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un contributo di Paolo Punx che ho ricevuto da altra lista:


L’ASPETTO LIBERATORIO DEL REDDITO DI CITTADINANZA
(tra cooperazione, controllo e guerra)

Rivendicare un Reddito di Cittadinanza Universale ed Incondizionato apre
molteplici possibilità, anche contraddittorie tra loro, per lo sviluppo di
percorsi di trasformazione dell’esistente e delle esistenze.
Alcune di queste riguardano la sfera dei diritti: ogni essere umano, per il
solo fatto di esistere, ha il diritto di avere un reddito per vivere, senza
condizione alcuna.
Altre riguardano l’aspetto sindacale e parasindacale. Il RdC svela ciò che
il capitale occulta: le nostre capacità relazionali, affettive,
comunicative, le nostre vite sono altamente produttive e sfruttate dal
capitale, senza che ciò sia retribuito. Inoltre, se avessimo un reddito di
cittadinanza perché mai dovremmo continuare ad accettare lavori di merda?
Altre ancora riguardano la sfera antropologica culturale. Una battaglia per
conquistare un RdC, muta il modo di porsi e pensare, separando per sempre
l’attività umana, emancipata, libera, dallo sfruttamento insito nel lavoro.
Più che se lavorare per vivere o vivere per lavorare dovremmo chiederci
cosa, come, quanto, quando produrre e consumare.
Ci sarebbe molto da dire su queste tematiche, ma più che far questo, vorrei
proporre una riflessione su quella che ritengo la parte più interessante,
rivoluzionaria, connessa alla rivendicazione di un RdC, ovvero l’aspetto
liberatorio.
Alcuni ritengono che il RdC rappresenti una proposta economicista, ma
evidentemente non colgono la stretta connessione che lega il tempo al
reddito.
Come si fa a costruire un altro mondo se siamo costretti ad usare il nostro
tempo per procurarci i soldi necessari per vivere, sottostando ai mille
ricatti sul reddito?
Quegli stessi ricatti che ti fanno competere al ribasso, che ti costringono
ad accettare lavori a condizioni e retribuzioni sempre peggiori, a lavorare
fino a tardi anche se formalmente non hai un padrone, ad essere sempre
disponibile a qualunque proposta, a costruire macchine che poi ti
avveleneranno i polmoni o armi che uccideranno altri esseri viventi, ecc..
Altro che etica del lavoro, piuttosto dovremmo chiederci qual è il reale
valore d’uso sociale di questi ed altri lavori.
Invece, attraverso il RdC è possibile riappropriarsi del tempo, per fare
altro, restituire ai soggetti un’autonomia decisionale, oggi, prigioniera
dei ricatti, ovvero si rende possibile il passaggio dal rivendicare migliori
condizioni di sfruttamento al rifiuto dello sfruttamento e si pongono le
condizioni per liberare la cooperazione sociale dal controllo e dal comando
del capitale.

COS'è LA COOPERAZIONE SOCIALE?

Banalmente si potrebbe rispondere che oggi la produzione non è che il frutto
di un enorme processo di cooperazione sociale controllato e governato dal
capitale. Una produzione materiale ed immateriale che non riconosce più né i
confini della fabbrica, né quelli degli Stati nazionali, che si nutre d’ogni
nostro alito di vita.
Una macchina produttiva così complessa e sconfinata che ha bisogno di una
moltitudine di soggetti cooperanti per funzionare. Una macchina produttiva
che non può essere governata solo attraverso il rigido comando, ma che
necessita di una serie di dispositivi di controllo, capaci di lisciare i
comportamenti.
Perché nonostante siamo noi che cooperiamo e che produciamo la ricchezza su
questo pianeta, non decidiamo nulla né sui modi né su ciò che produciamo e
consumiamo, né sulla distribuzione di quanto realizzato?
Per farmi capire meglio vorrei provare a fare due esempi.
Un gruppo di ragazzini che ascolta musica rap, realizza uno splendido
graffito. Due settimane dopo la loro opera ed i loro comportamenti sono
usati per fare uno spot pubblicitario. Eppure i ragazzini non hanno mai
deciso di cooperare con il pubblicitario, né questo era il fine che si
proponevano realizzando quel graffito.
Un ex operaio decide di mettersi in proprio, diviene così lavoratore
autonomo. Lui sperava di non dover più avere un padrone, ma ben presto le
regole del mercato cominciano a sviluppare il loro effetto, così piano piano
finisce per non decidere più nulla né del suo lavoro, né del suo tempo.
La prima osservazione che si può fare è che il fine, l’obiettivo, di questa
cooperazione è deciso da altri e non dai soggetti che la realizzano.
La seconda è che la sintesi ed il comando sul lavoro cooperante è
rigidamente nelle mani del capitale.
Dunque la cooperazione di cui stiamo parlando è tutt’altro che orizzontale,
possiede i suoi nodi di comando e le sue gerarchie interne.
Alcune delle armi usate per piegare la cooperazione alla logica del profitto
sono abbastanza note (competitività, esclusione ed inclusione dal reddito,
riconoscimento di status ed acceso diversificato alle risorse ed ai
prodotti), altre invece sono più sottili.
D’altronde non dimentichiamoci che non siamo più semplici ingranaggi
meccanici, muscolari, della macchina produttiva, e quando si tratta di
sfruttare oltre ai muscoli anche i cervelli, quando la produzione diventa
bio estendendosi alla vita, il governo dei processi produttivi ed il comando
su ogni aspetto della cooperazione sono tutt’altro che scontati.

