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Subject: La gonfia, tumefatta vicenda dei #marò: due anni di
fascisteria, patacche e bombe al panzanio
Date: Tue, 11 Feb 2014 00:04:11 +0000
From: Giap


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La gonfia, tumefatta vicenda dei #mar: due anni di fascisteria, patacche e
bombe al panzanio

Posted: 10 Feb 2014 02:12 PM PST
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«La guerra è già scoppiata, marcondirondero / la guerra è già scoppiata,
chi ci aiuterà / La bomba è già caduta, marcondirondero / la bomba è già
caduta, chi la prenderà? / La prenderanno tutti, marcondirondero / sian
belli o siano brutti, marcondirondà / Sian grandi o sian piccini li
distruggerà / sian furbi o sian cretini li fulminerà.»

di Matteo Miavaldi (guest blogger)
Il caso Enrica Lexie, dopo due anni, si sta avvicinando alle fasi finali,
dopo una serie di rinvii e complicazioni diplomatiche, mistificazioni e
propaganda elettorale tanto in India quanto in Italia: elementi che hanno
aperto la strada alla “narrazione tossica” della vicenda dei due marò,
strapazzata da uninformazione generalmente superficiale e, in alcune
circostanze, platealmente nociva.
Poco più di un anno fa, qui su Giap, pubblicammo due lunghi(ssimi)
articoli, molto densi di dati e fonti, che smontavano punto per punto la
ricostruzione offerta da Il Giornale, Libero e Il Sole 24 Ore: una storia
che si basa sulle teorie raffazzonate del sedicente “ingegnere” Luigi Di
Stefano, dirigente nazionale di Casapound.
Quei due post si sono presto trasformati in uninchiesta collettiva, e
hanno
avuto un numero esorbitante di visite e condivisioni sui social media. Il
primo dei due è stato visitato da oltre mezzo milione di IP unici, e ogni
giorno continua ad attirare lettori.

Da quei post è nato anche un libro, presentato in giro per lItalia e
recensito su importanti testate nazionali.

Eppure, a distanza di un anno, la quasi totalità dei media nazionali finge
che quello smontaggio non abbia mai avuto luogo, e continua a raccontare
falsità e mezze verità, stravolgendo completamente lintera vicenda.
Limpianto complottista e sciovinista della “ricostruzione Di Stefano” si è
anzi arricchito di nuovi collaboratori, nuovi protagonisti e nuove bufale,
abbracciate con entusiasmo da diverse testate giornalistiche, programmi
televisivi, opinionisti e parlamentari.
Abbiamo individuato le principali criticità e incomprensioni di massa e
qui
sotto, per punti, proveremo a sciogliere la matassa spacciata per verità a
una fetta considerevole dellopinione pubblica italiana. Per tutte le altre
questioni, rimandiamo ai due post precedenti e, soprattutto, al libro.
1. Il peccato originale, ovvero: che ci facevano i marò sullEnrica Lexie?
Inserendo lincidente tra il peschereccio St. Antony e la petroliera Enrica
Lexie allinterno della lotta alla pirateria internazionale, limpressione
data in Italia è che lIndia  cercando di perseguire per legge loperato dei
due fucilieri  stia intralciando gli sforzi internazionali della Nato e
dellOnu a contrasto della pirateria, mettendo automaticamente a
repentaglio
limmunità di tutti i nostri soldati impegnati in missioni internazionali.
LItalia, con la Marina Militare, partecipa attivamente  da anni  a due
operazioni internazionali di contrasto alla pirateria: Atalanta,
dellUnione
Europea, e Ocean Shield, della Nato. Entrambe le operazioni si concentrano
in unattività dissuasiva e di monitoraggio del Mar Rosso e del golfo di
Aden, al largo della Somalia, dove il rischio pirateria è maggiore. I
militari, a bordo di navi da guerra, scortano i cargo di passaggio e
pattugliano le acque limitrofe.

