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strategie per la comunicazione indipendente
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da il manifesto del 24 marzo





Bombe sublimi sul dissenso
Dopo l'11 settembre, il black-out dei media sul dissenso. Dalla Florida a
Guantanamo, l'illegalità perenne dell'amministrazione Bush. I fuochi su
Baghdad contro l'icona del crollo delle Torri
JUDITH BUTLER/DALLA PRIMA


Dove vivo io, a Berkeley in California, sembra che nessuno sia a favore di
questa guerra. Al contrario, aleggia un profondo senso di mortificazione per
l'agire violento e illegale degli Stati Uniti. I miei amici europei mi
chiedono, con qualche trepidazione, se è proprio vero che tutti gli
americani appoggiano questo sforzo bellico. E' importante perciò far sapere
che ce ne sono milioni contrari, inequivocabilmente contrari. Le
manifestazioni di protesta di San Francisco, New York e Washington, per
citarne solo alcune, non trovano nei media quell'attenzione che pure
avrebbero ricevuto durante la prima guerra del Golfo, per non parlare di
quella del Vietnam, quando si poteva ancora contare su una certa simpatia
per il movimento antibellico. Dopo l'11 Settembre, la paura di passare per
«antipatrioti» o di essere identificati per le proprie opinioni con i
«terroristi» che hanno attaccato il World Trade Center, non solo ha
soffocato il dissenso, ma ha prodotto il blackout dei media sulle
manifestazioni e le mobilitazioni pacifiste.
Imedia temono talmente tanto di essere accusati di pregiudizio «liberal», e
che il concetto stesso di «liberalismo» possa essere fatto passare per un
concetto tacitamente simpatizzante con il terrorismo, che è venuto fuori una
sorta di contro-discorso compensatorio, per cui chiunque abbia qualcosa di
critico da dire si sente obbligato a premettere «amo il mio paese e quello
che sto per dire non è antipatriottico...». Dunque, chi si oppone
all'attuale regime degli Stati Uniti con le sue violazioni dei precedenti e
delle leggi internazionali e la sua auto-legittimazione nell'infliggere
violenza, ha grandi difficoltà a trovare nei media lo spazio per esprimere
opinioni contrarie alla guerra che non siano intrise di devozione
patriottica. E così i dissenzienti devono parlare a voce più alta per
sopravanzare giornali e televisioni e infrangere la presunzione di un
generale sentimento favorevole alla guerra. E' quello che ha cominciato a
verificarsi con le mobilitazioni di massa per le strade, le azioni di
disobbedienza civile, i concentramenti in punti cruciali di transito nel
centro di San Francisco per interrompere il normale tran tran degli affari e
costringere la polizia a scendere per le strade, in modo che siano i
poliziotti stessi a sabotarlo bloccando il traffico.

Ci sono stati tempi, nella storia della cultura politica americana, in cui
il dissenso veniva valutato come uno dei fondamenti chiave della democrazia.
Ma dopo l'11 settembre, il dissenso è stato avvolto da un nuovo scetticismo,
sì che è diventato difficile per le voci di forte opposizione trovare modo
di esprimersi pubblicamente. O vengono bollate come nostalgiche o
anacronistiche, o vengono liquidate come strategicamente e politicamente
ingenue. Eppure milioni di persone sono scese in piazza, molte dichiarando
di non avere mai partecipato a una dimostrazione in passato. Le mobilitano
la paura e l'ansia, la sensazione di essere sopraffatte dall'unilateralismo
americano, l'opposizione alla bruta aggressione e all'assassinio da parte
dell'amministrazione, la soppressione della libertà di parola all'interno
del paese, il monitoraggio e la regolamentazione delle comunità arabe negli
Stati Uniti che sono tali da sfidare le leggi anti-discriminazione e quelle
sul rispetto della privacy.

Il governo Bush è arrivato al potere con mezzi che molti considerano al di
fuori della legalità, impedendo il conteggio completo dei voti in Florida. E
da quel momento l'uso di tattiche illegali ha contrassegnato questa
amministrazione, determinata a seguire la propria strada con o senza
imprimatur legale, indifferente ai divieti costituzionali e ai precedenti
della legislazione internazionale. Alla denuncia del trattato sui missili
antibalistici, apripista di una serie di azioni che avrebbero infranto le
relazioni internazionali multilaterali, è seguita la sospensione non
dichiarata della convenzione di Ginevra, con il trasferimento nella Baia di
Guantanamo di presunti membri di Al-Qaeda privi di qualsiasi difesa legale e
al di fuori di qualsiasi giurisdizione; il disprezzo per l'Onu e
l'elaborazione di un sistema legale parallelo - definito da molti un sistema
giudiziario «canguro» - delineato nell'U.S Patriot Act, che nega le libertà
fondamentali ad individui fermati e incarcerati e privi di adeguata tutela
legale.

