"Le Nouvel Observateur" intervista Jean Baudrillard a proposito del film
Matrix Reloaded

Dopo avere girato il primo Matrix, i registi del film, i fratelli Wachowski,
hanno preso contatto con Jean Baudrillard per chiedergli di fornire la sua
consulenza per i sequels in preparazione. Ma il filosofo francese ha
rifiutato e spiega il perché in un'intervista al settimanale francese
"Nouvel Observateur" di cui vi offriamo alcuni stralci. "Matrix è un po' il
film sulla Matrice che avrebbe potuto fabbricare la Matrice".

da "Le Nouvel Observateur", 19 giugno 2003)- Fonte www.nuovimondimedia.it

- Le Nouvel Observateur. Le sue riflessioni sul reale e il virtuale sono
alcuni dei riferimenti proposti dai registi di Matrix. Nel primo episodio
lei era citato in maniera esplicita e vi si scorgeva anche la copertina di
Simulacres et simulation, apparso nel 1981. Questo la sorprende?

Jean Baudrillard. C'è un equivoco di fondo, ed è la ragione per cui ho
esitato finora a parlare di Matrix. Dopo il primo episodio, lo staff dei
Wachowski mi aveva contattato per coinvolgermi nei film successivi, ma non
c'era neanche da parlarne! (…) Queste persone considerano l'ipotesi del
virtuale come un dato di fatto e la trasformano in fantasma visibile. Ma la
caratteristica di questo universo, è appunto il fatto che non si possono più
utilizzare le categorie del reale per parlarne.

- Il collegamento tra questo film e il punto di vista che lei sviluppa per
esempio nel Delitto perfetto è però abbastanza sorprendente. Questa
evocazione di un "deserto del reale", questi uomini-spettro resi del tutto
virtuali, che sono solo la riserva energetica di oggetti pensanti…

Sì, ma ci sono già stati altri film che trattavano questa crescente
indistinzione fra reale e virtuale. Truman Show, Minority Report o anche
Mulholland Drive, il capolavoro di David Lynch. Matrix vale soprattutto come
sintesi parossistica di tutto questo. Ma il dispositivo qui è più rozzo e
non suscita veramente il turbamento. O i personaggi sono nella Matrice, cioè
nella digitalizzazione delle cose. O sono radicalmente al di fuori, cioè a
Zion, la città di coloro che resistono. In effetti, sarebbe interessante
mostrare ciò che accade sul punto di giuntura dei due mondi. Ma quello che è
soprattutto imbarazzante in questo film, è che il nuovo problema posto dalla
simulazione qui è confuso con quello, molto classico, dell'illusione, che si
trovava già in Platone. Il vero equivoco è qui. Il mondo visto come
illusione radicale è un problema che si è posto a tutte le grandi culture e
che da esse è stato risolto con l'arte e la simbolizzazione. Quello che
noialtri abbiamo inventato per sopportare questa sofferenza, è un reale
simulato, un universo virtuale da dove è espurgato tutto ciò che c'è di
pericoloso, di negativo, e che soppianta ormai il reale, fino a diventarne
la soluzione finale. Ora, Matrix è assolutamente all'interno di questo
meccanismo! Tutto quanto appartiene all'ordine del sogno, dell'utopia, della
fantasia, qui è dato vedere, "realizzato". Siamo nella trasparenza
integrale. Matrix, è un po' il film sulla Matrice che avrebbe potuto
fabbricare la Matrice.

- E' anche un film che intende denunciare l'alienazione tecnicista e che
gioca allo stesso tempo completamente sull'ipnosi esercitata dall'universo
digitale e dalle immagini di sintesi…

Quello che è sorprendente in Matrix 2, è che non c'è un barlume d'ironia che
permetta allo spettatore di cogliere il lato nascosto di questo gigantesco
effetto speciale. Mai una sequenza che abbia quel "punctum" di cui parla
Barthes, quel congegno che colpisce e che vi mette di fronte a una vera
immagine. E' questo del resto ciò che fa del film un sintomo istruttivo, e
il feticcio stesso di questo universo delle tecnologie dello schermo, dove
non c'è più distinzione tra il reale e l'immaginario. Matrix è a tal
proposito un oggetto stravagante, candido e perverso insieme, in cui non c'è
niente né al di qua né al di là. Lo pseudo-Freud che parla alla fine del
film, lo dice: a un certo punto, si è dovuto riprogrammare la Matrice per
integrare le anomalie nell'equazione. E voi, gli oppositori, ne fate parte.
(…) Matrix dà l'immagine di un'onnipotenza monopolistica della situazione
attuale, e collabora dunque alla sua rifrazione. In fondo, la sua diffusione
su scala mondiale fa parte del film stesso. Qui, bisogna riprendere McLuhan:
il medium è il messaggio. Il messaggio di Matrix è la sua stessa diffusione,
per contaminazione proliferante e incontrollabile.

- E' abbastanza sorprendente vedere anche che ormai tutti i grandi successi
del marketing americano, da Matrix all'ultimo album di Madonna, si
presentano esplicitamente come critiche del sistema che li promuove in modo
massiccio...

E' proprio quello che rende la nostra epoca abbastanza irrespirabile. Il
sistema produce una negatività in trompe-l'oeil, che è integrata ai prodotti
dello spettacolo come l'obsolescenza è inclusa negli oggetti industriali. E'
del resto il modo più efficace di mettere sotto chiave ogni vera
alternativa. Non c'è più nessun punto omega esterno su cui appoggiarsi per
concepire questo mondo, nessuna funzione antagonista, c'è solo adesione
ipnotica. Ma bisogna sapere pure che più un sistema si avvicina alla
perfezione, più si avvicina alla irregolarità totale. E' una forma d'ironia
oggettiva che fa in modo che nessuna partita sia giocata fino in fondo. L'11
settembre era partecipe di questo, certo. Il terrorismo non è una potenza
alternativa, è solo la metafora di quel capovolgimento quasi suicida della
potenza occidentale su se stessa. Questo è quello che ho detto allora, e che
non è stato accettato. Ma non occorre essere nichilista o pessimista di
fronte a questo. Il sistema, il virtuale, la Matrice, tutto questo tornerà
forse alle pattumiere della storia. La reversibilità, la sfida, la seduzione
sono indistruttibili.


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