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La settimana scorsa si e' svolto un interessante dibattito presso la sede della CGIL di via Buonarroti a Roma. Tra i vari meriti degli organizzatori, quello di aver costruito in modo veloce una cornice all'incontro, mediante due articoli di presentazione sulle pagine de "Il Manifesto". Una sorta di seminario "volante" che ha ricevuto una benedizione in diretta nientedimeno che da Cofferati.
Altro elemento di merito l'aver lasciato a un conferenziere raffinato e brillante come Carlo Formenti il compito di presentare il pacchetto di idee che si volevano discutere, centrate su un tema di attualita' : economie di rete ed economie di guerra.


La tesi nota, spesso discussa su RK, secondo cui vi e' conflitto tra due economie e due capitalismi, l'uno basata sulla produzione di intelligenza e di immaginario, l'altro su una sorta di warfare, era stata gia' stata introdotta da Benedetto Vecchi nel suo articolo sul Manifesto, non senza alcune note critiche.
Formenti, nel suo intervento, ne ha articolato gli aspetti salienti, con il consueto vigore intellettuale, riprendendo e aggiornando gli argomenti centrali di "mercanti di futuro".


In gioco c'erano le diverse interpretazioni dell' exit. La spinta liberatoria che conduce all'autoimpresa o alla sottrazione dal lavoro salariato puo' presentare valenze positive, produttive. Di qui il noto elogio da parte di Formenti del "comunismo dei ricchi", della spinta dionisiaca dell'anarcocapitalismo e dell'esodo creativo.
Benedetto Vecchi, nel suo articolo, analizzava il problema e metteva in guardia: qui da tutelare sono prevalentemente i diritti, la retorica dell'autoimpresa non porta lontano e rischia di essere pericolosa. Cofferati, dopo aver riconosciuto i meriti di Formenti, chiude il suo intervento riprendendo sostanzialmente la posizione di Benedetto Vecchi: dove fuggono i migranti ? Quale exit per gli extracomunitari, che non hanno alcuna garanzia ne' tutela ?
(Questa problematica andrebbe esaminata con attenzione: oggi non c'e' "frontiera" come al tempo delle fughe operaie in america. A meno di non immaginare "fughe da fermo" e frontiere di "senso").


In fondo che questa ambiguita' tra autonomia e diritti vada vissuta con qualche rassegnazione e' pensiero comune.
Si rifletta, ad esempio, a come sia diffuso il paradosso per cui mentre si contestano le vecchie formule del diritto al lavoro si ha pero' gran cura nel tutelare la propria appartenenza di "indipendenti e liberi professionisti" a caste burocratiche come gli ordini professionali. Oppure si pensi, per converso, a quanto la difesa "rigida" di alcuni diritti intoccabili abbia finito per penalizzare i "senza diritti". Per esempio tutta la questione delle pensioni, opposta alle nuove forme contrattuali del lavoro a termine. Un bilancino micidiale.


E' evidente come il diritto sia un'arma a doppio taglio e come solo un tenue velo separi il buon senso dalla demagogia negli uni e negli altri.
Se dunque scegliere l'ambiguita' come stile quotidiano sembra inevitabile, c'e' sempre il rischio di scoprire come le conclusioni di "veteromarxisti" come Costanzo Preve o Vincenzo La Grassa abbiano perlomeno il merito di aver percorso fino in fondo questo medesimo itinerario, portandone l'ambiguita' al limite logico: il superamento dell'opposizione destra-sinistra. Perche' in effetti il dissolvimento del concetto di sinistra - che questi studiosi vanno predicando da anni con dolorante livore - esaurisce di fatto il periplo delle "due destre".


D'altra parte c'e' da mettere in conto, nei ragionamenti di ciascuno, quel "da dove parla" che spesso aiuta capire qualcosa in piu' del suo discorso. E ogni discorso e' terribilmente "situato" non solo in senso politico o di lobby e schieramento, ma anche in senso psicologico. Quando Preve si lamenta dell'impronta New-global italiana, invece di compiacersi (dal suo punto di vista) del No-global nazionalistico dominante (alla francese), dimostra quanto lontana sia la sua posizione, il suo "situarsi", da quell'oggettivita' che con ostinazione invoca e spera di rappresentare. Parla a grandissima distanza, scagliando anatemi e dicendosi compiaciuto del suo Aventino, senza sapersi davvero "sottrarre" a quel dialogo che ad ogni passo giudica del tutto inutile. Detto con simpatia e stima: un problema clinico.

E non si tratta di una benedizione solo sua, anzi c'e' da chiedersi seriamente come non finire con il prendere la stessa china. A me pare che non vi sia nessun conflitto senza una presa di autonomia, senza uno sganciamento, senza un esodo. Questa non e' una fase che esprime una conflittualita' aperta come quella che veniva a costituirsi nel lavoro di fabbrica in epoca fordista.
Quando Alex si chiede perche' la prateria non si infiamma sarei tentato di rispondere che non si capisce proprio come potrebbe: i lavoratori precari sono isolati contrattualmente ed esistenzialmente (cellularizzati), e nel fare opposizione sul lavoro hanno oggettivamente solo da perdere.
Siamo alle prese con un sistema di regole che impedisce, in termini di "teoria dei giochi", qualsiasi forma di collaborazione politica e sindacale tra i lavoratori.
Sono logiche da cui si puo' solo "esodare" (ovviamente nei limiti in cui si riesce a farlo).