LA COOPERAZIONE IN GUERRA

La fase di guerra che stiamo attraversando svela quanto sia alta la
preoccupazione da parte di alcuni (Bush in testa) che la produzione possa
sfuggirgli di mano, che gli stessi dispositivi di controllo non siano
sufficienti per mantenere il comando.
D’altro canto, però, è impensabile il governo dei cervelli, dell’intelletto,
della cooperazione, solamente attraverso l’uso della forza, piuttosto,
converrebbe parlare di una soglia oltre la quale si passa dai meccanismi di
controllo, apparentemente più soft, a quelli più brutali, repressivi, di
guerra a bassa, media o alta intensità.
Dietro la guerra in Iraq si nasconde la guerra contro l’umanità intera e per
il suo dominio.
Le bombe sulla popolazione irachena non sono che un monito per chiarire a
tutt@ chi comanda, per rendere visibile cosa succede quando si oltrepassa la
soglia del controllo, ma anche per determinare su scala planetaria le
gerarchie di comando sulla cooperazione.
Non si tratta però, esclusivamente, di uno scontro tra lobby economiche,
militari, politiche all’interno di ciò che ormai appare, al di là di
qualunque confine nazionale, come un impero globale, privo di dentro e
fuori, ma anche di una differente concezione sulla definizione di soglia
minima oltre la quale alla violenza del mercato si sostituisce quella della
guerra.
In questo contesto muta radicalmente l’interpretazione del termine guerra:
da conflitto armato tra due o più stati a modalità di gestione del
quotidiano, dei territori, della cooperazione, ovvero ad una sorta di guerra
civile permanente nell’impero.
Bush e company, evidentemente, pensano sia possibile imbrigliare l’anima
della cooperazione attraverso l’ombra della guerra, l’eterna guerra
preventiva, mentre altri ritengono che tale processo comprima le capacità
produttive della cooperazione.
Si può costringere qualcuno con la forza a svolgere un lavoro materiale, ma
nessun carro armato è in grado di incentivare le capacità creative,
comunicative, relazionali, affettive di un essere umano.
In altre parole, oggi, attraverso un sofisticato sistema di ricatti ed
incentivi si offrono motivazioni per dare il massimo, per vendere l’anima,
mentre la mera costrizione è per sua stessa natura acerrima nemica della
compartecipazione.
In entrambe le concezioni viene a galla il nesso che lega le bombe che
cadono sulle città irachene alla vita di merda che ci fanno fare.
La sfida è quella di liberare la potenza della cooperazione dal potere sulla
cooperazione, la prima, portatrice di progresso, di sviluppo in armonia con
gli esseri viventi e l’ambiente, di quell’altro mondo possibile di cui tanto
si parla, il secondo, portatore di sventura, guerra, dominio, comando,
distruzione del pianeta e dei suoi abitanti, utilizzato esclusivamente per
impedire l’estinzione del più grande parassita che abbia mai infestato la
terra: il capitalismo!
Una sfida che necessariamente dovrà fare i conti con le dualità che
caratterizzano la cooperazione: autovalorizzazione o valorizzazione
capitalistica, autonomia dei soggetti e libera cooperazione orizzontale o
processi di verticalizzazione e comando, bio ed eco esigenze o profitto,
attività umana o sfruttamento del lavoro, reddito o guerra e ricatti,
intelligenza collettiva o sfruttamento capitalistico della scienza, ecc.

