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concordo molto con quanto dice albion in questo passaggio: >penso sia il momento di uscire fuori dal guscio della contestazione e >>della contrapposizione per iniziare a costruire una proposta>(indipendentemente dal >campo). Costruire una proposta e' un'azione >>dialettica e quindi, che piaccia o no, dobbiamo imparare a parlare, >>costruendo un nuovo vocabolario ed una nuova lingua. ..e questa e' un interessante proposta ;-) dalla rivista "Libertaria" ECONOMIA: UNA PROPOSTA LIBERTARIA di Normand Baillargeon Da circa un decennio è in corso un ampio dibattito sulle tesi per un’economia partecipativa proposte da Michael Albert e Robin Hahnel, due esponenti del movimento libertario statunitense. Qui Normand Baillargeon ne sintetizza gli enunciati e le critiche avanzate. Albert e Hahnel, rifacendosi al pensiero tradizionale dell’anarchismo (in particolare di Petr Kropotkin e Michail Bakunin) propongono un’autogestione moderna fondata sulla solidarietà e l’eguaglianza. Il tutto in un ambito delineato da una pianificazione realizzata in base a decisioni decentrate espresse da consigli di produttori e consumatori. Una tesi sicuramente da discutere e che dovrebbe aprire un confronto sulle pagine di Libertaria. Baillargeon è docente di filosofia dell’educazione all’università del Quebec di Montréal.Tra i suoi libri più recenti: L’ordre moins le pouvoir. Histoire et actualité de l’anarchisme (2000), Les Chiens ont soif. Critiques et propositions libertaires (2001), La 1ueur d’une bougie. Citoyenneté et pensée critique (2001). Robin Hahnel, docente di economia all’università di Washington, e Michael Albert, attivista americano molto noto, hanno elaborato, all’inizio degli anni Novanta, un modello economico che hanno chiamato Partecipatory Economics, o Parecon, e che io propongo ora di rendere con il termine Ecopar. Questo ambizioso lavoro è abbastanza conosciuto negli Stati Uniti, per lo meno nell’ambiente degli economisti “progressisti” e in quello degli attivisti di tendenza libertaria. L’Ecopar si prefigge lo scopo d’immaginare e rendere possibile la messa a punto di istituzioni economiche che permettano la realizzazione di funzioni precise, attribuite a tali istituzioni. ma nel rispetto di certi valori che, a quanto gli autori affermano, sono per l’appunto quelli che la sinistra, e più in specifico la sinistra libertaria, ha ritenuto e ritiene sempre fondamentali.L’aspirazione di questo modello è la seguente: “Noi cerchiamo di definire un’economia che distribuisca obblighi e benefici del lavoro sociale; che assicuri il coinvolgimento dei membri nelle decisioni, in proporzione degli effetti che queste hanno su di loro; che sviluppi il potenziale umano in vista della creatività, della cooperazione e dell’empatia; e che utilizzi in modo efficiente le risorse umane e naturali nel mondo che abitiamo: un mondo ecologico in cui s’incrociano reti complesse di effetti privati e pubblici. In una parola: noi auspichiamo un’economia equa ed efficiente che promuova l’autogestione, la solidarietà e la diversità”.In definitiva, l’Ecopar propone un modello economico da cui sono banditi tanto il mercato quanto la pianificazione centralizzata (in quanto istituzioni che regolano l’allocazione, la produzione e il consumo), ma anche la gerarchia del lavoro e il profitto. In una simile economia, consigli di consumatori e di produttori coordinano le proprie attività all’interno di istituzioni che promuovano l’incarnazione e il rispetto dei valori preconizzati. Per arrivarci, l’Ecopar si basa anche sulla proprietà “pubblica” dei mezzi di produzione e su una procedura di pianificazione decentrata, democratica e partecipativa, attraverso la quale produttori e consumatori fanno proposte di attività e le rivedono fino alla determinazione di un piano che viene dimostrato essere al tempo stesso equo ed efficiente. ANTECEDENTI TEORICI La dimostrazione fornita dagli autori è stata così convincente che i dibattiti e le discussioni attorno all’Ecopar hanno avuto come tema la sua desiderabilità più che la sua fattibilità. Ritornerò in- seguito su qualcuna di queste discussioni. Tuttavia pochissime analisi sono state dedicate alle fonti teoriche di questo modello economico, e anche i suoi creatori non hanno sostanzialmente affrontato la questione dei precedenti teorici dell’Ecopar. E’ auspicabile che questa lacuna sia colmata, in particolare perché mi pare molto probabile che una migliore contestualizzazione storica e teorica potrà solo contribuire significativamente a una valutazione più precisa delle poste in gioco e degli eventuali meriti dell’Ecopar. Da parte mia, penso che questo lavoro chiarirà