Dal Partito Comunista della R.P. di Donetsk

Seconda parte:

Partito e classe. Introduzione: il rapporto delle forze di classe in Donbass
1) La posizione del proletariato industriale alla vigilia della guerra 
(30.03.2018)
2) Confronto tra imperialismi (01.04.2018)
3) L’essenza di classe dell’ «antimaidan» in Donbass (18.04.2018)


Si vedano anche:

* Dal Partito Comunista della R.P. di Donetsk – prima parte (JUGOINFO 1.5.2018):
1) Tesi programmatiche del Partito Comunista della Repubblica Popolare di 
Donetsk (KPDNR) (aprile 2016)
2) Sul viaggio in Italia del segretario del Comitato centrale del KPDNR, 
Stanislav Retinskiy (marzo 2018)
– collegamenti e video
– testo di Stanislav Retinskiy "Il Donbass tra l'Ucraina e la Russia"
3) Intervista a Stanislav Retenskij di Maurizio Vezzosi
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8879
 oppure
https://www.mail-archive.com/jugoinfo@yahoogroups.com/msg00228.html

* Il fronte antimperialista: Donbass, Siria, Venezuela (Stanislav Retinskiy, 
segretario del comitato centrale del Partito comunista di Donetsk)
Nel corso di uno degli incontri con i comunisti italiani mi è stata posta 
questa domanda: la vostra secessione in DNR (Repubblica Popolare di Donetsk) e 
LNR (Repubblica Popolare di Lugansk) non indebolisce forse la lotta 
antimperialista in Ucraina? Viene detto: la resistenza al regime di Kiev, 
supportato da UE e Usa, potrebbe essere attuata efficacemente nell’ambito di un 
solo stato insieme ai compagni ucraini. La mia risposta è stata coincisa, a 
causa dei tempi ristretti dell’incontro, ed ho promesso di formulare una 
risposta più ampia in un articolo...
Parte 1 – Ucraina e Russia (11.05.2018): 
http://wpered.su/2018/05/11/il-fronte-antimperialista-donbass-siria-venezuela-parte-1/
Parte 2 – America Latina e Venezuela (16.05.2018): 
http://wpered.su/2018/05/16/fronte-antimperialista-donbass-siria-venezuela-parte-2/
Parte 3 – Siria (15.06.2018): 
http://wpered.su/2018/06/15/il-fronte-antimperialista-donbass-siria-venezuela-parte-3/
Parte 4 – Donbass (17.07.2018): 
http://wpered.su/2018/07/16/il-fronte-antimperialista-donbass-siria-venezuela-parte-4/

* il sito internet del KPDNR: http://wpered.su

* Retinskij (segretario del PC di Donetsk) all'assemblea di Potere al Popolo
http://contropiano.org/video/2018/04/20/retinskij-segretario-del-pc-di-donetsk-allassemblea-di-potere-al-popolo-0103128


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http://wpered.su/2018/03/30/partito-e-classe-introduzione-il-rapporto-delle-forze-di-classe-in-donbass-parte1/

Partito e classe. Introduzione (il rapporto delle forze di classe in Donbass)
Parte 1
30.03.2018


Nella valutazione degli eventi in Donbass, le forze di sinistra, spesso e 
volentieri, giungono a conclusioni estreme: alcuni credono che qui, 
presumibilmente, si sia verificata una rivoluzione socialista, soppressa poi da 
oligarchi russi e da una reazione interna, altri, invece, che i lavoratori non 
abbiano nemmeno avanzato rivendicazioni di classe, di conseguenza, per il 
momento, ritengono sufficiente limitarsi al ruolo di semplici osservatori e 
continuare ad aspettare un’autentica rivoluzione. Gli estremi, come è noto, 
convergono, perchè entrambi questi punti di vista portano al fatto che la 
sinistra sia completamente staccata dalle masse e abbia una visuale distante 
dagli eventi. «Non piangere, non ridere, non odiare, ma comprendere», diceva il 
filosofo olandese Spinosa. Di conseguenza, anche noi dobbiamo all’inizio 
tentare di capire ciò che accade, e poi determinare il ruolo del partito nel 
movimento dei lavoratori.