LA COOPERAZIONE POSSIBILE

Quando si parla di cooperazione molt@ riducono il discorso allo sviluppo di
cooperative o dell’associazionismo in generale, ma in realtà le cose sono
decisamente più complesse e interessanti!
Prima di tutto è necessario chiarire che la cooperazione non é una forma
neutra di produzione o di organizzazione del lavoro. Cooperare significa
letteralmente operare insieme, si, ma per comprenderne davvero il
significato occorre chiedersi: in quale forma, quando e per fare cosa?
Cominciamo ad affermare che la cooperazione capitalistica necessita di
verticalità e di un sistema di controllo e comando, mentre qualunque
tentativo di costituire forme di "cooperazione altra" non può che partire
dall’orizzontalità delle relazioni che la animano!
Nel processo di cooperazione dominato dal capitale ognuno di noi si trova da
sol@ a dover sostenere la propria relazione con esso. Le condizioni con cui
questo processo si determina ed anche la percezione che se ne ha varia da
soggetto e soggetto, da singolarità a singolarità. Dunque, il soggetto
collettivo della produzione, al contrario che in passato, è caratterizzato
più dalla disomogeneità che dall’omogeneità. In sintesi si potrebbe
affermare che il molteplice, la moltitudine, non è che l’insieme di queste
variegate singolarità le cui vite sono messe al lavoro e che la precarietà,
di reddito e di tempo, seppur vissuta in forme diverse, appare come elemento
comune a questa molteplicità di soggetti produttivi.
La precarietà di reddito ed il suo utilizzo ricattatorio sono così evidenti
che è inutile aggiungere altro, ma per capire cosa significa precarietà di
tempo occorre invece domandarsi cosa si decide davvero nell’utilizzo del
proprio tempo.
La cosa risulta facile se ci si limita a prendere in considerazione il tempo
di lavoro formale, ma il restante tempo, quello del consumo, passato davanti
alla TV, delle relazioni, degli affetti, delle nottate trascorse a pensare a
che fare domani, siamo davvero sicuri che non sia produttivo, che non
produca profitti?
Quanto tempo ci resta ogni giorno da dedicare a noi stessi ed agli altri e
soprattutto quanto per cooperare in altro modo?
Quando inizia il tempo della nostra militanza, quando quello della
socialità, del lavoro, del consumo, della produzione?
Così come il potere si estende alla vita divenendo biopotere anche la
politica non può che riguardare la vita e se la soggettività politica oggi
ha un senso, essa dovrà imparare a muoversi nella sfera biopolitica.

I MECCANISMI DI CONTROLLO  E LE DUALITà DELLA COOPERAZIONE

Se fosse sufficiente costruire qualche cooperativa per liberare la potenza
della cooperazione dal potere sulla cooperazione, sarebbe davvero troppo
semplice trasformare il mondo!
Eppure da qualche parte bisognerà pur partire per costruire esperienze di
"cooperazione altra" capaci di stimolare processi di liberazione della
cooperazione tutta!
Ma quali sono i meccanismi con cui viene esercitato il controllo e
ripristinato il comando? Quali le dualità con cui si dovrà fare i conti?
Non dimentichiamoci che imparare a conoscere i dispositivi di controllo
spesso offre ottimi spunti per capire cosa è meglio fare per renderli
inefficaci.