Come si legge sul portale della Marina Militare:

«Il suo [dell'operazione Atalanta, ndr] mandato consiste nel proteggere le
navi mercantili che transitano da e per il Mar Rosso ed inoltre svolge
attività di scorta alle navi mercantili del Programma Alimentare Mondiale
delle Nazioni Unite, incaricate di consegnare aiuti alimentari in Somalia
[...] La Marina Militare partecipa allOperazione Ocean Shield con unità
navali inserite nella forza navale SNMG1 o SNMG2.»

Quindi lItalia, quando partecipa come nazione alle operazioni
internazionali di contrasto alla pirateria, lo fa con e su navi da guerra.
I marò a bordo dellEnrica Lexie, invece, tecnicamente non partecipavano a
nessuna missione internazionale.

Nel 2011 il Ministero della Difesa e Confitarma, la Confederazione
Italiana
Armatori, hanno firmato unintesa, seguita da una convenzione, che
permetteva, agli armatori che ne facessero richiesta, di imbarcare dei
Nuclei Militari di Protezione (Npm) formati da fucilieri di Marina,
impiegati in servizio anti pirateria a difesa, quindi, di navi commerciali
italiane, ma private (nel caso specifico della Lexie, di proprietà
dellarmatore Fratelli DAmico).

Una legge votata a larghissima maggioranza (493 voti favorevoli, 22
contrari, 15 astenuti) che lallora ministro della Difesa Ignazio La Russa
oggi rinnega a mezzo stampa, citando le perplessità espresse già nel
febbraio 2011.
La protezione delle attività commerciali su navi cargo italiane veniva
quindi appaltata a personale militare pagato, secondo quanto sancito
dalladdendum alla convenzione, 467 euro a testa per giorno di navigazione.
Questo, legalmente parlando, è il peccato originale commesso dallItalia:
aver esposto i propri militari in attività private che non rientrano in
operazioni internazionali, non vengono condotte su mezzi militari e
ricadono in una zona grigia del diritto in cui lIndia ha potuto, a rigor
di
legge, non applicare limmunità funzionale garantita al personale militare
allestero poiché difendere la merce e gli interessi di privati non
dovrebbe
essere il lavoro dei soldati, ma quello dei contractor.
Un unicum a livello internazionale molto pericoloso, come ha spiegato il
security advisor Antonio De Felice, in unintervista contenuta nel saggio I
due marò  Tutto quello che non vi hanno detto.

«Ad oggi [marzo 2013, ndr] nessun Paese occidentale consente a privati
armati di salire a bordo. Le uniche bandiere che hanno varato una legge in
tal senso sono Panama, Marshall Islands e Liberia, che da sole coprono
però
quasi il 75 per cento del tonnellaggio mondiale. In Europa, oltre
allItalia, gli unici Paesi che hanno accordato la presenza a bordo di
Nuclei militari di protezione sono il Belgio e la Francia, ma imponendo
condizioni di utilizzo molto ristrette. La Francia, ad esempio, utilizza
soldati del proprio esercito solo per difendere pescherecci che operano
nelle acque vicino Mahé, ex colonia francese nei pressi di Pondicherry, in
India sud orientale. In tal senso anche il peschereccio italiano Torre
Giulia, di proprietà Iat di Bari (Industria Alimentare Tonniera) e
associato a Federpesc, ha ammainato la bandiera italiana a favore di
quella
Francese.
Un discorso a parte deve essere fatto per la Spagna che ha modificato con
un Regio Decreto il proprio Testo di Pubblica Sicurezza introducendo la
possibilità per i privati autorizzati dal Governo spagnolo di imbarcarsi
con armi e materiali; tuttavia la norma studiata anchessa per la flotta
(due imbarcazioni) di pescherecci che incrociano nelloceano Indiano non è
mai stata presa in considerazione da alcun armatore rendendo di fatto la
norma inutile.
Ricapitolando: i contractor possono salire su navi battenti bandiera
panamense, liberiana e delle Isole Marshall; lItalia è lunico Paese ad
aver
legalizzato un uso così esteso delle proprie Forze Armate a bordo di
mercantili privati, esponendosi a rischi e conseguenze legali che il caso
Enrica Lexie esemplifica in tutta la sua gravità.»

