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strategie per la comunicazione indipendente
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concordo molto con quanto dice albion in questo passaggio:

>penso sia il momento di uscire fuori dal guscio della contestazione e
>>della contrapposizione per iniziare a costruire una proposta>(indipendentemente dal 
>campo). Costruire una proposta e' un'azione
>>dialettica e quindi, che piaccia o no, dobbiamo imparare a parlare,
>>costruendo un nuovo vocabolario ed una nuova lingua.
..e questa e' un interessante proposta ;-)

dalla rivista "Libertaria"

ECONOMIA: UNA PROPOSTA LIBERTARIA di  Normand Baillargeon

Da circa un decennio è in corso un ampio dibattito sulle tesi per
un’economia partecipativa proposte da Michael Albert e Robin Hahnel, due
esponenti del movimento libertario statunitense. Qui Normand Baillargeon
ne sintetizza gli enunciati e le critiche avanzate. Albert e Hahnel,
rifacendosi al pensiero tradizionale dell’anarchismo (in particolare di
Petr Kropotkin e Michail Bakunin) propongono un’autogestione moderna
fondata sulla solidarietà e l’eguaglianza. Il tutto in un ambito delineato
da una pianificazione realizzata in base a decisioni decentrate espresse
da consigli di produttori e consumatori. Una tesi sicuramente da discutere
e che dovrebbe aprire un confronto sulle pagine di Libertaria. Baillargeon
è docente di filosofia dell’educazione all’università del Quebec di
Montréal.Tra i suoi libri più recenti:
L’ordre moins le pouvoir. Histoire et actualité de l’anarchisme (2000),
Les Chiens ont soif. Critiques et propositions libertaires (2001),
La 1ueur d’une bougie. Citoyenneté et pensée critique (2001).


Robin Hahnel, docente di economia all’u­niversità di Washington, e Michael
Al­bert, attivista americano molto noto, hanno elaborato, all’inizio degli
anni Novanta, un modello economico che hanno chiamato Par­tecipatory
Economics, o Parecon, e che io propongo ora di rendere con il termine
Eco­par. Questo ambizioso lavoro è abbastanza conosciuto negli Stati
Uniti, per lo meno nel­l’ambiente degli economisti “progressisti” e in
quello degli attivisti di tendenza libertaria. L’Ecopar si prefigge lo
scopo d’immaginare e rendere possibile la messa a punto di istitu­zioni
economiche che permettano la realizza­zione di funzioni precise,
attribuite a tali isti­tuzioni. ma nel rispetto di certi valori che, a
quanto gli autori affermano, sono per l’ap­punto quelli che la sinistra, e
più in specifico la sinistra libertaria, ha ritenuto e ritiene sem­pre
fondamentali.L’aspirazione di questo modello è la seguen­te: “Noi cerchiamo di definire
un’economia che distribuisca obblighi e benefici del lavoro sociale; che
assicuri il coinvolgimento dei membri nelle decisioni, in proporzione
degli effetti che queste hanno su di loro; che svi­luppi il potenziale
umano in vista della creati­vità, della cooperazione e dell’empatia; e che
utilizzi in modo efficiente le risorse umane e naturali nel mondo che
abitiamo: un mondo ecologico in cui s’incrociano reti complesse di effetti
privati e pubblici. In una parola: noi auspichiamo un’economia equa ed
efficiente che promuova l’autogestione, la solidarietà e la diversità”.In definitiva, 
l’Ecopar propone un modello economico da cui sono banditi
tanto il mer­cato quanto la pianificazione centralizzata (in quanto
istituzioni che regolano l’allocazione, la produzione e il consumo), ma
anche la ge­rarchia del lavoro e il profitto. In una simile economia,
consigli di consumatori e di pro­duttori coordinano le proprie attività
all’in­terno di istituzioni che promuovano l’incar­nazione e il rispetto
dei valori preconizzati. Per arrivarci, l’Ecopar si basa anche sulla
pro­prietà “pubblica” dei mezzi di produzione e su una procedura di
pianifi­cazione decentrata, de­mocratica e partecipati­va, attraverso la
quale produttori e consumatori fanno proposte di attività e le rivedono
fino alla determinazione di un piano che viene di­mostrato essere al tempo
stesso equo ed effi­ciente.
ANTECEDENTI TEORICI