La posizione del proletariato industriale alla vigilia della guerra

Iniziamo dal fatto che le proteste in Donbass possono essere considerate una 
risposta all «Euro Maidan». Proprio gli eventi di Kiev hanno risvegliato il 
Donbass, che negli ultimi 25 anni non si era quasi manifestato politicamente. 
Nelle altre parti dell’Ucraina si era soliti ritenere che qui vivesse la parte 
più sottomessa della popolazione del paese, sprezzantemente definita 
«bestiame». I nazionalisti ucraini non erano riusciti ad attirare dalla propria 
parte il Donbass ne nel 2004, ai tempi del «Maidan», ne nel 2013, durante 
l’Euromaidan. Peraltro, nemmeno Viktor Yanukovic non ha goduto di grande 
autorità presso la popolazione del luogo. Certamente, allora l’amministrazione 
della regione di Donetsk, utilizzando risorse pubbliche, induceva grandi masse 
di persone a partecipare alle manifestazioni in appoggio del presidente, ma 
questo in generale non significava necessariamente che essi lo appoggiassero 
realmente. Al contrario, in Donbass, lo odiavano per il fatto che non avesse 
rispettato le promesse elettorali: stabilire normali relazioni con la Russia, 
il conferimento al russo dello status di lingua di Stato, eccetera… In Donbass, 
anche se lo hanno votato, in generale non erano per Yanukovic, ma semplicemente 
contro Viktor Yushcenko e Yulia Timoshenko. Nel 2014, dopo il colpo di Stato, 
quando il presidente scappò all’estero, all’odio si è aggiunto il disprezzo.

Per quanto riguarda il proletariato, esso per lungo tempo non ha separato i 
propri interessi da quelli dell’oligarchia locale. Nel Donbass 
pre-rivoluzionario i lavoratori salariati erano affamati, sopravvivevano in 
baracche e lavoravano 12 ore al giorno, quindi non avevano nulla da perdere, se 
non le proprie catene. Poi, prima dell’inizio della guerra del Donbass, nelle 
fabbriche e nelle miniere venivano pagati stipendi abbastanza alti, per questo 
la crescita del benessere del proletariato industriale era legata alla crescita 
del benessere dei proprietari delle imprese. Così, nel 2013, lo stipendio medio 
nella regione di Donetsk era di 3 800 grivne, mentre per l’Ucraina 3 300. 
Mentre la media del salario nella regione del carbone era all’incirca di 5700 
grivne, la media del settore industriale era all’incirca di 4600 grivne.

Le statistiche ufficiali, naturalmente, forniscono solo dati approssimativi, 
quindi spesso i redditi dei lavoratori sono stati leggermente superiori.
Questo può essere spiegato con il ricevimento di una parte di stipendio «in 
busta» (contanti, erogati al di là dello stipendio base per evadere le tasse), 
e la ricerca di entrate extra. Giornata lavorativa di otto ore, giorni festivi 
veri e propri, ferie pagate ogni anno — tutto ciò ha contribuito al fatto che 
il proletariato vendeva la sua manodopera non solo alla fabbrica, ma anche 
fuori. Per questo, invece della lotta per rivendicazioni economiche in fabbrica 
o in miniera, i lavoratori spesso cercavano guadagni aggiuntivi fuori . In 
questo non vi è nulla di sorprendente, dato che lo sciopero è solo una delle 
forme di lotta del lavoratore per più favorevoli condizioni di vendita della 
propria forza lavoro. Ma la lotta può cambiare le sue forme di attuazione, 
partendo dai «lavoretti extra» fino ad arrivare alla ricerca di lavoro anche al 
di fuori dei luoghi di residenza (lavoratori migranti). In questo caso la 
vendita di forza lavoro non solo in azienda, ma anche al di fuori di essa, 
aumenta la giornata di lavoro e intensifica il livello di sfruttamento dello 
stesso.

Karl Marx e Friedrich Engels, nel Manifesto del partito comunista, hanno 
evidenziato come, insieme al proletariato socialista, ci sono anche 
insegnamenti reazionari. Durante la Perestroika, in Unione Sovietica, grande 
popolarità conquistò il cosiddetto «socialismo di mercato». Con l’aiuto delle 
riforme di mercato si voleva «correggere» il socialismo. Si sa benissimo a cosa 
ha portato questo approccio, alla restaurazione del capitalismo. Tuttavia, 
residui delle conquiste socialiste resistevano ancora, consentendo ai 
lavoratori di condurre uno stile di vita non solo accettabile ma, se così si 
può dire, piccolo borghese. Vivono in appartamenti, ricevuti gratuitamente in 
epoca sovietica, spesso possiedono un appezzamento di terreno, che permette 
loro di fare una buona scorta di cibo, e ricevono contemporaneamente lo 
stipendio e la pensione statale per il raggiungimento di una certa età.

