> La civiltà è sempre la stessa...da circa 100 milioni di anni, e l' esempio più > tipico è dato da qualli che sono i " più civili". Qualcuno potrebbe scrivere " i più > uguali". E' la stessa cosa.In questo caso però il discrimine c' è, ed è la coscienza > che gli USA hanno fatto una gera imperialista di conquista, in primis contro la > nascente Europa e poi er impossessarsi ad uso esclusivo delle fonti di petrolio > iracheno.In questo contesto sonostati ucisi i figli di Saddam Hussein. Che poi > vengono accusati di ogni nefandezza come si è sempre fatto,fra popoli civili, da 100 > milioni di anni in qua.Ed allora quale è la libertà? Intanto nonfarsi manipolare il > cervello dal poteri che uccidono psicologicamente i popoli ancor prima di farli > fuori fisicamente. In ogni caso la discussione che è scaturita dalla morte dei due > figli di Hussein e le giustificazioni penose dell'Amministrazione per antonomasia > per giustificare l' esposizione delle foto sta a dimostrare che qualcosa per loro > no! n va per ilverso giusto. Non è poco! GV========================== > Date: Sun, 27 Jul 2003 10:15:36 +0200 > From: lanfranco caminiti <[EMAIL PROTECTED]> > To: rekombinant <[EMAIL PROTECTED]> > Subject: [RK] Barbarie > ========================== > > Barbarie > lanfranco caminiti > > Ho guardato le foto dei cadaveri dei figli di Saddam Hussein, > Uday e > Qusay. Erano cani rabbiosi, e nessun sentimento di "pietas" mi > turbava. > Non ho mai pensato di identificarli con una qualunque "resistenza", > con > una qualunque epopea. Nei commenti, ho letto, è stato scomodato > il Che, > Moro, Pasolini, e, a ritroso, persino Antigone e Achille e Ettore. > Per > favore. Li hanno uccisi, chiuso. Per favore. > Non cercavo la "prova provata" delle dichiarazioni americane: > stanno > facendo una gaffe dietro l'altra e questa non potevano proprio > permettersela: se hanno detto che erano loro, ragionevolmente > dovevano > essere loro. Un menzogna o persino un errore, in questo caso, > sarebbe > stato davvero suicida per quei sapientoni della Casa Bianca. > Un corpo sfigurato dopo un bombardamento e una battaglia a colpi > di > fucili mitragliatori, pistole, bombe, difficilmente può essere > riconosciuto. Immagino. Sono come quei cadaveri ritrovati nei > boschi > dopo giorni e giorni, che sono stati preda di animali randagi > o > selvatici, o dopo settimane di galleggiamento nel mare. Come > quei corpi > che vengono estratti dalle lamiere dopo un incidente terribile > in cui > sono coinvolti più mezzi, auto, camion pesanti, o quelli che > ruzzolano > giù dalle scogliere o si lanciano dai piani più alti d'un palazzo. > Cosa > ne rimane? Un'arcata dentaria: l'espressione ormai è di uso comune, > pur > non sapendo esattamente cosa significhi, si intuisce, anche i > bambini la > capiscono: telefilm seriali e cinema rendono condiviso il nostro > lessico. A volte, neppure quella. Cosa rimane d'un corpo dopo > lo > spostamento d'aria delle bombe? Le parti molli si rimescolano? > Gli occhi > escono dalle orbite? I denti, imperituri, si frantumano? Cosa > rimane di > uno "shahid", di un "martire" che si fa esplodere? E di quelli > che erano > attorno a lui, su un autobus, a una fermata, a un tavolo? > Eppure, per corruzione dei sensi, per confusione d'anima, non > saprei, > ho guardato le foto. Cercavo tratti riconoscibilmente "umani", > non > un'arcata dentaria. Didascalicamente, l'amministrazione americana, > e > molti mezzi di informazione, hanno accompagnato le foto dei cadaveri > con > i volti di quello che erano. Come nelle pubblicità per perdere > il peso, > dove ci sono uomini e donne prima obesi e poi snelli, o in quelle > per > riacquistare i capelli perduti. Prima e dopo la cura. Qui, la > "cura" era > il trattamento americano. Qui, ciò che era stato "vivo" avrebbe > dovuto > spiegare, introdurci a quanto era adesso "morto". E all'incontrario: > quanto adesso si mostrava nella sua orribile fine era accostato > a quanto > detestabilmente in vita. Come se questa fosse stata già designata. > Il > fulmine divino - e più prosaicamente decine di razzi americani > - ha > compiuto un destino ineluttabile e vindice. Non c'è scampo. Prima > o > dopo. Avvalorato da un "prima e dopo". > Centinaia di milioni di persone nel mondo hanno guardato quelle > foto. Le > hanno confrontate, ne hanno discusso, al bar, per strada, a casa, > volutamente o distrattamente, scorrendo il dito sulle pagine > di carta > stampata o indicando l'immagine in tv, un particolare che non > quadrava o > che era incontestabile. Ci saranno state discussioni. Centinaia > di > milioni di discussioni. Tutta la tecnologia del mondo, quella > cosa che > ci dovrebbe rendere sempre più "puliti" senza sporcarci di grasso > e di > sudore, quella cosa fatta di fili e di onde, che è incorporea, > si è > incagliata e incanaglita su quei cadaveri. I missili intelligenti, > i > puntamenti laser, i radar che percepiscono l'invisibile, i satelliti > e > le attrezzature iperboliche, tutto ciò che rende "differente" > la nostra > "civiltà", che fa "pulita" la guerra e il potere si è improvvisamente > incarnato lì, in quei corpi massacrati e irriconoscibili. In > quei > cadaveri schifosi. Mostrati bellamente al mondo. La civiltà, > baluardo > alla barbarie, si imbarbarisce. La guerra e il potere questo > comportano, > questo sono: schifosi. Parti molli che si rimescolano, occhi > fuori dalle > orbite, denti frantumati. Clic. Foto. > Mi sono vergognato di me, dell'attardarmi su quelle immagini. > Non ero il > pescatore, fotografato col suo luccio enorme, non ero la preda. > Ero come > centinaia di milioni di persone nel mondo. Mi sono sentito sporco, > appestato. Come se mi ci avessero legato a quei corpi, una di > quelle > terribili condanne che incatenava il vivo al morto. Qui, con > lo sguardo. > Mi sono sentito complice di qualcosa: non riuscivo neanche a > condannare > quei giornali che avevano deciso di pubblicare le foto. Avrei > potuto > distogliere lo sguardo, girarmi dall'altra parte, come quando > mi succede > al cinema per un film dell'orrore e c'è una scena troppo violenta, > magari avrei chiesto al vicino, dopo, cos'è successo. Perché > le hanno > pubblicate anche qui? Avrebbero potuto limitarsi a pubblicarle > lì, in > Iraq o nel mondo arabo, se era per monito e per verità. Che ammonimento > dovrebbero dare a noi? Qui, la civiltà ci fa da baluardo alla > barbarie. > E quale sensazione di verità avrebbero dovuto dare, come se fosse > questa > in gioco e non sapessimo tutti che sono solo frottole quelle > che > raccontano gli americani ["la democrazia, che minchia c'entra > con le > bombe?"] e che in gioco c'è altro, come se il nostro "collettivo > cinismo" potesse essere scosso da un'ulteriore bugia. La guerra > e il > potere questo comportano, questo sono: schifosi. Parti molli > che si > rimescolano, occhi fuori dalle orbite, denti frantumati. Clic. > Foto. > E' proprio questo che ci viene ricordato, che diventa monito > per tutto > il mondo. Le immagini sono per noi, non per gli iraqeni, gli > iraqeni non > ci crederanno mai adesso, per uno o due anni inventeranno, obietteranno, > le leggende metropolitane hanno una lunga filologia nella chiacchiera > umana. Loro, gli americani, fanno il lavoro sporco. Ma lo stanno > facendo > per tutti noi qui. Si fanno le foto, con il luccio enorme. Poi, > si > mostrano agli amici. Siamo complici: anche solo guardando. Clic. > Foto. > > Roma, 19 luglio 2003 > > -- > http://www.lanfranco.org > http://www.accattone.org > ___________________________________________ > rekombinant .network > http://rekombinant.org > http://rekombinant.org/media-activism > http://urbantv.it
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