La dimostrazione fornita dagli autori è stata così convincente che i
dibattiti e le discussioni attorno all’Ecopar hanno avuto come tema la sua
desiderabilità più che la sua fattibilità. Ri­tornerò in- seguito su
qualcuna di queste di­scussioni. Tuttavia pochissime analisi sono state
dedicate alle fonti teoriche di questo mo­dello economico, e anche i suoi
creatori non hanno sostanzialmente affrontato la questio­ne dei precedenti
teorici dell’Ecopar. E’ auspi­cabile che questa lacuna sia colmata, in
parti­colare perché mi pare molto probabile che una migliore
contestualizzazione storica e teo­rica potrà solo contribuire
significativamente a una valutazione più precisa delle poste in gioco e
degli eventuali meriti dell’Ecopar. Da parte mia, penso che questo lavoro
chiarirà come l’anarchia costituisca la principale fonte teorica
dell’economia partecipativa.In epigrafe alla loro opera, indubbiamente la più 
ambiziosa sul piano
teorico, gli autori hanno posto questa osservazione di Noam Chomsky:
“Voglio credere che gli esseri uma­ni abbiano un istinto di libertà, che
auspichi­no davvero di avere il controllo dei loro affari; che non
vogliano essere maltrattati, oppressi, comandati e così via; e che
aspirino soprat­tutto nell’impegnarsi in attività che abbiano senso, come
nel lavoro costruttivo che siano in grado di controllare, o almeno
controllare insieme ad altri. Non conosco nessun modo di provarlo. Si
tratta essenzialmente di una speranza posta in ciò che siamo, una
speran­za nel nome della quale si può pensare che se le strutture sociali
si trasformano in modo adeguato, questi aspetti della natura umana avranno
la possibilità di manifestarsi”.Questa speranza è indubbiamente quella che hanno 
nutrito gli anar­chici e
che pervade l’eco­nomia partecipativa. L’i­spirazione libertaria
del­l’Ecopar è diffusa (nel senso che impregna tut­to il modello) e anche
esplicita, perché alcune delle sue caratteristiche fondamentali sono
direttamente riprese dalla tradizione anarchica. Su questi due piani,
re­sta da fare un bilancio. Ma chi entra in con­tatto con l’Ecopar non può
fare a meno di no­tare la sua parentela intellettuale profonda con ciò che
Albert chiama “i valori e lo spirito di Pètr Kropotkin”.E’ antiautoritaria; attenta a 
realizzare l’e­quità delle condizioni e a
non far dipendere le eventuali ineguaglianze se non da variabili che non
dominino gli individui; propugnatri­ce di una concezione della libertà
come con­quista sociale e storica; opposta tanto al mer­cato quanto alla
pianificazione centralizzata. Nell’Ecopar si scopre anche l’influenza del
Kropotkin del Mutuo appoggio: un fattore di evoluzione che si
contrapponeva al riduzioni­smo biologico dei neodarwiniani sociali,
fa­cendo entrare in gioco un altro determinismo biologico, quello
dell’aiuto reciproco e della cooperazione. Albert e Hahnel scrivono:
“Fi­nora, la maggior parte degli economisti di professione sono stati
d’accordo sul fatto che sia la natura umana sia la tecnologia
contem­poranea vietino a priori delle alternative egualitarie e
partecipative. Essi hanno gene­ralmente sostenuto che una produzione
effi­ciente deve essere gerarchica, che solo un consumo ineguale può
fondare una motiva­zione efficiente e che l’allocazione può essere
realizzata solo dal mercato o dalla pianifica­zione centralizzata, e mai
da procedure par­tecipative”. L’Ecopar è uno sforzo soste­nuto per
dimostrare che tali affermazioni so­no concretamente contestabili e
moralmente inaccettabili.Un’altra influenza liber­taria rivendicata è quella di 
Michail Bakunin,
cui gli autori si ispirano nella loro critica alle economie a
pianificazione centrale. Si ricorderà l’importante dibattito che
contrappo­se Karl Marx al “Russo” in seno alla Prima inter­nazionale, al
termine della quale Bakunin pre­diceva la terrificante ascesa di una
“burocra­zia rossa” nei regimi co­munisti autoritari. Albert e Hahnel
sviluppano questa analisi nel loro esame delle economie a pianificazione
centrale, criticate perché al servizio di coloro che chiamano i
“coordina­tori”: intellettuali, esperti, tecnocrati, pianifi­catori e
altri lavoratori intellettuali che mono­polizzano l’informazione e
l’autorità nei mo­menti decisionali. Classe intermedia nel capi­talismo,
questi coordinatori hanno costituito la classe dominante nelle economie
del bloc­co dei paesi dell’Est. Se l’eredità libertaria dell’Ecopar è
innegabile e lucidamente assunta, sotto altri aspetti il la­voro di Hahnel
e Albert è sostanzialmente una rottura con questa tradizione libertaria.
Ad es­sa, sostanzialmente, rimproverano il fatto di non avere fornito
risposte precise, credibili e praticabili di fronte ai numerosi e
indubbia­mente reali problemi posti dal funzionamento di un’economia:
allocazione delle risorse, pro­duzione, consumo.
Le proposte anarchiche nel campo dell’economia, a loro parere, sono quindi
rimaste soprattutto affermazioni criti­che e negative: insomma, si sa
benissimo quel che gli anarchici rifiutano in materia d’istitu­zioni
economiche (le ineguaglianze di condi­zione, di reddito, di circostanza;
la proprietà privata dei mezzi di produzione; la schiavitù salariale e
così via); ma molto meno quello che preconizzano e i modi per giungere a
isti­tuzioni che sfuggano a quelle critiche e incor­porino i valori
libertari. Non è questo il luogo per esaminare in modo dettagliato questa
va­lutazione degli apporti della tradizione liber­taria nel campo
dell’economia e di deciderne la validità. Ricordiamo semplicemente che
soprattutto sul versante dei Consigli (idea che si può trovare esposta e
difesa, per esempio, nella tradi­zione dei soviet, del so­cialismo
ghildista, ma anche in Rosa Luxem­burg e ancor più in An­ton Pannekoek)
l’Ecopar troverà la propria ispirazione per la concettualiz­zazione delle
sue istitu­rioni economiche.Un’ultima osservazione sulle fonti dell’Ecopar: dopo aver 
conosciuto i
valori decantati dall’Ecopar, il lettore, forse, penserà subito anche al
socialismo utopico del diciannovesimo secolo, a quello di Charles Fourier,
per esempio. Hahnel e Albert, dal can­to loro, hanno rivendicato una
filiazione con le idee di Edward Bellamy (1850-1898), così poco noto da
indurmi a spendervi qualche parola.Bellamy ha pubblicato, nel 1888, un romanzo 
intitolato Looking Backward,
2000-1887, il cui titolo, del resto, ha ispirato quello dell’opera che
presenta l’Ecopar al grande pubblico. In questo romanzo, che ebbe a suo
tempo un immenso successo, Bellamy immagina gli Stati Uniti nell’anno
2000. Il paese vive in un regime socialista in cui l’industria è messa al
servizio dei bisogni umani e in cui l’attività economica si realizza
all’interno di istituzioni che favori­scono l’equità, la fraternità,
l’aiuto reciproco e la cooperazione. Critica virulenta del capitali­smo e
dei suoi devastanti effetti, dell’economia di mercato e dei suoi cantori,
il libro esce men­tre sono ancora vive le piaghe della crisi dello
Haymarket di Chicago e partecipa di ciò che sarà uno degli ultimi momenti
forti delle lotte operaie libertarie nell’America del Nord.
UNA SOLUZIONE CREDIBILE E PRATICABILE