come l’anarchia costituisca la principale fonte teorica dell’economia partecipativa.In epigrafe alla loro opera, indubbiamente la più ambiziosa sul piano teorico, gli autori hanno posto questa osservazione di Noam Chomsky: “Voglio credere che gli esseri umani abbiano un istinto di libertà, che auspichino davvero di avere il controllo dei loro affari; che non vogliano essere maltrattati, oppressi, comandati e così via; e che aspirino soprattutto nell’impegnarsi in attività che abbiano senso, come nel lavoro costruttivo che siano in grado di controllare, o almeno controllare insieme ad altri. Non conosco nessun modo di provarlo. Si tratta essenzialmente di una speranza posta in ciò che siamo, una speranza nel nome della quale si può pensare che se le strutture sociali si trasformano in modo adeguato, questi aspetti della natura umana avranno la possibilità di manifestarsi”.Questa speranza è indubbiamente quella che hanno nutrito gli anarchici e che pervade l’economia partecipativa. L’ispirazione libertaria dell’Ecopar è diffusa (nel senso che impregna tutto il modello) e anche esplicita, perché alcune delle sue caratteristiche fondamentali sono direttamente riprese dalla tradizione anarchica. Su questi due piani, resta da fare un bilancio. Ma chi entra in contatto con l’Ecopar non può fare a meno di notare la sua parentela intellettuale profonda con ciò che Albert chiama “i valori e lo spirito di Pètr Kropotkin”.E’ antiautoritaria; attenta a realizzare l’equità delle condizioni e a non far dipendere le eventuali ineguaglianze se non da variabili che non dominino gli individui; propugnatrice di una concezione della libertà come conquista sociale e storica; opposta tanto al mercato quanto alla pianificazione centralizzata. Nell’Ecopar si scopre anche l’influenza del Kropotkin del Mutuo appoggio: un fattore di evoluzione che si contrapponeva al riduzionismo biologico dei neodarwiniani sociali, facendo entrare in gioco un altro determinismo biologico, quello dell’aiuto reciproco e della cooperazione. Albert e Hahnel scrivono: “Finora, la maggior parte degli economisti di professione sono stati d’accordo sul fatto che sia la natura umana sia la tecnologia contemporanea vietino a priori delle alternative egualitarie e partecipative. Essi hanno generalmente sostenuto che una produzione efficiente deve essere gerarchica, che solo un consumo ineguale può fondare una motivazione efficiente e che l’allocazione può essere realizzata solo dal mercato o dalla pianificazione centralizzata, e mai da procedure partecipative”. L’Ecopar è uno sforzo sostenuto per dimostrare che tali affermazioni sono concretamente contestabili e moralmente inaccettabili.Un’altra influenza libertaria rivendicata è quella di Michail Bakunin, cui gli autori si ispirano nella loro critica alle economie a pianificazione centrale. Si ricorderà l’importante dibattito che contrappose Karl Marx al “Russo” in seno alla Prima internazionale, al termine della quale Bakunin prediceva la terrificante ascesa di una “burocrazia rossa” nei regimi comunisti autoritari. Albert e Hahnel sviluppano questa analisi nel loro esame delle economie a pianificazione centrale, criticate perché al servizio di coloro che chiamano i “coordinatori”: intellettuali, esperti, tecnocrati, pianificatori e altri lavoratori intellettuali che monopolizzano l’informazione e l’autorità nei momenti decisionali. Classe intermedia nel capitalismo, questi coordinatori hanno costituito la classe dominante nelle economie del blocco dei paesi dell’Est. Se l’eredità libertaria dell’Ecopar è innegabile e lucidamente assunta, sotto altri aspetti il lavoro di Hahnel e Albert è sostanzialmente una rottura con questa tradizione libertaria. Ad essa, sostanzialmente, rimproverano il fatto di non avere fornito risposte precise, credibili e praticabili di fronte ai numerosi e indubbiamente reali problemi posti dal funzionamento di un’economia: allocazione delle risorse, produzione, consumo. Le proposte anarchiche nel campo dell’economia, a loro parere, sono quindi rimaste soprattutto affermazioni critiche e negative: insomma, si sa benissimo quel che gli anarchici rifiutano in materia d’istituzioni economiche (le ineguaglianze di condizione, di reddito, di circostanza; la proprietà privata dei mezzi di produzione; la schiavitù salariale e così via); ma molto meno quello che preconizzano e i modi per giungere a istituzioni che sfuggano a quelle critiche e incorporino i valori libertari. Non è questo il luogo per esaminare in modo dettagliato questa valutazione degli apporti della tradizione libertaria nel campo dell’economia e di deciderne la validità. Ricordiamo semplicemente che soprattutto sul versante