Soffermiamoci dettagliatamente su questo fenomeno: il possesso di appezzamenti 
di terreno da parte dei lavoratori. I famosi 6 ettari cominciarono ad essere 
assegnati gratis all’incirca nel 1960. Questa decisione della dirigenza 
sovietica, a prima vista innocua, ha avuto conseguenze molto tristi per il 
primo paese socialista nel mondo. Al posto di un’ulteriore socializzazione 
della produzione con l’uso delle macchine, che consentono di migliorare 
notevolmente la produttività del lavoro, è sorto il processo inverso, ovvero: 
insignificanti pezzi di terra sono stati lavorati con strumenti di lavoro 
arcaici. Ma sono proprio le alte produzioni il segno distintivo della società 
comunista. Con la restaurazione del capitalismo, la «Giornata internazionale 
della solidarietà dei lavoratori», grazie all’intervento dei capitalisti, si è 
trasformata nella «Giornata della primavera», e al posto della battaglia delle 
masse contro l’oppressore sociale, è stato possibile osservare solo una massa 
di lavoratori su piccoli appezzamenti di terreno. Prima ancora della guerra, un 
lavoratore mi disse che non avrebbe partecipato a nessuna rivolta, fino a 
quando a casa sua ci fosse stato un sacco di patate. Allora gli risposi, che la 
riforma agraria, prima o poi, lo avrebbe spazzato via.

Tutti questi benefici sociali sarebbero da considerare un lusso non solo per 
gli altri Paesi del «terzo mondo», dove non c’era il socialismo, ma anche per i 
Paesi capitalistici altamente sviluppati. Non è una forzatura affermare che il 
proletariato industriale in Donbass ha ricoperto una posizione di «aristocrazia 
operaia». Ma se nei paesi Occidentali, l’aristocrazia dei lavoratori, era il 
risultato della corruzione dei vertici del proletariato, come parte dei 
profitti monopolistici, qui — era legata alle vestigia del socialismo. In 
condizioni di universale impoverimento provocato dalla controrivoluzione e in 
conseguenza di un calo della produzione (nel 1990 il PIL dell’Ucraina è 
diminuito di quasi il 60 %, più del doppio rispetto al declino dell’economia 
degli USA nel periodo della Grande depressione), i minatori e i lavoratori 
delle acciaierie occupavano una posizione privilegiata. Ognuno, ovviamente, ha 
cercato di mantenere questa posizione. Questo atteggiamento si è manifestato in 
maniera lampante durante la successiva riduzione del personale, quando, invece 
di unirsi contro i nemici di classe, i lavoratori hanno condotto una lotta 
all’interno della propria classe. Per rimanere in azienda o conquistare un 
posto migliore nella gerarchia di produzione, i lavoratori cercarono di 
ingraziarsi i superiori e di sostituirsi a vicenda.

Questa situazione è dovuta al fatto che, nell’era del capitalismo, la 
competizione non è solo tra capitalisti, ma anche tra proletari. E con ogni 
licenziamento o chiusura di azienda, la concorrenza all’interno del 
proletariato è cresciuta. Nella fase di formazione del capitalismo il lavoro 
manuale è soppiantato dalle macchine, che creano un esercito di riserva del 
lavoro. La riduzione della richiesta di lavoro ha portato ad una riduzione del 
suo prezzo. Ma nell’ex Unione Sovietica è accaduto esattamente il contrario. 
Quando il Donbass chiuse le miniere e i minatori finirono per strada, questo 
non significò che stava cadendo la richiesta di lavoro. Al contrario, la 
richiesta di lavoro è rimasta invariata, ha solo assunto un’altra forma. Al 
posto delle imprese minerarie, spesso comparivano i cosiddetti «kopanka», 
piccole miniere illegali, in cui il carbone viene estratto con metodi 
artigianali. Spesso in quelle miniere la paga era anche più alta rispetto alle 
miniere legali, ma le condizioni di lavoro erano terribili, come nel periodo 
pre-rivoluzionario, nella totale assenza di garanzie sociali. Nel 2011, nella 
regione di Donetsk, sono state liquidate 420 miniere illegali, ma 314 ancora 
continuarono a lavorare. Ad esempio, a Snizhne più della metà dei«kopanok» 
liquidati hanno condotto estrazioni in zone chiuse e solo un quarto di loro — 
su zone libere. In altri casi, i «kopanka» si trovavano su territori dove 
ancora vi erano miniere attive L’estrazione Illegale di carbone è stata 
condotta su quasi tutto il territorio della regione di Donetsk, ma più spesso — 
nella parte orientale della regione, perché lì giacimenti di carbone si trovano 
vicino alla superficie.