Resisi probabilmente conto dellerrore, a seguito del groviglio Enrica
Lexie, Confitarma è riuscita a modificare la precedente convenzione col
Ministero della Difesa, inserendo tra le opzioni di ingaggio anche le
guardie giurate; i contractor, che sono dei privati e in caso di errori ne
rispondono penalmente in quanto privati, non in quanto organi dello Stato.
Nonostante lapertura, la Marina Militare gode comunque di una sorta di
diritto di prelazione: larmatore, secondo la convenzione, è obbligato a
chiedere in prima istanza la disponibilità di Npm della Marina; se la
Marina non potesse garantirne la disponibilità, allora il servizio
potrebbe
essere richiesto ai contractor.
Per questi motivi, equiparare lo status militare di fucilieri di Marina in
servizio su navi private a quello di soldati in missione internazionale –
siano essi uomini Nato o contingenti indiani in Congo, come piace
ricordare
a Fernando Termentini denunciando una diversità di trattamento strumentale
– è un errore di fondo, un eccesso di semplificazione utile a rimarcare la
presunzione di ingiustizia subìta. Creando questi presupposti, lIndia
diventa un paese arrogante che agisce disprezzando il diritto
internazionale, si muove per sotterfugi e manipolazioni delle prove,
approfittandosi della buona volontà di unItalia che in questa vicenda non
ha nulla da nascondere.
Il corrispondente tedesco di RTL Udo Gümpel, in una lunga discussione
sulla
sua pagina Facebook, ha rilevato che nel caso navi cargo ospitino a bordo
del personale armato, larmatore è tenuto a comunicarlo alle autorità
indiane prima di entrare nelle acque pertinenti della Zona economica
esclusiva (200 miglia nautiche), secondo la legge indiana SR-13020/6/2009,
“Pre-Arrival Notification for Security”, entrata in vigore il 29 agosto
del
2011 (quindi prima dellintesa tra Ministero della Difesa italiano e
Confitarma). Cosa che lEnrica Lexie non ha fatto.
I marò, quindi, si trovavano ben allinterno delle acque di competenza
indiana senza che le autorità locali ne fossero a conoscenza: circostanza
quantomeno bizzarra se si pretende un riconoscimento internazionale di un
accordo stipulato tra governo e armatori italiani.
2. Pirati, questi sconosciuti
Le coste del Kerala, stato dellIndia meridionale, nellimmaginario
collettivo italiano sono diventate una specie di Far West galleggiante
dove, secondo varie versioni, spararsi addosso durante la navigazione è
pratica comune: un mare “infestato” di pirati affrontati con la forza da
fucilieri italiani, vedette cingalesi, contractor greci e guardia costiera
indiana.