dei Consigli (idea che si può trovare esposta e difesa, per esempio, nella tradizione dei soviet, del socialismo ghildista, ma anche in Rosa Luxemburg e ancor più in Anton Pannekoek) l’Ecopar troverà la propria ispirazione per la concettualizzazione delle sue istiturioni economiche.Un’ultima osservazione sulle fonti dell’Ecopar: dopo aver conosciuto i valori decantati dall’Ecopar, il lettore, forse, penserà subito anche al socialismo utopico del diciannovesimo secolo, a quello di Charles Fourier, per esempio. Hahnel e Albert, dal canto loro, hanno rivendicato una filiazione con le idee di Edward Bellamy (1850-1898), così poco noto da indurmi a spendervi qualche parola.Bellamy ha pubblicato, nel 1888, un romanzo intitolato Looking Backward, 2000-1887, il cui titolo, del resto, ha ispirato quello dell’opera che presenta l’Ecopar al grande pubblico. In questo romanzo, che ebbe a suo tempo un immenso successo, Bellamy immagina gli Stati Uniti nell’anno 2000. Il paese vive in un regime socialista in cui l’industria è messa al servizio dei bisogni umani e in cui l’attività economica si realizza all’interno di istituzioni che favoriscono l’equità, la fraternità, l’aiuto reciproco e la cooperazione. Critica virulenta del capitalismo e dei suoi devastanti effetti, dell’economia di mercato e dei suoi cantori, il libro esce mentre sono ancora vive le piaghe della crisi dello Haymarket di Chicago e partecipa di ciò che sarà uno degli ultimi momenti forti delle lotte operaie libertarie nell’America del Nord. UNA SOLUZIONE CREDIBILE E PRATICABILE Queste idee di Hahnel e Alberi sono state sviluppate all’inizio in due testi usciti nel 1991. Dopo questa data gli autori hanno abbondantemente presentato il loro modello a diversi pubblici e con diversi mezzi: articoli, colloqui, conferenze, corsi, gruppi di lavoro e di discussione, in particolare su internet. Lo hanno anche difeso contro le diverse obiezioni di cui è stato oggetto; hanno, infine, realizzato o contribuito a realizzare diversi tentativi d’impiantare i principi e le procedure dell’Ecopar in alcuni luoghi di lavoro che hanno cercato di funzionare secondo i princìpi e i valori di questo modello.L’economia partecipativa vuole essere quindi intellettualmente credibile e praticamente percorribile, senza cadere in nessuna delle trappole della semplice e troppo facile denuncia moralizzatrice, a cui, come si può concedere agli autori, la sinistra soccombe troppo spesso nelle sue analisi e nelle sue proposte economiche. A questo proposito citerò ancora Albert: “Sul piano economico, a sinistra, si arrivano a dire cose come questa: la gente, nella mia società, consuma veramente troppo, ed è orribile per questa o quella ragione; bisogna quindi abolire il consumo. Oppure: la gente della mia società lavora, bisogna abolire il lavoro. Invece di riconoscere che c’è un certo numero di funzioni che una società deve compiere. Il problema allora è sapere come farlo rispettando certi valori desiderabili. Molti ecologisti dicono: la General Motors è grande; quindi tutto ciò che è grande è negativo; bisogna pensare in piccolo. Ma questa non è un’analisi: è una reazione. E falso, anche da un punto di vista ecologico. La gente sente queste cose e se la ride, dicendo che si andrà a finire in una società in cui non ci sarà abbastanza da mangiare. Con ragione. Bisogna fare meglio”.Sarebbe presuntuoso pretendere di render conto in poche pagine di tutti gli annessi e connessi di una simile proposta. Questo articolo, quindi, si propone più modestamente di presentare in maniera concisa alcune delle caratteristiche più importanti del modello, e poi di fornire le informazioni che permettano di approfondire a chi vorrà saperne di più. Dopo una traccia sommaria del modello economico, ricordo alcune delle principali critiche rivolte agli autori e gli argomenti con cui essi hanno risposto a questi attacchi. Alla fine vengono proposte una bibliografia e una internetgrafia. EFFICIENZA, EQUITÀ, AUTOGESTIONE, SOLIDARIETÀ, DIVERSITÀ Quali criteri di valutazione conviene usare per giudicare le istituzioni economiche? Prima di proporre il loro modello, Albert e Hahnel hanno dedicato un importante lavoro per rispondere a questa domanda . Al termine delle loro analisi, propongono un modello che definiscono di preferenze endogene”, che sfocia in una sostanziale riformulazione dei criteri valutativi abitualmente presi in considerazione per giudicare le economie. Per giungere rapidamente all’essenziale, ricordiamo che essi accettano l’optimum di Vilfredo Pareto come criterio dell’efficienza economica, ma che lo collegano a una concezione dei soggetti concepiti come agenti coscienti, le cui preferenze e caratteristiche