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"Le realtà sono determinate da chiunque voglia determinarle". T. Leary Molti pensavano che l'Islam fosse un sistema culturale occidentale, prevedibile. L'assuefazione alle guerre nelle borse merci sul prezzo del petrolio, le battaglie con l'OPEC, la retorica di Lawrence d'Arabia, la linearità dei conflitti arabo-israeliani e di quello contro l'Iraq, avevano fatto dimenticare la radice orientale non dei regnanti, ma dei fondamentalisti. Bernard Lewis ha posto in evidenza due mondi, quello cristiano e quello arabo, che pur incontrandosi, non si sono conosciuti. Questa ignoranza reciproca è evidente nel conflitto arabo-palestinese/israeliano. L'Islam secondo Braudel è una religione ascetica ma dura, per uomini abituati al vuoto umano chiamato deserto e che un uomo toccato dalla Grazia colma col Verbo. Ma è la città l'ambiente più consono all'Islam. E' una presenza ossessiva e nostalgica, la vita del musulmano è comunitaria e pretende il senso del gruppo, della comunità. E' una seria organizzazione. Khomeini che fece saltare lo Scià, aveva letto i filosofi greci ed era affascinato dalla Repubblica di Platone. La sognò ma realizzò qualcosa di diverso lasciando l'Iran in mano ai pazdaran. L'Afghanistan liberato dal ricatto dei russi passò in mano agli studenti coranici. Gli hezbollah ricordano dov'è il vero Islam. Saddam Hussein è islamico ma coltiva il culto della personalità come solo i dittatori occidentali e imperatori orientali hanno saputo fare. I regnanti sauditi e i vari emiri del petrolio si trovano bene più nei grandi alberghi che nel deserto, ma il vero potere è nel clan di appartenenza. Gheddafi è forse il più fedele alle tradizioni di tutti, vive nel deserto. L'Islam è una morale nel senso più ampio del termine, ma non di regole imposte dall'uomo, ma da Dio. Oggi il mondo islamico interpreta le previsioni di Nietzsche quando parla della schiavitù. Bene e male è tale perchè stabilito dai padroni, un pò come stava elaborando Marx. Succede però che nasce una morale dei più deboli come risentimento. In questa prospettiva che risente delle discussioni dei sofisti, di Platone e del Cristianesimo (propugnatore dell'eguaglianza), Nietzsche fa una scoperta sensazionale: la morale dei deboli può diventare la morale della sopraffazione. Da tutto ciò deriva un atteggiamento nichilistico. Quello dei kamikaze. Il terrorismo ha rivelato un mondo indifeso, ma ha anche posto in evidenza le difficoltà tecniche e logistiche di un'azione militare tradizionale. Per un breve periodo la guerra in Afghanistan sembrava la ripetizione di quella nel Golfo, ma ha evidenziato non solo la costosità, quanto l'inutilità delle ultime tecnologie. Non c'è oggi solo un ripensamento in quel modello di guerra, ma anche sul terrorismo globale come modello di scontro fra civiltà o nuova minaccia che richieda una risposta unitaria e globale. Cade l'idea dell'asse del male, ma non quella degli Stati che posseggono armi di distruzione di massa o che sostengono il terrorismo, e dunque da eliminare. I sistemi saranno o la guerra aperta o la destabilizzazione dall'esterno, dando supporti a colpi di stato interni. Sbaglia però chi pensa ad un ruolo risorgimentale delle masse in Iran, Iraq, Sudan, Libia, Arabia Saudita e altrove. Il processo di analisi e studio è in una fase di incertezza, anche perchè l'ombra del terrorismo annebbia la mente di chi deve decidere. L'Afghanistan ha insegnato che una potenza con mire di compiti globali deve sviluppare una altrettanto globale rete operativa e logistica sulla base di accordi bilaterali. Vi sono due scenari futuri: uno è quello suggerito dalla guerra senza limiti. Secondo questo approccio le guerre non saranno fra culture diverse e nei luoghi dove tali culture si incontrano come presume Huntington. Saranno guerre fra diverse culture della guerra e perciò asimmetriche. Non è importante sapere chi le farà ma che combatteranno ad armi impari e con scopi diversi. Gli scontri saranno in ogni parte del