Queste idee di Hahnel e Alberi sono state svi­luppate all’inizio in due
testi usciti nel 1991. Dopo questa data gli autori hanno abbondan­temente
presentato il loro modello a diversi pubblici e con diversi mezzi:
articoli, colloqui, conferenze, corsi, gruppi di lavoro e di discus­sione,
in particolare su internet. Lo hanno an­che difeso contro le diverse
obiezioni di cui è stato oggetto; hanno, infine, realizzato o con­tribuito
a realizzare diversi tentativi d’impian­tare i principi e le procedure
dell’Ecopar in al­cuni luoghi di lavoro che hanno cercato di fun­zionare
secondo i princìpi e i valori di questo modello.L’economia partecipativa vuole essere 
quindi intel­lettualmente credibile
e praticamente percorribi­le, senza cadere in nessuna delle trappole della
semplice e troppo facile denuncia moraliz­zatrice, a cui, come si può
concedere agli autori, la sinistra soccombe troppo spesso nelle sue
analisi e nelle sue proposte economiche. A questo proposito citerò ancora
Albert: “Sul piano economico, a sinistra, si arrivano a dire cose come
questa: la gente, nella mia società, consuma veramente troppo, ed è
orribile per questa o quella ragione; bisogna quindi abolire il consumo.
Oppure: la gente della mia società lavora, bisogna abolire il lavoro.
Invece di rico­noscere che c’è un certo numero di funzioni che una società
deve compiere. Il problema al­lora è sapere come farlo rispettando certi
valo­ri desiderabili. Molti ecologisti dicono: la Ge­neral Motors è
grande; quindi tutto ciò che è grande è negativo; bisogna pensare in
piccolo. Ma questa non è un’analisi: è una reazione. E falso, anche da un
punto di vista ecologico. La gente sente queste cose e se la ride, dicendo
che si andrà a finire in una società in cui non ci sarà abbastanza da
mangiare. Con ragione. Bi­sogna fare meglio”.Sarebbe presuntuoso pretendere di render 
conto in poche pagine di tutti
gli annessi e connessi di una simile proposta. Questo arti­colo, quindi,
si propone più modestamente di presentare in maniera concisa alcune delle
caratteristiche più importanti del modello, e poi di fornire le
informazioni che permettano di approfondire a chi vorrà saperne di più.
Dopo una traccia sommaria del modello eco­nomico, ricordo alcune delle
principali criti­che rivolte agli autori e gli argomenti con cui essi
hanno risposto a questi attacchi. Alla fine vengono proposte una
bibliografia e una in­ternetgrafia.
EFFICIENZA, EQUITÀ, AUTOGESTIONE, SOLIDARIETÀ, DIVERSITÀ

Quali criteri di valutazione conviene usare per giudicare le istituzioni
economiche? Pri­ma di proporre il loro modello, Albert e Hah­nel hanno
dedicato un importante lavoro per ri­spondere a questa do­manda . Al
termine delle loro analisi, pro­pongono un modello che definiscono di
preferenze endogene”, che sfocia in una sostanziale riformulazione dei
criteri valutativi abitual­mente presi in considerazione per giudicare le
economie. Per giungere rapidamente all’es­senziale, ricordiamo che essi
accettano l’opti­mum di Vilfredo Pareto come criterio dell’ef­ficienza
economica, ma che lo collegano a una concezione dei soggetti concepiti
come agenti coscienti, le cui preferenze e caratteri­stiche sono
suscettibili di svilupparsi e preci­sarsi con il tempo. Questa definizione
dell’ef­ficienza è il primo criterio considerato. Il se­condo è l’equità.
Anche la maggior parte degli economisti accetta questo criterio, e
l’Ecopar è immediatamente d’accordo sul fatto che si tratta di una
caratteristica desiderabile di un’economia. Ma Albert e Hahnel ricorda­no
anche quattro formule distributive con­correnti, corrispondenti a quattro
scuole di pensiero concorrenti, e che propongono al­trettante definizioni
di ciò che costituisce l’e­quità. Eccole.
•       Formula distributiva 1: pagamento secondo il contributo della persona e
secondo leproprietà da essa possedute.

