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strategie per la comunicazione indipendente
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L'Utopia? Subito!
Una proposta di lotta al potere finanziario

di Domenico De Simone -
http://www.informationguerrilla.org/utopia_subito.htm

Una proposta, una sfida, una provocazione: un altro denaro è possibile.
Ovvero una finanza realmente etica che non crei profitto ma ricchezza,
intesa come tutto ciò che nasce dallo spirito umano, senza sfruttamento,
valorizzando la vita e non il denaro. Ecco come

11/12/02 - L’umanità che partecipa al movimento è la più varia e composita.
Operai, impiegati, studenti, contadini, cococò, autonomi, disoccupati,
imprenditori di sé stessi e di altri, negozianti, preti, missionari, suore,
giornalisti, fotografi, professionisti, attori, eccetera, eccetera. Credo
che il movimento riassuma in sé tutto lo spaccato della società civile, con
preponderanza di alcune figure professionali, ma con la presenza della
maggior parte di quelle che ci vengono in mente.
Che cosa hanno in comune tutte queste persone? Molte cose, ma con certezza
possiamo dire che avversano il modo di vivere cui le costringe la società
del profitto. Che, insomma, l’avversario è il profitto come fine dell’
esistenza, ciò che lega l’opposizione contro questo sistema di tutti quelli
che a Firenze ci sono andati con i piedi e di tutti quelli che ci sono
andati con il cuore.
Un’altra cosa hanno in comune queste persone: che non vogliono un nuovo
ordine. Il movimento comunista lottava per imporre l’ordine comunista a
quello capitalista. Potere contro potere, con il relativo corollario di
potere giusto contro il potere ingiusto e sofismi aggregati come corollari.
Il movimento non ha un ordine da imporre e nemmeno da proporre. Ciascuno
pensa al suo ordine, se ne ha voglia e tempo. Certamente tutti vogliono una
società pluralista, però universale, nella quale le specificità locali ed
etniche siano tutelate e non mortificate, in cui tutti abbiano opportunità
adeguate di farsi valere, senza che questo significhi la morte di chi non ce
la fa. Una società solidale e ricca di umanità. Ecco, fermiamoci su questo
punto. Ho usato un termine, “ricco di umanità”, che ci riporta al concetto
di ricchezza ed all’economia.
Una società nuova è una società in cui la ricchezza è l’umanità e non il
denaro, la solidarietà e non il profitto, il benessere spirituale insieme a
quello materiale. Dico assieme perché le due cose non sono affatto
contraddittorie ed è ipocrita contrapporle così come è falso dire che il
benessere spirituale è possibile solo se si rinuncia a quello materiale.
Perché questo ragionamento ha un falso presupposto: che la ricchezza sia
possibile solo con il profitto. Questo è il paradigma di una società con
risorse scarse, in cui il ricco è colui che ha sottratto molte risorse alla
collettività. Oggi questo paradigma è divenuto falso. Ci sono molte risorse,
sufficienti per tutti, ed altre sono nascoste e possono e debbono essere
sollecitate in maniera appropriata.
Il paradigma della scarsità ha come corollario un sistema di accumulazione
che si fonda sul profitto e sull’interesse. Più capitali sono scarsi
maggiore è il tasso di interesse che essi richiedono perché maggiore è il
rischio. L’usura della finanza si ammanta di eticità nascondendosi dietro il
paravento dell’utilità collettiva di un corretto uso di risorse scarse.
In realtà, oggi, disponiamo di risorse materiali in abbondanza, e di risorse
immateriali illimitate. Con le nostre tecnologie avremmo la possibilità di
rendere del tutto automatici processi di produzione che rendono schiavi gli
uomini che ci sono addetti. Paradossalmente, poiché quel lavoro rappresenta
la vita di molte persone, difendiamo un lavoro che è di per sé uno strumento
di schiavizzazione, invece di batterci per farlo scomparire. E’ l’equivoco
che è contenuto nel diritto al lavoro, che rovescia il senso dell’esistenza.
Il lavoro semmai è un dovere, che si risolve in ricchezza se è libero. Il
lavoro sotto la costrizione di non poter vivere senza è una schiavitù e
basta.
Dire che la ricchezza è quella che nasce dallo spirito umano esprime un
pensiero comune a molti. La cosa paradossale è che questo pensiero non si
coniuga, poi, con comportamenti conseguenti. La ricchezza, in questa
società, è data solo dal denaro, e il denaro cresce solo sul profitto. Di
conseguenza la ricchezza è il profitto.
Nell’accezione corrente in economia, si fa riferimento per definire la
ricchezza al concetto di scarsità. Un bene è tanto più prezioso in quanto è
scarso, ed è questa la ragione per cui l’oro vale molto di più dell’aria,
nonostante questa sia indubbiamente essenziale per vivere mentre l’oro è del
tutto superfluo. Ma se ci pensiamo bene, questa idea è falsa. Se così fosse,
della buona musica, o letteratura o filosofia, che sono certamente scarse,
avrebbero un grande valore. Al contrario il valore, in quei campi, è dato
dal profitto, poiché un libro o un disco non vengono venduti in base al loro
valore effettivo, ma in base a quello che riescono a produrre, e quindi al
capitale che viene investito per la loro produzione. Non è quindi la
scarsità che rende preziose le cose, ma il profitto del capitale. Tutti noi
proviamo un senso di profondo disagio di fronte a questa considerazione,
perché ci rendiamo conto che stiamo immersi nella logica del capitale ed
esattamente nel punto in cui esso vuole che stiamo. Ed è un disagio che si
traduce, poi, in rimozione del problema, e non nella ricerca della sua
soluzione.
