Avete sicuramente letto ieri questa intervista a Morozov.
Morozov “I governi schiavi delle big tech così siamo tutti insicuri”

CrowdStrike, cioè il sistema di cybersicurezza che ha provocato il
black-out di ieri creando enormi disagi in tutto il mondo.
Morozov, basta davvero così poco per mandare il mondo in tilt?
«Quello che è accaduto ci pone di fronte a tre grandi questioni. La prima è
che la maggior parte dei servizi dell’economia globale è nella mani di
Microsoft. La seconda riguarda il fatto che quasi tutte le infrastrutture
digitali usano servizicloud,cioè lontani. La terza questione, è che le
grandi aziende come Microsoft optano per l’autoregolamentazione del settore
piuttosto che per una rigorosa supervisione da parte del governo.
Per questo per rendere i servizi sicuri sono necessarie società terze come
CrowdStrike».
Qual è l’alternativa?
«Abbandonare l’autoregolamentazione, sottoponendo tutte le infrastrutture
digitali allo stesso tipo di stress testche imponiamo alle banche dopo la
crisi finanziaria del 2008. Ma questo implica scelte e investimenti:
smettere di smantellare i dipartimenti IT (quelli che supervisionano
all’installazione e la manutenzione dei sistemi di rete informatica
all’interno di un’azienda,ndr),ha un costo».
Lei ha scritto molto di Google, Facebook, Twitter: cediamo continuamente
informazioni personali. Siamo ingenui, schiavi dell’algoritmo?
«La nostra dipendenza dalle aziende tecnologiche ha una lunga storia ed è
il risultato di un fallimento politico.
Dire che siamo schiavi dell’algoritmo significa minimizzare e banalizzare
il ruolo che la cattiva politica ha avuto nel lasciarci senza alcuna
opzione.
Con quale logica possiamo celebrare il fatto che per cercare alcune
informazioni di base su qualcosa che sta accadendo nel nostro quartiere,
chiediamo l’interazione con una società multinazionale con sede a Mountain
View, California, ovvero Google? È molto meno razionale di quanto pensiamo».
La paura, durante il black-out, è stata quella di un grande attacco
informatico: è uno scenario possibile?
«Periodicamente, qualcuno del settore della sicurezza informatica parla di
un «11 settembre digitale» o di una «cyber-Pearl Harbor».
Non si è verificato alcun evento del genere. Ed è ironico che l’esperienza
più vicina a un 11 settembre digitale sia stata questo incidente di
CrowdStrike: non un attacco, ma un malfunzionamento del software che
avrebbe dovuto proteggerci dall’attacco stesso».
Dopo episodi come quello di oggi, serve una riflessione: ma cosa si può
fare?
«Dobbiamo capire che la sicurezza informatica non è diversa dalla sicurezza
in quanto tale: è un bene pubblico. I giganti della tecnologia come
Microsoft hanno passato un decennio a promuovere idee come la “Convenzione
di Ginevra digitale”, che, nonostante il nome umanitario, mira in realtà a
privare i governi del potere di regolare il cyberspazio, delegando invece
le aziende private a farlo. Ed è ironico che l’azienda sia adesso finita
vittima della sua stessa retorica».



Il giorno sab 20 lug 2024 alle 19:28 Angelo Raffaele Meo <
angelo....@polito.it> ha scritto:

> carissimi,
>                       su La Stampa di oggi, Riccardo Luna, commentando il
> crollo di ieri del sistema mondiale delle Telecomunicazioni,
> si pone la domanda: "Saremmo più sicuri con un cloud di Stato?" e risponde
> immediatamente: "lo escludo".
> Io invece non solo non lo escludo, ma lo voglio. Non solo per ragioni
> ideologiche, ma concrete. Non è possibile che un piccolo baco di una
> piccola azienda di cui sino ad oggi ignoravamo l'esistenza  provochi un
> disastro di quelle dimensioni.
> Cosa ne pensate?
> Raf Meo
>

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