Nella regione di Donetsk l’estrazione illegale di carbone era controllata dalla 
famiglia e dall’entourage di Viktor Yanukovich. Questa situazione generò un 
conflitto con gli interessi di Rinat Akhmetov — proprietario delle miniere 
legali. La famiglia Yanukovich smerciò carbone illegale all’estero, ciò risultò 
molto più conveniente. Le materie prime, in un primo momento, sono state 
consegnate alle miniere governative, e poi, attraverso la mediazione delle 
imprese, esportate all’estero. In questo caso, a carico del bilancio nazionale, 
sono state destinate ingenti somme di denaro per lo sviluppo dell’industria del 
carbone in Ucraina. Il volume annuale della sovvenzione era pari a oltre 12,5 
miliardi di dollari. Naturalmente, il denaro non ha raggiunto la destinazione, 
ma «è caduto» nelle tasche dell’entourage di Yanukovich. E’ nato così il mito 
della sovvenzione alla regione di Donetsk. In breve tempo, il presidente 
ucraino è stato in grado di mettere insieme una fortuna così enorme fino al 
punto che non riuscì più a contenere gli oligarchi ucraini, che fino a poco 
prima lo consideravano un loro pupillo. Sono stati loro ad organizzare contro 
di lui un complotto, ovvero l’euromaidan».

Ma, a differenza dell’attuale governo ucraino, Viktor Yanukovich, ha almeno 
cercato di comportarsi come il presidente di un paese indipendente, 
destreggiandosi tra i due centri di accumulazione del capitale — la UE e la 
Russia. Egli sapeva bene che, tramite l’ Accordo di associazione (con la UE) 
Bruxelles avrebbe cercato, a spese dell’Ucraina, di mitigare la crisi economica 
nell’Unione europea. A tal proposito, il presidente ha ragionevolmente 
richiesto dalla UE una compensazione monetaria, ma anche di garanzia, che 
consentisse di vendere in EU la principale merce ucraina: la forza lavoro. Per 
tale garanzia sarebbe servita l’ abolizione del regime dei visti. Chi è venuto 
al posto di Yanukovich, ha acconsentito ad un’associazione senza alcuna 
compensazione e garanzia. Naturalmente, il deposto presidente, non aveva nulla 
contro l’unione Europea, ma se l’accordo con la Russia avesse previsto 
eventuali benefici economici, Yanukovich certamente lo avrebbe concluso. Oggi 
la politica ucraina si basa completamente sulla retorica anti-russa.

Il colpo di stato a Kiev nel 2014 ha mostrato che l’Ucraina potrebbe mantenere 
la sua integrità territoriale, solo mediante una politica «multidirezionale». 
Una volta presa la decisione di unirsi a uno dei centri di accumulazione del 
capitale, è iniziata la sua disfatta. L’ucraina è un campo di battaglia per i 
monopoli internazionali. La sua economia è completamente controllata attraverso 
il dollaro e l’euro, quindi, la politica ucraina, si riduce esclusivamente a 
compiere ciò che è necessario per creare nel paese un migliore clima per gli 
investimenti. Tuttavia, questa circostanza non impedisce, ma addirittura aiuta, 
gli oligarchi ucraini ad acquisire un ruolo di rilievo, così come non impedisce 
ai partiti ucraini di fare la propria politica personalistica. Tutti i partiti 
borghesi inquadrano il loro compito nella svendita dell’Ucraina alle 
multinazionali, in cambio di un permesso di rimanere qui come impiegati. Questo 
stato di cose, in primo luogo, colpisce i lavoratori ucraini, perché essi 
sperimentano su di sé un doppio sfruttamento, ovvero, nazionale e 
transnazionale da parte del capitale.

