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Cari tutti. Il problema è effettivamente spinoso e sfaccettato, io ne ho
trattato solo un aspetto che mi premeva e che non mi pareva fosse emerso a
dovere se non nelle parole di mcsilvian (che demarcava la differenza fra il
dialogo proposto al movimento da certe figure della politica istituzionale e
altre). Sono felice di potermi dire d'accordo con molto di quello che è
stato detto in questa lista e di leggere atteggiamenti molto consapevoli e
saggi.
Vorrei però chiarire (sempre che abbia capito qualcosa io) alcuni punti
rispetto all'aspetto da me trattato e spiegare perché non credo affatto che,
nel panorama della "sinistra" "parlamentare", la posizione di cofferati & c.
possa offrire più spazio al movimento e, anzi, può comportarne la disfatta,
se se ne accetta, pur in qualche modo cerchiobottista e il più ambiguo
possibile, l'abbraccio o anche solo la proposta di collaborazione sul piano
nazionale (a livello delle amministrative, ovviamente, dove le linee
politiche non contano nulla o quasi, si può ben interloquire con chiunque,
pur di non offrire vantaggi ai nemici).
E poi, quale spazio? Uno spazio offerto gratis? O uno spazio da contrattare?
In cambio di cosa? Con quali forme di relazione (perché suppongo che almeno
una relazione costruttiva, non solo un dialogo, sarebbe il minimo)?

Il problema per me non è quello dell'intellettuale in quanto tale,
ovviamente! Ma quello dell'intellettuale della tradizione marxista-leninista
(più o meno organico). Ovvero della guida che porterà l'umanità
all'emancipazione, dato che questa, di suo, non è in grado di farlo.
Intellettuale, partito, avanguardia, insomma, classe dirigente detentrice
del sapere del fare politica, sapere destinato a dirigere le masse fino a
liberarle o a migliorare un po' il mondo.

In quest'ottica, il politico professionista è il detentore della sfera
politica, il legittimo aspirante al potere per mezzo del quale ci aiuterà;
quest'impostazione, portata avanti dalla politica tradizionale tutta, è
esattamente opposta, nella sua logica, a quella portata avanti dal
movimento.
Il movimento (con tutti i limiti accennati nella mia precedente e da molti
ben espressi) porta avanti la logica dell'affermazione della dignità, del
rifiuto del potere, anche del nostro, sugli altri, del rifiuto della
dinamica di direzione dall'alto della storia. Afferma, anzi, la necessità
dell'auto-emancipazione dal basso, della costruzione di reti di relazione
rispettose e paritetiche, di effettiva concretizzazione delle nostre
possibilità, come società civile, e della loro massima realizzazione. Passo
dopo passo, senza certezze precostituite etc. etc.
Tutto ciò qui e ora, come punto di partenza, a partire dal quale il metodo e
l'obbiettivo debbono essere il più coerenti possibili per tutto il percorso,
crescendo e spostandosi assieme.

Se questo è vero, allora ne consegue che, necessariamente, ogni relazione di
apertura alla collaborazione fra due logiche strutturalmente opposte come
queste non può essere fruttuosa. Vi può essere dialogo con tutti, anche con
berlusconi, si può trattare con qualunque nemico su temi specifici - ma
idiota sarebbe avvantaggiarlo - e si può sperimentare qualunque via.
Ma chiaramente in una relazione fra due dinamiche radicalmente opposte, fra
due forze di verso contrario, non ne uscirebbe un maggiore spazio,
soprattutto per la più debole (meno potente), non ne uscirebbe nulla di
fruttuoso. Logica vuole che una delle due, la meno potente, ne uscirebbe
annichilita.

Infatti, se non sono del tutto scemo (ma non posso certo escluderlo io e il
dubbio m'è sorto sinceramente a leggere la risposta di sbancor - che stimo
tantissimo per quel che m'aiuta a capire - che non capisco cosa c'entrasse
con quello che credevo d'aver scritto), l'operazione cofferati nasce
dall'esigenza del ceto politico centrosinistrorso di fermare l'emorragia di
voti da sinistra, da un lato. Dall'altro, anche, senz'altro, dall'esigenza
del popolo della sinistra moderata di non farsi prendere troppo per il culo
e di spingere, con la propria domanda, l'offerta della loro classe politica
di riferimento verso politiche più umane.
Si deve riconoscere, ovviamente, una componente che sgorga da esigenze
sociali del "popolo di sinistra" (inteso come diessini e affini). Ma tali
esigenze non mettono in discussione le logiche tradizionali del fare
politica. Mi pare che chiaramente si iscrivano nella variante "ripigliatevi,
vogliamo votarvi, avere voi come classe dirigente, ma voi dovete comportarvi
bene, per piacere, altrimenti ci lamentiamo", piuttosto che nel "ci spiace,
ma non vogliamo che ci sia una classe dirigente che abbia un potere che noi
non possiamo controllare, non vogliamo padroni, non vogliamo neanche che voi
ci emancipiate dai padroni - sappiamo che i padroni diventereste voi -
vogliamo auto-emanciparci ed eliminare l'arbitrio di quelli che, al massimo,
possono essere insignificanti dipendenti amministrativi della nostra
volontà".