Anche contestare il capitalismo è funzionale alla sua riproduzione. Se non
ci credete, provate a pensare a quanto abbiano fruttato ai mass media le
notizie sugli scontri e quanta informazione richieda il movimento, e per
loro, l’informazione è ricchezza. Questo non significa che non dobbiamo
contestarlo, ma che l’opposizione e la lotta deve assumerne forme e
contenuti diversi, poiché quelli usuali sono stati oggettivamente inglobati
nella logica della riproduzione del capitale finanziario.
Dobbiamo, allora, riflettere su che cosa possa davvero rompere questo
circolo perverso, che si impadronisce delle nostre stesse vite fino a
renderle strumenti per la creazione di denaro e di profitto. Abbiamo la
possibilità di creare una società fuori dalla logica del profitto, e di
farla subito. Ci sono i numeri, le risorse, la fantasia, le capacità.
Facciamola.
L’idea è quella di costruire, tra di noi, un sistema di relazioni che siano
estranee al profitto, pur consentendo a chi le fa, di trarre un utile da
queste relazioni. Credo che chiunque svolga una prestazione debba ricavarne
un utile, il che non significa che questo utile debba necessariamente essere
un profitto. Infatti, la remunerazione di un’attività è cosa diversa dal
profitto, che attiene alla valorizzazione del capitale e non delle risorse
umane. Dobbiamo, quindi, impedire che avvenga quel corto circuito che
identifica capitale monetario con i valori umani, fino al punto in cui
questi sono subordinati a quello.
Come dicevo, ci sono risorse umane in quantità. Ci sono anche risorse
materiali a sufficienza, e ormai da oltre dieci anni. Insomma, non è
necessario che qualcuno muoia di fame affinché altri possano vivere, così
come non è necessario che molti facciano un lavoro massacrante e alienante
affinché pochi possano pensare.
D’altra parte è lo scambio alla base della logica del profitto. Come ho
dimostrato nel mio libro “Dove andrà a finire l’economia dei ricchi”, allo
scambio si stanno sovrapponendo logiche di relazioni completamente diverse,
nelle quali anche la valutazione dell’apporto di ciascuno è del tutto
superflua, così come sono insensati i pagamenti in denaro. Dobbiamo quindi
realizzare l’utopia di una società che si fonda sulla vera ricchezza, che è
quella che nasce dagli uomini. Si tratta di un’utopia concreta, reale
immediata. Senza i sogni, gli uomini sono già morti. Ma vivere nel sogno,
dimenticando la realtà, è anche peggio. Se abbiamo un sogno dobbiamo viverlo
fino in fondo, renderlo reale, subito. Solo così possiamo sollecitare le
forze che sono attorno ed insieme a quel sogno. Non abbiamo bisogno dell’
utopia del futuro, perché come diceva Keynes, a lungo termine saremo tutti
già morti. Non vogliamo nemmeno l’utopia del passato, quella dei morti che
ritornano in forma di sogno splendente, nascondendo la miseria del loro e
del nostro presente. Non dobbiamo negare la miseria del nostro presente,
proiettandoci in un mondo fantastico che vive nel passato o nel futuro. L’
utopia è oggi, subito. Dobbiamo essere realisti e fare l’impossibile. Questa
frase entusiasmò Marcuse che la lesse su un muro della Sorbona nel ’68, ma
al posto di fare c’era scritto chiedere. Noi non dobbiamo chiedere niente a
nessuno, dobbiamo fare il nostro mondo, a partire da noi stessi. In noi è
racchiuso tutto l’universo, e se è così, perché non realizzare l’utopia?
Nel mondo virtuale abbiamo un’infinità di risorse: siti di informazione, di
musica, di letteratura, di teatro, di software, eccetera. La maggior parte
di queste risorse sono sottopagate o spesso non sono pagate affatto, e
quindi la loro possibilità di crescita è limitata dalla presenza di siti e
di aziende che dispongono invece, di ben altri mezzi.
In che cosa consistono questi mezzi? Nel denaro e nelle altre risorse
finanziarie di cui le banche ed i grandi gruppi dispongono e che vengono
messi a disposizione di chi si muove entro una logica di profitto.
Attenzione, non ho scritto di sviluppo, ma di profitto che è profondamente
diverso, poiché esso attiene allo sviluppo del capitale, non della società
né, tanto meno delle risorse umane.
Noi dobbiamo creare una logica di sviluppo senza profitto, di creazione di
ricchezza senza sfruttamento, di valorizzazione della vita e non del denaro.
Questo è il punto decisivo.
Facciamo un esempio.
Si parla dell’informazione indipendente, ma per farla ci vogliono risorse
finanziarie e certamente, nessuno nel movimento dispone delle somme per fare
una televisione indipendente. Neppure troverete mai una banca disposta a
dare ad un gruppo legato al movimento le somme necessarie per farlo. E non
tanto per ragioni ideologiche, ma semplicemente perché nessuno è in grado di
aggregare le risorse necessarie per garantire i profitti che il mondo
finanziario esige per iniziative di questo genere.
