Felici del buio nel cuore di Manhattan

di VERONICA RWEAMOS

Sul marciapiede fuori dal Bowery Poetry Club, dove sono passati i beat e
adesso passano i nuovi rappettari della lirica, stanno scritti col gesso
quattro versi di poesia urbana: where were you my friend on the day the
lights went out? / where were you on 8/14? / on the day the lights went out/
we began to jump and shout/ and shake our tushs all about. Dov'eri il giorno
della nuova apocalisse mancata, come hai immaginato la tua fine del mondo?
Le mille luci di New York si sono spente, ed è difficile ipotizzare un
fattore di straniamento più potente. L'immagine di Times Square deserta
all'inizio di Vanilla Sky non è abbastanza sovversiva, né alienante quanto
lo è la stessa piazza senza luci. Manhattan al buio è il parossismo della
rivolta iconoclasta, evoca il rovesciamento dell'estetica occidentale,
l'utopia mai contemplata, l'affermazione del non-luogo. Manhattan al buio
semplicemente non può esistere. Il 14 agosto i cittadini di New York hanno
consumato la loro apocalisse prêt-à-porter. Le notizie dalla radio
rassicuravano sul fatto che la città non era in mano ai terroristi islamici,
anche se le leggende metropolitane già parlavano di nuvole di fumo,
esplosioni e rumori bianchi. Ma questo era niente in confronto al cataclisma
in atto: l'inarrestabile processo di surriscaldamento delle lattine di
coca-cola, la chiusura coatta dei supermercati, senza che nessuno avesse
ricevuto istruzioni su come sopravvivere un giorno senza fare la spesa. La
radio ha smesso di parlare di ritorsioni arabe, ha sollecitato a godersi una
notte stellata come su un megaschermo, e nelle mani hot-dog, pop-corn,
patatine, sprite tiepida, tutto il necessario per sentirsi ancora una volta
la parte viva del sogno americano. Il popolo di New York ha ubbidito, ha
mantenuto la calma, è uscito dai taxi senza lamentarsi, si è riversato
tranquillo per le strade, ha camminato a piedi nell'afa di agosto, ha
allentato il nodo della cravatta, si è trascinato lungo i ponti della città,
ha tentato di dirigere il traffico, ha comprato molti litri d'acqua e molti
gelati, ha riscoperto il senso della collettività seduto in circolo intorno
a una radiolina, ha aspettato l'oscuramento definitivo del sole come in un
libro di Douglas Coupland.

Quando il buio è finalmente arrivato, tutti lì pronti ad aspettarlo: come su
un set cinematografico, in attesa del ciak iniziale, ansiosi di recitare la
propria parte, tutto pur di fare la loro comparsa nel colossal sul blackout
di New York. Alle famigliole era stato detto di improvvisare un barbecue
sulle scale di casa, ai vecchietti di giocare a carte a lume di candela,
alle coppie innamorate di restare a casa ad amarsi, ai ragazzini di skateare
sui marciapiedi, ai più grandi di andare a far casino nelle piazze, alle
ragazze di camminare in fretta senza voltarsi mai. Tutto ha funzionato,
tanto per mascherare l'idea che quanto stava accadendo era reale Union
Square è stata trasformata nel rave-party di Zion. Ero uscita nell'illusione
di vedere i segni della devastazione, della furia selvaggia, della rabbia
anarchica finalmente esplosa, mi aspettavo che almeno uno di questi
ragazzini del Greenwich vestiti da punk con le magliettine sdrucite, fuck
and destroy, avesse escogitato un qualche modo per vivere fino in fondo la
grande occasione della sua vita. Ma anche i punkettini stavano a Tompkins
Square Park a godersi in pace la prima vera giornata di sole dopo tanto
tempo.

Il giorno dopo si presentava come una domenica regalata, un giorno di festa
per fare colazione all'aperto, sdraiarsi nei prati tra i resti dei falò,
comprare gelati sciolti e deformi, godersi la luce di un cielo splendido,
sorridere felici aspettando gli applausi del pubblico pagante. Perché esiste
davvero un pubblico pagante, forse in moneta sonante, forse sulla propria
pelle. In giro per l'East Village si cercava di scoprire se davvero la notte
prima fosse successo qualcosa, la tentazione era di unirsi all'euforia
collettiva e sperare che in futuro venisse organizzato un blackout ogni fine
settimana, e finalmente qualcuno ha cominciato a mormorare che il senso
della guerra in Iraq non era poi così occulto, anzi era semplice: era stata
una guerra scatenata per perdere il controllo della situazione... e ora, tra
le tante conseguenze, persone felici di un buco nero nel cuore di Manhattan.

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