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strategie per la comunicazione indipendente
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Cari fratellini e care sorelline,

ogni mattina mi sveglio alle 6 per andare a fare yoga, alcuni giorni a
guidarlo, altri a seguirlo. Questa mattina lo seguivo. Forse e' stato
un bene. O no, chissa'. Se l'avessi guidato probabilmente avrei reso
tutto partecipi del mio immenso dolore. Invece, nel mio angolino, ho
pianto per tutto il tempo dal piu' profondo del mio cuore.
Mi sono svegliata con l'angoscia e con la paura. Erano stati emotivi
di compressione. Tenevano a bada qualcosa che stava sotto, una cosa
semplice semplice, la sofferenza.
In genere sono attenta e presente, non dimentico mai nulla. Ebbene,
questa, mattina ho dimenticato il portafogli, gli occhiali da sole
(graduati oltetutto, poi gli occhi molto chiari, al sole
soffrono), ho dimenticato di portare la coperta per lo yoga, ho
dimenticato persino di chiudere la porta finestra di casa.
La mia casa da' sulla strada, ci sono delle scalette che scendono
direttamente nella piazzetta, e lasciare aperta la porta finestra del
terrazzo e' come invitare chiunque ad entrare.
Ero come in un limbo, la paura faceva il suo gioco e all'angoscia ha
sostituito una sensazione di sperdimento.
Poi e' arrivato il momento dello yoga, il mio momento di quiete, dove
ogni volta cerco la strada per entrare in contatto con il mio cuore. E
vi ho trovato un dolore immenso. Questo dolore era fatto (ed e' fatto)
di missili, bombardamenti, bambini che piangono, madri che urlano
disperate perche' i loro figli stanno esalando gli ultimi respiri,
case intere che crollano, volti terrorizzati che tentano di mettersi
in salvo scappando.
Questo dolore e' fatto dei veli delle donne musulmane che si colorano
di sangue, ma non si vede, perche' i veli sono neri.
Ho pianto tanto, dal piu' profondo del mio cuore, e piango
ancora.
Queste lacrime le benedico, perche' hanno trasformato lo sperdimento
provocato dall'angoscia e dalla paura in un lutto.
Indossero' un velo nero sul capo, accendero' le candele e manterro'
viva la mia compassione, che non e' cordoglio, ma patire insieme.
Non sono una vittima diretta di questa guerra, ma nella compassione
per le vittime reali e nella solidarieta' che ne deriva, manterro'
vivo il mio dissenso e il mio dolore.
Ebbene, sono in lutto, un sano attaccamento alla sofferenza. Le
lascero' spazio, lo spazio delle lacrime, lo spazio della compassione,
lo spazio del rispetto, non forzato, ma naturale che ne deriva.
Mi piacerebbe che mi foste solidali, che cerchiate dentro il vostro
cuore la semplice e umanissima sofferenza per quanti stanno morendo al
posto nostro.
Mi guardo dentro e mi ricordo che potrebbero
essere i miei fratelli, i miei figli, i miei genitori, i miei amici.
Sento che questa guerra la stanno facendo anche a noi,
a noi che non la vogliamo, stanno facendo soffrire anche noi.
Mi piacerebbe che tiriate fuori tutta l'umanita' che avete dentro per
dimenticare, almeno in questi giorni, le vostre personali sofferenze e
trasformarle in un sentimento di compassione per quanti stanno morendo
adesso, oggi, accanto a noi.
Sicuramente gia' lo fate, anzi, molti di voi so quanto profondamente
sono impegnati anche piu' di me... era solo una necessita' di
condivisione.


Con amore, Alessandra


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