Il “soldato Jennifer” e l’infamia della “liberazione”
Marcello Faletra

Nel sito di Mediawatch si può leggere la seguente affermazione della Fallaci, celebre per la sua ferocia antiislamica: “ Non riuscivo a credere che i giornalisti fossero qui per firmare praticamente pezzi scritti da militari. Tutto questo è il contrario di quello che ha sempre significato l’America, libertà di pensiero, libertà di scrivere”. Questa testimonianza risale al 1991, durante la prima guerra del Golfo. Adesso, mentre si svolge la seconda guerra all’Iraq, la “libertà” sembra che si sia liberata di tutto, anche di se stessa, se, come di fatto accade, è in nome di questa parola che la guerra ha luogo e viene propagandisticamente legittimata.
Questa guerra è un lusso che si è presa l’amministrazione Bush con al seguito una banda di fanatici politici collusi con la grande finanza internazionale e succube di quella petrolifera - espressione del neoliberismo più estremista e abietto come Blair e Aznar e di quel mitomane nostrano di Berlusconi che ha scatenato sia alla Rai che a Mediaset tutti i suoi portaborse - giornalisti, pubblicitari, presentatori, opinionisti... - per “informare democraticamente” l’opinione pubblica sulla necessità di sostenere gli Stati Uniti in questa “liberazione” da Saddam, guerra avversata da tutte le coscienze libere del mondo (persino dal Papa, che sicuramente, pur essendo dell’est, non è, sventuratamente per Berlusconi e company, un “comunista”). Questa aggressione viene quotidianamente addolcita e trasformata in gesto eroico dai telegiornali - spicca fra tutti il Tg2 che ieri sera alle 20,30 (31 marzo) inaugurava i servizi giornalistici con un’immersione melanconico-sentimentale nella vita privata del “soldato Jennifer”, marines donna in prima linea a Bassora. Il servizio era corredato di tutti gli effetti hard del caso, perché come ben sanno i giornalisti un’immagine vale più di un discorso. E’ una tecnica cinematografica di identificazione in un dramma personale ben nota ai registi hollywoodiani, di cui l’archetipo incontrastato è “Via col vento”. Si cattura l’attenzione dello spettatore immergendolo violentemente nella variopinta gamma degli affetti: il sorriso angelico del figlio, l’abbraccio caldo del marito, le cose di casa, gli oggetti personali carichi di ricordi, le lettere inviate dal fronte, il cane che scodinzola affettuosamente fino a far dimenticare la differenza fra la specie umana e quella animale, la fotografia dei nonni, immagini della rassicurante armonia del nucleo familiare, primi piani di particolari insignificanti, ma che costituiscono nella loro volontaria nudità l’esistenza semplice del “soldato Jennifer”, in cui tutti possono ritrovarsi e dire innocentemente: “anch’io sono Jennifer”. Espressioni miniaturizzate, semplici, genuinamente vere, e ad effetto emotivo garantito, che confermano nella forma totalitaria dell’immagine il contratto sociale della comunità americana che può essere esportato in tutto il globo, e il cui modello di espressione antropologica è l’armonia sociale formato Mc Donald’s - una famiglia che ritrova la pace mentre mangia hamburger transgenici e affida la propria difesa personale agli ultraeroi del cinema, cioé ad un’immaginario impregnato di odio verso lo straniero che conserva la propria integrità culturale.
Questa è la violenza dolce dell’informazione. Che passa per la leggerezza degli affetti, transita nei ripostigli invisibili dei ricordi personali, zoomma microspopicamente fin nell’iride di un ritratto, in quel nulla che caratterizza l’esistenza cullata dai consumi, esistenza avida delle tenerezze profuse dai cartoons modello Disneyland, eterna infanzia desiderosa di restare tale, così come crudelmente infantili sono gli occhi di tutti questi marines cresciuti nell’abbondanza delle patatine fritte e nel credo assolutista che mai al mondo vi saranno esistenze che non siano conformate all’unico modello che concepiscono: l’american way of life.
“Jennifer rischia la vita per la libertà del popolo iracheno”, questa è la siringa piena di plagio semiotico che viene somministrata ogni giorno.
La strategia di queste immagini s’impernea totalmente sull’estremizzazione del particolare - il “soldato Jennifer” si badi bene, non l’immensa macchina bellica americana di cui fa parte, con tutto il suo folle potenziale distruttivo - o, in altre parole, le immagini si concentrano sull’impiego esacerbato della metonimia, del dettaglio, perché è così, cioé dai particolari, dall’individualità semplice e “indifesa” di un marines, dalla subordinazione del generale al particolare, che il pubblico può trovare elementi d’identificazione e conseguentemente essere indotto sottilmente a partecipare favorevolmente per una parte dei belligeranti.
Cosicché tutti gli interessi che stanno a monte di questa guerra - petrolio, ammonimento verso tutti i paesi produttori di petrolio a non cambiare questo con altre monete - vengono in poche immagini dissolti, disintegrati, violentati.
Di fatto cosa ci fa oscurare il macroservizio sul “soldato Jennifer”? In primo luogo le ragioni per cui si trova ad assassinare degli iracheni, e cioé l’equazione petrolio=dollaro. I Petrodollari.
