La ricerca storiografica ha da tempo smentito l'idea, ancora suggerita da molti libri di storia, che l'invenzione, soprattutto in ambito tecnologico, sia sempre il prodotto esclusivo del genio di questo o quel grande studioso. Al contrario, dietro l'identificazione di una data scoperta con un personaggio si nasconde spesso la nostra propensione per quello che un celebre scienziato recentemente scomparso, Stephen J. Gould, amava definire mito dell'origine o mito di creazione:

"i miti di creazione identificano eroi e luoghi sacri, mentre le storie evolutive non forniscono alcun oggetto palpabile, particolare, come simbolo per la reverenza, la venerazione o il patriottismo".

Le storie evolutive, secondo Gould, rappresentano di solito la reale dinamica di molte innovazioni, frutto del lavorio incessante di una miriade di inventori sconosciuti. Per Gould il mito di creazione e' un bisogno psichico della nostra specie che spesso: "estendiamo alle nostre opere e istituzioni, e possediamo miti e storie delle origini per l'inizio della caccia, del linguaggio, dell'arte, della gentilezza, della guerra, del pugilato, delle cravatte a farfalla e del reggipetto".

Soprattutto nei suoi scritti di carattere meno tecnico, Gould ha individuato casi di "mito delle origini" davvero sorprendenti. Per esempio l'invenzione del baseball e' stata assegnata da un'apposita commissione ad un generale dell'esercito americano, tale Abner Doubleday, che l'avrebbe concepita nel 1839 in una cittadina di campagna dello stato di New York, Cooperstown. In realta', una serie di accurate ricerche svolte da Gould dimostrano che forme rudimentali di baseball si erano sviluppate in Inghilterra gia' nel settecento. Erano varieta' popolari del cricket giocate in strada con palle e mazze. Gould osservava che mentre l'esistenza del cricket, sport della classe alta, era ben docoumentata, "i giochi e i passatempi delle classe lavoratrice urbana e rurale possono essere del tutto assenti dalle fonti convenzionali".
Ricercatore particolarmente tenace, Gould ha scoperto un romanzo di una celebre scrittrice inglese di fine settecento in cui gia' si parlava del "base ball". Lungo gli itinerari dei coloni emigrati dall'Inghilterra ha poi rintracciato varie forme spurie di baseball, giocate con bastoni e palle di stracci bagnati, diffuse a focolaio in numerose località degli USA. E sembra oramai accertato che il generale Doubleday, l'inventore ufficiale del baseball, non fosse in grado di distinguere "una palla da baseball da un chinotto". Qualcuno, per usare la metafora di Wiener, ha collocato per lui una bandierina sulla punta dell'iceberg del baseball ignorando, forse intenzionalmente, quanto si trovava al di sotto. Come scrive Renzo Tomatis:


"La storia ha continuato ad essere fatta per decadi e secoli da e per professori, direttori, prime donne e generali che non vanno mai in pensione: scendono da una cattedra per andarsi a posare sulle pagine di un libro di storia".

Anche scoperte epocali come quella avvenuta con il celebre viaggio di Cristoforo Colombo verso le americhe non hanno retto troppo bene a indagini storiografiche accurate. Si e' sostenuto con buoni argomenti come Colombo avesse in realta' ospitato nella sua abitazione un "pilota sconosciuto", un marinaio moribondo reduce da una tempesta, che gli indico' le rotte per il viaggio transoceanico. Altri storici hanno argomentato con dovizia di particolari come il genovese fosse entrato in possesso, prima del viaggio, delle carte di un ammiraglio turco, che descrivevano con grande precisione la East Coast nordamericana e i Caraibi. E gli esempi potrebbero continuare a lungo. Per fornirne ancora uno, sembra ormai accertato che Camillo Golgi, premio Nobel per la medicina, noto agli studenti per gli organuli cellulari che portano il suo nome (i corpuscoli di Golgi) attraverso' un periodo di gravi difficolta' quando venne abbandonato da un "famulus" un lavorante del suo laboratorio che pare fosse l'unico a conoscere la tecnica di colorazione delle fibre nervose passata poi alla storia con il nome di "Metodo di Golgi" che valse il Nobel al biologo italiano nel 1906. All'epoca, ricorda Renzo Tomatis: "dopo inservienti e tecnici c'erano i famuli, gli assistenti frequentanti, volontari straordinari che svolgevano un particolare tipo di lavoro nero".
Questi geni minori, dunque, misconosciuti dalla storia, costituiscono l'oggetto privilegiato di questa nostra esplorazione. Come scriveva Vygotskij:


"Si ammette facilmente la creativita' nell'attivita' di un Tolstoj, d'un Edison, d'un Darwin, mentre di solito, si presume che non vi sia nella vita d'un uomo qualunuque. Si tratta, ripetiamo, di una concezione errata. Per usare il paragone di un autore russo, allo stesso modo come l'elettricita' agisce e si manifesta non solo dove si hanno grandi tempeste di fulmini, ma anche in una lampadina tascabile, così anche la creativita' sussiste di fatto non solo dove realizza insigni, storiche creazioni, ma dovunque c'è un uomo che immagina, combina, modifica e realizza qualcosa di nuovo anche quando questo qualcosa di nuovo possa apparire un granello minuscolo in confronto alle creazioni dei geni".