Contemporaneamente con questi eventi verificatesi in Ucraina, risulta chiaro il 
naufragio del cosiddetto mondo unipolare... Il capitale russo continua ad 
espandere la sua sfera di influenza, e l’imperialismo americano non è in grado 
di assimilare nella sua sfera di influenza tutto il territorio dell’Ucraina, da 
cui si è distaccata la Crimea e mezzo Donbass. Ma di questo parleremo nel 
prossimo articolo.

Continua

Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR


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http://wpered.su/2018/04/01/partito-e-classe-introduzione-il-rapporto-delle-forze-di-classe-in-donbass-parte-2/

Partito e classe. Introduzione (il rapporto delle forze di classe in Donbass)
Parte 2
01.04.2018


Confronto tra imperialismi

Quando diciamo che l’Ucraina si trova tra due centri di accumulazione del 
capitale, ci riferiamo all’appartenenza territoriale. Geograficamente si trova 
tra l’Unione Europea e l’Unione Economica Euroasiatica. Entrambe questi 
organismi hanno influenza su di essa. Prima di tutto, ci riferiamo a Germania e 
Russia. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, più distanti, hanno un impatto 
molto maggiore. Per essere precisi, l’Ucraina è nella sfera di influenza di tre 
centri di accumulazione del capitale. A rigor di termini non c’è e non c’è mai 
stato un mondo unipolare, ma esiste un mercato mondiale in cui gli Stati Uniti 
occupano una posizione dominante. Allo stesso tempo Germania, Cina, Russia, 
Giappone e altri paesi sono pronti a competere con gli Stati Uniti per il 
dominio del mondo.

La politica mondiale è determinata dall’ equilibrio di potere tra i centri 
imperialisti. Ma questo rapporto è in costante cambiamento, come evidenziato 
dalla situazione attuale in Ucraina. Il conflitto nel Donbass illustra 
perfettamente il ruolo della Germania nel sistema della divisione 
internazionale del lavoro. Da un lato è partner minore degli Stati Uniti, 
d’altra parte sta già cercando di diventare partner di maggiore livello. Nel 
primo caso, la Germania, è costretta ad introdurre sanzioni contro la Russia, 
ma nel secondo caso cerca di influenzare il conflitto in Donbass seguendo il 
“formato normandia”, ovvero senza gli Stati Uniti. La Germania vuole condurre 
la propria politica in Europa, ma ancora è costretta a prendere in 
considerazione gli interessi degli Stati Uniti, a cui è vincolata in relazione 
alla nascita del proprio imperialismo.

Gli Stati Uniti sono interessati principalmente a distruggere il potenziale 
industriale del Donbass, la sua industria carbonifera, e alla fine assorbire il 
mercato energetico ucraino. A conferma di quanto è stato detto, nel settembre 
2017 ci sono state prime consegne di carbone americano ad Odessa. Lo stesso 
destino spetterà a tutta l’Europa. Non è esagerato affermare che la guerra nel 
Donbass è una manifestazione della lotta degli Stati Uniti per il mercato dell’ 
energia dell’ Europa, dove le posizioni della Russia sono ancora forti. La 
Germania in questo confronto si sta orientando verso la parte russa, nella 
quale vede un rivale più debole. L’assorbimento del mercato europeo 
dell’energia da parte del capitale americano indebolirà considerevolmente le 
posizioni dell’ imperialismo tedesco.

Attualmente, gli Stati Uniti sono il secondo produttore mondiale di carbone, 
secondo solo alla la Cina. Circa 900 milioni tonnellate di materie prime 
vengono prodotte ogni anno, ovvero oltre 11% del volume mondiale. Nel 2016 la 
produzione di carbone nel mondo è diminuita, ma l’ anno successivo è nuovamente 
aumentata. L’ aumento più significativo (del 19%) è stato osservato negli Stati 
Uniti . Uno dei motivi è un forte aumento delle esportazioni di carbone. Nel 
2017 le esportazioni degli Stati Uniti sono aumentate di oltre il 60% rispetto 
all’ anno precedente. L’esportazione nel Regno Unito è aumentata del 175%, in 
Francia è raddoppiata. In 10 anni, dal 2003 al 2013, le forniture di carbone 
americano al Regno Unito sono aumentate di oltre 10 volte, in Germania di 15 
volte.