Che cosa sono i Petrodollari? C’è una data che c’è lo fa capire bene: il 6 novembre 2002. In questa data Saddam ha deciso di cambiare il dollaro con l’euro, causando una precipitosa discesa della valuta statunitense (già in crisi) e una conseguente rivalutazione dell’euro. Questa intenzione circolava già nei piani di Saddam da almeno un anno. Ma la cosa più preoccupante per Bush è che l’esempio di Saddam possa essere imitato da altri paesi appartenenti all’Opec. Allora in questo caso gli Stati Uniti perderebbero il privilegio di produrre dollari da esportare in tutto il mondo, in quanto la loro moneta è la sola con la quale viene pagato tutto il petrolio del mondo. L’espressione petrodollari risiede tutta in questa equazione, che per gli americani è divenuto un diritto inalianabile da imporre a chiunque possa praticare una “libertà” di scambio del petrolio con una moneta diversa da quella stabilita dai petrolieri americani, cioé il dollaro.
Una “libertà”, questa di Saddam, che non è andata giù a Bush e ai petrolieri che rapprenta. E’ vero: questa guerra è diversa da tutte le altre, si dice, perché le sue motivazioni sono interamente basate sulla teoria della “guerra preventiva” cosa mai accaduta prima, ma come tutte le altre, assolutamente, si basa su interessi egemonici sia geografici che economici.
C’è da chiedersi cosa resta della “libertà” quando la si fa prepotentemente coincidere con una sola espressione geografica, quando da più parti la si vuole identificare con l’egemonia degli Stati Uniti sul mondo. E, soprattutto, quando viene utilizzata come arma propagandistica e come ricatto (essere fedeli agli americani che “ci hanno liberato dai nazisti”).
Questo è il ritornello che dai variertà ai salotti televisivi l’apparato propagandistico del governo Berlusconi regala all’”amico americano” Bush. Una guerra mediatica parallela a quella reale, dove si viene indotti all’obbligo di fedeltà verso gli americani, perché questi ci hanno “liberato” dai tedeschi, qualunque cosa essi facciano e decidano.
L’argomento secondo cui gli americani ci hanno liberato si baserebbe realisticamente sulle morti americane in territorio italiano. Il sangue degli americani per la libertà degli italiani. E’ vero sono morti migliaia di soldati americani. Ma solo americani? Siamo sicuri che a “liberarci” dai nazisti non c’era nessun altro? Ma, se solo si rileggessero alcune paginette delle tante storie della seconda guerra mondiale, risulterebbe che a fronte di alcune migliaia di soldati americani morti in Italia vi sono stati venti milioni di soldati russi morti che hanno letteralmente sfiancato le divisioni più feroci di Hitler nell’Europa centrale, e che hanno causato l’idebolimento decisivo dell’intero esercito nazista che non ha potuto più rifornire le guarnigioni presenti in Italia, che così si sono man mano ritirate o arrese di fronte agli americani e ai.... Ma in questa labile memoria dei giornalisti, a nessuno finora è venuto in mente che la “liberazione” dai tedeschi ha avuto inizio con la costituzione delle divisioni partigiane. Quante vittime partigiane? Vogliamo fare la conta? e così, magari, vedere a chi altri devono inchinarsi gli italiani?
Evidentemente se oggi molti giornalisti e “opinionisti” (cioé formatori di consenso) rimproverano a tutti gli italiani che dissentono da questa guerra il debito verso gli Stati Uniti, significa che questa “liberazione” in realtà non era tale, ma una prestazione bellica, cioé un vero e proprio prestito, al quale doveva corrispondere un’allineamento totale alle scelte economiche delle amministrazioni americane, ma soprattutto gli italiani dovevano obbedire al divieto assoluto di “aprire” il paese democraticamente a sinistra. E di fatto è stato così. Dall’economia ai servizi segreti, l’italia è sempre stata controllata dagli Stati Uniti. Servizi segreti? Sicuramente! Cosa ci faceva l’agente della CIA Carmel Offie nei servizi segreti italiani alla loro nascita nel 1949? Che cos’era le rete clandestina Atlantica Stay behind fondata dagli agenti della CIA William Donovan e James Angleton con a capo il loro fantoccio italiano Ettore Musco, il cui compito era di far fronte ad un’eventuale insurrezione comunista? La Nato, creata nell’aprile del 1949, ha avuto la primaria funzione di ostacolare qualsiasi estensione della russia verso ovest. L’adesione dell’Italia al Patto Atlantico fece si che al paese venissero imposti obblighi particolari tra cui quello del controllo da parte della CIA delle informazione del servizio segreto italiano e l’incontrastata colonizzazione commerciale dei prodotti americani. Il ruolo del Patto Atlantico in Europa era soprattuto quello di contrastare, con qualsiasi mezzo, anche con un eventuale colpo di stato, come il progettato “Piano Solo” da parte dell’arma dei carabinieri del 1964, quando la DC si stava “aprendo a sinistra”. A questo scansato colpo di stato avrebbero preso parte sia i carabinieri che gruppi civili, ex parà e repubblicani, addestrati alla base segreta di Gladio a capo Marrargiu in Sardegna. Ma se l’Italia se l’è scampata dal colpo di stato non è stato così per la Grecia che il 21 aprile del1967 subisce un colpo di stato da parte dei colonnelli fedelissimi della CIA. Alcuni anni più avanti a Cipro accade un’altro colpo di stato pilotato dalla CIA.
E non dobbiamo dimenticare che Enrico Mattei che voleva un’economia petrolifera autonoma, libera quindi da servilismi e subordinazioni enrgetiche verso altri paesi, morì in un “incidente”: un elicottero che esplode in volo, secondo la testimonianza di alcuni contadini che assistettero al fatto. Ma la lista degli obblighi assolti dall’Italia verso gli Stati Uniti è lunga, quanto ancora deve durare questa “restituzione” del debito della liberazione? Fermiamoci quì.
Viene da chiedersi a questo punto a quanta libertà gli italiani hanno rinunciato per soddisfare l’egemonia economica e politica delle amministrazioni americane derivante dalla “liberazione”?






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