•       Formula distributiva 2: pagamento secondo il contributo personale.

•       Formula distributiva 3: pagamento secondo lo sforzo.

•       Formula distributiva 4: pagamento secondo il bisogno.

La maggior parte degli economisti, com’è no­to, adotta le formule 1 o 2.
Gli anarchici, inve­ce, hanno molte volte espresso la loro prefe­renza per
la formula 4. Pur riconoscendo che bisogna tendere verso di essa, l’Ecopar
opta per la massima 3 e si costruisce quindi hic et nunc, a partire
dall’idea di remunerazione se­condo lo sforzo.Il        terzo criterio di valutazione 
è l’autogestio­ne. A questa sono dedicate
lunghe analisi. Anche in questo caso, per arrivare rapida­mente
all’essenziale, diciamo semplicemente che gli autori sfociano in una
definizione del­l’autogestione intesa come il fatto per cui la voce di
ciascuno ha un impatto su una deci­sione in proporzione a quanto sarà
toccato da questa decisione. Albert e Hahnel considera­no questa
definizione dell’autogestione come uno degli apporti più originali,
innovativi e gravidi di conseguenze dell’Ecopar.Il      quarto criterio di valutazione 
è la solida­rietà, intesa come la
considerazione uguale del benessere degli altri.Il quinto e ultimo criterio di 
valutazione è la diversità, intesa come
varietà degli outputs.Armati di questi criteri, chiediamoci che cosa si può pensare 
delle
istituzioni che ci si pre­sentano. Più precisamente, cercheremo di
determinare in quale misura delle istituzioni di allocazione, così come
delle istituzioni di produzione e di consumo, permettono, oppu­re no, di
avvicinarci a quei valori desiderabili che abbiamo posto. Al nostro esame
si offro­no due istituzioni allocative: il mercato e la pianificazione.
NE’ MERCATO NE’ PIANIFICAZIONE CENTRALE

La critica del mercato occupa una parte im­portante del lavoro preliminare
compiuto da­gli autori. Al termine, concludono che il mer­cato, lungi
dall’ essere quell’ istituzione social­mente neutra ed efficiente di cui
talvolta si vantano i pregi, erode inesorabilmente la so­lidarietà,
valorizza la competizione, non informa adeguatamente sui costi e i
benefici sociali delle scelte individuali (in particolare con l’
esternalizzazione), presuppone la gerar­chia del lavoro e alloca male le
risorse dispo­nibili. Per riassumere più semplicemente la posizione a cui
arrivano gli autori, ecco quel che mi dichiarava Albert nel corso di un
re­cente colloquio: “Il mercato, anche a sinistra, non è praticamente più
oggetto di critiche, fino a tal punto la propaganda è riuscita a
con­vincere tutti e ciascuno dei suoi benefici. Io penso che il mercato
sia una delle peggiori creazioni dell’umanità. Il mercato è qualcosa la
cui struttura e la cui dinamica determina la creazione di una lunga serie
di mali, che van­no dall’alienazione ad atteggiamenti e com­portamenti
antisociali, passando per una di­stribuzione ingiusta della ricchezza.
Sono quindi un abolizionista dei mercati, anche se so che non spariranno
domani, ma lo sono al­lo stesso modo in cui sono un abolizionista del
razzismo”. La pianificazione centrale, co­me istituzione di allocazione,
non passa mol­to meglio il test che le fanno subire i nostri cinque
criteri di valutazione. Si riconosce ge­neralmente che un sistema di
allocazione at­traverso la pianificazione, per essere efficien­te, deve
soddisfare un certo numero di vincoli preliminari. In particolare, i
decisori devono conoscere e padroneg­giare l’informazione necessaria per
effettuare i calcoli che permettono l’elaborazione del piano e per poter
imporre gli incentivi che as­sicureranno l’adempimento dei rispettivi
compiti da parte degli agenti economici. La maggior parte degli economisti
contempora­nei rifiuta di ritenere possibili questi vincoli preliminari ed
è d’accordo con Ludwig von Mises e i neoclassici: l’impossibilità di
am­metterli in teoria segnala l’impossibilità prati­ca delle economie a
pianificazione centrale. Albert e Hahnel dimostrano a loro volta che anche
se si concedono queste improbabili premesse, economie di questo genere
saran­no sempre inaccettabili dal punto di vista dei criteri di
valutazione che essi propongono. Se il mercato distrugge sistematicamente
la soli­darietà, la pianificazione centrale distrugge sistematicamente
l’autogestione, impedisce la determinazione da parte di ciascuno di
preferenze personali che tengano conto in modo ragionevole delle
conseguenze sociali delle proprie scelte. Insomma, la pianificazio­ne
centrale promuove l’ascesa di una classe di coordinatori, oltre a generare
risultati mol­to miseri.Se quest’analisi è giusta, né il mercato né la pianificazione
centralizzata possono produr­re risultati conformi ai criteri di
valutazione proposti. Bisogna quindi inventare una nuova procedura di
allocazione: è ciò che si propone appunto l’Ecopar.

