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strategie per la comunicazione indipendente
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terrificante...


dal MANIFESTO, 8 dicembre 2002
Tutti i bit della mia vita
Il sogno abnorme - e parecchio inquietante - di costruire un database che
registri tutto di tutti
FRANCO CARLINI
«MyLifeBits», ovvero «Tutti i bit della mia vita». Così si chiama il
progetto sulla memoria della vita delle persone cui sta lavorando un gruppo
di ricercatori della Microsoft un po' speciali, dato che sono a San
Francisco anziché a Redmond e per ora non cercano di trasformare le loro
idee in un prodotto immediatamente vendibile. Immaginate dunque di poter
raccogliere e memorizzare tutti i documenti, i suoni, i volti, le immagini
della vostra vita, o di quella dei vostri cari. Un gigantesco database
multimediale dove ognuno che lo voglia potrà depositare un terabyte di
informazioni all'anno. Un tera vuol dire 10 alla 12esima potenza, ovvero
mille miliardi di byte; dove un byte equivale a un carattere e dove questa
pagina del manifesto vale poco più di 10mila byte; dunque un tera equivale a
10 milioni di queste pagine o, se si preferisce, a 500 dischi fissi da
computer, ognuno delle dimensioni di 20 giga. In un terabyte ci stanno 3
milioni e 600 mila immagini (circa 10mila al giorno). All'idea lavora un
gruppo di giovani, guidati da un vecchio informatico come Gordon Bell (vedi
a parte); insieme cercano di realizzare oggi un'idea avanzata per la prima
volta nel lontanissimo 1945 da Vannevar Bush. Questi, che tutti considerano
uno dei padri dell'Informatica, aveva chiamato Memex la sua macchina
originaria, mai realizzata perché le tecnologie non lo consentivano, ma
perfettamente immaginata dal punto di vista concettuale. Nelle parole
dell'autore si trattava di «un apparato in cui le persone possano
immagazzinare tutti i propri libri, annotazioni e comunicazioni,
meccanizzato in maniera tale da poter essere consultato in maniera
assolutamente veloce e flessibile». L'articolo originale di Vannevar Bush,
intitolato «As we may think» è tuttora disponibile in rete sul sito della
rivista che lo pubblicò, The Atlantic, all'indirizzo
www.theatlantic.com/unbound/flashbks/computer/bushf.htm.

Bush pensava a un archivio esclusivamente testuale, mentre Bell e i suoi
collaboratori stanno progettando, in linea con i tempi moderni, un
contenitore capace di ospitare anche i suoni, le voci e le immagini. Dopo di
che si sono dati da fare per vedere come realizzare due delle
caratteristiche fondamentali di quel sogno lontano: le annotazioni e i link,
entrambe essenziali per rendere possibili le ricerche nell'archivio. Com'è
ovvio si tratta di un problema generale, e non solo relativo alla memoria
personale di ognuno. Se è relativamente facile descrivere con poche parole
il contenuto di un documento testuale, non altrettanto lo è quando si tratti
di un filmato o di una raccolta di suoni. Certo si può scrivere su una
videocassetta «festa di compleanno di Paola, gennaio 1995», ma quella
descrizione potrebbe rivelarsi povera e inadeguata quando nel 2005 si
volesse consultarla: magari stiamo cercando le immagini del cugino Giovanni
e non ci ricordiamo che era al compleanno; battiamo «Giovanni» nel motore di
ricerca del nostro archivio di vita e non troviamo nulla. Nello stesso tempo
una descrizione troppo dettagliata di quella festa di compleanno (chi c'era,
dove si è svolta, come eravamo vestiti, eccetera) richiederebbe troppo tempo
e fatica. Gordon Bell e soci stanno provando delle architetture software che
trovino un equilibrio soddisfacente (un compromesso dignitoso) tra le due
esigenze opposte, quella di una schedatura facile e veloce e quella di una
ricerca altrettanto facile e altrettanto veloce. Sono favoriti in questo dai
grandi progressi della tecnologia che mette a disposizione dischi di memoria
enormi a costi assai bassi e processori potenti e veloci in grado di
scandagliare gli angoli più remoti dell'archivio. Ma la tecnica non basta,
quello che serve è un modello concettuale, che poi possa calarsi in un
software adeguato. Per ora la soluzione non c'è, ma le linee di ricerca sono
leggibili all'indirizzo
http://research.microsoft.com/~jgemmell/pubs/MyLifeBitsMM02.doc.

