Ciao kapparecchiedermi, vi mando da leggere qualche divagazione sugli etimi, che magari qualcuno con questo caldo non s'addormenta (piu').

(Se interessa, seguira' seconda parte)

bella !
Rattus
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Una decina d'anni fa mi ritrovai, in seguito a circostanze piuttosto fortuite, a trascorrere un periodo presso un'universita' di New York. Durante il corso intensivo di inglese che dovetti seguire veniva utilizzato un testo per gli esercizi di pronuncia. Su quel libro ebbi modo di imbattermi in un "dialogue" che catturo' la mia fantasia per la singolarita' del suo contenuto. Il dialogo, molto breve, descriveva l'incontro occasionale tra un insegnante di musica e una ragazza. Ne riporto alcuni passaggi:

Girl: Did you know Hugh Young ? He was a music student.
(Ragazza: Conosceva per caso Hugh Young ? E' stato uno studente di musica).

Teacher: Hugh Young ? Didn't he use to wear a funny yellow jacket all the time ?
(Insegnante: Hugh Young ? Indossava sempre una buffa giubba gialla ?)


Girl: Yes, and he used to play the piano with a jazz group at the university.
(Ragazza: Si'. E suonava il piano in un gruppo jazz dell'universita')

Teacher: Yes, I remember Hugh. Most people tought he was a little...uh... peculiar.
Do you know what he is doing now ?
(Insegnante: Si, me lo ricordo Hugh. Molte persone pensvano che fosse un po' ...uh...bizzarro. Sa per caso cosa sta facendo adesso ?)


Girl: Yes, he is a millionaire in Houston
(Ragazza: Si, e' un miliardario di Houston.)

Teacher: A millionaire ? As a jazz musician ?
(Insegnante: Un miliardario ? Come musicista jazz ?)

Girl: Oh, no. He's an executive for a huge computer company. I saw an interview with him on TV yesterday. They were asking his opinion about future uses for computers.

(Ragazza: Oh, no. E' dirigente in una gigantesca compagnia di computer. Ho visto una sua intervista in televisione ieri. Gli stavano chiedendo un'opinione sugli usi futuri del computer.)

Teacher: Well ! I guess people don't find him so peculiar anymore.
(Insegnante: Bene ! Suppongo che la gente adesso non lo trovera' piu' cosi' bizzarro.)


Il dialoghetto mi incuriosi' soprattutto perche', almeno di solito, nei testi didattici di inglese per studenti stranieri si trovano scambi che riguardano situazioni piuttosto ordinarie, come quelle che avvengono in un ristorante o sull'autobus. Ne' il testo in questione faceva eccezione a questa regola. Da dove saltava fuori questo strano jazzista ? Oggi mi rendo conto che in quel periodo negli Stati Uniti, miliardi a parte, si trattava di un argomento abbastanza ordinario. Insomma, era una eloquente esemplificazione di come laggiu', nel corso degli anni '80, l'occupazione nel settore informatico intecettava, nel suo diffondersi, personaggi piuttosto particolari: artisti, scienziati mancati, hippyes. Ne', a quanto pare, mancavano devianti sull'orlo dell'attivita' criminale, se e' vero, come ha sostenuto John Katz, che l'informatica ha tolto dalla strada molti ragazzi che altrimenti avrebbero fatto una brutta fine. (Staglianò, Repubblica, 3 Agosto 2000).

Il termine inglese "peculiar", che nell'espressione del docente di musica tradisce un sottile imbarazzo mascherato dal tipico aplomb, si traduce in italiano con termini come "originale, strano, bizzarro" . Informatici piuttosto "peculiar" come l'immaginario Hugh Young, iniziarono presto ad apparire anche in Europa, soprattutto all'interno delle universita' e degli ambienti di ricerca. Un docente universitario di notevole esperienza, Giovanni Jervis, segnalava nel 1992 come tra i giovani scienziati che frequentavano gli istituti di ricerca italiani si stava affermando un nuovo stereotipo: "quello del genio in shorts e scarpe da jogging che lavora al computer tenendo appesa una radio che spara rock a discreto volume e si riposa leggendo gialli e fantascienza".

"Peculiar" ha avuto un precedente illustre e meno generico in ambito scientifico: con il termine "crank" alla fine Ottocento, sostiene lo storico della scienza Federico Di Trocchio, si indicava tra gli scienziati statunitensi : "ogni personaggio strano e incoerente che si mostri incline a seguire idee eccentriche e progetti impraticabili o che appaia entusiasticamente posseduto da una particolare mania o hobby". Nei vocabolari di inglese a tutt'oggi viene indicata come "crank" una persona eccentrica dai tratti un po' maniacali.

Nell'ultimo quarto del secolo scorso e' stata dunque la figura del crank ad essere popolarizzata dall'avvento dell'informatica di massa. Questo fenomeno si coglie nell'inglese parlato soprattutto attraverso due nuovi termini: hacker e geek. Termini tra i quali, a dire il vero, non si colgono differenze molto sostanziali. L'hacker, ci ricorda tra gli altri Pekka Himanem, non e', come pensano molti, un criminale informatico e non necessariamente dev'essere un esperto di computer, piuttosto si tratta di un entusiasta, di un dilettante appassionato, di un crank.