PRODUZIONE, PROPRIETÀ, CONSUMO

Com’è, a questo punto, la situazione delle istituzioni di consumo e di
produzione? An­che ora conviene giudicarle alla luce di criteri di
valutazione, per decidere se quelle esisten­ti possano essere adatte a
un’economia par­tecipativa.La proprietà privata è il primo candidato al ti­tolo di 
istituzione della
produzione. Nella sua accezione liberale, la libertà d’impresa e il
di­ritto di godere senza vincoli dei frutti della propria attività sono
considerati congiunta­mente come fondamentali, anzi naturali, al-meno
nelle versioni naturaliste del liberali­smo. Questa libertà economica
sarebbe inol­tre al centro delle libertà politiche. I criteri di
valutazione che abbiamo ricordato ci indica-no già che l’Ecopar, optando per una 
defini­zione della libertà economica
intesa come autogestione, rifiuta la proprietà privata dei mezzi di
produzione, in quanto mina al tem­po stesso l’autogestione, la solidarietà
e l’e­quità, nella misura in cui non remunera se­condo lo sforzo e adotta
piuttosto la prima formula distributiva.Infine, in nome dell’equità e della 
solidarietà, un’economia partecipativa
rifiuterà ogni or­ganizzazione gerarchica del lavoro, anche se fosse
instaurata all’interno dei luoghi di pro­duzione detenuti collettivamente.
Resta da provare che la produzione possa rimanere ef­ficiente pur essendo
non gerarchica. Ci torne­remo.Concludiamo con un esame delle istituzioni di consumo. 
Le economie
esistenti dedicano loro pochissime analisi e l’accettazione di
ca­ratteristiche gerarchiche nella produzione porta con sé l’accettazione
di un consumo ineguale. Un’economia partecipativa pro­porrà quindi delle
istituzioni e delle relazioni di consumo non gerarchiche, che permettano
una partecipazione equa alla produzione.Il problema della produzione, così come si 
presenta in un’economia
partecipativa, con­siste essenzialmente nell’assicurare una de­mocrazia
partecipativa nei luoghi di lavoro:una democrazia attraverso la quale siano escluse le 
relazioni gerarchiche
e rispettati i criteri di valutazione sostenuti da una simile economia,
garantendo anche che ciascuno sarà in grado di avere una parte reale e
signi­ficativa nel prendere le decisioni.Sono un’altra volta costretto ad andare 
velo­cemente all’essenziale, per
arrivare diretta­mente, al di là dell’argomentazione che vi conduce,
all’idea di balanced job complex, concetto che propongo di rendere con
“insie­me equilibrato di compiti”. Si tratta di una delle maggiori
innovazioni dell’Ecopar.

