Crisi mediterranee /1: PALESTINA

* Parlamento israeliano approva la legge sullo Stato-nazione che formalizza la 
segregazione razziale
* Consiglio Comunale di Torino vota Mozione di condanna di Israele per il 
massacro di Gaza

Vedi anche: La Freedom Flottilla in navigazione verso Gaza
https://freedomflotilla.org
http://nena-news.it/%E2%80%8E-%E2%80%8Ela-freedom-flotilla-pronta-a-salpare-per-gaza/
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2018/07/18/in-un-mediterraneo-di-morte-naviga-la-flotta-della-liberta-destinazione-gaza-0105950


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http://contropiano.org/news/internazionale-news/2018/07/19/israele-verso-la-supremazia-ebraica-lapartheid-diventa-legge-0105974

Israele verso la “supremazia ebraica”? L’apartheid diventa legge

di Sergio Cararo - Gideon Levy, 19.7.2017

E’ un brutto segnale, prevedibile ma brutto, per qualsiasi paese. Se poi quel 
paese è lo Stato di Israele con la sua narrazione alla spalle, il fatto assume 
la valenza di un “segno dei tempi” in cui ci è toccato di vivere.

Il parlamento israeliano, la Knesset ha approvato il progetto di legge sullo 
“Stato-nazione” – la famosa Clausola 7 b – secondo cui Israele è ebraico in 
modo “esclusivo” . Il progetto legislativo è diventato legge dello Stato dopo 
un acceso dibattito parlamentare di otto ore, ottenendo 62 voti a favore e ben 
55 contrari. Segno che, fortunatamente, la società politica israeliana non è 
unanime su questo gravissimo passaggio.

La norma è la quatordicesima “legge base” dello Stato (come noto Israele non ha 
una Costituzione). In base ad essa, solo gli ebrei hanno diritto 
all’autodeterminazione in Israele. Il testo legislativo tocca anche la 
questione delle colonie, legittimandole: “Lo Stato vede lo sviluppo di 
insediamenti ebraici come un interesse nazionale e prenderà misure per 
incoraggiare, avanzare e mettere in atto questo interesse”. Viene inoltre 
“degradata” la lingua araba, da status di lingua nazionale a “speciale”.

Dal testo definitivo sono state tolte alcune clausole contestate, come la 
creazione di comunità per soli ebrei, che avrebbe concesso ai residenti di 
cacciare o respingere gli arabi.

Subito dopo la votazione, il premier Benjamin Netanyahu ha affermato: “Questo è 
un momento cruciale – lunga vita allo Stato d’Israele”. Durante la riunione 
parlamentare, Avi Dichter, promotore della legge e capo del comitato per gli 
Affari esteri e la Difesa, si è rivolto ai legislatori arabi: “Eravamo qui 
prima di voi, e ci saremo dopo di voi”. Da parte loro, i rappresentanti della 
minoranza rabo/palestinese hanno strappato il testo della legge come segno di 
protesta.

Gli arabi israeliani – i palestinesi – rappresentano ben il 20% di una 
popolazione di nove milioni di abitanti, e sono per la maggioranza di fede 
musulmana con piccole minoranze druse e cristiane. Nonostante essi godano per 
legge di pari diritti, i cittadini palestinesi in Israele hanno sempre 
lamentato di essere sottoposti a discriminazioni ed essere trattati come 
“cittadini di serie B”.

I palestinesi possono esercitare il diritto di voto, eleggere i loro 
parlamentari alla Knesset – nelle elezioni del 2015, la Union List, la 
coalizione arabo-israeliana guidata dal quarantunenne Ayman Odeh, ha 
conquistato quattordici seggi, diventando per la prima volta nella storia la 
terza forza politica di Israele – ma sa già in partenza che, comunque vada, non 
sarà mai rappresentato in un governo, sia esso di destra, di centro o di 
sinistra, perché prima di ogni altra cosa viene l’identità ebraica 
dell’esecutivo.

La popolazione palestinese in Israele subisce discriminazioni nella 
ripartizione dei finanziamenti per i servizi pubblici; ciò significa che la 
maggior parte delle città a popolazione prevalentemente palestinese ubicate 
all’interno di Israele ricevono stanziamenti di bilancio decisamente inferiori 
per la sanità, l’istruzione e altri servizi sociali rispetto alle città a 
maggioranza ebrea.
Secondo una relazione del 1998 dell’Adva Centre di Tel Aviv, le disparità 
sociali ed economiche in Israele sono particolarmente evidenti nei confronti 
degli arabi israeliani. La relazione fornisce alcune cifre illuminanti, ad 
esempio emerge che il reddito medio dei palestinesi che hanno cittadinanza 
israeliana è il più basso tra tutti i gruppi etnici del paese; che il 42 % dei 
palestinesi cittadini israeliani all’età di 17 anni ha già abbandonato gli 
studi; che il tasso di mortalità infantile tra i palestinesi cittadini 
israeliani è quasi il doppio rispetto a quello degli ebrei: 9,6 per 1000 
nascite contro 5,3.