Questo purtroppo e' intrinseco a tutti i meccanismi del capitale esteso alla vita. Facciamo il caso di Adword, il nuovo sistema di pubblicita' sul motore di ricerca Google. Bene: se date un'occhiata a quella specie di "gara d'asta" che questo meccanismo innesca tra i vari interessati a conquistare con la propria pubblicita' la zona alta della prima pagina dei risultati, scoprite che "di fatto" c'e' una e una sola possibilita' di far salire il proprio banner: pagare di piu'. La faccenda e' illuminante perche' mostra un sistema di "selezione naturale" di mercato, davvero "paritaria", salvo che, al di la' della apparenze, non 'e' premiato alcun merito intellettuale (qualita' dello spot o scelta delle parole chiave) ma soltanto il bruto denaro. Non ha infatti alcun senso dire, come fanno quelli di google, che i banner pubblicitari salgono anche "ove maggiormente cliccati" visto che, fatte poche distinzioni, sono tutti uguali. Non si capisce proprio in base a quale criterio un link pubblicitario dovrebbe avere piu' probabilita' di essere cliccato di un altro.
Al limite, oltre a pagare, esiste una sola altra possibilita' di far salire il proprio banner: autocliccarselo. Ma dal momento che l'inserzionista paga per ogni click, cio' equivale in ogni senso a sborsare. Capite bene come l'atto di spontaneo di rinviare a un sito, la "citazione" venga in tal modo stirata nel letto Procuste del profitto.
E' come se questo meccanismo tentasse disperatamente di adeguare la logica "conoscitiva" che e' alla radice del peso dei link negli algoritmi di ranking di un motore di ricerca ad una logica meramente economica. Si cerca di adeguare in modo piuttosto subdolo il gioco spontaneo dei link a quello, meno spontaneo, dell'advertaising a pagamento.
AdWord e', nella sua semplice architettura, l'esemplificazione (la simulazione) piu' chiara dell'egalitarismo di mercato neoliberista.
E' un sistema dettato da "regole" che si pretendono naturali ma che di fatto rispetta una sola legge che si autoconferma: quella della "prevalenza" economica. Ovviamente diventano davvero leggi di natura solo nel momento in cui "di fatto" sono le uniche possibili.
La circolarita' della teoria della selezione naturale liberomercatista trova in adword l'esemplificazione piu' grottesca ed eloquente.


Ma allora la questione di come sopravvivere all'interno di questi meccanismi non e' banale. Si trattera' intanto di intendersi: la loro verita', contrariamente alle apparenze, e' "normativa" non "descrittiva". Dobbiamo partire da un fatto: questi meccanismi sono in-intelligenti. Se l'intelligenza soffia dove vuole, al momento sta soffiando assai lontano dal capitale. E' quel che si ricava anche dalla faccenda della biblioteca virtuale e del copyright. Come mai stato e enti pubblici non hanno mai progettato una biblioteca di rete per il pubblico dominio ? Il punto rilevante non e' solo che la Disney non vuole cedere topolino. Il problema sembra invece essere collocato anche ad altri livelli:
(1) di attention economy - perche' un bacino di informazione pulita gratuita rischia di sottrarre "attenzione" ai meccanismi del consumo ordinario di informazione.
(2) di selezione dell'informazione o censura - il "nuovo che avanza" deve essere considerato tale anche se (soprattutto se) non lo e' affatto. I depositari dei saperi devono tutelarsi dal rischio che emerga, a livello di opinione pubblica, la spiacevole consapevolezza che spesso si limitano a rabberciare materiali triti di cui detengono (ingiustamente) l'esclusiva (biblioteche ad accesso limitato etc.).


Come si puo' amaramente constatare delirio "nuovista" e burocrazia putrida camminano appaiate e, per lo piu', fanno lo stesso gioco.

In questo senso la biblioteca virtuale "europea" ad accesso libero potrebbe costituire una piattaforma politica davvero promettente. Imbastirla significa determinare un mutamento radicale nei meccanismi dei mercati del sapere e della conoscenza. Chiedere all'europa una nuova legge sul copyright di segno opposto a quella USA potrebbe aprire una voragine nel neoliberismo della conoscenza.
Ma per realizzare una simile impresa si dovrebbe iniziare davvero a costruire la biblioteca virtuale. Solo quando la minaccia di una sua realizzazione "autonoma" diventera' sensibile si inizieranno a muovere i grandi retori dei diritti pubblici sanciti e bla bla fratelli.
A questo punto potreste chiedermi perche' si dovrebbe fare un simile sforzo per vedersi scippare il proprio lavoro nel momento in cui inizia a prendere consistenza. Domanda cruciale, perche' denuncia l'immutabilita' se non del funzionamento del sistema, almeno della logica che presiede alla sua amministrazione.
Riprenderei, a tale riguardo, la discussione finale tra il protagonista di Q e il vecchio burocrate del vaticano. In fondo, come dimostra adword, tra simulazione e "vita", o se volete tra retorica e conoscenza, corre un distinguo che puo' parere sottile, ma dal quale non credo convenga prescindere in alcun modo. Raccomandazione che vale soprattutto per chi sa di vivere una vita sola.


un abbraccio
Rattus

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