D’altra parte, se ci si muove fuori da una logica di profitto è insensato
garantire dei profitti, così come se ci si muove in una logica non violenta
è insensato comprare le armi. E se qualcuno finanzia queste iniziative vuol
dire che da qualche parte il profitto lo tira fuori, altrimenti non lo
farebbe. Per questa ragione diffido sempre di iniziative apparentemente
animate dalle migliori intenzioni che però non escono dalla logica ferrea di
questo sistema. Lo stesso discorso vale per la politica. Non sono gli uomini
cattivi che rendono il potere cattivo, ma è il potere che fa gli uomini
cattivi, e credo che la storia ce ne abbia dato esempi a sufficienza.
Pensate alle T.A.Z., le zone di autonomia dal potere politico di cui Akim
Bey ci ha reso una accurata descrizione nel suo splendido libro. Dobbiamo
costruire una T.A.Z. dal potere finanziario, una zona autonoma, ma non
temporanea, che consenta a chiunque lo voglia, di uscire dalla logica del
capitale e del profitto.
Nel movimento, come dicevo prima, ci sono risorse umane e materiali più che
sufficienti per trasformare in realtà quello che appare un sogno. Cosa
possiamo fare per realizzarlo?
Partiamo dalle cose semplici e già note. Ci sono le banche del tempo ed
altre organizzazioni no-profit, i cui membri si scambiano prestazioni senza
ricavare un profitto. Posso scambiare un’ora di lezioni di musica con un’ora
di giardinaggio o un’ora di baby sitting. Le banche del tempo sono molto
diffuse nel mondo, un po’ meno in Italia, anzi quasi per niente, e sono
certamente un’istituzione lodevole. In Argentina, ad esempio, con strumenti
del genere alcuni milioni di persone riescono a sbarcare il lunario, poiché
dedicano tutto il proprio tempo a rendere questi servigi ricevendo dagli
altri servizi in proporzione.
Il problema, però, è di far uscire la logica del profitto dalla nostra vita.
Perché anche se la rifiutiamo, anche se pensiamo di starne fuori, essa è
sempre presente ogni volta che dobbiamo fare un gesto banale come quello di
andare al bar a prendere un cappuccino, o quello un po’ più impegnativo di
andare a comprare una casa o un’automobile. E’ vero che molte banche del
tempo emettono una specie di denaro, che altro non è che un’unità di misura
delle ore prestate e serve a dimostrare che si è effettuata effettivamente
la prestazione indicata nel certificato (altrimenti lo scambio deve
necessariamente essere limitato tra quelli che si conoscono e che hanno
effettuato reciprocamente le prestazioni). Però anche queste forme monetarie
alternative hanno dei limiti. In genere scarseggiano, e quando sono emesse
non si conoscono i criteri di emissione né di distribuzione. Ma il limite
peggiore è che esse non sono convertibili, e quindi sono destinate comunque
ad una circolazione limitata tra quelli che offrono prestazioni e solo per
quelle prestazioni. Insomma, non ci si può comperare casa e nemmeno il
cappuccino al bar, e soprattutto non ci si possono pagare la luce, il
telefono, l’energia e le tasse. Per fare queste cose occorrono i soldi, così
come pure per fare una televisione indipendente o un sito di informazione
che sia in grado di fare concorrenza ad un network di medie dimensioni.
I soldi li fanno le banche che te li danno solo se ti indebiti, e se ti
indebiti caschi necessariamente nella logica del profitto, altrimenti non
potrai mai restituire il tuo debito. In realtà non ci riesci lo stesso, ma
se paghi gli interessi e cresci con il fatturato, le banche ti creano altro
denaro indebitandoti ulteriormente così che il loro profitto possa crescere
(non dobbiamo dimenticare che le banche hanno bisogno per fare soldi di
qualcuno che si assuma il debito). Le conseguenze sono quelle che vediamo
oggi: tutte le aziende sono oberate di debiti e ogni tanto qualcuna che non
ce la fa a ripagare il suo debito viene eliminata. Al suo posto sono pronti
in mille ad assumersi quei debiti e tentare l’avventura. L’economia cresce
solo con il debito, che è poi il modo del potere finanziario di creare il
denaro.
Quello che interessa alle banche non è che il debito sia restituito, poiché
esse sanno benissimo che in molti non potranno farlo, ma che si viva nella
logica del profitto e della riproduzione del capitale. Alle banche interessa
l’anima degli uomini, esse vogliono indurre comportamenti che presuppongano
la logica del profitto. Solo così possono perpetuare il loro potere.
Però, cosa ci dimostra l’esistenza delle Banche del tempo e delle monete
alternative? Ci dimostra che è possibile fare a meno del “loro” denaro per
vivere. Che è possibile lavorare, creare, muoversi in una logica diversa da
quella del potere del denaro e del profitto. La vera ragione per cui queste
istituzioni alternative non decollano, è data dal fatto che esse si tengono
ai margini, indecise tra l’alternativa vera ed il mondo tradizionale.
Se non si rovescia la logica del capitale è impossibile farne a meno. Una
Banca deve comportarsi con la logica della banca tradizionale, altrimenti è
destinata al fallimento, così come un’impresa deve comportarsi secondo i
criteri propri dell’impresa, altrimenti è anch’essa destinata a chiudere.