Gli Stati Uniti sono il secondo esportatore di » oro nero» in Europa, dopo la 
Russia. Ma con l’aiuto delle sanzioni anti-russe e l’aumento delle 
esportazioni, gli americani mirano a diventare leader nel mercato energetico 
europeo. Allo stesso tempo , la produzione di carbone in Europa continua a 
diminuire. Così in Gran Bretagna l’ultima miniera di carbone è stata dismessa 
nel dicembre 2015, anche se più di 3000 imprese operavano lì un centinaio di 
anni fa. In Germania c’erano solo due miniere di carbone operative, che saranno 
chiuse nel 2018. Negli Stati Uniti al contrario, Donald Trump ha revocato le 
restrizioni sull’estrazione del carbone introdotte da Barack Obama. Negli Stati 
Uniti ci sono le più grandi riserve di carbone del mondo, ma i monopoli del gas 
americano temono di perdere la loro quota nel mercato interno dell’ energia, 
quindi si oppongono all’aumento della produzione. Di conseguenza, Washington 
deve solo aumentare le esportazioni di carbone per mantenere a galla 
l’industria.

Tra Washington e Kiev ci sono accordi sulla fornitura di milioni tonnellate di 
carbone. A gennaio-novembre 2017 l’Ucraina ha importato oltre 17 milioni 
tonnellate di carburante, 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. La 
quota della Russia nelle importazioni è del 56,36%, quella degli Stati Uniti, 
che sono il secondo fornitore di carbone in Ucraina, del 24,84%. Allo stesso 
tempo, l’Ucraina paga il 40% in più per il carbone americano rispetto al russo. 
A loro volta, le imprese minerarie ucraine del carbone, in questo periodo hanno 
ridotto la produzione di carbone di oltre 5 milioni tonnellate (13,6%).

Nel breve periodo, l’elevata domanda di carbone in Ucraina continuerà. Il fatto 
è che fin dai tempi delle «guerre del gas» russo-ucraine, iniziate molto prima 
del «euromaidadan»,  le imprese iniziarono a convertirsi in massa dal gas al 
carbone. Questa tendenza viene ancora mantenuta oggi, quando Kiev tende in 
maniera molto più agguerrita al raggiungimento dell’ «indipendenza energetica» 
da Mosca. Ma abbandonando il gas russo, l’Ucraina cade sotto la dipendenza dal 
carbone americano, mantenendo allo stesso tempo un forte bisogno di antracite, 
la quale ancora non può essere fornita dagli Stati Uniti in quantità 
sufficiente. Di conseguenza, l’Ucraina fu costretta a cancellare le sanzioni 
contro un grosso fornitore di carbone russo «Yuzhtrans». Contemporaneamente 
riduce la propria produzione dichiarando il blocco della Repubblica Popolare di 
Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, distruggendo il potenziale 
industriale del Donbass con l’aiuto dell’ artiglieria.

Il conflitto nel Donbass è l’ennesima conferma del fatto che l’imperialismo si 
trova in una crisi sistemica. I capitalisti stanno cercando di risolvere il 
problema della sovrapproduzione di beni con mezzi militari. Nel contesto 
imperialista questo si realizza con la distruzione di una parte dei mezzi di 
produzione. Così il collasso dell’Unione Sovietica e la sconfitta del 
socialismo nell’Europa orientale hanno permesso per qualche tempo di assicurare 
la crescita della produzione nei paesi capitalisti avanzati. Per questo le 
repubbliche dell’ex campo socialista hanno pagato un calo significativo della 
loro produzione. Negli anni novanta la perdita media del prodotto interno lordo 
pro capite è stata del 30%.