mondo. Se il terrorismo fosse l'arma dell'oriente il luogo potrebbe essere qualsiasi punto dell'occidente, simbolico e vulnerabile. Se l'arma è l'attacco informatico il luogo sarebbe sia l'occidente che l'oriente, laddove la tecnologia e maggiormente impiegata e non protetta. Se l'arma è la destabilizzazione finanziaria i luoghi sarebbero le borse e le banche d'affari, per la destabilizzazione politica i luoghi sarebbero le sedi diplomatiche e politiche nazionali e internazionali cresciute con il lobbismo. Saranno guerre sub-regionali fra Stati o fra non Stati (guerre private) e per ragioni non di Stato che richiedano interventi esterni. Saranno guerre tra e per conto di nuovi imperi: imperi della rete, della comunicazione, dell'informatica e delle risorse intellettuali di ricerca. Per queste guerre si ricorrerà agli eserciti ma previa mobilitazione dell'opinione pubblica. I mezzi saranno vari, economici e finanziari, politici diplomatici, d'intelligence, d'informazione, o altro mezzo deterrente. Gli attori potranno essere le istituzioni sovranazionali economiche e finanziarie, le organizzazioni non governative, le corporazioni multinazionali o nazionali, intelligence, mafie, privati uniti o meno in uno dei tanti nomi collettivi alla Luther Blisset che girano per rete. Ed anche gli Stati con i loro assetti ed eserciti, questi saranno gli unici a vedersi. In questo scenario gli USA hanno maggiori potenzialità, ma sono ancora una entità statale strutturata che ha bisogno di un consenso popolare e un sostegno strutturale. Nel mondo dei ricchi (che prescinde da est, ovest, nord o sud) c'è ancora una potenzialità di condurre le guerre senza bisogno di consenso pubblico. I colonnelli cinesi hanno denunciato come i finanzieri rampanti possano agire come terroristi, e come le politiche discutibili delle istituzioni finanziarie internazionali possano provocare più danni di una guerra. Secondo loro il pensiero militare strategico americano, non si distacca mai dalla tecnologia. Il suo progresso è lineare e razionale, legato al sistema di causa-effetto. Tuttavia quello della tecnologia può essere un limite concettuale ma irrilevante da un punto di vista pratico, ma quello che i colonnelli cinesi non sono riusciti a trasmettere con forza prima dell'11 settembre è che in assenza di un pensiero a-lineare, altre identità legate o indipendenti a qualsiasi establishmnent, possono avere l'opportunità e capacità di ricorrere a mezzi estremi. Le future guerre dovranno ricorrere all'immaginazione e alla ricerca di soluzioni insolite con tutti gli strumenti, leciti o illeciti. La leicità ed eticità non hanno ancora un solo codice universale. Il secondo scenario è ciò che si preparano a fare gli USA: la guerra al terrorismo è la base di partenza per tutto il resto. Il suo scopo è liberare il mondo dalla paura di attacchi, ma si sta rilevando l'unica causa capace di mobilitare risorse più di una guerra mondiale. Per molti è un vantaggio insperato. La guerra alla droga, criminalità, traffici illegali, sono prodotti secondari. Diventano prioritari solo se creano ostacoli alla lotta contro il terrorismo. E' una guerra per o per liberarsi dalla paura. Antica come il mondo, ma che aggiunge guerre private e guerre istituzionali con un nuovo settore: la guerra preventiva contro chiunque. E' uno scenario meno accademico ma non rassicurante o meno apocalittico. Donald Rumsfeld afferma (come già nella dottrina di Bush) che la prossima guerra non dipende dal tipo di avversario, dal terreno o dalle tecnologie o dai risultati. Non si basa sulla minaccia individuata ma sulla capacità dell'offensiva. Lo strumento militare deve contrapporsi a qualsiasi minaccia, conosciuta o no. Le aree da controllare sono le quattro degli Stati canaglia, la deterrenza sta nella certezza dell'uso dell'azione militare e nell'incertezza di chi sarà il primo. Il successo sta nel combinare diversi strumenti e strategie. I piani e i mezzi ormai ci sono. Questa è una guerra di una linearità sconcertante e di una asimmetria