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(Rivolto esclusivamente ad errekappodermi di vecchia generazione, ancora afflitti da forme di insonnia pervicace e ostinata).

Nel vasto territorio dei grandi temi, delle questioni scientifico-filosofiche di ampio respiro, ricorre con frequenza la tematica del condizionamento del pensiero o del comportamento. Una questione davvero enorme, che qui non ho davvero la pretesa di risolvere. Si trattera' piuttosto di una breve e spero piacevole escursione sul tema, tanto per tenerlo vivo.
Poco sopra, quasi intuitivamente e senza pensarci troppo, ho scritto "condizionamento del pensiero o del comportamento". Come se le due entita' , pensiero e comportamento, siano in qualche modo separate.

Su questa separazione vale ragionare, prendendo le mosse da una delle piu' forti suggestioni che ha prodotto la letteratura sul tema del condizionamento: quella della cosiddetta "neolingua".

George Orwell in 1984, il suo ultimo romanzo, riprende il filo di una lunga serie di interventi, per lo piu' in forma di saggio, in cui paventava i rischi di un uso banalizzato e ideologico del linguaggio. Nella celebre appendice a 1984 intitolata "I principi della neolingua" Orwell da corpo a quella che per molti versi era diventata la sua ossessione: l'idea che il linguaggio venisse adattato alle esigenze del potere politico, fino ad essere trasformato in qualcosa di inservibile per qualsiasi forma di pensiero critico e libero.

Si tratta di un tema che ricorre con frequenza nella letteratura fantascientifica. Piliph Dick nella famosa "outline" del romanzo mai scritto "Il nome del gioco e' morte" parla di uno "speedtch", neologismo intraducibile che risulta dalla fusione di speed (velocita' ) e speech (discorso). Tuttavia Dick non attribuisce allo "speedtch" la connotazione negativa che invece gli attribuisce Orwell. Si tratta, nelle sue parole: "di una sorta di stenografia mentale che consente di parlare a gran velocita' ".

Una forma raffinata di "neolingua" e' quella a cui lavorava Alex Turri, protagonista del racconto "Cancel", piacevole e stimolante escursione letteraria di Bifo a fine anni '80. La logica di polizia preventiva alla "Minority Report" viene affrontata dal racconto nella prospettiva del controllo del linguaggio. Il dirigente del Global Military Language presso cui lavora Turri si rivolge con queste parole al giovane ingegnere del linguaggio calabrese:

"I ribelli planetari dei quali ci dobbiamo occupare sono sconosciuti perche' non esistono, sono potenziali, ipotetici, probabili"

Nel racconto di Bifo il controllo si dispiega dunque attraverso una ricerca sull'ingegnerizzazione del linguaggio, una analisi formale dei processi cognitivi.

Puo' sorprendere o insospettire, ma la maggior parte degli "ingegneri del linguaggio" dei nostri giorni contesta alle fondamenta il concetto stesso di Neolingua cosi' come lo intendeva Orwell.

Nell'ipotesi di Orwell scopo della Neolingua: "non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero".

Ora se la struttura del linguaggio e' concepita secondo l'ipotesi computazionale, pretendere di impedire il pensiero attraverso il linguaggio e' assurdo quanto pensare di modificare l'articolazione di un braccio attraverso un'applicazione di tintura di iodio. L'ipotesi computazionale del linguaggio non ammette che il pensiero venga plasmato nella sua struttura perche' ritiene che questa struttura, soggiacente e comune, non sia conseguenza di una pratica educativa, didattica, ma appartenga al bios del sistema, all'hardware.

Si puo' portare come esempio quello dei tabu' sessuali nella neolingua. Nel ragionamento di Orwell con il termine "reasesso" la Neolingua riassumeva tutti i possibili comportamenti considerati sessualmente devianti. Nel comprendere fornicazione, adulterio, pederastia e quant'altro sotto il termine ombrello "reasesso" la Neolingua pretendeva di eliminare questi comportamenti prima dal vocabolario e poi, di conseguenza, dalla realta'.
Nei fatti questa pretesa non puo' che fallire. Non e' che il comportamento sessuale venga meno quando viene negato sul piano del linguaggio.
Ma la questione e' pero' un' altra. Nell'ipotesi di Pinker e di altri il linguaggio e' una sorta di traduzione del "mentalese". Il mentalese e' cio' che noi potremmo definire il pensiero. Un'entita' che, per esempio, non esclude certo il comportamento sessuale perche' non ha a disposizione "parole" per definirlo.