Per più di vent’anni lo spazio post-sovietico è stato oggetto di una politica 
imperialista. Ma la congiuntura favorevole dei prezzi delle risorse energetiche 
ha permesso di creare in Russia un prezzo sufficientemente efficiente per 
l’accumulazione di capitale. Con l’aiuto dell’Unione Economica Euroasiatica, 
che è un’alleanza dei paesi borghesi, e non è la URSS-2, Mosca cerca di 
conquistare una posizione più o meno dignitosa nel sistema mondiale della 
divisione del lavoro. Tali alleanze, come l’Unione Economica Euroasiatica, sono 
pensate con un unico obiettivo: organizzare efficacemente il processo di 
estrazione del profitto, che può essere ottenuto solo dallo sfruttamento delle 
forze di lavoro. Come dovrebbero sentirsi i comunisti riguardo a tale alleanza? 
La risposta potrebbe sembrare paradossale, abbiamo il dovere di sostenerla!

Innanzitutto, l’Unione Economica Euroasiatica, è un’unione volontaria. Ed è 
ricercata  non solo dalla borghesia, ma anche dalla maggioranza della 
popolazione. Da parte dei comunisti sarebbe un’insensatezza da un punto di 
vista dottrinario andare contro questo processo solo perchè perché questa 
Unione non porta alcun beneficio ai lavoratori. Ma questo non significa che non 
dovremmo criticarla. L’Unione Economica Euroasiatica consente alla borghesia di 
trarre benefici economici, ma lascia i lavoratori politicamente divisi. I 
comunisti devono criticare l’ incoerenza della borghesia e chiedere una piena 
fusione politica dei paesi. Il capitale è più facile da nazionalizzare quando è 
più concentrato. Se ci sono meno divisioni politiche è più facile per il 
proletariato far fronte al potere del capitale.

Nei suoi scritti, V. Lenin parla della necessità di unire le nazioni e deduce 
la seguente formula: i comunisti dei paesi oppressori devono difendere la 
libertà dei paesi oppressi e difendere la loro secessione. I comunisti dei 
paesi oppressi possono appoggiare sia l’indipendenza politica della loro 
nazione, sia la sua inclusione nello stato vicino... Nella «libertà» di 
secessione e «libertà» di unione c’è un genuino internazionalismo. E non può 
esservi altro modo per unire le nazioni. Secondo V. Lenin, i comunisti dei 
paesi oppressi hanno un leggero vantaggio. Possono sostenere sia la secessione 
che l’adesione, rimanendo internazionalisti. Ma in tutti i casi i comunisti 
devono porre la libertà e l’uguaglianza universali al di sopra degli interessi 
della loro nazione.

Durante gli anni dell’indipendenza,  la maggioranza della popolazione ucraina 
ha sostenuto l’adesione del paese all’unione guidata dalla Russia. Tutti i 
presidenti ucraini, nonostante la loro politica incoerente, sono stati 
costretti a tenerne conto. Quando il nuovo governo raggiunse il potere a 
seguito del colpo di stato nel febbraio 2014, cominciò a seguire un corso 
strettamente pro-occidentale, ignorando apertamente gli interessi della 
maggioranza. Allora nel sud-est del paese sono iniziate le proteste di massa, 
che hanno portato alla «sfilata della sovranità». E questo non è merito di V. 
Putin. Dopotutto, la sua politica nei confronti dell’Ucraina rimaneva la 
stessa, sia prima che dopo l’ «euromaidan». E’ La politica di Kiev ad aver 
subito un radicale cambiamento.

Gli eventi del 2014 ci dicono che la Federazione RUSSA, da oggetto si è 
trasformata in un soggetto della politica imperialista. Con l’annessione della 
Crimea e il sostegno della regione del Donbass, Mosca sta cercando di 
rispondere adeguatamente alla politica dell’UE e degli Stati Uniti, che hanno 
deciso di dominare in maniera incontrastata l’Ucraina. Kiev, con la sua 
tirannia nei confronti del sud-est, ha creato tutte le condizioni necessarie 
per la realizzazione di una politica di successo da parte di Putin. Se, dopo il 
referendum in Crimea, qualcuno ancora aveva dei dubbi sullo spontaneo desiderio 
della popolazione locale di unirsi alla Russia, spiegando tale esito con la 
presenza degli “uomini in verde”, dopo gli eventi in Donbass tali dubbi 
dovrebbero essere del tutto fugati. Qui non c’era nessun esercito russo ma, al 
contrario, vi erano militari ucraini che sparavano ai partecipanti al volto e 
radevano al suolo edifici civili.

