A fine 2011, alle soglie di una crisi sistemica delle banche europee ormai 
prossime a non poter rifinanziare il proprio attivo, Mario Draghi ha inventato 
un bazooka col silenziatore.
I MERITI DELL’OPERAZIONE

Politicamente preclusa era la possibilità, tecnicamente ineccepibile, di far 
cessare la crisi del debito sovrano con la sola forza di un annuncio, del tipo: 
“Al fine di salvaguardare la stabilità dei prezzi dell’area dell’euro e ridare 
normalità al meccanismo di trasmissione della politica monetaria, la Bce 
annuncia che intende mantenere il rendimento dei titoli di stato dei paesi 
dell’euro all’interno di un corridoio il cui limite superiore è uguale al tasso 
di rifinanziamento marginale + 200 punti base.” 
In alternativa, la Bce ha fatto ricorso a uno strumento politicamente meno 
sensibile. In due tranches (21 dicembre e 29 febbraio) l’operazione di Ltro 
(longer-term refinancing operation) ha assorbito, come collaterale, un’ingente 
quantità di poste all’attivo nei bilanci di quasi un migliaio di banche europee 
(compresi quei titoli non liquidi che per le loro caratteristiche non sono 
utilizzabili nelle operazioni interbancarie di pronti-contro-termine) in cambio 
di liquidità bancaria, ovvero riserve presso la Bce utilizzabili per regolare 
pagamenti intra-europei. Possiamo quindi tentare un bilancio degli effetti sui 
mercati, sulle banche, sull’economia reale, nonché delle ripercussioni sulla 
politica europea, tuttora alla ricerca di una nuova architettura istituzionale 
dell’euro.
Il merito dell’operazione di Ltro (forse accoppiata ad una buona dose di moral 
suasion) è di avere rimosso dall’orizzonte immediato lo spettro di una crisi 
bancaria di proporzioni enormi. Il rifinanziamento eccezionale dell’attivo 
delle banche con moneta della banca centrale ha superato, per alcuni istituti 
di credito francesi, spagnoli, portoghesi, irlandesi e italiani, il 10 per 
cento dell’attivo ed è anche comparso qualche segno di vita nel mercato 
interbancario. D’altra parte, gli effetti sugli spread sembrano essersi 
esauriti nelle ultime settimane e lo spazio per ulteriori riduzioni appare 
limitato.
Quel che non è ragionevole attendersi dall’operazione della Bce è che faccia 
ripartire l’economia reale. Il settore bancario è, per natura, pro-ciclico. La 
volontà delle banche di far crescere la propria leva finanziaria con nuovi 
prestiti alle imprese è funzione delle prospettive di fatturato delle imprese e 
del costo del rifinanziamento dell’attivo, e non della quantità di riserve 
presso la banca centrale. La liquidità che ha apparentemente “inondato” 
l’Europa è una questione contabile tra le banche e la Bce, come ha documentato 
Angelo Baglioni, e finalizzata a conservare l’operatività del sistema dei 
pagamenti. 
Al contrario, le prospettive di fatturato delle imprese continueranno a 
soffrire a causa dei programmi di austerità: per un indiscutibile effetto di 
natura contabile, aumenti fiscali e tagli di spesa non potranno che ridurre le 
attività finanziarie nette del settore privato, col probabile risultato di 
alimentare la propensione a non spendere il proprio reddito in beni di nuova 
produzione. E questo è esattamente ciò di cui l’Europa non ha bisogno. In 
alternativa, ci si può aggrappare alla domanda estera. Ciò equivale a sperare 
che ancora una volta l’Europa sia salvata dagli Stati Uniti, dove un disavanzo 
federale dell’8 per cento allenta i vincoli sulla spesa dei consumatori 
americani. 

I RISCHI VISTI DA BUNDESBANK

L’altro fattore a cui anche Draghi si è aggrappato è lo “straordinario 
miglioramento nelle condizioni di rischio” prodotto dal Ltro. Si tratta, 
tuttavia, più di un rischio rimosso (che avrebbe aggravato la situazione) 
piuttosto che di una risalita della fiducia al punto da produrre effetti 
positivi sulle decisioni di spesa. E, a proposito di rischi, rimane ambigua la 
posizione della Germania. Da una parte, Wolfgang Schaeuble (dunque il governo) 
ha dichiarato che l’operazione di Ltro non comporta i già paventati rischi di 
inflazione e ne ha apertamente apprezzato l’intelligenza. Dall’altra, Jens 
Weidmann (dunque la Bundesbank, o Buba, e quindi il partner più pesante 
dell’Eurosistema) sostiene che invece i pericoli per il contribuente tedesco ci 
sono, con ciò implicitamente alludendo a un’inadeguata gestione del rischio da 
parte della Bce. La Buba lo ha messo nero su bianco, chiudendo il proprio 
bilancio d’esercizio del 2011 con un utile di 600 milioni di euro, in netto 
calo rispetto ai 2,2 miliardi del 2010. 
Ogni banca centrale genera utili per il solo fatto di svolgere la funzione di 
monopolista dell’emissione di moneta, compito che la Bundesbank svolge 
all’interno dell’Eurosistema. Il solo reddito netto da interessi, fonte prima 
del cosiddetto “signoraggio”, ammonta a quasi 4,8 miliardi nel 2011. Ma la Buba 
ha pensato bene di accantonarne 4,1 in considerazione dei rischi relativi “alle 
operazioni di politica monetaria”. L’effetto immediato è stato una riduzione 
della somma annualmente trasferita dalla Buba nelle casse del governo tedesco. 
La decisione sembra rinnovare vecchie ruggini, già espresse a proposito delle 
regole dell’eurosistema nella distribuzione del signoraggio dopo l’ingresso 
della Grecia. Peraltro, l’articolo 33 dello statuto dell’Eurosistema che regola 
l’allocazione degli utili e delle perdite della Bce non sembra confermare le 
preoccupazioni della Buba, a meno che la banca centrale tedesca non abbia preso 
questa iniziativa per proteggersi da una dissoluzione della moneta unica.
Se i rischi paventati dalla Bundesbank hanno un sapore prettamente politico, le 
criticità che abbiamo ancora di fronte restano le stesse: il rigore a senso 
unico, l’irrisolta questione greca, nonché la possibilità, ripetutamente 
esclusa dalle dichiarazioni ufficiali ma che comincia a fare capolino, che 
altri paesi mostrino interesse per una soluzione greca di riduzione del debito: 
tassare i detentori di titoli per tagliare il debito.

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