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La necessaria follia del pensare
La rinuncia della sinistra politica a proporre un'alternativa alla realtà
spettrale del capitalismo globale. Finalmente pubblicato «Il soggetto
scabroso», l'opera più ambiziosa del filosofo svolveno Slavoj Zizek
Heidegger, Balibar, Badiou, Butler, Beck. Filosofi, filosofe e studiosi così
diversi tra loro, ma accomunati dall'assenza di una politica della
liberazione all'altezza della miseria del presente
SANDRO CHIGNOLA
Come evadere dal circuito spettrale del capitalismo globale e dal suo doppio
ideologico? Come agire un gesto di liberazione che sia realmente politico e
in grado di evitare il gioco al massacro del costante venire a patti con
quella che, nelle retoriche del riformismo e della «sinistra di governo», ci
viene presentata come la realtà, come l'inscalfibile orizzonte di
riferimento sul quale misurare validità e legittimità dell'azione? Ciò che
Heidegger, i teorici postalthusseriani (Balibar, Rancière, Laclau, Badiou),
il femminismo decostruzionista (Butler), i sociologi della «società del
rischio» (Giddens, Beck, per non parlare delle retoriche liberal del
multiculturalismo) hanno in comune, è, per Slavoj Zizek, la cui opera più
ambiziosa viene infine messa a disposizione del lettore italiano (Il
soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Raffaello Cortina
Editore, pp. 500, € 37), il rifiuto a confrontarsi con l'ontologia e ciò che
da quello stesso rifiuto consegue: la mancanza di radicalità nel pensare una
politica di liberazione all'altezza della miseria del presente.

Nell'interpretazione di Zizek, la scena contemporanea è dominata da due
opposti e complementari modi di venire a patti con la perdita catastrofica
che segue al «collasso del marxismo» del 1989: da un lato l'insistenza sulla
forma vuota, la pura retorica dei principi feticisticamente attardata in
difesa dei capisaldi della socialdemocrazia; dall'altro l'accettazione delle
regole del capitalismo globale come necessità che fa legge, il Full Monty
della sinistra blairiana ed ulivista, l'«andare fino in fondo» nello
spogliarsi di ogni residua istanza capace di sostenere un'alternativa alle
logiche del capitale.

Quanto rende possibile una tale impasse, è, per Zizek, il disconoscimento
della scena originaria nella quale viene posto il problema del soggetto: non
il suo venire a mancare, come lo interpretano le filosofie del postmoderno,
il suo indebolirsi e scomparire come agente della trasformazione, ma il suo
identificarsi con la mancanza stessa, con l'eccedenza che lo fonda come da
sempre «out-of-joint», scardinato alla propria realtà, come incompleto,
«vuoto».

Applicando alla filosofia politica contemporanea l'analisi lacaniana del
problema della soggettività nell'idealismo tedesco, Zizek mira ad un doppio
risultato. Da un lato assumere la centralità dello scarto in cui si
costituisce la soggettivazione - mossa, quest'ultima, che gli permette di
sganciare il problema del soggetto da ogni coinvolgimento con l'ordine della
totalità e dell'immediatezza, evitando così l'errore di postulare una
posizione di semplice esteriorità tra il soggetto e il positivo, tra il
contingente e l'universale, tra l'«escluso» che pretende l'accesso e
l'ordine di rapporti che lo esclude -; dall'altro l'interpretazione della
filosofia politica contemporanea come formazione fondamentalmente difensiva.

Ogni ontologia è intrinsecamente politica, per Zizek, perché fondata da un
atto «soggettivo» di decisione, che presenta la duplice caratteristica di
essere sempre disconosciuto e contingente. L'idea della realtà come «Tutto
autosufficiente» (anche quella del soggetto agente di una trasformazione
possibile) va kantianamente rifiutata come paralogismo, perché quello che
appare come un limite epistemologico dell'umana capacità di comprendere la
realtà (il fatto che essa possa solo e sempre essere percepita a partire da
una prospettiva finita e temporale) è la condizione ontologica costitutiva
della realtà stessa. Come in Fichte (la nozione di Anstoß) o in Hegel (il
negativo dialettico), la resistenza che il soggetto incontra non è una
resistenza esterna (l'inerzia dell'ordine della realtà), ma lacanianamente
ex-tima, fondativa della stessa realtà del soggetto, e proprio per questo
eccedente/eccessiva rispetto alla sua stessa padronanza di sé. C'è, in altri
termini, un momento di follia necessaria implicato sulla scena del cogito.

E' questo presupposto ciò che permette a Zizek di aprire un confronto
radicale con il pensiero critico contemporaneo. Badiou e Laclau
«ontologizzano» immediatamente il soggetto come effetto del loro platonismo
di fondo. Rancière, muovendo dall'opposizione tra quelle che egli chiama la
politique/police e la politique, tende a sovrastimare, stabilizzandolo, lo
iato postulato tra l'ordine esistente e gli interventi parziali per mezzo
dei quali viene data voce a le tort. Butler, teorica della differenza
sessuale, finisce con l'identificare quest'ultima alla norma simbolica che
determina ciò che uomo e ciò che è donna. Balibar si dimostra incapace di
sottrarsi ad un habermasismo paradossale, nella misura in cui accetta
l'universalità come orizzonte finale della politica, anche dopo aver posto
l'attenzione sullo scarto che esiste tra le declaratorie formali del diritto
e la domanda di egaliberté che insiste a sovvertirle dall'interno.

