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Car*,
alle origini della crisi energetica americana:

Le frontiere del petrolio

di RITT GOLDSTEIN
Per avere greggio sicuro occorre ridisegnare il Medio oriente. E per farlo,
secondo la «teoria dei birilli» di Richard Perle, bisogna far saltare un
paese. E così dall'Iraq, risalendo una corrente di rapporti segreti e
indagini vietate, si arriva alla task force per l'energia guidata da Dick
Cheney


Mentre gli slogan contro «la guerra per il petrolio» mostrano un'opinione
pubblica sempre più scettica, l'amministrazione Bush continua a procedere
come un bulldozer verso uno schiacciante rendez-vous con l'Iraq. Ma un
documento del dipartimento della difesa recentemente dissepolto rivela che
in verità, nell'agenda del Pentagono, c'è l'uso della «forza militare al
fine di garantire l'accesso alle risorse». Il rapporto Strategic Assessment
1999 («Valutazione strategica 1999»), predisposto per i capi di stato
maggiore congiunti e per il ministro della difesa, recitava: «la questione
dell'energia e quella delle risorse continueranno a informare la sicurezza
internazionale». Il rapporto prevedeva esplicitamente potenziali «conflitti
sugli impianti produttivi e sulle rotte dei trasporti», particolarmente nel
Golfo persico e nelle regioni del Caspio. E in quella che molti
giudicheranno una fastidiosa analogia con gli eventi attuali, Strategic
Assessment 1999 poneva l'attenzione sulla ricerca da parte della Gran
Bretagna, prima della seconda guerra mondiale, di un approccio in cui «il
controllo sul territorio era visto come essenziale per garantire
l'approvvigionamento delle risorse».


Curiosamente il rapporto, all'opposto dell'amministrazione Bush e di
risultati indipendenti, dipingeva un quadro di «petrolio abbondante».
Ciononostante, Strategic Assessment 1999 rilevava il fatto che
approvvigionamenti insufficienti «potrebbero esacerbare le sottostanti
differenze politiche e fare da catalizzatore a conflitti regionali». E
attualmente è ampiamente riconosciuto che l'America sta attraversando quella
che è stata definita una «crisi energetica».


Il rapporto è stato predisposto dall'Istituto per gli studi strategici
nazionali, che fa parte dell'Università della difesa nazionale (appartenente
a sua volta al dipartimento della difesa), che si trova a Fort McNair,
Washington. L'Istituto per gli studi strategici nazionali fu istituito dal
ministro della difesa nel 1984, e il suo compito principale è di «ricerca e
analisi» per i capi di stato maggiore congiunti, il ministro della difesa e
altri organismi governativi Usa per la sicurezza e la difesa. Ma questa
prova schiacciante sul dipartimento della difesa è collegata a un'altra.


Nel 2001 il vice-presidente Usa Dick Cheney ha diretto una task force
sull'energia (National Energy Policy Development Group) che doveva mettere a
punto una politica nazionale sull'energia con cui affrontare la penuria di
approvvigionamenti che comincia a profilarsi per l'America. Ed era stato
chiesto che alla task force di Cheney partecipasse anche il dipartimento
della difesa.


All'inizio della presidenza Bush era stato commissionato un altro rapporto,
Strategic Energy Challenges for the 21st Century («Sfide energetiche
strategiche per il XXI secolo»). Il documento congiunto è stato preparato
dal potente Us Council on Foreign Relations insieme al James Baker Institute
for Public Policy. Ed era stato questo rapporto a chiedere la partecipazione
del dipartimento della difesa alla task force sull'energia, sostenendo anche
la legittimità dell'«intervento militare» pur di assicurare gli
approvvigionamenti di petrolio.


L'enorme potere dello Us Council on Foreign Relations è testimoniato dal
fatto che, tra i suoi membri, esso conta persone come gli ex segretari di
stato Henry Kissinger e James Baker, oltre allo stesso vicepresidente. E
così pochi saranno sorpresi nell'apprendere che l'amministrazione Bush ha
fatto ogni sforzo per tenere nascosti i partecipanti e contenuto delle
riunioni della task force di Cheney sull'energia.Commentando questo
comportamento, il parlamentare Henry Waxman (democratico, California), capo
del gruppo di minoranza della Commissione sulla riforma del governo, ha
detto che «la Casa Bianca dovrebbe sforzarsi di dire sinceramente la verità
sulle attività della task force e smettere di nascondere informazioni che il
Congresso e l'opinione pubblica hanno il diritto di conoscere». La cortina
innalzata dalla difesa ha provocato anche svariate azioni legali sia da
parte di gruppi di interesse pubblico, sia del General Accounting Office, il
braccio investigativo del Congresso. A seguito del confronto con la task
force di Cheney, il Gao ha avviato la sua prima azione legale in 81 anni di
storia, che però è stata bocciata questo dicembre dal giudice federale John
Bates. Bates, recentemente nominato da Bush, ha deciso che il Gao non aveva
elementi per procedere contro Cheney, o qualunque altro rappresentante
dell'esecutivo, al fine di ottenere informazioni.


Commentando tale decisione, l'ex consulente presidenziale repubblicano John
Dean ha scritto: «La situazione attuale è assurda». Dean proseguiva
denunciando il fatto che, in base alla sentenza di Bates, un qualunque
cittadino americano ha più potere del braccio investigativo del Congresso di
pretendere la diffusione di informazioni da parte del governo.


