da Il Manifesto del 15.06.2003
L'aritmetica del capitalismo cognitivo Cervelli al lavoro. IL SAPERE E LA CONOSCENZA sono diventati i principali ingredienti dell'economia immateriale, che ha la sua massima esemplificazione nell'industria culturale e in quelle della pubblicità, del marketing, dell'informatica. Un'intervista con André Gorz in occasione dell'uscita in Francia del suo ultimo libro «L'immatériel» THOMAS SCHAFFROTH Questa primavera, il teorico della società André Gorz ha pubblicato in Francia il suo nuovo libro dal titolo L'immatériel. Connaissance, valeur et capital (éditions Galilée, Parigi, 2003. L'uscita in Italia del volume è prevista per l'inizio di autunno a cura della Bollati Boringhieri). Dopo l'ultimo testo da lui pubblicato, tradotto in Italia con il titolo Miseria del presente, ricchezze del possibile (manifestolibri), in questo libro l'ottantenne filosofo sviluppa ulteriormente le sue riflessioni sul «capitale umano», la cui importanza ha ormai superato quella del «capitale materiale». Ma ai fini del sistema capitalistico, il capitale cognitivo può avere una funzione solo a condizione di essere privatizzato: un processo che accentua le contraddizioni in ordine alla valutazione del sapere, così come alla sua utilizzazione e trasformazione in capitale. Nel tuo nuovo libro hai messo in forse l'esistenza di una società capitalistica del sapere, e la sua stessa possibilità di esistere. A tuo parere, l'economia cognitiva e il capitalismo sono inconciliabili. Per quale motivo? Perché nella cosiddetta economia cognitiva i parametri economici tradizionali non sono più validi. La principale forza produttiva - il sapere - non è quantificabile: la prestazione lavorativa fondata sul sapere non può più essere misurata in ore di lavoro. E nonostante tutti i possibili artifici, la trasformazione del sapere in capitale - in capitale monetario - incontra ostacoli insormontabili. In breve, le tre categorie fondamentali dell'economia politica - il lavoro, il valore e il capitale - non possono più essere definite in termini aritmetici, né misurate con parametri unitari. Oltre tutto, proprio in quanto non misurabili, rendono sempre più difficile l'applicazione di concetti quali plusvalore, pluslavoro, valore di scambio, prodotto sociale lordo. Quando gli esperti di macroeconomia cercano di quantificare con gli strumenti tradizionali i risultati economici e i trend di sviluppo, in realtà procedono a tentoni nel buio. L'economia cognitiva rappresenta di fatto una crisi di fondo del capitalismo, e prefigura un'altra economia, nuova e ancora da fondare. Ed è su questo che verte il dibattito in corso a livello mondiale su cosa sia di fatto la ricchezza, e a quali criteri debba essere corrispondere. L'economia ha sempre più bisogno di parametri qualitativi piuttosto che quantitativi. Lo studioso americano Jeremy Rifkin ha sostenuto, nel suo libro «L'era dell'accesso», che il capitale cognitivo immateriale ha un ruolo centrale nella creazione di valore, e rappresenta la componente più importante del capitale aziendale. Importanti imprese esternalizzano il loro capitale materiale, e vendono ormai soltanto sapere e servizi... In effetti è così. Ma la parola «sapere» viene usata per definire cose molto diverse tra loro, per le quali non disponiamo di un parametro unitario. Consideriamo innanzitutto le capacità artistiche, la fantasia e la creatività, molto richieste nell'ambito pubblicitario, nel marketing, nel design, nell'innovazione, dato che riescono a conferire alle merci - anche a quelle più comuni - un valore artistico, simbolico e incomparabile. La pubblicità e il marketing costituiscono una delle maggiori - anzi probabilmente la maggiore industria cognitiva: nella misura in cui attribuiscono alle merci qualità uniche e incomparabili, le imprese possono vendere i loro prodotti, almeno per qualche tempo, a prezzi maggiorati. Detengono una sorta di monopolio, e si procurano così una rendita monopolistica, aggirando temporaneamente la legge del valore; in altri termini, frenano il calo del valore di scambio delle merci, anche se queste vengono prodotte a costi sempre minori in termini di ore di lavoro e di personale. In questo processo, qual è il rapporto tra sapere e conoscenza? I saperi, nel senso di competenze e procedimenti tecnici e scientifici, possono avere un ruolo consimile, ma la portata dei loro effetti e il loro valore d'uso hanno un'importanza assai più diretta. A differenza delle capacità artistiche e innovative, le competenze e i procedimenti possono essere trasmessi o formalizzati anche separatamente, da chiunque ne faccia uso; possono essere trascritti in forma digitale e informatizzati per fini produttivi senza alcuna apporto umano aggiuntivo. Da questo punto di vista, il sapere è capitale fisso, è mezzo di produzione. Ma rispetto ai mezzi di produzione del passato presenta una differenza determinante: è riproducibile, praticamente a costo zero, in quantità illimitata. Per quanto possano essere state costose le ricerche alla sua origine, il sapere digitalizzabile tende a diventare accessibile e utilizzabile a costo zero. Se infatti viene riprodotto e utilizzato in miliardi di copie, i costi alla sua origine diventano praticamente irrilevante. Ciò vale per tutti i programmi di software, così come per il contenuto di sapere dei farmaci. Se si vuole che funzioni come capitale fisso e consenta il prelievo di un plusvalore, il sapere deve diventare necessariamente una proprietà monopolistica, tutelata da un brevetto che assicuri al suo detentore una rendita di monopolio. La quotazione in borse del capitale costituito dal sapere dipenderà