È necessario fissare una volta per tutte un punto centrale: al largo del
Kerala i pirati non ci sono.
Lo dicono da anni gli indiani, abbastanza risentiti del fatto che le
proprie coste occidentali rientrino nella cosiddetta zona ad alto rischio
pirateria individuata dagli assicuratori del trasporto cargo
internazionale, aumentando esponenzialmente il premio assicurativo per chi
naviga in quelle acque. Ma lo dicono soprattutto i dati oggettivi
dellInternational Chamber of Commerce, sezione Crime services, che ogni
anno raccoglie tutte le denunce di pirateria mondiali in un rapporto
globale.
In tutto il 2013 lungo le coste occidentali indiane si è registrato un
solo
episodio di pirateria. O meglio, seguendo la dicitura ufficiale adottata a
livello internazionale, di “piracy and robbery”. Il caso specifico,
verificatosi il 14 febbraio, ha interessato un cargo ancorato nei pressi
di
Kochi, che è stato abbordato da tre ladri intorno alluna di notte.
Svegliato dal rumore in coperta, un membro dellequipaggio ha dato lallarme
e i tre sono scappati, dopo aver arraffato quel che potevano dalla cambusa.
Nel 2012, lanno dellincidente, nella stessa zona si sono verificati solo
due episodi: un tentativo di rapina sventato il 15 febbraio – ed è il caso
della petroliera greca Olympic Flair – e una rapina riuscita il 30
novembre, quando tre ladri incappucciati sono saliti su una petroliera
rubando i beni contenuti nella cabina di comando e scappando non appena
lequipaggio, che stava dormendo, si è svegliato lanciando lallarme.
3. I topolini di Capuozzo
Toni Capuozzo
Il giornalista Toni Capuozzo è tra i volti più noti del panorama
televisivo
italiano ad aver fatto proprie le teorie di Di Stefano, ripresentandole
come Verità in una serie di servizi trasmessi dal Tg5 e in numerose
puntate
speciali del suo programma di approfondimento Mezzi Toni, affiancato ora
da
Luigi Di Stefano, ora da Stefano Tronconi, un “privato cittadino ex
dirigente dazienda che, nel tempo libero, si occupa del caso dei due marò”.
Capuozzo si rifà alle accuse irrealistiche mosse, lanno scorso, contro la
petroliera greca Olympic Flair, che secondo Di Stefano sarebbe la vera
responsabile della morte dei pescatori Binki e Jelastine. Unipotesi
abbondantemente sconfessata nel secondo articolo sulla vicenda pubblicato
qui su Giap che, segnalato a suo tempo a Capuozzo, è stato da lui
giudicato
inattendibile.
A confermare la tesi dellinnocenza Capuozzo aggiunge un nuovo tassello,
riportando la traduzione di unintervista rilasciata a caldo dal comandante
del St. Anthony, Freddy, che sostiene gli spari abbiano colpito la sua
imbarcazione alle 21:30 del 15 febbraio 2012: diverse ore dopo lo
scontro a
fuoco che interesserebbe lEnrica Lexie (16:30) e poco prima della denuncia
di attacco pirata sporta dalla Olympic Flair. In sostanza, i greci
avrebbero sparato e gli italiani, che non centravano nulla, sarebbero
stati
incastrati (secondo una teoria del complotto che smonteremo in seguito).

Dalle pagine online dellEspresso ho provato a far emergere linconsistenza
della teoria ricorrendo al buon senso:

«Il video utilizzato da Capuozzo è un estratto di un servizio andato in
onda su Venad News , un canale dinformazione del Kerala, ed effettivamente
pare proprio che Freddy dica 21:30, la traduzione è stata confermata da
amici fluenti in malayalam. Ma la stampa indiana non ha mai riportato
questa versione, così ci è venuto il dubbio che si trattasse di un
abbaglio, di una tara messa alle dichiarazioni di una persona in completo
stato di shock (Freddy arriva in porto alle 23, balbetta, mischia
malayalam
e tamil, ripete più volte le stesse frasi).»

Perché non riportare per intero le dichiarazioni di Freddy? Probabilmente
perché a tutti era noto che in quel momento il capitano stava
straparlando,
considerando il fatto che la stampa indiana era al corrente degli spari
contro il St. Anthony almeno dalle 20, ora in cui il Times of India
pubblica la breaking news sul peschereccio indiano, senza ancora essere in
grado di indicare lEnrica Lexie come sospettata numero uno. Le indagini
erano ancora in corso e, a beneficio dei complottisti, ricordiamo che
lOlympic Flair avrebbe denunciato il tentato abbordaggio solo alle 22:20,
due ore e venti più tardi. Quindi o la stampa indiana ha il dono della
preveggenza, oppure le parole in stato di shock di Freddy sono da prendere
con le pinze.
Ma in tutta risposta Capuozzo bolla il tutto come “una montagna che
partorisce un topolino”, sostenendo nella sua lettera pubblicata
dallEspresso che:

«a giustificare lo sbaglio del comandante del peschereccio che parla di
21.30, Miavaldi esibisce come un asso nella manica le breaking news del
Times of India, che informa dellincidente mortale attorno alle 20, e
dunque
molto prima dellora indicata dal capitano, e molto prima che il capitano
parlasse alle telecamere.