Indipendentemente dal fatto che sappiamo che cofferati e prodi,
l'alternativa concretamente più di sinistra in grado di prendere il potere
oggi in italia, sono liberisti (che ci fotteranno sul lavoro, sulla libertà,
sulla dignità; che avvalleranno le guerre che ci saranno quando loro saranno
al potere, che lederanno ogni relazione sociale umana, pur facendolo
probabilmente in un panorama di ripresa economica da warfare organico che
lenirà tutti i mali, se mai in tale panorama potranno scalzare berlusconi e
sodali), secondo me bisogna rimarcare quello che segue.
Accettare di confondere o di levigare la radicale alterità fra queste due
logiche in un panorama di relazione di qualunque tipo, o anche solo sperare
che una di esse trovi più spazio con l'affermarsi dell'altra sarebbe quanto
più deleterio si potrebbe fare per il movimento. Ne uscirebbe imbastardito
il messaggio, sopita la carica rivoluzionaria, stravolta la natura.
Proprio perché una logica opposta a quella del movimento sembra assumerne i
motivi, mi pare che chi porta avanti un simile tentativo si configuri
piuttosto come uno fra i suoi peggiori nemici. Un nemico che ne vorrà
indebolire la portata radicale e il valore, snaturandone l'essenza stessa,
un'essenza che è anche un metodo e una prassi su cui non si può trattare, se
non per affermare la resa totale.

Allora il movimento deve rinunciare per sempre e del tutto alla politica
rappresentativa e, quindi, in un panorama di "democrazia" oligarchica,
bipolarmente rappresentativa, rinunciare a qualunque possibilità di
costruire mutamenti politici sostanziali nella società nel suo complesso? O
forse dovrebbe aspettare che il potere s'estingua per l'autodeterminazione
della società civile e la sua ribellione? O aspettare ancor più in là una
rivoluzione anarchica?
Forse, più semplicemente, dovrebbe urlare e trovarsi a sperare nella propria
azione disperata? (ma chi se lo ricorda più sartre)
Non lo so. Me lo chiedo e cerco di rispondermi. Personalmente non credo a
nessuna di queste ipotesi, anche se non penso che "i tempi siano maturi"
anche solo perché la domanda sia abbastanza diffusa, figuriamoci per
avanzare risposte solutive senza che per lo meno maturi qua e là la
consapevolezza del problema e, poi, la ricerca di una risposta.

Quello che penso sia già chiara è la strada finora percorsa. Una strada
nella quale fare passi indietro non ha senso, non per altro, ma perché sono
nella direzione che sappiamo sbagliata.

E allora? Coi politici? Mah...
Per quel che ne penso, ci si può pure dialogare con tutti, senza illudersi
che cofferati e berlusconi siano sostanzialmente differenti e senza far
finta che non siano differenti. Ma c'è un ma grande come una casa.

Per come la vedo io, se c'è qualcuno che ha avuto la pazienza di arrivare
sin qui, vorrei aggiungere che mi sembra naturale che, pur nella differenza,
talvolta radicale, sia, anche strategicamente, molto più proficuo porsi in
relazione con quelle forze, anche se più deboli, che affermano e in qualche
misura dimostrano di aver compreso e accettato il tuo percorso e, a tratti,
addirittura tentato di condividerlo. Con quelli che ne accettano e cercano
di assommarsi alle sue dinamiche.
Certo, è un percorso che è appena iniziato che forse non andrà mai a buon
fine, forse moriremo anche come specie prima e forse non ci arriveremo
sopravvivendo chissà come.
Certo, non è detto che queste realtà compieranno fino alla fine lo stesso
percorso o che in loro compagnia si riesca a fare molti passi avanti.
Certo, è un discorso minoritario e ancora al massimo di nicchia.
Certo, è un discorso che non è affatto detto che si troverà mai il modo di
fare per davvero in tutte le sue conseguenze, conseguenze che forse non
arriveremo mai neanche a comprendere bene tutte insieme.

Ma almeno è il nostro discorso. Quello che vogliamo portare avanti. Non è
poco, anche se forse così si andrà avanti solo d'un poco, magari neanche
passo dopo passo ma pausa dopo pausa. Forse andrà male, forse il mondo andrà
a puttane definitivamente prima che ce la si faccia, ma almeno è la nostra
strada, mi pare, quella che stiamo via via capendo e cercando di costruire.

Spero di essere stato più chiaro, stavolta.

P.S. per il barone di Munchausen (se non scrivendo leggi tutte le cazzate
che passano in lista fino in fondo). D'accordissimo con tutto e lacrime
spente condivise davvero... ma, per quel che riguarda me, la vedo anche
così: dato che sarebbe auspicabile poter dire "somos viento", ma
personalmente me la sento di dire che sono (e molti noi siamo) al massimo
una scoreggia in un tornado. Ce n'è da sorridere. Almeno finche non si
diventa piloti di Tornado o presunti tali... Dopotutto non è colpa nostra se
siamo esseri umani, no? Posso cercare di migliorare, certo, ma non direi che
succederà prendendomi sul serio... Non più di quanto vada preso sul serio un
gioco, che non è poco, ma neanche troppo!


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