dall'entità della rendita prevedibile. Su questa base si possono creare gigantesche bolle finanziarie, che un bel giorno scoppiano all'improvviso. Il crack borsistico, prevedibile fin dalla metà degli anni 90, dimostra quanto sia difficile trasformare il sapere in capitale finanziario, e farlo funzionare come capitale cognitivo. Hai detto più d'una volta che l'economia cognitiva prefigura la necessità di un'«altra economia», di un'altra società, la cui possibilità pratica si sta già delineando... Sì: il sapere non è una merce qualsiasi, e non si presta ad essere trattato come proprietà privata. I suoi detentori non se ne privano nell'atto di trasmetterlo. Quanto più si diffonde, tanto più ricca diventa la società. Per sua stessa natura, il sapere richiede di essere trattato come un bene comune, di essere considerato a priori come il risultato di un lavoro sociale e collettivo. Privatizzarlo vuol dire limitare la sua accessibilità, il suo valore d'uso sociale. Negli ultimi dieci o vent'anni, ciò appare sempre più evidente, tanto che in tutto il mondo si è costituito un fronte anticapitalistico di lotta contro l'industria cognitiva: ad esempio l'industria chimica e farmaceutica, ma anche quella del software, e in particolare Microsoft. Di fatto, il capitalismo cognitivo non si limita a impossessarsi del sapere al quale ha dato origine, ma privatizza anche ciò che è incontestabilmente bene comune, come il genoma di piante e animali e quello umano. E attinge a costo zero al patrimonio culturale comune per utilizzarlo come «capitale culturale» o «capitale umano». Con il termine di «capitale umano» si designano soprattutto le capacità umane e le forme di sapere non formalizzabili, che gli individui sviluppano giorno per giorno nei rapporti con i loro simili. A essere strumentalizzate e sfruttate nel «capitalisme cognitif» - come lo definiscono in Francia i teorici vicini a Toni Negri - non sono quindi soltanto le ore di lavoro prestate, ma anche il tempo invisibile dedicato alla propria crescita culturale e umana. Tutte le attività individuali svolte al di fuori del tempo di lavoro e finalizzate alla propria realizzazione possono essere dunque considerate attività produtive. Quest'attività è diventata quindi una delle principali fonti di produttività e creazione di valore.In una vera società cognitiva l'economia dovrebbe essere posta al servizio della cultura e della realizzazione di sé, e non viceversa, come accade oggi. Del resto, questo concetto lo troviamo già in Marx, laddove scrive che la vera ricchezza è «lo sviluppo di tutte le energie umane in quanto tali, non misurate in base a un parametro precostituito». E' su questo che si basa la rivendicazione di un reddito d'esistenza garantito. Hai detto che anche sul piano pratico si sta già delineando un'altra economia, al di là del capitalismo... Sì, ad esempio nei free nets e nella cultura del software con libero accesso ai codici e alle fonti per gli utenti di Internet. Del resto, le imprese lavorano ormai in buona parte nell'ambito di reti, e si concertano al momento di prendere una decisione. L'auto- organizzazione, l'auto-coordinamento e il libero scambio sono oggi alla base della produzione sociale; e sono realizzabili senza bisogno di una pianificazione centrale, né dell'intermediazione del mercato. I produttori, collegati tra loro in rete, si accorderebbero preventivamente e in maniera mirata per produrre a seconda dei bisogni, e svolgerebbero la loro funzione produttiva come un complesso di «attività collettive a priori», scambiando beni e servizi ai quali non si sarebbe conferito previamente il carattere di merci. Il denaro diventerebbe quindi superfluo, e al capitale verrebbe sottratta la sua stessa base. Anche se non sottovaluto certo gli ostacoli ai quali andrebbe incontro uno sviluppo del genere. La società cognitiva che hai descritto sarebbe una società comunista... Esattamente. Hai rimproverato ai battistrada delle intelligenze artificiali e della vita artificiale di preparare non già una società del sapere, ma una civiltà post- umana... Questo è per me un punto importantissimo. Ad esempio, il filosofo berlinese Erich Hörl ha dimostrato, in una tesi davvero magistrale, che nel corso degli ultimi 150 anni la scienza si è sempre più distaccata dalla realtà percepibile attraverso i sensi: nel mondo reale, un pensiero sempre più matematizzante pone oramai in luce soltanto le strutture inquadrabili in termini matematici. Ad esempio, il linguaggio matematico dei calcoli informatizzabili ha contribuito ad alienare non solo la scienza, ma anche il capitalismo dai problemi di senso e dalle interazioni sociali, escludendo come non reale tutto ciò che non è calcolabile.A forza di processi di pensiero asensoriali e matematici, si è arrivati man mano a una condizione ambientale e a un tipo di vita che non è più, fisicamente e mentalmente, a misura d'uomo. Da questo i detentori del potere desumono la necessità di creare esseri umani più efficienti. La follia del potere economico e militare e l'ossessione efficientista hanno bisogno di intelligenze artificiali, di macchine umane artificiali. Di una società del sapere si potrà parlare soltanto quando la scienza e l'economia non saranno più assoggettate agli imperativi del capitale, ma perseguiranno obiettivi politici sociali, ecologici e culturali. Questi concetti sono oggi condivisi anche da un numero ancora esiguo, ma in costante aumento, di esponenti del mondo scientifico. (Traduzione di Elisabetta Horvat) ___________________________________________ rekombinant .network http://rekombinant.org http://rekombinant.org/media-activism http://urbantv.it