Dal pezzo di Miavaldi  si può risalire a quella notizia, così datata: 15
febbraio ore 8.04. Ma se guardate i commenti, che alle otto di sera
dovrebbero essere una valanga, vedete che il primo è di un certo Alwyn
alle
11.36. Guarda caso, pochi minuti dopo le dichiarazioni del capitano del
peschereccio alla televisione. Siccome non è difficile cambiare lora di
una
breaking news, forse è questo quello che è stato fatto al Times of India.
Dimenticandosi, purtroppo per loro, di cambiare lora dei commenti, e
lasciando così cadere nel vuoto una tragica notizia, senza nessuno che la
raccolga.»

Siamo sempre immersi nella teoria del complotto, pronti a difendere tesi
traballanti ricorrendo ad accuse – gravi  di manipolazione di dati. Come
se
un incidente avvenuto nella serata indiana fosse in grado, nel giro di
pochi minuti, di mobilitare immediatamente con efficacia svizzera le più
alte sfere della politica indiana, le forze dellordine e i gestori del
principale quotidiano indiano: tutti uniti per ordire trame oscure anti
italiane.

LEspresso ha avuto la gentilezza di ospitare una mia controreplica:

«Il vicedirettore del Tg5 sostiene che gli spari contro il peschereccio
St.
Anthony siano arrivati dalla petroliera greca intorno alle 21:30. LOlympic
Flair, sappiamo dalla denuncia che lei stessa avanza alle autorità intorno
alle 22:20, si trovava a poche miglia nautiche dal porto di Kochi: la
posizione è confermata dallInternational Chamber of Commerce
International
Maritime Bureau e dallInternational Maritime Organization, che inseriscono
levento nei propri database (pubblici).
Il peschereccio doveva quindi trovarsi da quelle parti, per entrare
nellipotetica traiettoria di tiro dei greci, e ci si troverebbe alle
21:30.
Quindi, con due membri dellequipaggio feriti a bordo, Freddy deciderebbe
inspiegabilmente di dirigersi non verso il porto più vicino, Kochi, ma di
fare rotta verso sud e tornare a Neendakara, nei pressi di Kollam, dove
attracca alle 22:40, pronto a pronunciare la dichiarazione che Capuozzo
utilizza come base della sua tesi, alle 23.
Kochi e Kollam distano, in linea daria, più o meno 125 km . Un volo di
linea sulla tratta Kochi-Kollam impiega 48 minuti ad arrivare a
destinazione, mentre lo stesso tragitto viene coperto, via terra, in
almeno
quattro ore.
La velocità massima di un peschereccio come il St. Anthony, mi dicono, si
aggira intorno agli 8 nodi; approssimando per eccesso, equivalenti a 15
km/h. Per raggiungere Kollam partendo dai pressi del porto di Kochi
sarebbero state necessarie  approssimiamo  almeno 8 ore, mentre Capuozzo
posiziona il St. Anthony nei pressi di Kochi alle 21:30 e, magicamente,
ricompare a Kollam unora e un quarto dopo.
Se sullattendibilità del Times of India possiamo avere delle divergenze
dopinione, forse sulla fisica e sulla geografia ci potremmo trovare
daccordo. A fugare ogni accusa al Times of India, ecco qui listantanea
dellarticolo scattata da WebArchive  archivio delle cache  proprio il 15
febbraio 2012. Il primo commento è di Kalyug (Usa) alle 8:55 pm. (guarda).»