Selim Joubran, giudice arabo della Corte Costituzionale, ha denunciato quattro 
anni fa come tra ebrei e palestinesi in Israele “ci sono divari 
nell’educazione, nell’impiego, nell’assegnazione di terreni per le costruzioni 
e l’espansione della comunità, scarsezza di zone industriali e infrastrutture, 
molti errori nei segnali stradali in arabo”.

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Sulla legge approvata in Israele, riproduciamo l’articolo di Gideon Levy 
comparso sul settimanale “Internazionale” del 19/7/2018.

La legge che dice la verità su Israele

Di Gideon Levy

Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato una delle leggi più 
importanti della sua storia, oltre che quella più conforme alla realtà. La 
legge sullo stato-nazione (che definisce Israele come la patria storica del 
popolo ebraico, incoraggia la creazione di comunità riservate agli ebrei, 
declassa l’arabo da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale) mette fine al 
generico nazionalismo di Israele e presenta il sionismo per quello che è. La 
legge mette fine anche alla farsa di uno stato israeliano “ebraico e 
democratico”, una combinazione che non è mai esistita e non sarebbe mai potuta 
esistere per l’intrinseca contraddizione tra questi due valori, impossibili da 
conciliare se non con l’inganno.

Se lo stato è ebraico non può essere democratico, perché non esiste 
uguaglianza. Se è democratico, non può essere ebraico, poiché una democrazia 
non garantisce privilegi sulla base dell’origine etnica. Quindi la Knesset ha 
deciso: Israele è ebraica. Israele dichiara di essere lo stato nazione del 
popolo ebraico, non uno stato formato dai suoi cittadini, non uno stato di due 
popoli che convivono al suo interno, e ha quindi smesso di essere una 
democrazia egualitaria, non soltanto in pratica ma anche in teoria. È per 
questo che questa legge è così importante. È una legge sincera.
Le proteste contro la proposta di legge erano nate soprattutto come un 
tentativo di conservare la politica di ambiguità nazionale.

Il presidente della repubblica, Reuven Rivlin, e il procuratore generale di 
stato, i difensori pubblici della moralità, avevano protestato, ottenendo le 
lodi del campo progressista. Il presidente aveva gridato che la legge sarebbe 
stata “un’arma nelle mani dei nemici di Israele”, mentre il procuratore 
generale aveva messo in guardia contro le sue “conseguenze internazionali”. La 
prospettiva che la verità su Israele si riveli agli occhi del mondo li ha 
spinti ad agire. Rivlin, va detto, si è scagliato con grande vigore e coraggio 
contro la clausola che permette ai comitati di comunità di escludere alcuni 
residenti e contro le sue implicazioni per il governo, ma la verità è che a 
scioccare la maggior parte dei progressisti non è stato altro che vedere la 
realtà codificata in legge.

Era bello dire che l’apartheid riguardava solo il Sudafrica

Anche il giurista Mordechai Kremnitzer ha denunciato invano il fatto che la 
proposta di legge avrebbe “scatenato una rivoluzione, né più né meno. Sancirà 
la fine di Israele come stato ebraico e democratico”. Ha poi aggiunto che la 
legge avrebbe reso Israele un paese guida “per stati nazionalisti come Polonia 
e Ungheria”, come se non fosse già così da molto tempo. In Polonia e Ungheria 
non esiste un popolo che esercita la tirannia su un altro popolo privo di 
diritti, un fatto che è diventato una realtà permanente e un elemento 
inscindibile del modo in cui agiscono Israele e il suo governo, senza che se ne 
intraveda la fine. 

Tutti questi anni d’ipocrisia sono stati piacevoli. Era bello dire che 
l’apartheid riguardava solo il Sudafrica, perché lì tutto il sistema si basava 
su leggi razziali, mentre noi non avevamo alcuna legge simile. Dire che quello 
che succede a Hebron non è apartheid, che quello che succede in Cisgiordania 
non è apartheid e che l’occupazione in realtà non faceva parte del regime. Dire 
che eravamo l’unica democrazia della regione, nonostante i territori occupati. 
Era piacevole sostenere che, poiché gli arabi israeliani possono votare, la 
nostra è una democrazia egualitaria. O fare notare che esiste un partito arabo, 
anche se non ha alcuna influenza. O dire che gli arabi possono essere ammessi 
negli ospedali ebraici, che possono studiare nelle università ebraiche e vivere 
dove meglio credono (sì, come no).