Passando a ciò che molti percepiscono come il vero motivo della sentenza, il
parlamentare John Dingle (democratico, Minnesota), capo del gruppo di
minoranza della Commissione sull'energia e il commercio ha accusato: «E'
deplorevole, ma non sorprendente, che un giudice federale di nuova nomina
scelga di guardare dall'altra parte. Nel prossimo futuro, a quanto pare,
l'omertà sul vicepresidente Cheney continuerà». E riassumendo la questione
principale, l'ex candidato alla vicepresidenza Usa, il senatore Joseph
Lieberman, ha chiesto: «Che cosa ci stanno nascondendo?».


Mentre la maggior parte delle speculazioni riguardanti la task force di
Cheney si sono concentrate sui suoi rapporti con l'industria energetica, le
implicazioni militari delle deliberazioni della task force - l'intervento
militare per assicurare gli approvvigionamenti di petrolio e di gas - deve
ancora essere affrontato. Ma il documento Strategic Energy Policy Challenges
for the 21st Century pronosticava la fine del greggio a basso prezzo e
abbondante, definendo il petrolio come un «imperativo per la sicurezza» e
auspicando una «nuova valutazione del ruolo dell'energia nella politica
estera americana». E le indicazioni per una nuova valutazione abbondano.


Secondo l'agenzia France Presse il generale William Kernan, comandante in
capo del comando delle forze congiunte d'America, ha rivelato che lo
scenario della battaglia per la guerra afghana era oggetto di discussione
nel maggio 2001 - un mese dopo la pubblicazione del documento di Cheney
National Energy Policy. Il generale Kernan ha lasciato cadere questa
rivelazione in modo apparentemente casuale mentre discuteva le virtù dei
giochi di guerra del «Millennium Challenge» [esercitazione militare Usa,
ndt]. E nel contesto degli eventi attuali, Cheney era legato ai piani per
far cadere l'Iraq e ridisegnare il Medio oriente già molto prima.


Nel 1992 è stato fatto giungere al New York Times il documento Pentagon
Defense Planning Guidance, predisposto da Paul Wolfowitz e Lewis Libby,
all'epoca i due vice del segretario alla difesa Cheney. Secondo Leslie Gelb,
editorialista del New York Times, il documento avrebbe «fatto degli Usa
l'unico gendarme al mondo», e definirebbe le materie prime, «in particolare
il petrolio del golfo persico», di vitale importanza. Oggi Libby è il capo
dello staff di Cheney, e Wolfowitz è il principale collaboratore del
segretario alla difesa Donald Rumsfeld. Entrambi, insieme a Dick Cheney e al
super-falco Richard Perle, sono tra i venticinque soci fondatori del Pnac
(Project for a New American Century), un gruppo che mira a «promuovere e
allargare il consenso per una leadership globale americana».


Nel 1996 Richard Perle ha avuto un ruolo centrale nel disegnare un piano per
allargare i confini della Giordania, piano che sembra essere parzialmente
riflesso nell'attuale politica sul Medio oriente dell'amministrazione. A
quell'epoca Perle e l'attuale sottosegretario alla difesa Douglas Feith
erano stati fra gli autori di un rapporto predisposto per il governo
entrante dell'allora primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Il gruppo
era presieduto da Perle. Il rapporto, A Clean Break: A New Strategy for
Securing the Realm, pronosticava: «Il futuro dell'Iraq potrebbe influenzare
profondamente l'equilibrio strategico in Medio oriente». Una delle
raccomandazioni contenute nel rapporto era di sostenere il tentativo della
Giordania di portare la monarchia hascemita a un trono iracheno.


In una presentazione del 10 luglio 2002 al Defense Policy Board - un gruppo
di consulenza del Pentagono - Lauret Murawiec, analista della Rand
Corporation, vedeva l'«Iraq come il fulcro tattico, l'Arabia Saudita come il
fulcro strategico, l'Egitto come il premio». Ed era stato Richard Perle, ora
presidente del Defense Policy Board designato dal segretario alla difesa
Donald Rumsfeld, a organizzare il briefing. Ancora una volta, veniva
promossa un'agenda politica in cui l'Iraq era usato come trampolino per
trasformare l'intera regione.


Secondo il quotidiano britannico The Guardian, questo deriva dalla
cosiddetta "teoria dei birilli" della politica mediorientale, una teoria le
cui origini vengono fatte in parte risalire al rapporto di Perle del 1996.
Essa sostiene che un colpo inferto all'Iraq abbatterebbe svariati regimi
insieme con quello iracheno. E così, anche se l'anno scorso il presidente
egiziano Hosni Mubarak avvertiva che attaccare l'Iraq avrebbe avuto
«ripercussioni e conseguenze», esprimendo il timore che la regione possa
divenire preda del caos, l'obiettivo stesso dell'approccio «dei birilli» è
proprio il caos nella regione. La teoria dei birilli confermerebbe le
osservazioni di analisti dell'Iraq, come Raad Alkadiri (che lavora a
Washington) il quale ha detto: «l'obiettivo non è semplicemente un nuovo
regime in Iraq; l'obiettivo è un nuovo Medio oriente».




c/


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