sono suscettibili di svilupparsi e precisarsi con il tempo. Questa definizione dell’efficienza è il primo criterio considerato. Il secondo è l’equità. Anche la maggior parte degli economisti accetta questo criterio, e l’Ecopar è immediatamente d’accordo sul fatto che si tratta di una caratteristica desiderabile di un’economia. Ma Albert e Hahnel ricordano anche quattro formule distributive concorrenti, corrispondenti a quattro scuole di pensiero concorrenti, e che propongono altrettante definizioni di ciò che costituisce l’equità. Eccole. • Formula distributiva 1: pagamento secondo il contributo della persona e secondo leproprietà da essa possedute. • Formula distributiva 2: pagamento secondo il contributo personale. • Formula distributiva 3: pagamento secondo lo sforzo. • Formula distributiva 4: pagamento secondo il bisogno. La maggior parte degli economisti, com’è noto, adotta le formule 1 o 2. Gli anarchici, invece, hanno molte volte espresso la loro preferenza per la formula 4. Pur riconoscendo che bisogna tendere verso di essa, l’Ecopar opta per la massima 3 e si costruisce quindi hic et nunc, a partire dall’idea di remunerazione secondo lo sforzo.Il terzo criterio di valutazione è l’autogestione. A questa sono dedicate lunghe analisi. Anche in questo caso, per arrivare rapidamente all’essenziale, diciamo semplicemente che gli autori sfociano in una definizione dell’autogestione intesa come il fatto per cui la voce di ciascuno ha un impatto su una decisione in proporzione a quanto sarà toccato da questa decisione. Albert e Hahnel considerano questa definizione dell’autogestione come uno degli apporti più originali, innovativi e gravidi di conseguenze dell’Ecopar.Il quarto criterio di valutazione è la solidarietà, intesa come la considerazione uguale del benessere degli altri.Il quinto e ultimo criterio di valutazione è la diversità, intesa come varietà degli outputs.Armati di questi criteri, chiediamoci che cosa si può pensare delle istituzioni che ci si presentano. Più precisamente, cercheremo di determinare in quale misura delle istituzioni di allocazione, così come delle istituzioni di produzione e di consumo, permettono, oppure no, di avvicinarci a quei valori desiderabili che abbiamo posto. Al nostro esame si offrono due istituzioni allocative: il mercato e la pianificazione. NE’ MERCATO NE’ PIANIFICAZIONE CENTRALE La critica del mercato occupa una parte importante del lavoro preliminare compiuto dagli autori. Al termine, concludono che il mercato, lungi dall’ essere quell’ istituzione socialmente neutra ed efficiente di cui talvolta si vantano i pregi, erode inesorabilmente la solidarietà, valorizza la competizione, non informa adeguatamente sui costi e i benefici sociali delle scelte individuali (in particolare con l’ esternalizzazione), presuppone la gerarchia del lavoro e alloca male le risorse disponibili. Per riassumere più semplicemente la posizione a cui arrivano gli autori, ecco quel che mi dichiarava Albert nel corso di un recente colloquio: “Il mercato, anche a sinistra, non è praticamente più oggetto di critiche, fino a tal punto la propaganda è riuscita a convincere tutti e ciascuno dei suoi benefici. Io penso che il mercato sia una delle peggiori creazioni dell’umanità. Il mercato è qualcosa la cui struttura e la cui dinamica determina la creazione di una lunga serie di mali, che vanno dall’alienazione ad atteggiamenti e comportamenti antisociali, passando per una distribuzione ingiusta della ricchezza. Sono quindi un abolizionista dei mercati, anche se so che non spariranno domani, ma lo sono allo stesso modo in cui sono un abolizionista del razzismo”. La pianificazione centrale, come istituzione di allocazione, non passa molto meglio il test che le fanno subire i nostri cinque criteri di valutazione. Si riconosce generalmente che un sistema di allocazione attraverso la pianificazione, per essere efficiente, deve soddisfare un certo numero di vincoli preliminari. In particolare, i decisori devono conoscere e padroneggiare l’informazione necessaria per effettuare i calcoli che permettono l’elaborazione del piano e per poter imporre gli incentivi che assicureranno l’adempimento dei rispettivi compiti da parte degli agenti economici. La maggior parte degli economisti contemporanei rifiuta di ritenere possibili questi vincoli preliminari ed è d’accordo con Ludwig von Mises e i neoclassici: l’impossibilità di ammetterli in teoria segnala l’impossibilità pratica delle economie a pianificazione centrale. Albert e Hahnel dimostrano a loro volta che anche se si concedono queste improbabili premesse, economie di questo genere saranno sempre inaccettabili dal punto di vista dei criteri di