pero ora aggiungo commenti acidissimi. non preoccupatevi e' solo che ho dormito male!
BENEDETTO VECCHI
Recentemente, le agenzie di stampa hanno diffuso una notizia passata pressochà inosservata. Con tono allarmato, alcuni presidi e docenti dell'Università La Sapienza di Roma si domandavano il perchà ci fosse stato una calo vorticoso di esami nell'anno accademico passato e quello in corso. Ma come, affermava un docente, gli studenti accettano di pagare tasse sicuramente alte rispetto a quando offre l'universitÃ, compiono temerari slalom per compilare adeguati piani di studio che tengano il ritmo infernale dei corsi e poi non si presentano agli appelli: come mai? La risposta potrebbe portare a seguire il sentiero già tracciato dalle molteplici analisi sulla crisi dell'università italiana.
La risposta e' che stiamo diventando un paese di analfabeti. e pure coglioni. visto che si paga e non si fanno gli esami.
Analisi divergenti certo, ma accomunate dalla stessa logica: le università possono evitare la deflagrazione solo se si sottomettono alle necessità del mercato del lavoro.
Ma siete sicuri? ma perche invece non ci domandiamo del fatto che la generazione attuale universitaria, e' proprio la generazione anni 80, cresciuta con l'idea che la modernizzazione siano tette e culi in televisione, o due pupazzetti in rete. a che serve formazione universitaria, perdipiu se ridotta cosi male ocn il 3+2? e poi sono i figli della bambagia, figli senza slancio. l'universita' ha avuto il boom
quando i figli delle classi basse volevamo salire, conquistare ricchezza, levarsi dalla melma, e il sapere era la via per farlo.
la generazione universitaria di oggi non ha il problema della scalata sociale. e si precaria ma con alle spalle ancora una generazione stabile. Aspettate qualche anno, gli effetti della crisi e poi tocchera scrivere un libro al contrario. Sempre che il sistema universitario non
sia distrutto dalla moratti.
Per l'autore di una ricerca condotta tra i precari dell'universitÃ, e ora raccolta nel volume Intelligenze fuggitive (manifestolibri, pp. 143, â 14), la spiegazione di tale crollo degli esami va invece cercata in quella sottrazione dalla vita universitaria che gli studenti mettono in pratica in forme e modi assai eterogenei tra loro. Perchà oramai l'università à un luogo di transito, dove sostare il meno possibile, magari intraprendendo strategie (opportunistiche o, all'opposto, solidaristiche) di sopravvivenza in una realtà che poco offre - un insieme di saperi parcellizzati -, ma molto chiede (in tempo e denaro).
Il libro di Gigi Roggiero, questo il nome del ricercatore che ha condotto l'inchiesta tra la ÂRete dei ricercatori precariÂ, non si occupa perà di studenti, ma appunto di precariato universitario, cioà di quell'insieme di ricercatori, docenti a contratto, assegnisti di ricerca che costituiscono la maggioranza della forza-lavoro intellettuale nell'universitÃ.
La necessità di conoscere questo mondo sotterraneo à nata durante le mobilitazioni dello scorso anno contro il progetto di riforma presentato da Letizia Moratti che prevedeva una istituzionalizzazione del lavoro a tempo determinato anche nella Âfabbrica dei saperiÂ. Per alcuni mesi, i ricercatori precari hanno rotto il velo che celava una situazione a dir poco inverosimile: le università italiane funzionano grazie soprattutto ai lavoratori precari che fanno ricerca con mezzi di fortuna (i laboratori, quando ci sono, sono dotati di tecnologie e strumenti a dir poco superati) e con un salario intermittente cosà come il lavoro. Ma se questa à la realtà della ricerca, non molto diversa à la situazione dell'insegnamento, dove sono all'opera un piccolo esercito di docenti a contratto, ricercatori e dottorandi che vanno in cattedra al posto di docenti di prima e seconda fascia (gli associati e gli ordinari). E tuttavia la battaglia di questi ricercatori precari non ha chiesto solo la fine di una condizione lavorativa segnata dal ricatto, dall'asservimento servile ai ÂbaroniÂ, ma ha chiesto un radicale mutamento dell'università italiana a partire dalla propria condizione di precari.
Il puzzle che viene composto nel volume restituisce certo un panorama noto, ma osservato da una prospettiva tanto Âparziale quanto politicamente radicale. La battaglia contro la precarietà à conducibile allora solo se vengono sovvertire le gerarchie e la logica dominante la Âfabbrica dei saperiÂ. Che ci sia un filo rosso tra l'autonomia universitaria, la riforma Zecchino-Berlinguer e le proposte di Letizia Moratti non à certo una novitÃ; che la deregolamentazione dell'accesso alla ricerca e alla docenza ha significato il dilagare a macchia d'olio della precarietà neppure, cosà come à noto che il dispositivo del Â3+2 ha legittimato un impoverimento dell'Âofferta formativaÂ. L'analisi di Gigi Roggiero consente dunque di mettere a fuoco alcune caratteristiche, e qui sta il valore conoscitivo e politico della ricerca, del lavoro intellettuale nelle università a partire dalla presa di parola dei ricercatori stessi.