LE FORME DELL'AGIRE
Poco importa se l’esperienza di cooperazione si occuperà di politica, di
produzione di beni o servizi o di socialità, poiché ciò che occorrerà porre
in relazione saranno le nostre vite, quindi, scegliere un metodo piuttosto
che un altro riveste un’importanza fondamentale.
Guardare alle singolarità come semplici articolazioni pensanti di un
progetto deciso altrove o concepire le relazioni con gli altri
esclusivamente in funzione di se stessi, rappresentano la peggior deriva per
qualunque processo di "cooperazione altra" ed un’ottima opportunità per chi
vuole riprodurre gerarchie di comando e/o trionfo dell’individualismo e
dell’egoismo. Avanguardie, partiti, centralismo democratico, sono strumenti
assolutamente inadeguati per costruire esperienze di cooperazione libera,
mentre la comunicazione orizzontale rappresenta il primo passo da compiere
per mettere in relazione le diversità, le singolarità, che operano insieme.
Da soli non siamo che atomi scomposti di una produzione dominata dal
capitale, insieme rappresentiamo la potenza della cooperazione. Né
solitudine, né subordinazione, si potrebbe dire, ma affinché le diversità
divengano davvero ricchezza è necessario sviluppare uno scambio continuo tra
l’apporto che le singolarità moltitudinarie offrono nell’operare insieme e
l’arricchimento soggettivo che ne ricavano da questa relazione. La potenza
di questo scambio sta proprio nel far cooperare le diversità, costruendo
così un bene comune a disposizione di tutt@ e non nell’annullarle, nel
ridurle all’unico, nell’appiattirle.
In questo senso la cooperazione è un processo dinamico che muta
continuamente tanto le singolarità che la compongono quanto l’oggetto stesso
del loro operare insieme. Un processo in cui ci si nutre uno dell’altro
senza divorarsi mai, a differenza di ciò che avviene nella cooperazione
dominata dal capitale.
Non è certo un caso se il primo dispositivo di controllo sulla cooperazione
riguarda proprio l’orizzontalità come scelta metodologica.
Dal punto di vista legislativo si tende a ridurre qualunque esperienza di
cooperazione a specifiche figure giuridiche (cooperative, associazioni,
società, ecc.), in cui si ripropone una gerarchia di ruoli interni (Consigli
Direttivi, Presidenti, Segretari, ecc.), una verticalizzazione delle
relazioni che mina alla radice la scelta dell’orizzontalità.
Non si tratta di affrontare la questione semplicemente in termini formali o
ideologici, ma sostanziali. Ovvero, meglio un’associazione in cui i ruoli
sono solo formali, ma le relazioni, in sostanza, permangono libere e
totalmente orizzontali, che un gruppo in cui si ripropongono feroci
gerarchie interne!
A volte il processo di verticalizzazione intraprende altre e più tortuose
strade che quelle giuridiche e veste i panni dell’impresa, dell’azienda.
La scelta dell’impresa come metodo di gestione di pezzi della cooperazione
spesso viene proposta e motivata in nome di un efficientismo organizzativo.
Non pensate che tale modello di gestione riguardi semplicemente le attività
produttive o certe cooperative, ma pervade anche una parte del mondo dei
centri sociali e delle organizzazioni politiche. In realtà, attraverso la
logica aziendale, non solo si riproducono infinite gerarchie interne,
sviluppando più potere che potenza, ma si finisce per misurare l’efficacia
dell’operare insieme esclusivamente in relazione a tempi e obiettivi posti
da altri.
Possibile che proprio ora che si danno le condizioni per sviluppare
cooperazione orizzontale, che il fordismo è definitivamente scomparso, la
logica d’impresa susciti ancora tutto questo fascino?
Non sarebbe meglio, invece di prestarsi ai tentativi di verticalizzazione,
utilizzare come metodo organizzativo quello della cooperazione orizzontale,
e d’altronde non è forse questa la metodologia che si sta sperimentando
anche nel multibattito?