Allora, o rovesciamo la logica del capitale, oppure Banca Etica, finanza
etica, imprese no-profit, (per approfondimenti rimandiamo alla guida su
microcredito e finanza etica di Unimondo) resteranno delle belle aspirazioni
prive però di concretezza e di sostanza. Insomma dobbiamo uscire dalla
logica del profitto. Ma come?
Nel mio ultimo libro “Per un’economia dal volto umano” ho avanzato l’idea
che gli enti locali, Comuni, Regioni e Province, potessero utilizzare i
titoli di debito, con cui lo Stato li sta indebitando dopo aver raggiunto il
tetto del proprio indebitamento, per effettuare delle emissioni affatto
diverse nella logica del tasso negativo. Ovviamente queste emissioni non
possono essere collocate al pubblico come quelle che portano un tasso
positivo. Ma la loro funzione non è quella di dare un interesse e
rastrellare risparmio, anche perché il risparmio non c’è più.
L’idea è quella di emettere degli strumenti finanziari che non creino debito
e non generino interessi. I Titan sono dei titoli finanziari destinati ad
essere spesi e il più velocemente possibile, proprio per non pagare l’
interesse negativo dal quale sono gravati.
Nella proposta dei Titan ipotizzavo che essi fossero emessi da un ente
locale, come un Comune, una Provincia, una Regione, per finanziare
iniziative di creazione di ricchezza. Essi però, possono anche essere emessi
da un’associazione privata, e facevo l’esempio dei centri sociali, di cui
alcuni svolgono attività di un qualche rilievo economico.
Le società di capitali possono emettere obbligazioni secondo regole tecniche
previste dalla legge. Se queste obbligazioni fossero gravate da un tasso
negativo, esse funzionerebbero né più e né meno come i Titan. Ovviamente la
loro emissione ha necessità di due presupposti: il primo che ci sia un
numero sufficiente di persone che li accetti in pagamento di prestazioni o
altri beni, e il secondo che esse vengano emesse a fronte della creazione di
ricchezza che le giustifichi.
E’ necessario un contesto sufficientemente ampio per giustificare emissioni
continue di titoli di questo genere, poiché solo così si possono recuperare
la quantità e la qualità di beni e di servizi necessari a chiunque per
vivere. Infine, in un ambiente ristretto è pressoché impossibile ricostruire
un’intera filiera economica, vale a dire un processo di produzione che
comprenda tutte o quasi le fasi di lavorazione di un prodotto e quindi la
circolazione dei titoli sarebbe gravemente limitata da questo problema.
La soluzione è, quindi, di avere un numero iniziale congruo di partecipanti,
una o più filiere di produzione, un istituto di emissione, ed un criterio di
distribuzione razionale ed equo. Non è semplice ottenere queste condizioni,
ma è certamente possibile, poiché queste risorse già ci sono nel movimento.
Se poi i titoli emessi fossero convertibili dall’istituto di emissione,
allora il problema principale sarebbe risolto. Insomma, con questi titoli ci
si potrebbe comprare la casa e il cappuccino al bar. Essi potrebbero esser
spesi in pratica ovunque, soprattutto dopo un certo tempo dalla loro entrata
in circolazione.
Faccio un esempio di come potrebbe funzionare il meccanismo, partendo dalla
fine, ovvero dai suoi effetti.
Che ne pensate di una società i cui soci ricevono dalla collettività, ogni
mese, una somma sufficiente per poter vivere, comprando nella società quanto
è necessario a prezzi ragionevoli? In cui ciascuno possa dedicarsi a fare
quello che ritiene più adatto alle proprie capacità, senza doversi
preoccupare se produce soldi o meno, perché comunque ha da vivere e perché
comunque, quello che fa è considerato “ricchezza”?
E se vi viene il dubbio che le imprese possano non avere interesse a
partecipare ad una simile iniziativa, vi espongo subito il ragionamento da
fare ad un negoziante qualsiasi, mettiamo il gestore di un supermercato (che
è necessario che ci siano anche loro, poiché è lì che si va a fare la
spesa).
“Caro gestore, se ti mando 10.000 persone che mensilmente fanno la spesa da
te, che sconto gli fai sulla spesa che essi fanno?”. Vedrete i suoi occhi
illuminarsi e la mente effettuare rapidamente calcoli su quanto fatturato
gli possono portare 10.000 persone. Si tratta di un sacco di soldi. Se poi
gli dite che lo sconto consiste nel fatto che alla fine dell’anno sui titoli
che riceve in pagamento e che restano nelle sue casse deve pagare il 5% (o l
’uno per mille alla settimana il che è lo stesso), lo vedrete sorridere a
trentadue denti. Perché di fatto, dato il cash flow di un supermercato, se
pure alla fine dell’anno esso dovesse essere gravato dell’intero importo del
tasso negativo, quel 5% sarebbe inferiore allo 0,5%. Negli esprimenti con
denaro a data effettuati in passato, si è constatato che la velocità di
circolazione è di circa 46 volte nel corso dell’anno, mentre il denaro
normale girava non più di 5 volte.
