TRAINSTOPPING, DIRITTO, GUERRA
Avv. Nicola Canestrini
Direttore del Centro Italiano Studi per la Pace Le recentissime manifestazioni da parte di società civile, movimenti, partiti contro la guerra in Irak da tempo annunciata (perché indispensabile per preservare il disordine mondiale che garantisce a pochi il controllo planetario?) costringe anche i giuristi a confrontarsi nuovamente con il problema della rilevanza giuridica della pace. Vi sono numerose norme nell'ordinamento internazionale che fanno riferimento ad un "diritto alla pace". Ne sono esempio il Preambolo della Carta delle Nazioni Unite del 1945 (ratificata dall'Italia nel 1957), l'articolo 20 del Patto sui diritti civili e Politici del 1966, ma anche la risoluzione 33/73 dell'Assemblea generale dell'Onu che all'articolo 1 recita: "Ogni nazione e ogni essere umano, a prescindere da considerazioni di razza, coscienza, lingua o sesso, ha il diritto intrinseco a vivere in pace. Il rispetto di tale diritto, al pari degli altri diritti umani, risponde agli interessi comuni di tutta l'umanità e costituisce una condizione indispensabile per il progresso di tutte le nazioni, grandi e piccole, in tutti i campi." Infine, la stessa Assemblea generale ha adottato nel 1984 la Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace che "proclama solennemente che i popoli del nostro pianeta hanno un sacro diritto alla pace" e "dichiara solennemente che la tutela del diritto dei popoli alla pace e l'impegno alla sua attuazione costituiscono un obbligo fondamentale di ogni stato". Nei giorni scorsi l'argomento è divenuto di scottante attualità per il fatto che dei manifestanti hanno bloccato i cd. treni della morte, cioè quei treni carichi di materiale bellico destinati alla base USA di Camp Darby vicino a Pisa da dove saranno inviati al Golfo Persico per la imminente guerra. Vi è il pericolo che - come già è successo in passato - detti manifestanti vengano incriminati, ad esempio per il reato previsto dal DLGS 66/1948, che nella parte della norma non toccata dalla depenalizzazione del 1999 punisce "chi depone o abbandona oggetti in una strada ferrata al fine di ostruirla" con la reclusione da uno a sei anni, o ancora per il reato di cui all'articolo 340 Codice Penale che sanziona l'interruzione di un servizio pubblico con pene che possono arrivare fino a cinque anni di reclusione. Si pone dunque il problema di individuare, oltre alle norme di diritto internazionali citate che peraltro non sono cogenti nel nostro ordinamento essendo considerate norme di cd. di soft law, anche nell'ordinamento italiano disposizioni utili a definire la portata del diritto alla pace e/o di eventuali altri strumenti giuridici per trasformare l'istanza etica rappresentata dai manifestati in chiave giuridica. Una prima indicazione in tal senso, e senza voler ricordare che secondo il filosofo del diritto Hans Kelsen la pace è il fine minimo di ogni ordinamento giuridico, o che Sant'Agostino riteneva che il bellare fosse semper illicitum, può essere offerta dal sempre attualissimo articolo 11 della Costituzione italiana, secondo la quale l'Italia "ripudia la guerra". Pur se non delineato a chiare lettere nel disegno costituzionale, l'imposizione per il Tramite della nostra Costituzione di regole di condotta vincolanti per gli organi statali - la cui osservanza garantisce la legittimità delle scelte e degli atti adottati, altrimenti illegittimi! - è venuta a fondare, secondo autorevoli giuristi, un cero e proprio "diritto della collettività all'instaurazione di rapporti pacifici con altri popoli", cioè un nostro diritto a pretendere che i nostri governanti attuino nei loro comportamenti i principi fondamentali della nostra Costituzione, primo fra tutti quello di astenersi dall'uso della forza nei rapporti internazionali, o meglio del ripudio della guerra. Riconosciuto tale diritto, si aprirebbe la strada - per i manifestanti eventualmente incriminati per essersi opposti al transito dei treni della morte - all'invocazione dell'articolo 51 del Codice Penale, il quale esclude la punibilità dei comportamenti (impedire il passaggio dei treni) fondati appunto su un diritto. Un altra strada, per invero, è stata già percorsa dal Tribunale di Trento (!), il quale nel gennaio 1992 in un analogo caso coraggiosamente statuì che "sussiste la scriminante dello stato di necessità putativo nella partecipazione ad una manifestazione pacifista, con invasione dei binari di una stazione ferroviaria al fine d'impedire il trasporto di carri armati destinati ad operazioni militari in Irak e di salvare, per tal modo, un numero indeterminato di persone". In altre parole, il Tribunale di Trento - che ha posto un importante precedente giurisprudenziale, per quanto non vincolante negli ordinamenti di civil law - ha sancito la legittimità dell'occupazione dei binari da parte dei manifestanti che si opponevano alla guerra in Irak perché così facendo gli stessi erano convinti di salvare moltissime vite umane dai bombardamenti angloamericani. A tale pronuncia del Tribunale di Trento se ne sono aggiunte molte altre, tra le quali Grosseto, Milano, Rovereto, Torino, Mantova, Cremona, Verona: alcune delle dette pronunce giustamente indicano il primo criterio interpretativo delle norme penali invocate nella Costituzione, e segnatamente nei principi di libera manifestazione del pensiero e della libertà di riunione. La stessa legge 185/90, di cui tanto si parla anche negli ultimi tempi, che disciplina il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento all'articolo 1 dice che "il transito di materiale di armamento (.) dev[e] essere conform[e] alla politica estera e di difesa dell'Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali." Lo tesso legislatore recepisce dunque molto chiaramente il dettato della Carta Costituzionale. Un'ultima osservazione, senza voler entrare nel merito della cd. guerra giusta che anche l'Italia si appresta a combattere in Iraq (ma le guerre non sono sempre giuste per chi le fa?): vi è una controversia internazionale aperta in seno alle Nazioni Unite, i cui organi si occupano del problema seguendo una complessa procedura che ha il fine di far vincere chi ha ragione. La guerra, invece, ha l'opposto fine di dare ragione a chi vince. Ecco perché sono e rimango convinto che la prima e fondamentale legge di natura che permette di instaurare uno stato civile e democratico sia quella stigmatizzata da Hobbes: pax est quaerenda, dobbiamo pretendere la pace. Avv. Nicola Canestrini [EMAIL PROTECTED]
Direttore del Centro Italiano Studi per la Pace www.studiperlapace.it Giuristi democratici Trentino - Südtirol |