valutazione che essi propongono. Se il mercato distrugge sistematicamente la solidarietà, la pianificazione centrale distrugge sistematicamente l’autogestione, impedisce la determinazione da parte di ciascuno di preferenze personali che tengano conto in modo ragionevole delle conseguenze sociali delle proprie scelte. Insomma, la pianificazione centrale promuove l’ascesa di una classe di coordinatori, oltre a generare risultati molto miseri.Se quest’analisi è giusta, né il mercato né la pianificazione centralizzata possono produrre risultati conformi ai criteri di valutazione proposti. Bisogna quindi inventare una nuova procedura di allocazione: è ciò che si propone appunto l’Ecopar. PRODUZIONE, PROPRIETÀ, CONSUMO Com’è, a questo punto, la situazione delle istituzioni di consumo e di produzione? Anche ora conviene giudicarle alla luce di criteri di valutazione, per decidere se quelle esistenti possano essere adatte a un’economia partecipativa.La proprietà privata è il primo candidato al titolo di istituzione della produzione. Nella sua accezione liberale, la libertà d’impresa e il diritto di godere senza vincoli dei frutti della propria attività sono considerati congiuntamente come fondamentali, anzi naturali, al-meno nelle versioni naturaliste del liberalismo. Questa libertà economica sarebbe inoltre al centro delle libertà politiche. I criteri di valutazione che abbiamo ricordato ci indica-no già che l’Ecopar, optando per una definizione della libertà economica intesa come autogestione, rifiuta la proprietà privata dei mezzi di produzione, in quanto mina al tempo stesso l’autogestione, la solidarietà e l’equità, nella misura in cui non remunera secondo lo sforzo e adotta piuttosto la prima formula distributiva.Infine, in nome dell’equità e della solidarietà, un’economia partecipativa rifiuterà ogni organizzazione gerarchica del lavoro, anche se fosse instaurata all’interno dei luoghi di produzione detenuti collettivamente. Resta da provare che la produzione possa rimanere efficiente pur essendo non gerarchica. Ci torneremo.Concludiamo con un esame delle istituzioni di consumo. Le economie esistenti dedicano loro pochissime analisi e l’accettazione di caratteristiche gerarchiche nella produzione porta con sé l’accettazione di un consumo ineguale. Un’economia partecipativa proporrà quindi delle istituzioni e delle relazioni di consumo non gerarchiche, che permettano una partecipazione equa alla produzione.Il problema della produzione, così come si presenta in un’economia partecipativa, consiste essenzialmente nell’assicurare una democrazia partecipativa nei luoghi di lavoro:una democrazia attraverso la quale siano escluse le relazioni gerarchiche e rispettati i criteri di valutazione sostenuti da una simile economia, garantendo anche che ciascuno sarà in grado di avere una parte reale e significativa nel prendere le decisioni.Sono un’altra volta costretto ad andare velocemente all’essenziale, per arrivare direttamente, al di là dell’argomentazione che vi conduce, all’idea di balanced job complex, concetto che propongo di rendere con “insieme equilibrato di compiti”. Si tratta di una delle maggiori innovazioni dell’Ecopar. INSIEME EQUILIBRATO DI COMPITI La proposta in fondo è molto semplice. All’interno dei luoghi di produzione di una Ecopar, nessuno, propriamente parlando, occupa un posto, almeno nel senso in cui è inteso di solito questo termine. Ciascuno si occupa piuttosto di un insieme di compiti, che dal punto di vista dei vantaggi, degli inconvenienti e anche dell’impatto sulla capacità del suo titolare di prendere parte alle decisioni del consiglio dei lavoratori, è paragonabile a qualsiasi altro insieme equilibrato di compiti all’interno di quel luogo di lavoro. Inoltre, tutti i compiti che esistono in seno a una società che funzioni secondo l’Ecopar saranno globalmente equilibrati e succederà anche, per fare ciò, che dei lavoratori debbano svolgere dei compiti all’esterno del loro luogo di lavoro.I creatori dell’Ecopar dedicano molto spazio, energia e ingegnosità per difendere questa idea, per dimostrare che non è solo auspicabile in teoria, ma anche possibile ed efficiente in pratica per equilibrare in tal modo i compiti di produzione svolti in seno a un’economia. Più precisamente, il loro repertorio di argomentazioni tende a dimostrare che questa maniera di fare è efficiente, equa e garantisce il rispetto dei valori preconizzati: a cominciare, ovviamente, dall’autogestione, di cui è una condizione necessaria. Due argomenti sono per lo più invocati contro questa pratica. Vorrei ricordarli a questo punto per far vedere come vi rispondono i propugnatori dell’Ecopar .Secondo un primo argomento, se è plausibile