Però è necessario che il gestore del supermercato, poi, possa andare a
spendere quei titoli per comprare le cose che vi vende, altrimenti egli
avrebbe una perdita secca. E a loro volta, i suoi fornitori dovranno poter
spendere quei titoli presso i propri fornitori, altrimenti la perdita
ricadrebbe su di loro. Questa è una filiera di produzione e noi possiamo
ricostruirne alcune e poi attirare le altre nel nuovo sistema. Per una
ragione semplicissima. Il sistema economico soffre di sovrapproduzione, e
questo già di per sé comporta una perdita secca per gli operatori. E allora
gli si pone l’interrogativo: Accettare i titoli ed il rischio che questi
comportano (e cioè il fato di dover impiegare un certo tempo per spenderli)
oppure subire passivamente una perdita certa perché non si riesce a vendere
i prodotti, fino al punto da dover chiudere lo stabilimento?
I produttori, in questo contesto, hanno interesse ad entrare in un nuovo
sistema di distribuzione della ricchezza, che gli consente anche di accedere
a fonti di finanziamento che non hanno costi propri. Quindi dopo aver fatto
bene i propri conti, correranno nel sistema. Non ci interessa la ragione per
cui lo faranno, ma il fatto che lo faranno.
Sembra un sogno, e invece è possibile, e oggi, subito. Perché tutto quello
che noi facciamo è ricchezza, e non solo quello che produce profitto. Ed in
questa considerazione consiste la rivoluzione prossima ventura. Ma se è
ricchezza, allora è necessario che ogni “produzione” sia accompagnata da un
numerario che ne consenta lo scambio e l’acquisto. E questo è l’altro punto
della rivoluzione. Vediamo come dovrebbe funzionare la società.
Ho stimato il numero dei soci iniziali della Banca del Movimento in almeno
10.000 persone. Le filiere di produzione saranno all’inizio essenzialmente
aziende di prodotti immateriali, come cd, film, informazione, software,
teatro, libri, cultura in genere, insomma tutto quello che passa su internet
e dintorni. Possono però, anche essere aziende agricole, penso a quelle del
commercio equo e solidale, artigiane dello stesso circuito, aziende di
grande distribuzione ed imprese che abbiano problemi di sovrapproduzione,
che poi sono la maggioranza visto che il problema della crisi di oggi è
proprio quello della sovrapproduzione. Se queste aziende potessero pagare in
parte almeno, i propri dipendenti con questi titoli il problema della
conversione sarebbe in parte risolto. E d’altra parte, se i dipendenti
possono andare a comprare con questi titoli merci su internet e presso altre
imprese non avrebbero difficoltà ad accettarli. Soprattutto non avrebbero
difficoltà se il loro lavoro dovesse essere remunerato in quel modo poiché l
’azienda nasce con quel finanziamento.
L’istituto di emissione potrebbe essere, ad esempio, Banca Etica, che ha già
una struttura di tipo bancario e possiede le capacità per far funzionare il
sistema di emissione. Per la decisione sulle tipologie di investimento si
deve adottare una forma di democrazia diretta con il voto in tempo reale
sulle singole iniziative assunte dalla banca di emissione, mentre a livello
locale ci penserebbero i soci del posto ad indirizzare le emissioni sulle
iniziative più adeguate. Ad esempio, se in un luogo si adottasse un’
iniziativa di disinquinamento del territorio, la decisione dovrebbe essere
presa a livello locale nella misura indicata dalla banca centrale che deve
monitorare la quantità di emissioni periodiche per evitare l’inflazione.
Quanto alla distribuzione, è necessario (e possibile) che una parte delle
emissioni sia utilizzata per dare reddito di cittadinanza ai soci dell’
iniziativa. La misura dell’erogazione è una funzione del ricavato della
circolazione e degli investimenti che producono ricchezza. Essa quindi può
variare nel tempo poiché è legata alla quantità di beni e servizi che è
prodotta dalla collettività. Il reddito dal lavoro, per le prestazioni
effettuate nella logica della banca del tempo, si aggiunge, ovviamente, al
reddito di cittadinanza così preso.
In un lasso di tempo che stimo essere relativamente breve, non appena l’
iniziativa dovesse partire, il numero dei partecipanti dovrebbe aumentare in
misura geometrica, poiché l’interesse a partecipare sarebbe fortissimo. Non
solo interesse ideologico, ma anche e soprattutto interesse concreto, poiché
attraverso questo meccanismo si può vivere e bene senza rinunciare a nulla
ma anzi migliorando la qualità della propria vita.
Ricapitoliamo.
Si costituisce l’associazione che propongo di chiamare con l’acronimo
F.A.Z., Zona di Autonomia Finanziaria. Banca etica (BE) funge da banca dell’
associazione. Ciascun socio apre un conto presso la banca dove gli viene
accreditata una somma iniziale di 500 euro in titoli a tasso negativo.
Questo accredito è gratuito, non comporta alcun versamento da parte dei
soci. Il solo fatto di partecipare alla società dà diritto di ricevere la
somma in questione, in forma di titoli a tasso negativo.
Vi chiederete da dove arrivino queste somme. Esattamente dallo stesso posto
dal quale lo Stato (e per esso le Banche) fanno arrivare i soldi con i quali
fate la spesa al supermercato. Con la piccola differenza che mentre quei
denari creano debito (e quindi potere), i Titan non creano né debito né
potere. Se avete ancora dubbi sulle ragioni che consentono a BE di emettere
questi titoli senza alcuna copertura apparente, vi prego di andare a leggere
nei miei libri e in particolare nel capo II del libro “Dove andrà a finire l
’economia dei ricchi” a pagina 45 e seguenti, dove riporto un esempio di
come Krugman spiega la ragione per cui una società chiusa debba emettere
denaro senza copertura per poter funzionare. Negli altri libri, trovate
considerazioni esaurienti sulla natura del denaro e l’assurdità della sua
creazione a debito (assurdità, peraltro, funzionale al potere finanziario).