Al momento della redazione di questo pezzo non è ancora pervenuta alcuna
replica né da Capuozzo né dai suoi collaboratori, più impegnati a
fantasticare sulla vera ragione che avrebbe spinto le autorità del
Kerala a
manipolare i fatti del 15 febbraio.
4. Complotto in Kerala
La narrazione della verità alternativa di Capuozzo, Di Stefano e Tronconi
si sviluppa a ritroso: partendo da dati oggettivi impossibili da confutare
dalle poltrone di casa propria, ci si inventa degli espedienti narrativi
in
grado di minare la veridicità dei documenti, uno su tutti il rapporto
interno della Marina stilato dallammiraglio Alessandro Piroli, che
Repubblica in esclusiva ha pubblicato parzialmente la scorsa primavera.
Nel rapporto si specifica che gli esami balistici condotti dalla
scientifica indiana alla presenza “silenziosa” di specialisti italiani
appartenenti allArma dei Carabinieri – i maggiori Luca Flebus e Paolo
Fratini – indicano la compatibilità dei proiettili ritrovati sullo scafo e
nei corpi dei due pescatori con i fucili in dotazione al nucleo di marò in
servizio sulla petroliera: le armi che avrebbero sparato sono
contrassegnate con le matricole di altri due fucilieri, Voglino e Andronico.

Si tratta di un calibro 5,56mm, ma la teoria Di Stefano (basandosi su
unapprossimazione di indiscrezioni non confermate) sostiene invece che gli
indiani abbiano per le mani un calibro 7,62mm e che i documenti finali
della perizia indiana – trasmessi anche sui nostri telegiornali
nazionali –
sono stati contraffatti, lanciandosi in una suggestiva indagine,
sviscerata
nel saggio I due marò – Tutto quello che non vi hanno detto, in
particolare
in questo passaggio illuminante per apprezzare la viralità della versione
di Di Stefano:

«La svolta dellesame balistico viene annunciata su tutti i Tg italiani il
14 aprile 2012. Il Tg1 e il Tg2 mandano in onda anche alcuni stralci della
perizia indiana.
Si tratta di un documento ufficiale, una prova definitiva che sarà presa
in
considerazione dalla Corte chiamata a pronunciarsi sulla colpevolezza o
meno dei due sottufficiali italiani. Gli indiani sostengono che i
proiettili calibro 5,56 mm ritrovati sul St. Antony e nei corpi dei due
pescatori siano stati sparati dalle armi in dotazione al Nucleo di
Protezione Marina sequestrate a bordo dellEnrica Lexie: 6 fucili SC
70/90 e
2 mitragliatrici Minimi, entrambi calibro 5,56 mm. Hanno fatto degli esami
in laboratorio, dei test di tiro, sotto gli occhi dei due specialisti dei
Carabinieri mandati dallItalia, e hanno raggiunto conclusioni che negano
quelle di Di Stefano.»

Allora il nostro ingegnere che fa? Si collega al sito della Rai, rivede le
puntate del telegiornale, fa degli screenshot delle parti in cui vengono
trasmessi i documenti della perizia, li analizza e sentenzia: la perizia è
contraffatta.

«Nel documento presentato da Tg1 e Tg2 come uno stralcio della “Perizia
Balistica” eseguita dalle autorità indiane appaiono evidenti segni di
falsificazione dei risultati.
Dette falsificazioni consistono nellaver modificato, in tempi successivi
alla prima stesura, gli elementi che indicano la responsabilità italiana
negli omicidi.
Elementi che evidentemente nella prima stesura erano diversi, altrimenti
non sarebbe stato necessario modificarli.»

Siamo al delirio di onnipotenza di unanalisi scientifica fatta dal fermo
immagine del Tg2 da un tizio che scova indizi e prove ingrandendo i pixel
di una fotocopia dal proprio pc di casa, per accusare di falsificazione le
autorità di un altro Stato.
Accuse di questo genere, che in un Paese normale sarebbero state
ignorate o
coperte dalle risate, in Italia diventano invece uno scoop, ripreso da
Lorenzo Bianchi sul Quotidiano Nazionale e da Gian Micalessin sul Giornale
del 19 aprile.

