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... disse Re Carlo, il nostro imperatore grande.

Ma nella Canzone di Orlando, che propaganda con straordinaria capillarità e
penetrazione in tutto l'Occidente la necessità della Crociata, ovvero
l'irriducibile inimicizia tra Cristianesimo e Islam, i "pagani" non appaiono
mai davvero dissimili dai cristiani.
La struttura sociale in cui si riconoscono, il codice cavalleresco, i valori
di riferimento, il modo di vita insomma, sono di fatto identici. E' solo la
fede che li divide.
I "pagani" sono il Male, ma solo per differente appartenenza ideologica:
"Dio, che barone, s'egli fosse cristiano!".

Temo sia questo il punto.
Non il realismo realista di Sbancor o il realismo lucido di mcsilvan: si
potrebbe proficuamente discutere sperimentandoli entrambi.
Ma il punto è: a partire da quale materiale differenza, tra "noi" e
Cofferati - o tra "noi" e i girotondini etcetera?
Perché se il punto fosse davvero "quale mediazione?", dovremmo dare per
acquisita una differenza di posizione: io sto di qua, tu da un'altra parte -
come nelle genuine trattative sindacali, per fare un esempio banale, dove si
dà per scontata la radicale differenza di interessi materiali. Poi si cerca
il punto di mediazione.
Poi.

Ma chi è, il movimento? Nella sua ovvia molteplicità, complessità e
contraddittorietà, essendo movimento - appunto - "chi" è?
E cioè: quale diverso modo di vita materialmente siamo, noi pagani, rispetto
ai cristiani? o anche, quale diverso universo di valori (e non mi si dica la
solidarietà con i poveri, lo sviluppo compatibile, la giustizia sociale...
sono disposta a regalare 50 euro a chi mi porta davanti un chiunque in carne
e ossa che dichiara di essere per lo sterminio dei poveri, la distruzione
del pianeta e l'ingiustizia sociale).

Mettiamo Cofferati, per dire uno a caso, la difesa dell'articolo 18, per
dirne una a caso: politicamente posso pensare che sia un avvio
potenzialmente proficuo. Una discriminante radicale che attraversa
l'immaginario e la determinazione alla sopravvivenza, un'"idea forte" che
può essere volano per rinnovate aggregazioni solidali e nuovi slanci di
lotta. 
Sindacalmente, mi viene lo sconforto: a me questi manco mi considerano - e
ce ne vuole, per partecipare a una manifestazione sindacale (con relativo
sciopero) sapendo di non essere neanche contata (non dai "padroni", dal
sindacato).
Ma se poi anche l'imperativo politico viene meno, perché non c'è nessun
volano, solo una difesa di posizione del cazzo, corporativa e becera - ma
guardiamoci in faccia, altro che Berlusconi, fuori dal famigerato triangolo
industriale (e dall'impiego pubblico, ovviamente), quanti lavoratori, anche
vent'anni fa, erano tutelati dall'articolo 18? per non parlare dei tempi
attuali, che ci potrebbe pure venire da ridere - insomma, se è davvero tutto
qui, io che c'entro? Di più: a me il lavoro a vita mi fa pensare
all'ergastolo, senza neanche la speranza della grazia dopo trent'anni, visto
come butta con le pensioni.

Se il movimento, per esempio, vivesse il rifiuto dell'etica, della
necessità, dell'ineluttabilità del lavoro - cioè se chi è movimento si
facesse una risata quando sente parlare di sicurezza del "posto di lavoro" -
allora sì, che potremmo ragionare di mediazioni con Cofferati.
E magari ci divertiremmo pure.

Ciao
Chiara



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