E questo, incidentalmente, aiuta a capire perche' Chomsky rifiuti sistematicamente qualsiasi implicazione tra la sua teoria del linguaggio e la crociata che svolge contro la "Fabbrica del consenso".
Per intendere in che senso il "mentalese" ha da fare con gli atteggiamenti antintellettuali di Chomsky e con i populismo del MIT, si puo' prendere un frammento di una sua intervista, in cui afferma che, quando discutono di calcio, le persone comuni: "si lanciano in lunghi e complessi ragionamenti, per elaborare i quali è evidente che sono necessarie molte risorse di pensiero analitico".

E' chiaro che la complessita' di questi ragionamenti calcistici non si coglie nella loro struttura superficiale ne' la si puo' in alcun modo ricavare quando si scelga come parametro di valutazione l'analisi del periodo o un lessico "erudito".
La si coglie invece se si e' interessati alla struttura soggiacente, al mentalese.

Ma di fatto la questione - stringo come possibile - e' questa: dalle ipotesi pionieristiche di Turing fino alle ultime teorie di Chomsky il ruolo del linguaggio subisce una sorta di restringimento. Non posso riassumere qui quello che dice Pinker nel suo libro, ma sostanzialmente a me pare che la fine della centralita' del linguaggio corre parallela alla sua (prossima e pretesa) definitiva "mappatura" logica. Si ha la sensazione che per questa via si stia arrivando a qualcosa di simile a quello che e' avvenuto con i teoremi di Godel: la difinizione dei limiti di un ambito teorico.
Se la macchina di Turing esauriva il periplo della matematica, rendendola qualcosa di simile a quella geografia che aveva perso da tempo il suo status di scienza sperimentale, cosi' la teoria del linguaggio di Chomsky, anch'essa derivata dall'intuizione di Turing, pretende oggi di aver esaurito il periplo della linguistica.

Resta inteso che questo non significa "la fine" della linguistica, come non e' in nessun senso "finita" la matematica (ne' la geografia). Al contrario, la delimitazione e' servita a ricerche piu' accurate, piu' specialistiche, piu' locali e particolari. Di piu': per molti versi la ricerca in queste discipline ha raggiunto la massima estensione proprio quando ne venivano definiti i limiti teorici ed empirici.

Ma non credo che Pinker si stupirebbe se domani ci si trovasse a dire: "pensiamo di aver capito abbastanza bene cos'e' il linguaggio, ed in effetti e' poco, certamente meno di quello che da secoli si va sostenendo".

E il limite piu' chiaramente delineato sembra proprio quello che separa il pensiero dal linguaggio. A mio modo di vedere questa relativizzazione del linguaggio non dev'essere necessariamente intesa in senso negativo, perche' di fatto, piaccia o no a Pinker, determina un'apertura verso dimensioni ulteriori, piu' complesse e profonde. Questo mi sembra, almeno in parte, confermi i "limiti del linguaggio" individuati da Wittgenstein ed esplorati in lungo e in largo dalla filosofia analitica.

Quando Chomsky affermava, alla fine degli anni '70, che lui e Foucault scavavano "la stessa montagna da punti diversi" aveva una ragione precisa per dirlo: il behaviorismo era di fatto l'evoluzione estrema dell'utilitarismo di Bentham. L'analogia tra i sorveglianti del panopticon e gli scienziati che studiavano i topi nella gabbie di Skinner non era occasionale. Rifletteva invece i progressi di uno sciagurato filone di pensiero che se ne andava per li rami del positivismo sociale.

Pero' dire che il linguaggio non plasma il pensiero e allo stesso tempo ammettere, come fa Chomsky, che c'e' un forte controllo, deve spingerci a considerare di nuovo i meccanismi di controllo come una questione che riguarda essenzialmente il corpo.

Insomma: se noi non accettiamo il totalitarismo computazionale, ma ci limitiamo ad accettare la spiegazione computazionale del linguaggio, come pezzo, organo dotato di qualita' proprie e specifiche, allora il corpo recupera tutta la sua importanza nei problemi del controllo (e, per estensione, della comunicazione).
Torna paradossalmente al centro la questione dell'attivita', del comportamento.
Tra Chomsky e Foucault l'ago torna ad oscillare di nuovo, vistosamente, dalla parte del francese. Ma il periplo andrebbe pero' compiuto per intero, senza scorciatoie.

un saluto
Rattus

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