«Gli indiani la spacciano per la prova regina, la vendono come la pistola
fumante capace d’inchiodare i marò Massimiliano Latorre e Salvatore
Girone.
In verità le risultanze della perizia balistica passate ai giornali
indiani
e documentate il 4 aprile dai servizi del Tg1 e del Tg2 sono un
banalissimo
falso. Un falso confezionato alterando i risultati di una perizia capace
forse di scagionare i nostri due militari. Una bufala data in pasto a
giornali e televisioni per minare le certezze dei nostri diplomatici e
convincere l’opinione pubblica indiana e italiana della colpevolezza dei
nostri militari. A dimostrarlo è l’ingegner Luigi Di Stefano, un perito
giudiziario 60enne famoso per aver cercato di far luce sui misteri
dell’aereo dell’Itavia abbattuto nei cieli di Ustica.»
«Guardando il documento messo in onda il 4 aprile dal Tg1 e dal Tg2 –
spiega a Il Giornale il perito giudiziario – balza immediatamente agli
occhi che si tratta di un documento chiaramente contraffatto, realizzato
con due macchine da scrivere diverse. In quel documento notiamo delle
alterazioni evidenti. Ci sono delle cancellazioni, dei testi
sottotraccia e
dei timbri che non quadrano. Abbiamo davanti una perizia passata da più
mani dopo la sua stesura originale e alterata per dimostrare conclusioni
diverse e più favorevoli alla versione sostenuta dalla parte indiana.»

La versione del proiettile 7,62 viene sbandierata anche nella puntata
dello
scorso due febbraio di Matrix, programma condotto da Luca Telese, dove si
sostiene che il calibro sia in dotazione alla guardia costiera dello Sri
Lanka, «impegnata in una lotta a tutto campo contro i pescatori di frodo
indiani che spesso sconfinano nelle loro acque». Una panzana grottesca,
considerando che le coste del Kerala affacciano ad Ovest mentre lo Sri
Lanka si trova a Sud-Est rispetto ad un altro stato indiano, il Tamil
Nadu!
Gli scontri per le acque di pesca si verificano da anni tra il golfo di
Mannar e la baia di Palk, le acque che dividono lo Sri Lanka dal Tamil
Nadu. Il Kerala non centra nulla.
 
Pochi secondi dopo lo stesso servizio denuncia la “conclusione
unilaterale”
degli esami balistici indiani, che indicano invece un calibro 5,56,
“contestata dallItalia visto che agli esami non sono stati ammessi gli
esperti italiani”. Come visto sopra, si tratta di un falso: gli esperti
italiani cerano e lItalia non ha mai contestato ufficialmente lesito della
perizia balistica.
Cè spazio anche per la teoria della colpevolezza della petroliera greca
dellOlympic Flair. Insomma, il servizio ricalca tutta la tesi di Di
Stefano, e nel resto della puntata, durante il faccia a faccia tra Ignazio
La Russa e Nicola Latorre, nessuno contesta alcun punto della ricostruzione.

La mistificazione di Di Stefano, a Matrix è la realtà: gli indiani hanno
manipolato il caso.
Luca Telese
Una manipolazione delle prove di questa portata operata ad ogni livello
dalle autorità indiane doveva essere giustificata da un movente
eccezionale. Un movente politico, tratteggiato nei dettagli da Stefano
Tronconi e ripreso acriticamente da Toni Capuozzo, senza il minimo
fact-checking.
5. «Lo hanno fatto perché cera la campagna elettorale!»
Tronconi collega il chief minister del Kerala Chandy, in quota Indian
National Congress (partito di governo presieduto dall italiana” Sonia
Gandhi), al ministro nazionale della Difesa A.K. Antony, il predecessore
di
Chandy nello stato dellIndia meridionale.
Chandy, a causa di elezioni imminenti in Kerala, avrebbe chiesto ad Antony
di pilotare contro i marò le indagini della polizia del Kerala, così da
poter strumentalizzare la vicenda in campagna elettorale. Si profila
quindi
la tesi del rapimento di Latorre e Girone a fini politici e Antony –
parafrasando le parole di Tronconi pronunciate durante la puntata di Mezzi
Toni dello scorso 2 febbraio – sarebbe «la vera mente dietro il sequestro».

