'inverno, scambiando le metafore roboanti e rizomatiche come ontologie della verita'.
Ma forse c'e' di piu'.
Siamo semplicemente di fronte ad uno scacco banale, cioe' non troppo
complicato.
Ci siamo innamorati delle forme nuove della politica perche' sono piu' leggere, perche' sanno spaccare gli schermi, ma anche perche' liberano quel diavoletto anarchico che sta dentro noi, e che in fondo esprime bene la nostra situazione di "classe" odierna: cioe' non c'e' piu' classe.
Purtroppo pero' dopo un ciclo di rete nel globo (da Seattle in poi),
ci siamo accorti che le forme della rete festaiola e mediatica devono fare i conti, sui temi che contano, con rigidita' istituzionali, di quella politica grigia che organizza e amministra.
Fare i conti con questo "grigiore" puo' essere doloroso o positivo, dipende.
Nella (per me) lontana Italia si e' trasformata in suicidio da orgoglio ferito.
Genova lo spartiacqua, gli schiaffi (la morte maledetta di Carlo) e le rotture in fondo spartiscono sempre
le acque. E cosi alcuni hanno pensato di rievocare un approccio vecchio anche
se mascherato. Cioe' e' tornato tra noi il criterio dell'egemonia,
anche se poi gli si mettono addosso le vestigia da Santo. Egemonia. Egemonia. E quindi muscoli e bastoni.
Perche' questa rievocazione? E solo colpa degli schiaffi e del fallimento global? Una sorta di ritorno a quel che sappiamo fare meglio oppure c'e' dell'altro?
E poi siamo sicuri che il movimento global ha fallito, e perche' si e' liquidato per correre dietro al grande problema sociale del momento (precarieta')?
Io penso che ci sia una confusione di fondo.
A essere onesto anche io sono confuso. Ma provo a buttar giu' qualcosa.
Nonostante io sia un precario, non vedo come la risoluzione della precarieta' passi per una forma innovativa dell'organizzazione sociale. Esiste una sola soluzione alla precarieta': abolirla. Abolirla con lavoro fisso, o con reddito indiretto permanente. Cioe' ne piu ne meno che WellFare. Cioe' una parola vecchia vecchia da fordismo. Blahhh diranno in molti. Io, non credo pero' che le forme di auto reddito, queste invece supposte adeguate al contesto post-fordista, pensate per tamponare la precarieta' siano efficaci (generalmente la dilaniano mettendoci dentro anche un senso di fallimento da finto imprenditore). E non credo nemmeno che la soluzione di problemi di vita quotidiana, come ad esempio quello delle abitazioni, siano le occupazioni (generalmente queste aumentano stati di stress ansia e ambienti poco felici dove vivere). Chiarisco, saro' sempre solidale a chi fa autoreddito e chi occupa, magari l'ho fatto e lo faro' ancora, ma non le considero forme estendibili come soluzione generale.
A mio avviso lo scacco che viviamo e' il seguente, siamo precari e viviamo da schifo, facciamo sforzi di fantasia per porre all'attenzione questo tema (MayDay e similia) per non sentirci figli di nessuno, abbandonati. Ci accorgiamo pero' che tutto l'arnamentario concettuale che usiamo per creare questa attenzione "politica" (spesso infarcita di termini anglofoni, o a volte di cappellate che costano processi) e' inutile per la risoluzione del problema. Azz. Frustrazione. Forse, c'e' chi reagisce a questa frustrazione, imboccando
una scorciatoia, rievocando le geometrie dei cortei, le strategiche posizioni. Come se guadagnare protagonismo da striscione in una MayDay
supplisse al drammatico scacco in cui siamo. Gia' questo atteggiamento mi sembra scemo, se poi lo si accompagna con i bastoni, direi che diventa scemo al cubo.
Sarebbe dunque necessario riequilibrare almeno le parole che usiamo. Una MayDay e' una parade, una festa, per provare a conquistare visibilita' su un tema. Ma non si giocano al suo interno grandi questioni strategiche di indirizzo. La famosa frase retorica "ognuno con le sue differenze e i suoi contenuti" mi fa ridere.
Purtroppo, questo scarto tra atto di creazione dell'attenzione, che a volte diventa penetrazione mediatica, e definizione di una soluzione non si limita alla questione della precarieta', ma se vogliamo attraversa in pieno tutto il movimento: da Seattle alla guerra fino ad oggi. Perche' a volte ci stanchiamo quando i riflettori si spengono e la forma di progettazione, di costruzione di una soluzione all'interfaccia con la grigia politica, diventa noiosa. O forse piu' che noiosa, per noi cresciuti nei media, si pensa di non esistere piu': orror vacui.
Quello che e' sucesso alla percezione del movimento globale, e' proprio una forma di paura di esistere in forma diversa. Si e' detto che il movimento globale sia morto e se ne sono dimenticate le parole d'ordine. Ma le questioni globali non sono per nulla finite, vivono e prendono forma solo che noi, nella culla della presunzione ideologica e politica (perche' siamo cosi fieri che in Italia il '68 e' durato fino al '77) ce ne siamo dimenticati. Abbiamo bruciato il concetto di Impero, per approdare alla moltitudine e poi arrivare al precariato. E bruceremo anche questo. In questo scacco infinito.
A me fa paura questa bulimia da battaglia politica, questa visione modaiola della politica (chissa se e' un caso che abbiamo anche il mito di Serpica Naro), e mi fa ancora piu' paura la seriosita' che a ogni defile' di lotta come se fosse l'ultima spiaggia dell'evoluzione della societa'. O ora o mai piu'.


Ma forse sto troppo lontano, o sono un precario stupido, o forse vecchio.
O forse mi sta solo sul cazzo che qualcuno finisce all'ospedale in un giorno di
festa, e per spiegare la cazzaraggine delle persone, mi sono inventato questa narrazione da piscopatico.
Quindi non prendetemi troppo sul serio.


zinc




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Sterpone Fabio
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