I Titan emessi da BE perdono ogni settimana l’uno per mille del loro valore
nominale. Ogni nuovo socio che entra riceve la medesima somma. Ogni
settimana BE detrae dai conti l’importo dell’uno per mille che accantona a
copertura del finanziamento dei titoli. (la cosa in realtà è un poco più
complicata poiché il mio sistema prevede l’emissione di titoli gravati da
diversi tassi negativi, che oscillano tra lo 0,2 e il 2 per mille la
settimana, a seconda del tipo di iniziativa che viene finanziata.
Mensilmente BE versa sui conti dei soci la somma che viene determinata a
titolo di reddito di cittadinanza (RdC).
Questa somma equivale all’importo che verrà detratto dai conti a titolo di
tasso negativo nonché ad una percentuale dei finanziamenti fatti per la
creazione di nuove imprese. Possiamo supporre che ci siano somme sufficienti
per dare a tutti un importo non simbolico a titolo di RdC. Non sono in grado
di determinare la cifra senza fare delle proiezioni accurate e non dispongo
di un istituto di ricerca in grado di studiare questa questione. Non credo
di essere molto lontano dal vero se però, dico che è presumibile che sin
dall’inizio si possa dare una somma minima di 200 euro al mese a tutti i
soggetti che si iscrivono all’associazione, per arrivare in un lasso di
tempo relativamente breve a 500 euro al mese a testa. Trattandosi di
strumenti a tasso negativo la loro natura è quella di essere spesi il più
velocemente possibile. Anche se qualcuno partecipasse all’associazione senza
lavorarci all’interno, il solo fatto che spenda nell’associazione crea
ricchezza. E d’altra parte la spesa per consumi è il vero motore dell’
economia.
Ovviamente, i soci dovrebbero impegnarsi a fornire proprie prestazioni o
prodotti seguendo la logica delle banche del tempo e del commercio equo e
solidale e dietro il pagamento di un compenso determinato. Ma se queste
prestazioni non fossero richieste, o se i loro prodotti restassero
invenduti, non c’è alcuna ragione perché essi vengano esclusi dall’
associazione. La loro presenza come consumatori e fruitori dei prodotti all’
interno dell’associazione contribuisce a creare la ricchezza complessiva del
gruppo.
Tutti i soggetti che ho indicato sopra hanno interesse a partecipare all’
iniziativa. Vediamo il dettaglio.
Per Banca Etica, o la struttura di tipo bancario che gestisce l’emissione
dei titoli, si tratta di coprire i propri costi ed avere gli strumenti per
recuperare le risorse necessarie al finanziamento delle iniziative che
vengono proposte. Questo può avvenire tramite l’imposizione di un’imposta
sulle singole operazioni o sulla gestione dei conti. Ho pensato ad un aggio
su tutte le transazioni che avvengono per il suo tramite pari allo 0,1%.
D’altra parte Banca Etica ha altri proventi dall’attività. Intanto, per le
emissioni effettuate per finanziare iniziative di tipo imprenditoriale, essa
riceve il capitale in restituzione dall’impresa. Questo capitale va a
remunerare i costi del RdC, ma allo stesso tempo una parte di esso potrebbe
essere stornata per coprire i costi della Banca che non fossero coperti dal
prezzo della gestione dei conti. Inoltre, Banca etica può partecipare alle
imprese e promuoverne alcune, cosa che può fruttare utili in grado di
coprirne parzialmente i costi. Poiché però essa non dà un interesse per i
depositi ma lo trattiene a titolo di tasso negativo, i costi di banca etica
sono molto ridotti. Il calcolo del tasso negativo può sembrare complicato e
lo sarebbe se dovesse essere effettuato a mano, ma gli attuali computer sono
in grado di svolgere queste operazioni con estrema precisione e senza alcuna
fatica.
La cosa si complicherebbe un poco se, oltre alla gestione on line dei conti
la Banca dovesse effettuare anche una gestione cartacea dei titoli. La
soluzione più semplice, sarebbe quella di legare i due sistemi attraverso
delle smart-card che potrebbero consentire ai soci di portarsi il “contante”
appresso senza dover ricorrere al cartaceo. Ma questo è un problema del
“dopo”. Insomma, Banca Etica non solo avrebbe interesse economico ad entrare
nell’operazione, ma soprattutto potrebbe rendere concreto il proprio
obiettivo di fare finanza etica. Infine, i soci potrebbero trasferire i
propri conti ordinari presso la stessa banca. E’ insensato tenere conti a
tempo presso BE e conti ordinari presso una banca del sistema finanziario.
Ovviamente BE tratterebbe i conti ordinari come i normali conti, separandoli
da quelli in titoli, per non incorrere in sanzioni. Solo questo, però,
porterebbe a BE proventi di gestione sufficienti a ripagarla delle spese.