esorbitante, uno contro tutti in generale e uno contro quattro in particolare. Invece di sfruttare i vantaggi dell'asimmetria (grandi effetti con poche risorse) è dispendiosa e incerta nei risultati. E' trasparente negli obiettivi e indica un quinto interlocutore, o meglio una miriade di quinti interlocutori, che hanno interessi a distruggere uno di questi stati. Osama bin Laden potrebbe essere uno dei quinti. Questo non sarà il modello finale delle guerre del XXI secolo, ma è quello iniziale. Per quanto riguarda l'asimmetria degli scopi materiali o ideali, può esserci quello del combattimento senza uno scopo e quindi senza fine. Questo significa non dare un vantaggio strategico: significa aumentare la paura. La paura che l'occidente avverte in maniera paranoica è legata alla prospettiva del futuro. Il suo cosmo di riferimento è esterno, lontano. La paura proviene dal futuro e dall'esterno e si impossessa del vuoto interno. Il cosmo dell'oriente vive di ieri, oggi e domani, è interno allo stesso uomo e lo riempie. la paura dell'esterno non riesce neppure a penetrarlo. O si mescolerebbe. Il mondo che guarda lontano nel futuro guarda lontano anche nello spazio e i suoi limiti coincidono con i limiti dei mezzi per vedere. Chi guarda lontano non teme il fuori perchè sa come comprenderlo, quello che guarda vicino nel tempo guarda vicino anche nello spazio. L'espressione massima è l'introspezione che non ha limiti tecnologici e sensoriali. Il limite di chi ha il cosmo dentro di sè non coincide con i limiti di chi lo ha fuori. La percezione della paura è diversa. E' l'asimmetria della paura esistenziale che pone il problema dei mezzi per eliminarla. Entrambi gli scenari hanno dei limiti, la priorità dei motivi delle guerre: uno motivo pratico può essere l'acqua. L'intero medio-oriente è a rischio, altro motivo è la criminalità organizzata transnazionale. Non tutte le guerre sono esenti da rischi politici più ampi dell'ambito in cui si combattono, quella più imprevedibile è l'influenza in campo politico delle altre forme di guerra asimmetrica più subdole e meno evidenti: l'information warfare, la cyber warfare, la guerra finanziaria e la guerra ecologica. Le attuali alleanze hanno una debolezza nella labilità del legame che le unisce. L'ideologia è finita, anche l'alleanza sui valori è più uno slogan. Se Cina, Russia e Uzbekistan si uniscono non è nè per religione, nè per il senso della democrazia, dei diritti umani o libero mercato. La globalizzazione ha cambiato il concetto di civiltà e politica: entrambe si rifanno alla radice di città. L'unità sociale definita da un territorio, autorità e legge. Il concetto di civiltà si intreccia con quello dei confini, limiti territoriali o d'imperio. Oggi le frontiere sono mobili e la civiltà viene superata. Oltre al post-moderno, post-guerra fredda, bisognerebbe includere post-civiltà. La stessa condivisione delle tecnologie e degli interessi come criterio di alleanza è obsoleta. Esiste la frammentazione, anche nelle tecnologie militari. L'unico collante che mette insieme è la paura e allora il terrore diventa deterrenza. La strategia di Rumsfeld è strategia di deterrenza, ma occorre che sia credibile. Ma questo significa mettere in campo le risorse umane, finanziarie e materiali immense che non sono illimitate e devono essere distolte da altri campi. Oltre ad essere un limite di credibilità, non è detto che non sia lo scopo dell'avversario. L'asimmetria della paura esistenziale pone un duplice problema: alleanze inaffidabili e poco efficaci Il limite delle risorse si sta risolvendo come quello del limite dell'opzione zero-morti. I soldati delle nuove guerre possono morire. . R. Luraghi, Le opere di raimondo Montecuccoli, SME-Ufficio storico. 1989 Bernard Lewis, Europa barbara e infedele, Arnoldo mondadori editore, 1983 D. H. Rumsfeld, Transforming the Military, Foreign Affairs, May/June 2002 Fabio Mini, Al di là e al di qua dei limiti, 2003 ___________________________________________ Rekombinant http://www.rekombinant.org