Tuttavia, almeno nell'ambito del M.I.T., dove il termine ha avuto origine, l'hacker era senz'altro un virtuoso della programmazione informatica. Il termine geek ha origini piu' oscure, che probabilmente vanno rintracciate nel gergo che si era formato intorno alle attivita' dei circhi itineranti statunitensi di fine ottocento sul tipo del Barnum. Cio' suggerisce un punto di contatto con uno stereotipo cronologicamente precedente, quello del "freak", il giovanotto barbuto e svagato in eskimo e scarpe da tennis che andava di moda negli anni '70. Freak, vale ricordarlo e' letteralmente un fenomeno, un'anomalia della natura. Questo elemento teratologico e' presente anche nel geek che, piaccia o meno, e' il protagonista delle mutazioni cognitive indotte dalla tecnologia informatica.
Ma nel linguaggio ordinario il termine geek non viene utilizzato in modo diverso da quello in cui viene usato hacker. Il geek e' il tipico "impallinato" di scienza e tecnologia, che legge fantascienza e che spesso si comporta in modo goffo e scarsamente socievole. La creazione di due neologismi per definire la stessa tipologia di personaggio e' un buon indicatore della diffusione sociale del fenomeno.
E' dunque la scienza ad essere divenuta "popular" ?
Forse, ma la risposta non e' cosi' semplice e andrebbe cercata altrove.
L'informatica, intercettando la creativita' diffusa nel tessuto sociale e' riuscita a contenere per un lungo periodo gli effetti indesiderati di due fenomeni caratteristici dell'occidente industrializzato: il livello crescente di cultura media e la progressiva riduzione del lavoro manuale. Le diffuse doti di creativita', di immaginazione estetica e scientifica, hanno trovato nell'informatica una sorta di contenitore sociale. Un musicista come l'immaginario Hugh Young, poteva trasferire nella programmazione molta della sua spinta all'esplorazione, quella capacita' creativa e immaginativa che nel mercato musicale dominato dalle major non avrebbe trovato facilmente spazi di espressione. Questo fenomeno si e' esteso progressivamente seguendo l'evoluzione del computer che, almeno a partire dagli anni '90, si e' candidato al ruolo di interfaccia polivalente per una molteplicità di attività creative: la scrittura, la musica, la fotografia, la matematica, la grafica tridimensionale e così via.
La cibernetica del resto, aveva fin dalle origini una certa inclinazione verso i crank, basti ricordare quanto scriveva Norbert Wiener - considerato il padre storico della disciplina - nei primi anni '50: "Tutti conoscono la figura dell'inventore mancato, quel poveretto che va in giro raccontando a tutti che, se gli avvocati fossero stati un po' piu' onesti nei suoi confronti, avrebbe fatto fortuna con l'invenzione del telefono, del grammofono o della radio. (...)" E proseguiva: "Coloro che conoscono la storia delle invenzioni, tuttavia, non ridono poi tanto, poiche' il numero di invenzioni portate a termine e corroborate dalla legge sui brevetti e dalla vendita commerciale rappresenta soltanto quella piccola parte dell'iceberg dell'invenzione che si trova sopra il livello dell'acqua".
La seconda affermazione di Wiener ci fornisce un elemento per introdurre l'argomento principale di questo intervento. Qui sosterro' infatti che il potenziale di intelligenza e di creativita' presente nella nostra societa' e' molto superiore sia a quanto viene ufficialmente riconosciuto e per cosi' dire "messo agli atti", sia a quanto viene poi, in un modo o nell'atro, utilizzato. Il termine "cognitariato" e' stato inventato da Franco Berardi (Bifo) che lo ha definito in questo modo: "cognitariato e' il flusso del lavoro semiotico socialmente diffuso e frammentato, visto dal punto di vista della sua corporeita' sociale". E il lavoro semiotico socialmente diffuso e frammentato e' cio' che, a mio parere occupa, almeno nella maggior parte dei casi, la parte sommersa dell'iceberg di cui parlava Wiener. Questo, come vedremo, non e' vero soltanto per l'articolo scientifico sulla rivista specialistica o per il programma informatico sotto copyright, ma anche per l'articolo di moda o di costume che si affaccia su un rotocalco, per la maglietta con la dicitura "no logo" e cosi' via. Si badi: qui non si intende cadere in un ingenuo "collettivismo" dell'attivita' scientifica o culturale. Ne' si vuole negare i diritti a chi lavora con impegno in questi settori. Al contrario, ci si limita a scandagliare l'ipotesi che queste persone siano in numero maggiore di quanto si sia abitualmente disposti ad ammettere. Di questi personaggi "eccedenti" si vorrebbero, per cosi' dire, difendere i diritti.


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