Fin qui la tecnologia, ma il progetto delinea anche un'altra questione,
quasi filosofica, relativa alla memoria. La quale è una caratteristica
essenziale degli esseri viventi e un elemento costitutivo dell'identità di
ogni umano. Ma è anche una cosa assai strana. Infatti per quanto enorme sia
il nostro cervello, esso non sarebbe comunque in grado di immagazzinare
tutti gli eventi che lo animano ininterrottamente, anche quando dormiamo.
Dunque l'oblio, il dimenticare, è parte essenziale della memoria. Si ricorda
e si dimentica in maniera selettiva, secondo regole che nessuno è mai stato
in grado di spiegare fino in fondo. Apparentemente, infatti, non ci sono
criteri ovvii di rilevanza o se ci sono non sono quelli della razionalità
pura. La cosa dipende da molti fattori, non ultimo dal fatto che l'attività
percettiva e quella di memorizzazione sono realizzate da un apparato (il
corpo umano) assai particolare: la memoria viene iscritta in una grande rete
di neuroni e in particolare quella a lungo termine si deposita come
modificazione dei contatti tra le cellule cerebrali stesse, le sinapsi. La
numerosità di questi luoghi e degli eventi che lì si svolgono ne ha fatto
finora un oggetto quasi indecifrabile. Ma oltre a tutto questa macchina
cerebrale, vive dentro un corpo, lo influenza e ne è influenzata e perciò la
fissazione di un episodio, così come un'idea o uno stato d'animo, non
dipendono solo dalla circuiteria delle cellule nervose, ma anche dal mal di
pancia, dalla pressione sanguigna di quel momento e da infiniti altri input.

E poi la memoria non è affatto un magazzino statico, ma un'esperienza
mentale dinamica: ogni volta che si rievoca un lontano episodio, un volto,
un suono, lo si rielabora e lo si trasforma, sì che il ricordo può risultare
molto difforme dai fatti come effettivamente si svolsero. Insomma: non c'è
nulla di più prezioso dei nostri ricordi, ma questi sono altamente
inaffidabili: violentemente selezionati all'inizio e continuamente
modificati dall'attività mnemonica stessa. Inaffidabili non vuol dire che
siano falsi o inutili: in qualche modo sono pur sempre parenti del reale, ma
ombre appunto, e deformi. E il fatto che si ricordino certe cose in quel
modo è comunque esso stesso una testimonianza: è questo un problema con cui
si cimentano i cultori della storia orale i quali sanno che il racconto
riversato nel registratore dai testimoni è certamente viziato, ma al tempo
stesso significativo.

Allora le domande si accumulano: una volta che si abbia un archivio del
genere sarà meglio o peggio? E' meglio ritrovare le esatte testimonianze del
passato, come rovistando in una gigantesca scatola da scarpe piena di
fotografie, oppure lasciare che i nostri neuroni via via trasfigurino i
ricordi? In termini personali è esattamente lo stesso problema che si vanno
ponendo i moderni archivisti in un'epoca in cui sembra che sia possibile
conservare tutto per le future generazioni. L'atto del conservatore finora è
sempre stato frutto di una scelta: questo sì e questo no. Magari arbitraria
e discutibile, ma di solito inserita in un'idea della storia e della
cultura. Quando invece sia possibile tramandare ogni e-mail, ogni minimo
documento, ogni filmato di telegiornale o di vacanza privata, che ne è di
questa disciplina? Un semplice lavoro di etichettatura dei reperti? E
l'accumulo del tutto non rischia di lasciare troppo alle generazioni che
verranno?


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