I PROGETTI
Se la comunicazione tra diverse singolarità è il primo passo da compiere,
definire l’oggetto del proprio operare insieme è decisamente il secondo.
Chiaramente, vi è una differenza sostanziale tra operare insieme per un
progetto deciso da altri o costruirlo partendo dalla relazione tra sé e gli
altri, ma parlare di diversità cooperanti, non significa che non sia
necessario ricercare uno scopo, un progetto comune. Non si può pensare di
ridurre tutto al semplice culto della forma ed anche se si usasse la
cooperazione orizzontale per produrre armi chimiche, ciò sarebbe comunque
inaccettabile, incondivisibile.
Tantopiù il progetto sarà capace di veicolare la sua valenza biopolitica (il
suo alto valore d’uso sociale), tanto più sarà possibile liberare la potenza
della cooperazione, diffondere l’esperienza, come se si trattasse di una
reazione a catena capace di contagiare altri pezzi di cooperazione.
Tantopiù il progetto sarà capace di veicolare altre modalità di intendere le
relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente, di iniziare a costruire ora
il famoso altro mondo possibile, tantopiù si potrà davvero parlare di
cooperazione altra.
Privilegiare le bio ed eco esigenze invece che il profitto, ripensare a
forme di produzione e consumo non inquinanti, tutelare l’ambiente in cui
viviamo, riconsiderare le relazioni tra esseri umani e con gli altri esseri
viventi, ridistribuire le risorse in forma egualitaria, sono le condizioni
principe per parlare di cooperazione altra.
Più che propagandare improbabili ritorni al passato, occorrerebbe ragionare
su un altro modo di intendere la scienza ed il progresso tecnologico.
C’è già la tecnologia per costruire macchine all’idrogeno, ma si preferisce
avvelenare il pianeta ed i suoi abitanti usando il petrolio, esistono già
fonti energetiche alternative, ma si preferisce costruire centrali nucleari
o usare fonti inquinanti, ci sono già le condizioni per tutelare davvero la
salute, ma si preferisce far guadagnare le case farmaceutiche, e si potrebbe
andare avanti così all’infinito.
E se l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica fossero utilizzati
per affrontare i bisogni dell’uomo in armonia con il pianeta invece che in
funzione del profitto, cosa accadrebbe?
Che potenzialità potrebbe mai avere un intelligenza collettiva frutto della
cooperazione orizzontale altra? Quale salto in avanti, o meglio in "altra"
direzione, potrebbe mai fare il genere umano?

IL MERCATO COME CONTROLLORE

Che si tratti di un impresa, una cooperativa, un lavoratore autonomo o
quant’altro, è assurdo pensare di non dover fare i conti con un mercato
globale, di merci materiali e immateriali, di beni e di servizi, improntato
esclusivamente al profitto, alla competitività, al comando e che se ne
infischia delle bio ed eco esigenze. Perciò meglio chiarire subito che anche
i progetti frutto di cooperazione altra non possono certo sfuggire alle
forche caudine del mercato.
Chiunque intenda realizzare un progetto sa bene che per farlo è
indispensabile coprirne i costi e che questi quantomeno dovranno tenere
conto sia della retribuzione e delle condizioni di chi lo realizzerà, sia
del tempo necessario ad ogni singolarità per cooperare con gli altri. Per
affrontare il problema si possono scegliere diverse strade, schematicamente
raggruppabili in tre: autofinanziamento e volontariato; competitività e
autoreddito; accesso ai finanziamenti e vertenzialità.