Rifiutando l'ontologia, il confronto con l'abisso che costituisce il
soggetto sul fondo di una divisione, tutte queste posizioni approdano per
Zizek ad una doppia paralisi. Sul lato teoretico, col postulare comunque -
come effetto di una definizione sostanziale del soggetto - una forma
dell'universale all'interno della quale le lotte vengono indebolite come
semplici lotte per il riconoscimento. Sul lato politico, con lo sfuggire la
posizione che obbliga ad assumersi la responsabilità politica della verità e
della sua articolazione sovversiva.

Che la filosofia contemporanea rappresenti una formazione eminentemente
difensiva, lo dimostra per Zizek non soltanto il modo attraverso il quale
essa evita di interrogarsi sullo statuto reale del soggetto, ma il suo
stesso autoconfinarsi in un atteggiamento da «sinistra kantiana» incapace di
sostenere il passage à l'acte. In Balibar, in Rancière, in Badiou, la
politicizzazione della situazione viene fatta dipendere dall'eccedenza di un
universale impossibile che agisce da ideale regolatore.

Attenta a mantenere ed a rilanciare la differenza tra l'ordine delle cose e
il suo impossibile compimento, questa posizione si condanna tuttavia
anticipatamente al fallimento. Essa sopravvaluta l'ordine positivo
dell'essere, lasciandosi sfuggire il fatto che l'ordine dell'essere non è
mai dato in modo semplice, ma che è esso stesso fondato su un qualche Atto
precedente: su di una separazione, una scissione. Quest'ultima è per Zizek
ciò che comunque permane (a partire dallo stesso Soggetto) come la
condizione irredimibile che sostiene ogni ordine dell'essere.

Questo a sua volta significa, che l'atto intrinsecamente divisorio per cui
la situazione viene politicizzata (soggettivando l'esclusione, la parte di
chi non ha parte), non può limitarsi - pena la condanna a quello stesso
circuito isterico del desiderio già rimproverato da Lacan ai contestatori
del Maggio francese - a sostenere una posizione di semplice critica o di
denuncia. Occorre che il gesto tradizionale della critica dell'ideologia
venga rovesciato, riconoscendo nell'infimo dell'ordine concreto l'unico
punto della sua universalità e nell'oscenità della decisione in cui si
costituisce il Soggetto il supplemento che permette di agire politicamente
in conformità alla legge del desiderio.

Quello che Zizek chiama il protokantismo implicito della filosofia
contemporanea - la posizione dell'«anima bella» in cui la critica si
rinchiude per riflettere il luogo di un'eccedenza dell'idea di giustizia che
paradossalmente finisce con l'assumere l'autoconsistenza dell'ordine della
realtà - deve essere denunciato come il limite di un discorso
sull'universale che rifiuta di assumersi la responsabilità politica della
verità.

Una conoscenza oggettiva della realtà è impossibile, per Zizek, perché ogni
sistema di norme (compreso quello che fonda la specifica legalità del
conoscere) è costitutivamente sospeso dall'eccezionalità che lo fonda. Solo
negando il proprio coinvolgimento immediato nella realtà, elaborando il
lutto materiale del proprio prendere parte ad essa, il soggetto si insedia
nella squilibrata posizione di esteriorità che gli permette di assumere la
realtà come «oggetto» e quindi di dominarla. La patogenesi del soggetto
implica una scissione ed un irriducibile antagonismo. E questo a sua volta
significa, che solo in quel punto d'esclusione può emergere la «cornice»
universale, la forma trascendentale che rende possibile il conoscere, e
quindi la stessa «realtà».

Sul lato politico, questo implica una serie di conseguenze immediate.
Innanzitutto, che l'uiversale del diritto può materializzarsi solo come
effetto di una presa di parola parziale. La verità di una situazione emerge
solo a partire dall'antagonismo che la squilibra e dalla faglia che la
attraversa come sua soglia interna di rottura. E poi, che di questa rottura,
della propria partecipazione sempre parziale alla situazione, occorre
assumersi la piena responsabilità politica.

Il kantismo irriflesso della filosofia critica contemporanea può essere
superato per Zizek solo in nome di una politica leninista della verità.
Assumendo fino in fondo la parzialità della propria presa di parola e
sopportando il disagio di doverne sostenere il peso. La realtà spettrale del
capitale globale va ricondotta all'atto che la fonda (una precisa
distribuzione dei rapporti di forza nella lotta di classe) e valutata negli
effetti di violenza e di deprivazione materiale attraverso i quali essa si
riproduce. Una politica di liberazione non può evitare di assumere su di sé
l'onere di sospenderne la norma - quella che il commentatore liberal accetta
come la normalità della valorizzazione, la linearità del suo funzionamento -
e di sostenere fino in fondo la parte che le è propria: quella di accettare
di sporcarsi le mani per affrontare l'osceno di una democrazia-a-venire che,
per essere tale, deve attraversare il crudo della rivoluzione.


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