Anche Capuozzo, nel gioco delle parti di Mezzi Toni, ribadisce che la
manipolazione era avvenuta «alla vigilia di elezioni che [Chandy]
rischiava
di perdere».

Peccato che non abbiano mai detto di quali elezioni si trattasse.
16 settembre 2012. Il sindaco di Cervesina (PV) Daniele Fuso inaugura la
nuova sede della Croce Misericordia.
Come ricordato qualche tempo fa sul blog Elefanti a parte ospitato da East:

«Trattasi in realtà di elezioni supplettive della circoscrizione di
Piravom, previste per il 17 marzo 2012. In Italia, attraverso il prisma
lisergico della nostra stampa, le elezioni locali di una delle 140
circoscrizioni locali che compongono il Kerala si sono trasformate nelle
elezioni locali del Kerala, condizione di incertezza politica che ha
giustificato, agli occhi del pubblico italiano, il sospetto di
manipolazioni della faccenda dei marò a fini elettorali.
Il partito dellIndian National Congress (Inc), guidato nello Stato
meridionale indiano da Oommen Chandy, governa il Kerala dal 2011 e con la
storia dei marò italiani non ha mancato di mostrarsi un esecutivo a parole
duro e risoluto, capace di fare la voce grossa contro le potenze
occidentali per difendere i diritti del popolo. Tema centrale in India, ex
colonia britannica dove il revanchismo post-indipendentista è ancora molto
forte, specie negli strati sociali disagiati, e in particolare nel Kerala,
roccaforte comunista per decenni dove nel 1957, per la prima volta al
mondo, fu eletto democraticamente un governo comunista.

Oommen Chandy, a colloquio con De Mistura, il 23 febbraio, si mostra
inamovibile. Chandy esclude ogni spazio per eventuali trattative, dopo che
nei giorni precedenti ha descritto le azioni dei marò come un omicidio a
sangue freddo, promettendo al proprio elettorato duri provvedimenti legali.
Le elezioni della circoscrizione le vince lesponente dellInc, che porta a
casa 82.756 voti contro i 70.686 dellavversario del Left Front (lunione
dei
partiti comunisti indiani), ma più che per tirare la volata al candidato a
Piravom [...] le parole di Chandy sono rivolte allopposizione comunista
e,  più in generale, alle opposizioni di governo, pronte a
strumentalizzare
ogni minimo favoritismo accordato agli italiani dal partito dellInc
seguendo una strategia, in India, consolidata da anni.»

Secondo Tronconi e Capuozzo, quindi, lIndia si sarebbe infilata in una
gigantesca diatriba diplomatica per un seggio vacante nella circoscrizione
di Piravom dello stato del Kerala, stato abitato da 33 milioni di persone.
LIndia ne conta un miliardo e duecentodieci milioni, quindi il Kerala
conta
poco più del 2% della popolazione. A sua volta, Piravom ha 28.000
abitanti,
quindi lo 0,002% della popolazione.

In proporzione, è come se lItalia si fosse impelagata in una spinosa
querelle internazionale per influenzare le elezioni a Cervesina.

Insomma, se nessuno ha mai approfondito il dettaglio delle «elezioni del
Kerala», beh, adesso sapete il motivo.
N.d.R. I commenti a questa inchiesta di Miavaldi – che ringraziamo –
saranno attivati 72 ore dopo la pubblicazione, per consentire una lettura
ragionata e – nel caso – interventi meditati (ma soprattutto, pertinenti).

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patacche e bombe al panzanio appeared first on Giap.



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