AUTOFINANZIAMENTO E VOLONTARIATO
Sul volontariato si potrebbe dire sicuramente molto, soprattutto sul ruolo
che questo ha assunto nel trasferimento di funzioni e servizi prima
amministrati da strutture pubbliche ed ora gestiti in forma privatistica da
associazioni o cooperative sociali. Un trasferimento che è stato realizzato
non certo con l’intento di costituire una sfera pubblica non statuale, ma al
solo scopo di ridurre i costi dei servizi a totale discapito sia dei
fruitori sia di chi vi lavora. Capita spesso, in queste strutture, di
scoprire di essere volontario solo quando si chiede di venire retribuiti per
il lavoro prestato. D’altronde il cosiddetto terzo settore, è ricco di
squallidi personaggi che con la scusa dell’associazionismo, del socio
lavoratore, del volontariato, hanno saputo mostrare solo il peggio del
capitalismo. Altro che cooperazione orizzontale, lì vive solo lo
sfruttamento bestiale, la gerarchia, la subordinazione. Molti sono gli
stessi che come avvoltoi dopo le guerre si scannano per spartirsi il
business della ricostruzione e degli aiuti umanitari. Questi personaggi non
sono altro che la rappresentazione del capitalismo compassionevole, tanto
caro a Mr. Bush.
Il dramma è che anche coloro che sono armati di buone intenzioni, e ne
esistono sicuramente, rischiano di soccombere, schiacciati dalle regole del
mercato.
Dunque, è lecito domandarsi: coprire i costi di un progetto attraverso
l’autofinanziamento e prestando la propria opera gratuitamente, è davvero
una scelta priva di compromessi e non sottoposta a ricatti?
A mio avviso, l’autofinanziamento invece di porre il problema della
riappropriazione della ricchezza prodotta dalla cooperazione tutta, si
limita ad affrontare la questione della copertura dei costi attraverso una
più ampia richiesta di partecipazione, invitando le singolarità a destinare
una parte del proprio reddito per realizzare il progetto.
Ma se il progetto costa molto e le singolarità coinvolte hanno un reddito
troppo basso, che si fa? Si rinuncia al progetto o eventualmente si chiede a
tutt@ di vivere in povertà?
Certo, se parliamo di cooperazione orizzontale di carattere prevalentemente
politico, probabilmente l’autofinanziamento e la gratuità della propria
partecipazione mantengono una loro validità, ma se i progetti da realizzare
riguardano la produzione di beni e servizi i dubbi sono davvero notevoli.
Inoltre, per cooperare e realizzare un progetto occorre tempo. Finché la
nostra collaborazione è gestibile oltre il lavoro formale il problema si
pone relativamente, ma quando non è così, come facciamo a procurarci il
reddito necessario per vivere?
Ecco che ciò che pensavamo di aver gettato dalla finestra ricompare dalla
porta ed il costo del progetto viene semplicemente scaricato sulle
singolarità cooperanti, costrette a subire il ricatto sul reddito in totale
solitudine.
Oggi, fare il volontario a tempo pieno, appare un’esperienza limitata a
poche persone che dispongono di molto tempo e di un minimo di reddito,
oppure a chi è ricco, gli altri, le altre, proprio non possono
permetterselo!
Come possiamo pensare che progetti incapaci di fornire risposte collettive
alla questione del reddito possano risultare interessanti per la moltitudine
o diffondersi?

COMPETITIVITà E AUTOREDDITO
Qualunque progetto di produzione di beni o servizi viene immediatamente
posto in competizione con mille altri. Una competizione feroce, che non
concede sconti a nessuno, dove la qualità di ciò che si propone spesso è
secondaria rispetto al basso costo di realizzazione.
Nel mercato, l’alto valore d’uso sociale di un progetto frutto di
cooperazione orizzontale assume tutt’altro valore. Lo sanno bene quelle
compagne e quei compagni, armati di buone intenzioni, che hanno provato a
costruire cooperative e si sono ritrovati stritolati nei meccanismi
giuridici, di mercato, organizzativi, ecc.
Non basta affermare che un’esperienza di cooperazione orizzontale dovrebbe
ripartire in maniera equa ciò che si realizza insieme per risolvere il
problema dei costi e del reddito garantito da sé (autoreddito), poiché la
competitività che caratterizza il mercato rischia di far naufragare il
progetto stesso o mutarlo a tal punto da dequalificarlo completamente sotto
l’aspetto dell’alterità, del metodo, della realizzazione, della
riproducibilità.
Banalmente si potrebbe dire, che un’equa distribuzione della ricchezza è
cosa assai diversa da un’equa distribuzione della povertà.
Un bellissimo progetto in cui le persone lavorano 11 ore al giorno, senza
alcuna tutela per la salute e la sicurezza e con una retribuzione oraria di
2 Euro, perde ogni fascino ed ogni alterità ed acquista il sapore del più
bieco sfruttamento o dell’autosfruttamento. E poi, come quantificare il
reddito spettante alle varie singolarità cooperanti? Remunerare il tempo
prestato oppure la semplice partecipazione, considerare solo la fase di
realizzazione del progetto o anche l’ideazione, ecc.
Questi rimangono problemi aperti, da affrontare volta per volta, però è
meglio essere consapevoli che il meccanismo di contenimento dei costi
imposto dal mercato insieme al ricatto sul reddito, rischiano di mietere le
prime vittime proprio tra le singolarità cooperanti.

