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Qualche giorno fa, partendo per Firenze ho lasciato la bicicletta alla
stazione, legata ad un palo di ferro, in divieto di sosta, ahime. Tornando,
la sera, non l'ho ritrovata. Saranno stati quelli della manutenzione
ferroviaria che mi hanno segato la canna per punirmi di averla lasciata
fuori dalle apposite rastrelliere. Me ne sono fatta una ragione, era una
bici vecchia, comprata usata nell'aprile del 2001.
Ieri, contravvenendo all'intima decisione di astenermi da ogni consumo non
strettamente indispensabile per far dispetto agli spot governativi, sono
andato a porta Mazzini dove c'é un rivenditore simpatico amico mio, per
comprarmi una bici nuova di zecca, del costo di centocinquantacinque euro
(trecentomila lire, un ottavo del mio stipendio mensile). Pedalo
allegramente tutta la sera nella nebbia umida della periferia bolognese.
Stamane quando mi sono svegliato avevo un attacco di otite. Nel primo
pomeriggio vado dal dottore. In bicicletta. Lascio la bici avvignhiata ad
un palo di quelli rossi che reggono il cestino della spazzatura. Il dottore
mi guarda le orecchie, mi dice che c'é un'infiammazione nell'orecchio
sinistro (come al solito), mi consiglia di fare questo e quello. Scendo
allegramente le scale e mi dirigo verso il palo, e la bicicletta non c'é
più. Il palo é stato sbullonato in modo da sfilare la catena (d'acciaio,
costosissima). Vorrei piangere, là per là. Poi alacremente mi dirigo verso
piazza Verdi perché so che là il fottuto tossico potrebbe averla portata
subito dopo l'abduzione. Giro a vuoto. Il pomeriggio si dissolve in una
nebbia di attutito furore. Sono sordo come una campana, l'orecchio non mi
duole, ma é come un antro pieno di nebbia. Torno sotto la casa del dottore,
non si sa mai, forse ho visto male, forse l'avevo attaccata ad un altro
palo. Inutile, ritorno verso casa. L'animo si é placato, osservo la scena
con un certo distacco, mi trovo ridicolo, con la sciarpa e il cappello e il
cappotto. Bologna in autunno. Attraverso la strada sotto le torri, mentre
schizza nell'aria venefica il fischio di un allarme assordante (come se non
bastasse). Davanti a Feltrinelli c'é un banchetto, una ragazza, e un
giovanetto non tanto alto, dall'aria candida, con una piccola barba castana
quasi bionda, con una penna e un quaderno mi ferma e dice: siamo di
un'organizzazione che si chiama Save the children, e si prepara a chiedermi
la somma corrispondente all'iscrizione. Io gli sorrido fin dal primo
momento, e a questo punto lo abbraccio, stringo forte le sue braccia con le
mie mani, e lo guardo avvicinandomi un po' come se volessi baciarlo, e gli
dico: "E' una giornataccia."
Anche lui mi sorride, piega un poco la testa sulla destra, come un tic di
timidezza: E mi dice: "Anche per me"
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