E’ probabile che i conti in euro ordinari siano utilizzati per la
tesaurizzazione dai soci, oltre che per pagare le spese correnti che non è
possibile pagare con i Titan. BE, quindi, si troverà con una riserva in
continua crescita di euro poiché molti servizi creati con i Titan saranno
pagati nel sistema economico in euro. Questo meccanismo dovrebbe consentire
a BE di convertire Titan in euro senza dover soffrire per mancanza di
liquidità.
Dobbiamo tenere presente che è necessario monitorare in maniera precisa la
quantità di titoli che possono essere emessi in un sistema. Leggendo il
capitolo di cui parlavo sopra se ne capisce immediatamente la ragione, che
riassumo nella considerazione che se in un sistema ci sono troppi strumenti
monetari, i prezzi salgono, se sono troppo pochi, i prezzi scendono e le
attività economiche si deprimono. Di quali strumenti può disporre BE per
fare questo controllo?
Per la emissione dei titoli, BE ha uno strumento di monitoraggio dato dal
livello dei prezzi interni. Il tasso negativo dovrebbe escludere deflazione,
vale a dire una caduta dei prezzi che comporti una caduta delle attività
economiche. E’ quello che sta accadendo adesso: la mancanza di domanda
costringe le imprese ad abbassare i prezzi per cercare di mantenere livelli
accettabili di produzione, ma per farlo sono costrette a risparmiare sui
costi, e quindi tagliano soprattutto il costo del personale. Questo, però,
comporta un’ulteriore caduta della domanda effettiva di beni, poiché i
licenziati spenderanno di meno sul mercato. L’effetto generale è una caduta
di prezzi ed una conseguente riduzione delle attività economiche. Con il
tasso negativo, la caduta dei prezzi segue a risparmi sui costi di
produzione per effetto di un incremento della domanda e non della sua
caduta. Insomma si dovrebbe risolvere in un beneficio per la gente e per le
imprese.
Allo stesso tempo la riduzione progressiva della massa monetaria con il
decorso del tempo, limita anche gli effetti inflattivi, a meno che le
emissioni non fossero eccessive rispetto al volume degli scambi. Insomma, l’
andamento dei prezzi diventa un indicatore per stabilire il livello delle
emissioni successive, la cui crescita dovrebbe essere geometrica, come la
crescita della ricchezza complessiva del sistema. Altro strumento di
controllo potrebbe essere quello del livello del costo della gestione dei
conti, o dell’imposizione di un costo sulle singole transazioni, che
provocherebbe una riduzione della velocità di circolazione dei titoli se
questa dovesse generare inflazione.
BE è un organo tecnico e non politico. La sua decisione sul livello di
finanziamenti emettibili, non comporta alcuna scelta sul tipo di
investimento da effettuare che, a parità di condizioni, deve essere deciso
dall’associazione con forme di democrazia diretta.
I soci avrebbero la possibilità di trasferire tutte le proprie attività nel
sistema e di vivere con i proventi di essa. Ovviamente è necessario che
nelle filiere di produzione ci siano aziende che vendano un po’ di tutto. E’
essenziale che nell’associazione ci siano aziende che vendano alimentare, e
penso alle aziende del consumo equo e solidale, ma anche supermercati di
tipo tradizionale. In questo modo, chi sta dentro il sistema può soddisfare
i propri consumi e le proprie necessità di lavoro e di espressione all’
interno della comunità e avrebbe bisogno di pochissimo per i consumi esterni
(che consistono in tasse, energia, e telefonia se non si coinvolge qualche
impresa che vende questi prodotti nell’associazione). Una filiera di
produzione è in genere abbastanza complicata. Essa comprende, non solo le
innumerevoli aziende di produzione, ma anche quelle di stoccaggio, di
trasporto, di distribuzione ai vari livelli e di vendita. Insomma, un numero
sorprendentemente (per chi non le conosce) elevato di persone e di aziende.
Se fino al secolo scorso, il prodotto agricolo aveva necessità di pochissimi
addetti tra l’inizio della produzione ed il prodotto finale, oggi essi sono
un numero enorme, che svaria dalle aziende di produzione di sementi, a
quelle di allevamento e di agricoltura vere e proprie, ai trasporti dei
prodotti verso gli stabilimenti, alla lavorazione delle materie prime
(grano, soia, mais, zucchero eccetera), alla distribuzione del prodotto
confezionato, alle aziende che producono pacchi e pacchetti, a quelle che
producono le macchine per confezionare, alle società di marketing, alle
aziende di pubblicità, all’immagazzinamento e stoccaggio, che per il
 “fresco” è particolarmente complesso poiché si avvale di frigoriferi, all’
energia necessaria per far funzionare tutto ciò, ai telefoni, computer,
posta ed altro necessario per le intermediazioni, ai mediatori, eccetera,
eccetera. Basta riflettere un momento per vedere quante aziende coinvolge
anche la filiera più modesta dal punto di vista tecnologico.
La prospettiva dei soci di ricevere RdC per i propri consumi essenziali è
indubbiamente attraente. E’ chiaro che il tasso negativo non consente di
effettuare risparmio in senso tradizionale. Allo stesso tempo, però, si può
partecipare come soci, alle iniziative proposte che hanno bisogno di
garanzie aggiunte a quelle che i promotori sono in grado di fornire. In quel
caso, il capitale investito diventa di nuovo nominale e smette di perdere
“valore” con il decorso del tempo, trasformandosi in una sorta di risparmio
assoggettato al rischio di impresa. E poi, chi l’ha detto che il risparmio è
necessario per vivere? Se si tratta di raccogliere fondi per un’iniziativa,
ci si rivolge alla BE e si formula una proposta, se si tratta di fare i
soldi per una vacanza, non sarà certo il 5% all’anno di tasso negativo ad
impedircelo.