pensare, come del resto incita a fare un’imponente letteratura, che il fatto di permettere ai lavoratori di avere una parola da dire sui loro compiti accresca l’efficienza del lavoro e la sua desiderabilità agli occhi di chi lo compie, la proposta di costruire degli insiemi equilibrati di compiti va molto al di là e tra-scura due elementi capitali del problema: la rarità del talento e il costo sociale della formazione. La proposta, quindi, sarebbe inefficiente. Questo argomento è spesso chiamato quello del ((chirurgo che cambia le lenzuola dei letti dell’ospedale)): all’inizio è apparso sotto questa forma. Certo, il talento richiesto per diventare chirurgo è senz’altro raro e il costo sociale di questa formazione elevato. C’è quindi senz’altro una perdita di efficienza nel richiedere al chirurgo di fare qualcos’altro oltre alle operazioni chirurgiche. Tuttavia, è anche vero che la maggior parte della gente possiede talenti socialmente utili, il cui sviluppo implica un costosociale. Un’economia efficiente utilizzerà e svilupperà questi talenti in maniera tale che il costo sociale dell’assolvimento dei compiti abitudinari e meno interessanti dipenderà poco da chi li realizza. Quindi dalle premesse poste, il fatto che un chirurgo cambi le lenzuola non presenta un costo sociale globale proibitivo.Un altro argomento usato correntemente contro gli insiemi equilibrati di compiti sostiene che la partecipazione promossa attraverso questa procedura si eserciterà a scapito della perizia e della parte preponderante che le compete necessariamente nel prendere decisioni, in particolare se i temi dibattuti sono complessi. In effetti, l’Ecopar non nega affatto il ruolo della perizia, ma se questa è preziosa per determinare le conseguenze delle scelte che possono essere fatte, rimane muta quando si tratta di determinare quali conseguenze sono preferite e preferibili. Se l’efficienza presuppone che degli esperti vengano consultati sulla determinazione delle conseguenze prevedibili delle scelte (in particolare quando queste sono difficili da determinare) essa esige anche che coloro che dovranno subirle facciano conoscere le loro preferenze.DECISIONE DECENTRATA Che cosa produrranno questi luoghi di lavoro sarà determinato dalle richieste formulate da consigli di consumo. Ogni individuo (famiglia o unità) appartiene a un consiglio di consumo di quartiere; ognuno di questi consigli appartiene a sua volta a una delle tante federazioni, che sono riunite in strutture sempre più inglobanti e ampie, fino al consiglio nazionale. Il livello di consumo di ciascuno sarà determinato dalla terza formula distributiva, ossia la remunerazione secondo lo sforzo, che è valutato dai compagni di lavoro. Così, il meccanismo di allocazione consiste in una pianificazione partecipativa decentrata. Consigli di lavoratori e consigli di consumo fanno delle proposte e le rivedono nel quadro di questo processo, che è stato oggetto di un lavoro considerevole da parte dei creatori dell’Ecopar, che sono giunti a costruirne un modello formale. In questo, fanno uso in particolare di procedure iterative, propongono regole di convergenza e mostrano che strumenti di comunicazione come i prezzi, la misura del lavoro, e anche informazioni qualitative, possono essere utilizzate per arrivare a un piano efficiente e democratico. Albert e Hahnel ritengono infatti che la “specificazione di questa procedura costituisca [il loro] contributo più importante allo sviluppo di una concezione e di una pratica economica libertaria ed egualitaria”.Queste proposte sono state recepite, com’è immaginabile, in modo diverso. Pensiamo che sia venuto il momento di esaminare alcune delle critiche che sono state loro rivolte. ALCUNE CRITICHE E QUALCHE RISPOSTA Parecchie critiche seguite alla pubblicazione delle opere di Hahnel e Albert hanno rinunciato a sostenere che un’economia libertaria e partecipativa sia tecnicamente impossibile, per tentare piuttosto di dimostrare che una tale economia non è desiderabile. Fra i numerosi argomenti tirati in ballo, ne esaminerò tre .Secondo il primo, l’Ecopar tiene troppo poco in considerazione la libertà. Queste critiche riconoscono che, in una Ecopar, ognuno sarebbe libero di appartenere a un consiglio di lavoratori di sua scelta, che lo accetterà, oppure di formare un consiglio con chi desidera. Tuttavia pensano che l’Ecopar sacrifichi troppo la libertà personale per dei fini meno importanti. Questo argomento ha ricevuto una formulazione esemplare ad opera di un economista socialista molto noto, Tom Weisskopf, propugnatore di un socialismo di mercato. Secondo lui, l’Ecopar e quel socialismo di mercato, ambedue realizzabili, si contrapporrebbero in