INSIEME EQUILIBRATO DI COMPITI

La proposta in fondo è molto semplice. All’in­terno dei luoghi di
produzione di una Ecopar, nessuno, propriamente parlando, occupa un posto,
almeno nel senso in cui è inteso di solito questo termine. Ciascuno si
occupa piut­tosto di un insieme di compiti, che dal punto di vista dei
vantaggi, degli inconvenienti e an­che dell’impatto sulla capacità del suo
titola­re di prendere parte alle decisioni del consi­glio dei lavoratori,
è paragonabile a qualsiasi altro insieme equilibrato di compiti
all’inter­no di quel luogo di lavoro. Inoltre, tutti i com­piti che
esistono in seno a una società che funzioni secondo l’Ecopar saranno
global­mente equilibrati e succederà anche, per fare ciò, che dei
lavoratori debbano svolgere dei compiti all’esterno del loro luogo di
lavoro.I creatori dell’Ecopar dedicano molto spazio, energia e ingegnosità per
difendere questa idea, per dimostrare che non è solo auspica­bile in
teoria, ma anche possibile ed efficiente in pratica per equilibrare in tal
modo i compi­ti di produzione svolti in seno a un’economia. Più
precisamente, il loro repertorio di argo­mentazioni tende a dimostrare che
questa maniera di fare è efficiente, equa e garantisce il rispetto dei
valori preconizzati: a comincia­re, ovviamente, dall’autogestione, di cui
è una condizione necessaria. Due argomenti sono per lo più invocati contro
questa prati­ca.  Vorrei ricordarli a questo punto per far ve­dere come vi
rispondono i propugnatori del­l’Ecopar .Secondo un primo argomento, se è plausibile 
pensare, come del resto incita
a fare un’im­ponente letteratura, che il fatto di permettere ai lavoratori
di avere una parola da dire sui loro compiti accresca l’efficienza del
lavoro e la sua desiderabilità agli occhi di chi lo com­pie, la proposta
di costruire degli insiemi equilibrati di compiti va molto al di là e
tra-scura due elementi capitali del problema: la rarità del talento e il
costo sociale della for­mazione. La proposta, quindi, sarebbe
inefficiente. Questo argomento è spesso chiamato quello del ((chirurgo che
cambia le lenzuola dei letti dell’ospedale)): all’inizio è apparso sotto
questa forma. Certo, il talento richiesto per diventare chirurgo è
senz’altro raro e il costo sociale di questa formazione elevato. C’è
quindi senz’altro una perdita di efficienza nel richiedere al chirurgo di
fare qualcos’altro oltre alle operazioni chirurgiche. Tuttavia, è anche
vero che la maggior parte della gente possiede talenti socialmente utili,
il cui svi­luppo implica un costosociale. Un’economia ef­ficiente utilizzerà e 
svilupperà questi talenti in
maniera tale che il costo sociale dell’assol­vimento dei compiti
abitudinari e meno inte­ressanti dipenderà poco da chi li realizza. Quindi
dalle premesse poste, il fatto che un chirurgo cambi le lenzuola non
presenta un costo sociale globale proibitivo.Un altro argomento usato correntemente 
contro gli insiemi equilibrati di
compiti so­stiene che la partecipazione promossa attra­verso questa
procedura si eserciterà a scapito della perizia e della parte
preponderante che le compete necessariamente nel prendere de­cisioni, in
particolare se i temi dibattuti sono complessi. In effetti, l’Ecopar non
nega affat­to il ruolo della perizia, ma se questa è prezio­sa per
determinare le conseguenze delle scel­te che possono essere fatte, rimane
muta quando si tratta di determinare quali conse­guenze sono preferite e
preferibili. Se l’effi­cienza presuppone che degli esperti vengano
consultati sulla determinazione delle conse­guenze prevedibili delle
scelte (in particolare quando queste sono difficili da determinare) essa
esige anche che coloro che dovranno su­birle facciano conoscere le loro
preferenze.DECISIONE DECENTRATA

Che cosa produrranno questi luoghi di lavoro sarà determinato dalle
richieste formulate da consigli di consumo. Ogni individuo (famiglia o
unità) appartiene a un consiglio di consu­mo di quartiere; ognuno di
questi consigli ap­partiene a sua volta a una delle tante federa­zioni,
che sono riunite in strutture sempre più inglobanti e ampie, fino al
consiglio na­zionale. Il livello di consumo di ciascuno sarà determinato
dalla terza formula distributiva, ossia la remunerazione secondo lo
sforzo, che è valutato dai compagni di lavoro. Così, il meccanismo di
allocazione consiste in una pianificazione partecipativa decentrata.
Con­sigli di lavoratori e consigli di consumo fanno delle proposte e le
rivedono nel quadro di questo processo, che è stato oggetto di un la­voro
considerevole da parte dei creatori del­l’Ecopar, che sono giunti a
costruirne un mo­dello formale. In questo, fanno uso in parti­colare di
procedure iterative, propongono re­gole di convergenza e mostrano che
strumenti di comunicazione come i prezzi, la misura del lavoro, e anche
informa­zioni qualitative, possono essere utilizzate per arrivare a un
piano efficiente e democra­tico. Albert e Hahnel ritengono infatti che la
“specificazione di questa procedura costitui­sca [il loro] contributo più
importante allo sviluppo di una concezione e di una pratica economica
libertaria ed egualitaria”.Queste proposte sono state recepite, com’è immaginabile, in 
modo diverso.
Pensiamo che sia venuto il momento di esaminare alcu­ne delle critiche che
sono state loro rivolte.
ALCUNE CRITICHE E QUALCHE RISPOSTA