Le imprese già costituite che partecipano all’associazione hanno il
vantaggio di potere smerciare i propri prodotti e far girare velocemente il
capitale. Non ha alcuna importanza che esse vogliano ideologicamente
abbandonare la logica del profitto, non serve. Esse hanno interesse a
partecipare perché l’associazione gli consente di muovere le merci e fare
produzione senza subire perdite, anzi guadagnando molto.
Ho messo sopra il ragionamento tipico del negoziante di fronte alla
prospettiva di poter moltiplicare il proprio fatturato a fronte di un
piccolo sconto sulle merci che vende.
Lo stesso ragionamento vale per le altre imprese che partecipassero all’
iniziativa e dopo qualche tempo, molte imprese chiederebbero di entrare nell
’associazione per poterne usufruire dei benefici.
Le imprese che sono costituite con i finanziamenti di BE, avrebbero un
grande vantaggio. Infatti esse devono impegnarsi alla restituzione del solo
capitale ricevuto e non degli interessi e non sarebbero quindi, costrette
alla ricerca del profitto immediato per non morire. Per alcune imprese,
inoltre, la restituzione del capitale non sarebbe neppure richiesta, poiché
alla fine il capitale di esercizio sarebbe onorato dai membri dell’
associazione.  Questo porterebbe, però, ad una riduzione della somma a
titolo di RdC.
E’ possibile che non appena l’iniziativa prenda piede, anche alcuni enti
locali territoriali, Comuni o Province, decidano di effettuare emissioni di
Titan per le proprie iniziative. Questi titoli potrebbero benissimo
circolare insieme a quelli di BE, ma sarebbe necessario aprire vertenze nei
confronti dei Comuni perché adottassero la medesima destinazione a RdC per i
proventi che essi avrebbero dall’iniziativa.
In ogni caso, per il sistema finanziario sarebbe un colpo terribile. La
logica del capitale finanziario è la crescita ininterrotta, e il meccanismo
dei Titan sottrae ad esso risorse umane e materiali, ed in misura
geometrica. A differenza delle monete alternative, come i Simec, che hanno
una circolazione limitata al territorio, la F.A.Z. potrebbe coinvolgere l’
intero sistema produttivo nel giro di qualche anno. E’ presumibile che
quindi, il potere finanziario reagisca in maniera dura cercando di bloccare
l’iniziativa con tutti i mezzi, legali e non. Dal punto di vista giuridico l
’operazione è inattaccabile. Il prestito obbligazionario è una figura
disciplinata dal codice civile, il livello del tasso è determinato dal CdA e
la quantità di emissioni sono proporzionali al capitale, ma poiché il tasso
negativo presuppone la completa estinzione dei titoli, ed il loro
ripianamento da parte dei soci, nessuno può impedire alla BE di emetterne a
suo piacimento. Lo stesso ragionamento vale per gli enti locali. Il fatto
che i Titan vengano usati come moneta non è vietato da nessuna legge. A
parte il fatto che posso tranquillamente comprare casa con i BOT, e che i
titoli di debito sono considerati denaro a tutti gli effetti, nulla mi
impedisce di comprare un telefonino dando in cambio una coperta di lana, una
pila di libri, un assegno post datato o un Titan, sempre che il venditore lo
accetti e sempre che sia consapevole del “valore” di quello che riceve in
cambio. D’altra parte per aderire all’associazione è necessario accettarne
le premesse che mettono ben in evidenza la natura dei Titan e l’impegno ad
accettarli come mezzi di pagamento.
Quale beneficio per il movimento? Il solo fatto che si prefiguri in concreto
un modo di vivere diverso da quello della società del profitto è una grande
rivoluzione. Attraverso questi strumenti si possono aggregare forze
considerevoli in breve tempo, per fare informazione libera, per far crescere
il biologico in agricoltura, per fare ricerca e produzione di fonti
energetiche alternative al petrolio, per fare case decenti per tutti, per
liberare un numero crescente di persone. Non è la pietra filosofale e il
tasso negativo non risolve tutti i problemi. Come diceva Marx, le relazioni
economiche riflettono i rapporti sociali. E’ esattamente quello che dobbiamo
fare. Smetterla di vivere nell’incubo della riproduzione del capitale e
cominciare a vivere secondo il nostro modo di vivere i rapporti sociali. Il
tasso negativo, però, indica una via ed è il caso di imboccarla rapidamente.
Perché se funziona, e non si vede la ragione per cui non dovrebbe
funzionare, riusciremo in maniera concreta ad introdurre nel mondo e nella
testa della gente un diverso concetto di ricchezza e di vita. E se non
sbaglio è proprio questo l’obiettivo di tutti.

Domenico de Simone, controeconomista, autore di tre saggi di economia
alternativa, “Un milione al mese a tutti subito” (1999), Dove andrà a finire
l’economia dei ricchi (2001), Per un’economia dal volto Umano (2002),
edizioni Malatempora (http://www.malatempora.com).

Il sito di de Simone è all’indirizzo http://it.geocities.com/domenicods

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