fondo per una ragione di ordine etico e filosofico. Il primo modello per-metterebbe il raggiungimento di valori sostenuti tradizionalmente dalla sinistra (equità, democrazia, solidarietà), mentre il secondo incarnerebbe valori “libertarians” [conosciuti anche come anarcocapitalisti] più recentemente apparsi come altamente desiderabili:libertà di scelta, vita privata, sviluppo dei talenti e attitudini personali. Pur ricordando che l’Ecopar comprende strutture che permettono di preservare la vita privata e che promuove un concetto sostanziale di libertà individuale, mi sembra che si debba accettare di situare la discussione laddove la si-tua Weisskopf, ossia su un piano filosofico ed etico: l’Ecopar concepisce senz’altro la libertà come un concetto eminentemente sociale e pone dei vincoli alla libertà individuale che consegue dai valori che essa sostiene. Un “libertarian” deplorerà che nell’Ecopar sia impossibile assumere qualcuno, come avrebbe deplorato che si sia messa fine alla possibilità di un essere umano di possederne un altro, attentando così alla libertà del proprietario di schiavi. Ma la difficoltà e il problema sollevati da Weisskopf esistono realmente e meritano di essere profondamente meditati e dibattuti. Pat Devine ha sostenuto invece che l’Ecopar presuppone che si dedichi un tempo eccessivo alle riunioni. A questo argomento è molto più facile controbattere. Infatti, basta far notare che, nelle nostre economie, il tempo dedicato a riunioni (essenzialmente da parte delle élite) è già così notevole che L’Ecopar può solo diminuirlo: semmai lo distribuirà in maniera più equa, garantendo che ciascuno prenda parte alle decisioni che lo riguardano. Un ultimo argomento sostiene che l’Ecopar non sia in grado di motivare adeguatamente gli attori del sistema. Bisogna senz’altro ammettere che l’Ecopar, adottando il criterio distributivo di una remunerazione secondo lo sforzo, esclude fin da subito l’essenziale degli incentivi materiali ai quali siamo abituati e cerca di massimizzare il potenziale motivante degli incentivi non materiali. Detto questo, si può pensare che dei compiti immaginati da coloro che li eseguono saranno più gradevoli dei ruoli definiti da un processo gerarchico, e che il fatto di sapere che ciascuno contribuisce in maniera equa alla produzione inciterà a compiere più volentieri i compiti meno gradevoli di un insieme equilibrato di compiti, poiché ciascuno compirà, salvo le variazioni del caso, una somma simile di compiti meno gradevoli. Inoltre, la valutazione dello sforzo consentito effettuata dai pari costituisce sicuramente un incentivo materiale, poiché determina il livello di consumo a cui ciascuno ha diritto. Ma resta vero che l’Ecopar valorizza degli incentivi ai quali finora si è accordato soltanto uno scarso valore: il rispetto e la stima altrui, il riconoscimento sociale. La scommessa dell’Ecopar, secondo me ragionevole, è che questi incentivi saranno ancor più efficaci della ricerca del profitto. UN ALTRO MONDO È POSSIBILE Alec Nove, un economista progressista americano contemporaneo, formulava negli anni Ottanta la conclusione a cui, lui come altri, era arrivato: “In una economia industriale complessa, le interrelazioni fra le diverse componenti non possono, per definizione, essere fondate se non su contratti liberamente negoziati, oppure su un sistema costrittivo di direttive provenienti da uffici di pianificazione. Non c’è una terza via. La prima opzione, come si sarà immaginato, è quella del mercato; la seconda, quella della pianificazione centrale. È così che il riconoscimento del fallimento della pianificazione centrale ha condotto tanti teorici a pensare che il mercato sia ormai l’unica istituzione economica possibile, e che i progressisti debbano accontentarsi di socializzarlo oppure di correggerne i difetti più stridenti, per esempio attraverso la proprietà pubblica delle imprese. Si può affermare che l’ambizione dell’Ecopar sta tutta nel dimostrare nell’esistenza di una terza via, e che questa è proprio la strada intuita, in particolare, dagli anarchici. L’Ecopar si sforza quindi di dimostrare di essere un’alternativa credibile e praticamente realizzabile, specialmente rispondendo alle difficili domande che i predecessori lasciavano senza risposta: come si arriva alle decisioni da prendere? Come possono, delle procedure democratiche, produrre un piano coerente ed efficiente? Come vengono motivati i produttori? E via di seguito...Naturalmente, non è certo che le risposte dell’Ecopar siano quelle giuste sul piano teorico, né che siano valide sul piano pratico. Ma per lo meno delle risposte ci sono. Queste risposte sollevano a loro volta numerose domande e numerose poste in gioco, filosofiche, politiche, sociologiche, antropologiche. Uno dei grandi meriti dell’imponente lavoro compiuto da Albert e Hahnel è, a mio parere, quello di permettere di porle, e spesso in maniera nuova. L’Ecopar contribuisce così a pensare che un altro mondo è possibile, e questo nel momento in cui il fatalismo conformista corrente ci presenta ingannevolmente l’ordine delle cose umane come se fosse necessario.Infine, l’Ecopar ci aiuta a precisare ciò per cui lottiamo e a formulare delle risposte alla domanda che viene inevitabilmente posta a coloro che lottano: “Ma allora, a favore di cosa siete, voi?”