Il paragone tra creativita' ed energia elettrica alimenta suggestioni senza fine. La "lampadina" e' l'inseparabile compagna di Archimede Pitagorico di Walt Disney, uno dei primi segnali della popolarizzazione della figura del crank nel corso del Novecento. D'altra parte la rete internet avrebbe dovuto, secondo molti visionari, divenire la rete elettrica dell'intelligenza, il sistema di interconnessione tra la creatività singolare e l'intelligenza generale.
Un progetto che non sarebbe dispiaciuto a Vygotskij che scriveva:


"Se poi si consideri la presenza della creativita' collettiva, che riunisce insieme tutti questi minuscoli e spesso, di per se', insignificanti granelli della creativita' individuale, diverra' chiaro quale a quanta parte di tutto cio' che l'umanità ha creato spetti per l'appunto all'anonimo, collettivo lavoro degli inventori sconosciuti".

E tuttavia la societa' in cui viviamo ha creato una specie di schermo che separa la creativita' sociale diffusa dai luoghi che si occupano di intercettarla, di metterla in produzione, di trasformarla in merce. La fitta trama legale che imbriglia le regole di brevettazione, le caste di specialisti che tutelano le professioni come strutture "chiuse", le burocrazie politiche e imprenditoriali, costringono milioni di persone ad oscillare costantemente dalla condizione di geek a quella di nerd.
Qual e' la differenza tra i due termini? Come chiarisce il Geek Code, un sistema che circola in rete per misurare la propria "geekness", la propria attitudine ad essere geek: "I geek, diversamente dalla piu' bassa forma di esistenza nota come nerd, sono dotati di vita propria. Hanno delle cose da fare nel mondo esterno. Naturalmente, queste cose vengono fatte con altri geek, ma non e' questo il punto. Il punto e' che i geek non sono necessariamente gli emarginati della societa' che spesso si ritiene siano".


La rivendicazione della trasparenza delle conoscenze e dei diritti degli inventori sconosciuti ha radici antiche e profonde.

Alle origini del pensiero scientifico vi era un senso di profonda insoddisfazione nei confronti dell'ermetismo e delle conoscenze trasmesse per via iniziatica. Giulio Agricola nel "De re metallica" scriveva: "Molti libri si truovano di questa cosa, ma tutti oscuri; perchè questi scrittori non chiamano le cose con li propri nomi e vocaboli, ma con istrani e trovati di lor capo (...)".

Nasceva in quegli anni la speranza di una nuova scienza che fosse caratterizzata da un linguaggio pienamente accessibile. Lo stesso Galileo sceglieva di scrivere in volgare e non in latino proprio per favorire la diffusione della scienza nuova.
Come mostra lo storico della scienza Paolo Rossi, in Europa la fondazione delle prime Accademie e delle Societa' scientifiche era ispirata a idee profondamente universalistiche. La verita' scientifica non doveva più dipendere dall'autorita' di chi la enunciava ma dal rigore degli argomenti e delle pratiche sperimentali. La diffusione pubblica della conoscenza acquistava una valenza etica che in epoche precedenti era stata misconosciuta e avversata. Non soltanto veniva sostenuto la funzione "pubblica" del sapere scientifico ma veniva affermato esplicitamente che per la scienza gli esseri umani erano, almeno in linea di principio, tutti uguali. Ciascuno poteva liberamente contribuire al dibattito e alla ricerca e tutti, almeno in teoria, potevano appropriarsi delle conoscenze scientifiche e partecipare al loro sviluppo.
Alla fondazione della Royal Society venne solennemente affermato che al suo interno erano ammessi "uomini di differenti religioni, paesi e professioni". L'idea stessa di proprieta' intellettuale veniva intesa in senso poco restrittivo:


"La particella 'di' nell'espressione linguistica 'Leggi di Keplero'", scrive Paolo Rossi, "non indica affatto una proprieta': serve solo a perpetuare la memoria di un grande personaggio. La segretezza, per la scienza e all'interno della scienza e' divenuta un disvalore".

E' altrettanto vero che proprio in quell'arco di tempo, caratterizzato tra l'altro dalla diffusione della stampa a caratteri mobili e da una forte crescita delle tecnologie, nascono i primi brevetti. All'epoca il brevetto veniva definito anche "privilegio" o "diritto di privativa".
Tomas Maldonado, in un articolo di qualche anno fa, rovesciando diverse generalizzazioni sbrigative, non solo riconosce al brevetto una funzione propulsiva nel settore dell'innovazione, ma ne sottolinea anche una valenza quasi rivoluzionaria. E' nell'affermarsi dell'individualismo moderno, sostiene Maldonado, che diviene possibile per l'inventore affermare la propria opera come entita' soggetta a diritti legali.


Altrettanto interessante il fatto che Maldonado parli in quell'articolo di un fenomeno di "brevettomania" che ha attraversato un cospicuo periodo storico tra l'Ottocento e il Novecento. Anche la "brevettomania", nella lettura che ne offre Maldonado, non va interpretata come una forma di culto del privato quanto invece come una:
"critica implicita alla pretesa di un ristretto gruppo di inventori di professione - grandi o piccoli - di monopolizzare questa attivita' (...)".
In questa prospettiva il brevetto viene inteso come forma di tutela di un diritto individuale, quello della titolarita' del lavoro di ideazione.


A ben guardare il copyleft risolve queste due spinte, solo apparentemente opposte: quella della trasparenza pubblica del sapere e quella dei diritti individuali dell'inventore o dell'autore. In una situazione in cui la tutela dell'inventore e dell'autore e' ormai del tutto simbolica e nei fatti e' detenuta dai gruppi commerciali che gesticono la produzione e la distribuzione, il copyleft inserisce un elemento che recupera la tradizione scientifica della trasparenza e della pubblicita' della conoscenza, senza per questo irretire i processi produttivi nelle secche delle burocrazie o dei monopoli.

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