19 luglio 2018


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https://www.facebook.com/mauro.gemma/posts/1729242253811407

Alla mozione votata dal Consiglio Comunale di Torino di condanna di Israele per 
il massacro di Gaza, c'è stata una violenta risposta delle comunità ebraiche 
torinesi e nazionali e la richiesta da parte di quest'ultime di un incontro con 
la sindaca Appendino il tutto sostenuto in modo fazioso dal quotidiano "La 
Stampa" senza citare minimamente le argomentazioni e i dati contenuti nella 
mozione. La società civile torinese ha reagito mandando una lettera di appoggio 
alla mozione alla sindaca che qui sotto riportiamo. Finalmente una buona 
iniziativa.

La società civile torinese unita nel sostenere una importantissima mozione 
approvata pochi giorni fa in Consiglio Comunale con la quale si chiede al 
governo di interrompere la vendita di armi ad Israele e l'apertura di canali 
umanitari per le forniture mediche verso Gaza!

Signora Sindaca Appendino,
in quanto organizzazioni della società civile torinese, e consapevoli delle 
pressioni che si sono verificate negli ultimi giorni, vogliamo dichiarare la 
nostra adesione alla mozione approvata a larghissima maggioranza dal Consiglio 
Comunale di Torino. In questo documento, si esprime profonda preoccupazione per 
la repressione e l'uso smisurato della forza da parte dell'esercito israeliano 
contro la popolazione civile palestinese e si chiede “la sospensione delle 
forniture di armi e attrezzature militari nei confronti di Israele”. In tal 
senso è necessario ricordare l’ultimo rapporto di Amnesty International che 
hanno accertato come nel corso delle proteste della “Grande marcia del ritorno” 
a Gaza l’esercito israeliano abbia “ucciso e ferito manifestanti palestinesi 
che non costituivano alcuna minaccia imminente”. Nella maggior parte dei casi 
analizzati da Amnesty, i manifestanti uccisi sono stati colpiti sulla parte 
superiore del corpo, come la testa e il petto, in diversi casi mentre davano le 
spalle ai soldati. I cecchini israeliani hanno ucciso o ferito in modo 
intenzionale manifestanti disarmati, disabili, giornalisti e personale medico 
che erano distanti dalla barriera da 150 a 400 metri. I palestinesi uccisi sono 
stati più di 100 e il numero di feriti si aggira attorno alle 10.000 persone, 
mentre nessun soldato o civile israeliano è rimasto ferito. Secondo Medici 
Senza Frontiere, la metà degli oltre 500 pazienti trattati nei suoi centri 
“presentano ferite da armi da fuoco davvero devastanti” molti dei quali 
subiranno dei deficit funzionali per tutta la vita. A questo bisogna aggiungere 
che la maggioranza dei feriti “è a rischio amputazione per la mancanza di cure 
sufficienti a Gaza” a causa del blocco israeliano che provoca una situazione di 
profonda crisi umanitaria. Pertanto risultano più che condivisibili le parole 
della vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente, Magdalena 
Mughrabi secondo cui “la comunità internazionale deve agire concretamente e 
fermare l’afflusso di armi e di equipaggiamento militare a Israele poiché non 
farlo significherà continuare ad alimentare gravi violazioni dei diritti umani 
contro uomini, donne e bambini”. Ci pare che Amnesty International (come anche 
Human Right Watch, Medici Senza Frontiere e Commissione Speciale per i diritti 
umani dell'ONU) sia una fonte universalmente riconosciuta come affidabile e non 
sospetta né di essere pregiudizialmente antiisraeliana né tanto meno 
antisemita. Per tutte queste ragioni, ribadiamo il nostro sostegno alla 
decisione del Consiglio Comunale di Torino che può costituire un esempio per le 
altre amministrazioni locali nella difesa dei diritti umani ed il rispetto 
della giustizia internazionale.

Di seguito la lista completa delle realtà firmatarie:
- Progetto Palestina
- BDS Torino
- FIOM CGIL TORINO
- Arci Torino
- USB Piemonte
- Rete ECO - Ebrei Contro l'Occupazione
- ACMOS
- Terra del Fuoco
- Associazione Frantz Fanon
- ANPI sezione V Torino
- ANPI sezione Nizza-Lingotto
- Arte Migrante Mondo
- Operazione Colomba
- Pax Christi Italia - Pagina Ufficiale
- Centro Studi Sereno Regis
- Giosef Unito
- Centro Documentazione Pace
- Comitato di Solidarietà con il Popolo Palestinese
- Unione Democratica Arabo Palestinese - UDAP
- Officine Corsare
- Studenti Indipendenti - SI
- Laboratorio Studentesco - LaSt
- Alter.POLIS
- Noi Restiamo
- Donne in Nero - Torino
- Un Ponte Per - Torino
- Palestina raccontata
- Un Ponte Per Gaza
- Assopace Palestina - Torino
- Invicta Palestina
- Cooperativa Babel


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