Parecchie critiche seguite alla pubblicazione delle opere di Hahnel e
Albert hanno rinun­ciato a sostenere che un’economia libertaria e
partecipativa sia tecnicamente impossibile, per tentare piuttosto di
dimostrare che una tale economia non è desiderabile. Fra i nu­merosi
argomenti tirati in ballo, ne esaminerò tre .Secondo il primo, l’Ecopar tiene troppo 
poco in considerazione la libertà.
Queste critiche riconoscono che, in una Ecopar, ognuno sarebbe libero di
appartenere a un consiglio di lavoratori di sua scelta, che lo accetterà,
op­pure di formare un consiglio con chi deside­ra. Tuttavia pensano che
l’Ecopar sacrifichi troppo la libertà personale per dei fini meno
importanti. Questo argomento ha ricevuto una formulazione esemplare ad
opera di un economista socialista molto noto, Tom Weis­skopf, propugnatore
di un socialismo di mer­cato. Secondo lui, l’Ecopar e quel socialismo di
mercato, ambedue realizzabili, si contrap­porrebbero in fondo per una
ragione di ordi­ne etico e filosofico. Il primo modello per-metterebbe il
raggiungimento di valori soste­nuti tradizionalmente dalla sinistra
(equità, democrazia, solidarietà), mentre il secondo incarnerebbe valori
“libertarians” [conosciuti anche come anarcocapitalisti] più recente­mente
apparsi come altamente desiderabili:libertà di scelta, vita privata, sviluppo dei 
ta­lenti e attitudini
personali. Pur ricordando che l’Ecopar comprende strutture che permetto­no
di preservare la vita privata e che promuove un concetto sostanziale di
libertà individuale, mi sembra che si debba accettare di situare la
discussione laddove la si-tua Weisskopf, ossia su un piano filosofico ed
etico: l’Ecopar concepisce senz’altro la libertà come un concetto
eminentemente sociale e pone dei vincoli alla libertà individuale che
consegue dai valori che essa sostiene. Un “li­bertarian” deplorerà che
nell’Ecopar sia im­possibile assumere qualcuno, come avrebbe deplorato che
si sia messa fine alla possibilità di un essere umano di possederne un
altro, attentando così alla libertà del proprietario di schiavi. Ma la
difficoltà e il problema sollevati da Weisskopf esistono realmente e
meritano di essere profondamente meditati e dibattuti. Pat Devine ha
sostenuto invece che l’Ecopar presuppone che si dedichi un tempo
eccessi­vo alle riunioni. A questo argomento è molto più facile
controbattere. Infatti, basta far no­tare che, nelle nostre economie, il
tempo de­dicato a riunioni (essenzialmente da parte delle élite) è già
così notevole che L’Ecopar può solo diminuirlo: semmai lo distribuirà in
maniera più equa, garantendo che ciascuno prenda parte alle decisioni che
lo riguardano. Un ultimo argomento sostiene che l’Ecopar non sia in grado
di motivare adeguatamente gli attori del sistema. Bisogna senz’altro
am­mettere che l’Ecopar, adottando il criterio di­stributivo di una
remunerazione secondo lo sforzo, esclude fin da subito l’essenziale degli
incentivi materiali ai quali siamo abituati e cerca di massimizzare il
potenziale motivante degli incentivi non materiali. Detto questo, si può
pensare che dei compiti immaginati da coloro che li eseguono saranno più
gradevoli dei ruoli definiti da un processo gerarchico, e che il fatto di
sapere che ciascuno contribui­sce in maniera equa alla produzione inciterà
a compiere più volentieri i compiti meno gra­devoli di un insieme
equilibrato di compiti, poiché ciascuno compirà, salvo le variazioni del
caso, una somma simile di compiti meno gradevoli. Inoltre, la valutazione
dello sforzo consentito effettuata dai pari costituisce sicu­ramente un
incentivo materiale, poiché de­termina il livello di consumo a cui
ciascuno ha diritto. Ma resta vero che l’Ecopar valoriz­za degli incentivi
ai quali finora si è accordato soltanto uno scarso valo­re: il rispetto e
la stima altrui, il riconoscimento sociale. La scommessa dell’Ecopar,
secondo me ragionevole, è che questi incentivi saranno ancor più efficaci
della ricerca del profitto.
UN ALTRO MONDO È POSSIBILE

Alec Nove, un economista progressista ame­ricano contemporaneo, formulava
negli anni Ottanta la conclusione a cui, lui come altri, era arrivato: “In
una economia industriale complessa, le interrelazioni fra le diverse
componenti non possono, per definizione, essere fondate se non su
contratti liberamen­te negoziati, oppure su un sistema costrittivo di
direttive provenienti da uffici di pianifica­zione. Non c’è una terza via.
La prima opzio­ne, come si sarà immaginato, è quella del mercato; la
seconda, quella della pianifica­zione centrale. È così che il
riconoscimento del fallimento della pianificazione centrale ha condotto
tanti teorici a pensare che il merca­to sia ormai l’unica istituzione
economica possibile, e che i progressisti debbano accon­tentarsi di
socializzarlo oppure di corregger­ne i difetti più stridenti, per esempio
attraver­so la proprietà pubblica delle imprese. Si può affermare che
l’ambizione dell’Ecopar sta tutta nel dimostrare nell’esistenza di una
ter­za via, e che questa è proprio la strada intui­ta, in particolare,
dagli anarchici. L’Ecopar si sforza quindi di dimostrare di essere
un’alter­nativa credibile e praticamente realizzabile, specialmente
rispondendo alle difficili do­mande che i predecessori lasciavano senza
ri­sposta: come si arriva alle decisioni da pren­dere? Come possono, delle
procedure demo­cratiche, produrre un piano coerente ed effi­ciente? Come
vengono motivati i produttori? E via di seguito...Naturalmente, non è certo che le 
risposte del­l’Ecopar siano quelle giuste
sul piano teorico, né che siano valide sul piano pratico. Ma per lo meno
delle risposte ci sono. Queste rispo­ste sollevano a loro volta numerose
domande e numerose poste in gioco, filosofiche, politi­che, sociologiche,
antropologiche. Uno dei grandi meriti dell’imponente lavoro compiu­to da
Albert e Hahnel è, a mio parere, quello di permettere di porle, e spesso
in maniera nuova. L’Ecopar contribuisce così a pensare che un altro mondo
è possibile, e questo nel momento in cui il fatalismo conformista
cor­rente ci presenta ingannevolmente l’ordine delle cose umane come se
fosse necessario.Infine, l’Ecopar ci aiuta a precisare ciò per cui lottiamo e a 
formulare
delle risposte alla do­manda che viene inevitabilmente posta a co­loro che
lottano: “Ma allora, a favore di cosa siete, voi?”.Queste risposte sono plausibili? 
Anche a que­sto riguardo c’è un’ampia
materia di discus­sione. Questo articolo avrebbe raggiunto lo scopo che
ambiva di realizzare se il mio letto­re, la mia lettrice, avesse ora il
desiderio, se non di prendere parte a questo dibattito, al­meno a
interessarsene.
traduzione di
Alberto Panaro