CosÃ, la tendenza alla Âlicealizzazione dell'università si associa alla dequalificazione e, al tempo stesso, estrema frammentazione dei saperi funzionale alla costruzione di un sistema formativo organizzato su tre livelli: poli di eccellenza gestiti da imprese private, università statali di basso livello che devono Âsfornare forza-lavoro funzionale alla knowledge society e un terzo livello di Âalto rango prevalentemente pubblico, ma che conosce un'iniezione di capitale privato. Inoltre, l'accesso al sapere avviene ancora su Âlinee di classeÂ, anche se questa realtà à celata da una retorica meritocratica o, peggio, di efficienza aziendale. Questo non significa che l'università non sia pià di massa, bensà che à solo il Âcenso che apre le porte dei poli d'eccellenza pubblici, privati o a capitale misto. Condizione necessaria per questa modello di sistema formativo su tre livelli à ovviamente il tempo determinato per la forza lavoro intellettuale.
La precarietà à dunque l'habitat naturale di chi vuol fare ricerca, nonostante l'ideologia sulla knowledge society che assegna alla formazione e all'innovazione un ruolo determinante nella competizione economica mondiale. Ma per molti degli intervistati, in Italia i Âgiochi sono fatti e i ricercatori precari sono una Âperiferia accademica rispetto a un ÂcentroÂ, costituito da ÂbaroniÂ. Allo stesso tempo, la proprietà intellettuale - i brevetti, ma non solo - pià che attestare il grado di eccellenza delle facoltà scientifiche à uno strumento di governo della forza-lavoro: pià brevetti, pià puoi sperare nel rinnovo del contratto a tempo determinato.
ci mancava pure questa, "piu brevetti piu rinnovi il contratto": se ci fosse un ricercatore che fa due brevetti, starebbe gia alla bahamas
a prendere il sole altro che rinnovare il suo contratto!
Ma l'università à in ogni caso considerata una Âcasa comuneÂ, anche se gli intervistati continuano a pensarsi come ÂsingolaritÃÂ. Particolarità del lavoro intellettuale, diranno i piÃ, ma dal volume emerge invece la perdita definitiva dell'aura che ha circondato il lavoro intellettuale. La ricerca, come la docenza, puà appassionare e vedere una dilatazione inverosimile dell'orario di lavoro, ma à del tutto assente una nostalgia del passato, quando le ideologie della Âprofessione o dell'intellettuale che illuminava la caverna del vivere sociale svolgevano un ruolo fondamentale nel definire lo status del ricercatore o del docente.
perche ci sono i pupazzetti in rete.
I ricercatori attuali percepiscono se stessi come lavoratori della conoscenza gelosi, perÃ, della loro ÂsingolaritÃÂ, al punto che la tanto denunciata Âfuga dei cervelli à giudicata come una scelta individuale di autovalorizzazione (Âvado all'estero da precario, ma guadagno di pià e ho pià finanziamenti per la mia ricercaÂ).
si va all'estero proprio perche i rapporti mercantili sono piu forti, e ci pagano meglio!
comunque la scelta individualizzata e' veramente pesante. fatevolo dire. pero ti cascano le braccia quando vedi
le offerte di post-doc a livello europeo e non ce n'e' manco una in italia. oppure nei siti degli istituti
al link JobOpportunities non esiste una pagina di riferimento.......perche non si affronta il problema
in termini marxiani, tanto per iniziare: SOLDI. e poi si fa sociologia.
e sarebbe piu interessante dire: dove dovrebbero andare, e con che criteri, e con che tempi.
Allo stesso tempo, la richiesta di autonomia dell'università à affermata come sottrazione dalla logica mercantile che frammenta il sapere in base alle necessità della produzione. Questo perà non significa che non sono disponibili ad azioni collettive. Soltanto che immaginano forme di mobilitazione dove le Âsingolaritànon siano chiuse nella gabbia di una organizzazione basata sui princÃpi della rappresentanza. E disincantato à infatti il rapporto con i sindacati (nessuna inimicizia: si possono usare come una struttura di servizio). In altri termini, anche i ricercatori precari dell'universitÃ, proprio grazie alla Âparticolaritàdel lavoro svolto, sono intellegenze en general, cosi come lo à tutta la forza-lavoro.
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