.Queste risposte sono plausibili? Anche a questo riguardo c’è un’ampia materia di discussione. Questo articolo avrebbe raggiunto lo scopo che ambiva di realizzare se il mio lettore, la mia lettrice, avesse ora il desiderio, se non di prendere parte a questo dibattito, almeno a interessarsene. traduzione di Alberto Panaro Questo articolo è illustrato con opere di Piet Mondrian, olandsese che ha avuto la ventura di vivere tra il 1892 e il 1944. È’, tra gli astrattisti, apparentemente il più rigoroso e formale. Ma amava il jazz, il ritmo, improvvisava su temi di colore puro. Se nelle sue opere percepite un grande ordine formale (e se siete d’accordo con Elisée Reclus che l’anarchia “è la più alta espressione dell’ordine”) Mondrian ha certamente dipinto l’anarchia. BIBLIOGRAFIA § Alcuni scritti di Michael Albert e Robin Hahnel. § Michael Albert e Robin Hahnel, Unorthodox Marxism, South End Press, Boston 1978.§ Michael Albert e Robin Hahnel, Marxism and Socialist Theory South End Press, Boston 1981§ Michael Albert e Robin Hahnel, Quiet Revolution in Welfare Economics, Princeton University Press, Princeton 1990.§ Michael Albert e Robin Hahnel, Looking Forward: Partecipatory Economics for the Twenty First Century, South End Press, Boston 1991.§ Michael Albert e Robin Hahnel, The Politic Economy of Partecipatory Economics, Princeton University Press, Princeton 1991.§ Michael Albert e Robin Hahnel, Socialism As It Was Alwais Meant To Be, in Review of Radical Political Economics, XXIV, n. 3-4, 1992.§ Michael Albert e Robin Hahnel, Partecipatory Planning, in Science and Society Spring 1992.§ Robjn Hahnel, The ABC of Political Economy, South End Press, Boston 1999. DISCUSSIONI CRITICHE SULL’ECOPAR § Normand Baillargeon, Michael Albert: l’autre économie, in Le Devoir, Montréal, 16 giugno 1997, page B 1. http://www.smartnet.ca/ users/vigile/idees/philo/baillargeonMAlberi, html§ Sam Bowles, What Markets Con and Cannot, in Chalienge, luglio-agosto 1991 § Pat Devjne, Democracy ami Economic Pianning Westview Press, Boulder, 1988. § Pat Devine, Markets Socialism or Partecipatory Piannìng?, in Review of Radical Political Economics, n. 3-4, 1992.§ Nancy Folbre, Contribution to “A Roundtable on Partecipatory Economics”, in Z Magazine, luglio-agosto 1991.§ Mark Hagar, Contribution to “A Roundtable on Partecipatory Economics”, in Z Magazine, luglio-agosto 1991.§ William M. Mandel, Socialism: Feasibility and Reality, in Science and Society, LVII, n. 3, 1993.§ Alec Nove, The Economics of Feasible Socialism Revisited, Harper-Collins Academic, Londra, 1990.§ David Schweickart, Socialism, Democracy, Market and PIanning: Putting the Pieces Together, in Review of Radical Political Economics, XXIV, n. 3-4, 1992.§ David Schweickart, Àgainst Capitalism, Cambridge University Press, Cambridge, 1993.§ Thomas Weisskopf, Toward a Socialism for the Future in the Wake of the Demise of the Socialisme of the Past, in Review of Radical Political Economics, XXIV, n. 3-4, 1992. RETE INTERNET La cosa più semplice è andare prima di tutto sul sito internet di Z Magazine, il mensile animato da Michael Albert: www.zmag.org. Vi si troverà una ricca sottosezione dedicata all’economia partecipativa, direttamente a: http://www.parecon.org. Le teorie e le pratiche dell’Ecopar visono trattate abbondantemente e vi si trova una quantità impressionante di indirizzi, che permettono di conoscerne e di approfondirne (quasi) tutti gli aspetti. Sullo stesso sito internet si troveranno numerosi forum di discussione. Tre di essi, almeno, permettono di discutere specificamente l’Ecopar: AskAlbert, prima di tutto, in cui si può discutere con Michael Albert; ParEcon, poi, in cui numerosi partecipanti discutono dell’Ecopar, dei suoi pregi e dei suoi difetti; DoingParecon, infine, in cui si scambiano riflessioni ed esperienze con persone che operano nei luoghi di lavoro che mettono in atto alcune (o addirittura, in certi casi, la maggior parte) delle caratteristiche dell’economia partecipativa. ___________________________________________ Rekombinant http://www.rekombinant.org