Questo articolo è illustrato con opere di Piet Mondrian, olandsese che ha
avuto la ventura di vivere tra il 1892 e il 1944. È’, tra gli
astratti­sti, apparentemente il più rigoroso e formale. Ma amava il jazz,
il ritmo, improvvisava su temi di colore puro. Se nelle sue opere
percepite un grande ordine formale (e se siete d’accordo con Elisée Reclus
che l’anar­chia “è la più alta espressione dell’ordine”) Mondrian ha
certamente dipinto l’anarchia.



BIBLIOGRAFIA

§       Alcuni scritti di Michael Albert e Robin Hahnel.
§       Michael Albert e Robin Hahnel, Unorthodox Marxism, South End Press,
Boston 1978.§   Michael Albert e Robin Hahnel, Marxism and Socialist Theory South End
Press, Boston 1981§     Michael Albert e Robin Hahnel, Quiet Revolution in Welfare 
Economics,
Princeton University Press, Princeton 1990.§    Michael Albert e Robin Hahnel, Looking 
Forward: Partecipatory Economics
for the Twenty First Century, South End Press, Boston 1991.§    Michael Albert e Robin 
Hahnel, The Politic Eco­nomy of Partecipatory
Economics, Princeton University Press, Princeton 1991.§ Michael Albert e Robin Hahnel, 
Socialism As It Was Alwais Meant To Be,
in Review of Radical Political Economics, XXIV, n. 3-4, 1992.§  Michael Albert e Robin 
Hahnel, Partecipatory Planning, in Science and
Society Spring 1992.§   Robjn Hahnel, The ABC of Political Economy, South End Press, 
Boston 1999.


DISCUSSIONI CRITICHE SULL’ECOPAR

§       Normand Baillargeon, Michael Albert: l’autre économie, in Le Devoir,
Montréal, 16 giugno 1997, page B 1. http://www.smartnet.ca/
users/vigile/idees/philo/baillargeonMAl­beri, html§     Sam Bowles, What Markets Con 
and Cannot, in Chalienge, luglio-agosto 1991
§       Pat Devjne, Democracy ami Economic Pianning Westview Press, Boulder, 1988.
§       Pat Devine, Markets Socialism or Partecipatory Piannìng?, in Review of
Radical Political Econo­mics, n. 3-4, 1992.§    Nancy Folbre, Contribution to “A 
Roundtable on Partecipatory Economics”,
in Z Magazine, lu­glio-agosto 1991.§    Mark Hagar, Contribution to “A Roundtable on 
Partecipatory Economics”,
in Z Magazine, lu­glio-agosto 1991.§    William M. Mandel, Socialism: Feasibility and 
Reality, in Science and
Society, LVII, n. 3, 1993.§     Alec Nove, The Economics of Feasible Socialism 
Revisited, Harper-Collins
Academic, Londra, 1990.§        David Schweickart, Socialism, Democracy, Market and 
PIanning: Putting
the Pieces To­gether, in Review of Radical Political Economics, XXIV, n.
3-4, 1992.§     David Schweickart,  Àgainst Capitalism, Cam­bridge University Press,
Cambridge, 1993.§       Thomas Weisskopf, Toward a Socialism for the Future in the 
Wake of the
Demise of the Sociali­sme of the Past, in Review of Radical Political
Economics, XXIV, n. 3-4, 1992.

RETE INTERNET
La cosa più semplice è andare prima di tutto sul sito internet di Z
Magazine, il mensile animato da Michael Albert: www.zmag.org. Vi si
troverà una ricca sottosezione dedicata all’economia partecipativa,
direttamente a: http://www.pare­con.org. Le teorie e le pratiche
dell’Ecopar viso­no trattate abbondantemente e vi si trova una quantità
impressionante di indirizzi, che per­mettono di conoscerne e di
approfondirne (quasi) tutti gli aspetti. Sullo stesso sito internet si
troveranno numerosi forum di discussione. Tre di essi, almeno, permettono
di discutere specificamente l’Ecopar: AskAlbert, prima di tutto, in cui si
può discutere con Michael Albert; ParEcon, poi, in cui numerosi
partecipanti di­scutono dell’Ecopar, dei suoi pregi e dei suoi di­fetti;
DoingParecon, infine, in cui si scambiano riflessioni ed esperienze con
persone che ope­rano nei luoghi di lavoro che mettono in atto al­cune (o
addirittura, in certi casi, la maggior par­te) delle caratteristiche
dell’economia parteci­pativa.

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Rekombinant   http://www.rekombinant.org

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