ACCESSO AI FINANZIAMENTI E VERTENZIALITà
Se la richiesta di fondi pubblici (CEE, Regionali, Statali, o quant’altro)
per coprire i costi di un progetto fosse sottoposta esclusivamente ad un
controllo sul loro effettivo utilizzo, questo potrebbe apparire come un
terreno neutro.
In realtà, basta vedere come vengono spartiti i denari pubblici tra grosse
lobby legate a vecchie e nuove parrocchie politiche per capire quale fauna
popola tale ambiente e soprattutto quali interessi si celano dietro a ciò
che alcuni si ostinano a chiamare No Profit. La Compagnia delle Opere
piuttosto che la Lega delle Cooperative rappresentano delle vere e proprie
potenze in questo settore.
Costruire vertenze per accedere a finanziamenti pubblici è un bel modo anche
per svelare l’esistenza di questi monopoli occulti del denaro pubblico.
A mio avviso, però, per parlare davvero di vertenza dovrebbero sussistere
almeno questi tre elementi: condivisone "sociale" del progetto e del suo
valore d’uso, individuazione delle controparti pubbliche e/o private,
capacità di non ridurre il conflitto ad una trattativa privata.
Il primo passo nella costruzione di un percorso vertenziale, non può che
riguardare il tentativo di sviluppare il progetto nella maniera più ampia
possibile, cercando di suscitare interesse, condivisione, partecipazione,
coinvolgimento del territorio (reale o virtuale).
Il processo di cooperazione altra da questo primo passo non può che trarne
potenza, espandendosi.
Successivamente, si pone il problema della riappropriazione delle risorse
necessarie per finanziare il progetto, ed é proprio qui che si apre il
conflitto con i dispositivi di controllo e comando.
Chi decide cosa produrre e consumare? Qual è il reale valore d’uso di un
progetto?
Questa è sicuramente la tappa più difficile, perché le proveranno tutte per
ripristinare comando. Cercheranno di vincolare il progetto chiedendoci di
snaturarlo, di snaturare noi stessi e il processo di cooperazione in atto,
il metodo, la forma, il contenuto.
Cercheranno di farci rinchiudere in esperienze di nicchia o elitarie,
incapaci di diffondersi, di riprodursi e costantemente sottoposte al rischio
di deflagrare all’interno, di implodere.
Cercheranno di ridurre la vertenza ad una trattativa tra le articolazioni
del comando e la soggettività politica, invece che con la cooperazione
sociale nel suo complesso.
Li abbiamo già visti all’opera, anche nella trattativa sulla sede del
Leoncavallo, con Albertini che chiedeva al Centro Sociale di snaturare la
propria esperienza, di firmare una dichiarazione dietro l’altra… ci mancava
solo la proposta di divenire tutti giovani Boy Scout, poi…
E se i dispositivi di controllo dovessero rivelarsi inefficaci, ci
minacceranno, cercheranno di isolarci, criminalizzarci, spezzare i fili
della comunicazione orizzontale, poiché, anche nella biopolitica, le sorti
delle vertenze continueranno a dipendere dai rapporti di forza.

NOTE CONCLUSIVE

Qualunque strada si sceglierà di intraprendere per realizzare progetti
cooperanti il ricatto sul reddito e di conseguenza i problemi relativi al
tempo per fare altro, saranno nostri compagni di viaggio.
Si é detto che le esperienze di cooperazione orizzontale dovrebbero porsi
costantemente il problema di come coinvolgere la cooperazione tutta,
mutandola, ma tale processo per realizzarsi necessita di particolari
condizioni. Restituire autonomia decisionale ai soggetti, spezzare il
ricatto sul reddito, liberare tempo sono solo alcuni degli obiettivi in cui
RdC e cooperazione sociale camminano affianco.
Ma se la rivendicazione di un RdC pone le condizioni per liberare la potenza
della cooperazione, lo sviluppo di esperienze di cooperazione altra sono
fondamentali affinché il RdC non venga declassato da potenziale strumento di
liberazione a semplice ammortizzatore sociale.
Di conseguenza è indispensabile cominciare a ragionare, anche in maniera
critica, sulle esperienze già realizzate o che si intendono realizzare,
poiché la strada che si sta percorrendo più che di certezze è ricca di
domande, di situazioni sempre diverse, nuove, tutte da indagare, da
inventare.
La speranza è che questa riflessione, possa in qualche modo stimolare un
dibattito tutt’altro che chiuso, nella consapevolezza che il compito di
fornire risposte esaurienti continua a rimanere nelle mani delle esperienze
reali, esistenti o da realizzare.

saluti e baci
Paolo Punx

c/
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se arrivi ad un bivio...prendilo!!
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