Secondo un recente sondaggio Gallup, almeno il 46% degli americani è
contrario all'attuale guerra in Iraq. Non so chi siano quelli della Gullup
né chi intervistino, dal momento che non hanno mai chiamato né me né nessuno
fra i miei amici. E bisogna fare molta attenzione al modo in cui sono
formulate le domande, e chiedersi che genere di persone siano quelle che
accettano di parlare con loro. Bene, io non posso dire né di amare né di
odiare il mio paese in sé e per sé, né capisco esattamente che cosa voglia
dire. Ma mi oppongo a questo governo e alla sua guerra, insieme a milioni di
altre persone, non solo perché viola vergognosamente la sovranità di un
altro paese per infierire sulla sua gente e minarne le già precarie
infrastrutture, ma anche perché si autolegittima nell'infliggere questa
violenza e nel propagandare la propria distruttività come un segno della
potenza degli Stati Uniti.

Il governo Bush, nella preparazione di questa guerra, ha propagandato i suoi
fasti militari come un fenomeno visuale decisivo. Il fatto che il governo e
l'apparato militare Usa abbiano battezzato la propria strategia «colpisci e
terrorizza» indica che stanno mettendo in atto uno spettacolo visuale che
ottunde i sensi e, come il sublime, mette fuori gioco la capacità stessa di
pensare. E' una messa in scena a uso non solo della popolazione irachena, i
cui sensi si suppone saranno vinti sul campo da questo spettacolo, ma anche
dei consumatori della guerra che si affidano alla Cnn. La Cnn infarcisce
sistematicamente i suoi servizi con didascalie in cui rivendica di essere la
«più affidabile» fonte di notizie sulla guerra. La strategia «colpisci e
terrorizza» mira non solo a costruire una dimensione estetica della guerra,
ma a sfruttare e strumentalizzare l'estetica visuale come parte della stessa
strategia di guerra. La Cnn fornisce l'estetica visuale, il New York Times,
sebbene tardivamente dichiaratosi anti guerra, sforna quotidianamente
immagini romantiche di ordinanza militare nella luce del tramonto iracheno
oppure «bombe che scoppiano in aria» al di sopra delle strade e delle case
di Baghdad (naturalmente escluse dalla vista).

Ovviamente è stata la distruzione del World Trade Center che per prima ha
imposto l'effetto «colpisci e terrorizza», e gli Stati Uniti ora mostrano,
affinché tutto il mondo lo veda, che possono essere altrettanto distruttivi.
I media sono rapiti dall'aspetto «sublime» della distruzione, e le voci di
dissenso ed opposizione devono trovare un modo di intervenire su questa
macchina onirica desensibilizzante che produce la distruzione massiccia di
vite e case, centrali d'acqua, elettricità e calore come segno delirante di
un potere militare Usa resuscitato. Abbiamo bisogno di immagini differenti,
che mostrino gli effetti sulle persone in carne e ossa di questa
distruttività, e abbiamo bisogno di voci differenti che affermino le proprie
convinzioni e le proprie verità senza temere di essere oggetto di false
accuse. Ma non possiamo farlo individualmente: bisogna che i media si
risveglino dal loro sogno e vincano le loro paure. Altrimenti torneremo al
maccartismo, quando la paura, la paralisi e la complicità con un governo
illegale furono superate solo ricordando all'opinione pubblica che non può
esserci esercizio di libertà senza dissenso.

I media che mettono in atto la strategia del «colpisci e terrorizza»
informano sulla violenza producendo e capitalizzando la sua presunta
irrealtà. Non c'è compito più urgente che rompere le costrizioni che oggi ob
nubilano l'analisi critica: che si tratti di una presunta infallibilità
morale che si droga da sola, o del delirio del «colpisci e terrorizza». Il
compito di restituire il carattere reale di questa violenza in tutta la sua
povertà morale e distruttività umana, per poterla, infine, fermare.


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