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Ieri la Suprema Corte di Washington D.C. ha riconosciuto al Congresso il diritto di modificare la durata del copyright come e quando lo ritiene opportuno.
Il ricorso Eldred vs. Ashcroft, che impugnava l'ultima estensione della durata del copyright, e' stato dunque respinto con una maggioranza di 7 voti favorevoli contro 2 contrari .
Con questa sentenza il Congresso viene riconosciuto come l'unica istituzione avente diritto di stabilire i limiti temporali del copyright.

Si tratta di un risultato previsto. La Suprema Corte ha avuto un ruolo decisivo nel soprassedere sui brogli elettorali di Bush e non c'erano ragioni per pensare che avesse qualsivoglia interesse nel difendere il pubblico dominio.

La stampa americana parla con toni trionfalistici della disfatta di Lessig, e la sua consueta enfasi plebiscitaria appare in questo caso particolarmente grottesca. Come se una simile decisione, palesemente contro gli interessi pubblici, fosse la genuina espressione della saggezza istituzionale e la corretta interpretazione della volonta' popolare.
Si deve portare pazienza. Arroganza culturale. Nient'altro.

Del resto gli argomenti del giudice Ruth Bader Ginsburg, che ha espresso la posizione della maggioranza, vertono principalmente sulla natura "politica" del ricorso. In quanto tale il ricorso, dice Ponzio Pilato, non riguarda la corte:

"Dietro la facciata della loro fantasiosa interpretazione della costituzione, i ricorrenti sostengono che il Congresso persegue una politica disastrosa. Quando esaminiamo una legge" scrive Ginsburg: "Le congetture sulla saggezza delle scelte del Congresso non riguardano la nostra giurisdizione""

http://www.law.com/servlet/ContentServer?pagename=OpenMarket/Xcelerate/View&c=LawArticle&cid=1042568656706&t=LawArticleIP

Anche l'argomento principale di Lessig, secondo cui i fondatori della costituzione americana intendevano la durata del copyright come una soluzione intermedia, un " contratto" che doveva tutelare tanto il diritto degli autori quanto il diritto dei cittadini al pubblico dominio e' stato considerato come un'interpretazione arbitraria e forzosa del diritto americano.

Nei fatti il ricorso ha avuto il grande merito di fornire una messe di preziose riflessioni sul fenomeno dei diritti d'autore. Il passato bloccato, messo sotto chiave dalle leggi di tutela, viene finalmente interpretato come il tentativo di schiacciare la civiltà sull'eterno presente, cancellando la memoria culturale della specie. Un esempio: se il Sonny Bono exstension act è passato nel '98 senza discussioni, dice Eldred, lo si deve a Monica Levinsky. Insomma: "te show must go on" ma intanto lo spettacolo diventa sempre meno interessante.

La discussione sul patrimonio librario sommerso, sulle centinaia di migliaia di opere inaccessibili perche' andate fuori produzione, si rivela un "vulnus" sempre piu' difficile da celare senza imbarazzi.
Come ha affermato Cory Doctorow portavoce della EFF dopo la sentenza:

"Ora siamo a un punto in cui l'obiettivo della riforma del copyright e del pubblico dominio, che due anni fa era talmente oscuro da essere invisibile - perfino tra persone che facevano uso di tecnologia - e' ormai un obiettivo di massa, quantomeno nel mondo della tecnologia. Possiamo sperare che questa sentenza ha sollevato il problema anche in ambienti non tecnologici e certamente una generazione di persone tecnologizzate e' stata sensibilizzata per sempre dalla mobilitazione e dagli esiti di questa causa."

E' cosi'. Oggi ogni navigatore della rete e' in grado di capire quanto arbitrario sia il permanente impedimento alla realizzazione una biblioteca online che renda disponibili non dico "tutte le opere" ma almeno quelle risalenti alla prima metà del Novecento.
Non a caso proprio in rete e' stato intanto coniato il termine "pigopolism" che, se il mio inglese claudicante non inganna, dovrebbe suonare piu' o meno come "porcopolismo". Termine che, inutile dirlo, mi sembra assai felice.

http://212.100.234.54/content/6/28897.html

L'articolo, uscito dopo la sentenza e particolarmente feroce, fornisce un quadro illuminante dell'effetto che il "porcopolio" sta determinando sulla circolazione delle opere dell'ingegno. Per tutelare topolino l'America rinuncia a rendere di pubblico dominio le opere di grandi autori come F.Scott Fitzgerald, Sinclair Lewis, Sherwood Anderson.

"Questa battaglia non ha avuto dalla sua parte animazioni in Flash ne' Slashdot" dice l'autore dell'articolo, "nemmeno la blogosfera e' dalla sua parte. E le forze mobilitate contro di essa vanno da Microsoft al New York Times fino ai grandi network televisivi".

Vedetevi anche:
http://www.oreillynet.com/pub/a/policy/2003/01/16/eldred.html

Per ulteriori apprfondimenti c'e' il sito di Lessig
http://cyberlaw.stanford.edu/lessig/


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Rattus


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