In questo caso i comunisti devono denunciare l’incoerenza dei capitalisti 
russi, che impediscono non solo l’integrazione economica della penisola (molte 
aziende che operano in Russia, si rifiutano di lavorare in Crimea), ma anche il 
riconoscimento politico delle repubbliche popolari DNR e LNR (su cui insiste il 
partito COMUNISTA), temendo immediate sanzioni da parte dell’UE e degli Stati 
Uniti. Il Donbass si è separato dall’Ucraina per unirsi alla Russia o, almeno, 
all’Unione Euroasiatica. Invece, sul territorio del Donbass, sono apparse due 
Repubblica non riconosciute, isolate dall’estero. Così, al posto della 
dissoluzione delle vecchie frontiere, ne sono nate di nuove. Ma la situazione 
in Donbass sarà una buona lezione per i lavoratori, i quali avranno modo di 
capire che la causa della loro sofferenza non può essere inquadrata 
semplicemente nell’oligarchia, nell’imperialismo della UE e degli Usa, ma nel 
capitalismo in sé.

Il secondo motivo per cui è necessario appoggiare l’Unione Economica 
Euroasiatica, consiste nel fatto che si oppone all’imperialismo USA, nostro 
principale nemico. Inoltre, in una prospettiva di lotta contro gli USA, a volte 
vale la pena anche di sostenere la UE, soprattutto rispetto alle relazioni con 
Cuba. Quando Trump annunciò di inasprire il blocco contro Cuba, il capo della 
diplomazia UE, Federica Mogherini, ritenne tale proposta inaccettabile.

In terzo luogo, l’Unione Economia Euroasiatica, crea molti meno ostacoli 
rispetto allo spostamento di forza lavoro dall’Ucraina al Donbass, rispetto 
alla UE. Inoltre, alcuni deputati, hanno manifestato la presunta intenzione di 
presentare alla duma di Stato della Federazione Russa disegni di legge 
sull’abolizione dei brevetti di lavoro per i cittadini di DONETSK, che operano 
in Russia, oltre ai limiti di tempo del loro soggiorno. Se si tratta solo di 
una mossa pre-elettorale, per i comunisti diventerà occasione per individuare 
l’incoerenza dei politici borghesi.

In quarto luogo, l’unione con la Russia consentirebbe, almeno in parte, di 
mantenere l’industria del Donbass — oggettiva condizione di esistenza del 
proletariato. Il crollo dell’Unione Sovietica ha dimostrato che l’ industria 
sovietica aveva un’impostazione adatta non solo per la costruzione del 
socialismo, ma anche per la produzione capitalistica. Per il capitale russo la 
conservazione del potenziale industriale è una questione di sopravvivenza. 
L’imperialismo UE e USA, al contrario, cerca di distruggerlo. Se non ci saranno 
mezzi di produzione, allora non vi saranno nemmeno lavoratori dell’industria. 
Ma del loro ruolo negli eventi in Donbass parleremo nella prossima parte.

Continua

Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR



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http://wpered.su/2018/04/18/partito-e-classe-introduzione-il-rapporto-delle-forze-di-classe-in-donbass-parte3/

Partito e classe. Introduzione (il rapporto delle forze di classe in Donbass)
Parte 3
18.04.2018


L’essenza di classe dell’ «antimaidan» in Donbass

Fino al 2014 in Donbass la questione della separazione o, almeno, 
dell’acquisizione di uno status autonomo nell’ambito dello stato ucraino, è 
cresciuta a più riprese. Questo tema è stato oggetto di contrattazione tra il 
grande capitale locale e Kiev. Inoltre, nel 1994, nelle regioni di Donetsk e 
Lugansk, si tenne un referendum in cui la maggioranza dei votanti votò per un 
sistema federativo. Successivamente, la questione del federalismo, è stata 
avanzata nel 2004, durante il congresso a Severodonetsk. All’epoca, i 
rappresentanti delle regioni sud-orientali dell’Ucraina, presero la decisione 
di tenere un referendum e di dichiarare l’autonomia del Donbass se Viktor 
Yanukovich non fosse stato riconosciuto presidente dell’Ucraina. Dopo il «terzo 
turno» di voto alla presidenza fu confermato Viktor Yushchenko, come 
conseguenza, si è iniziato a parlare con molta più insistenza della 
federalizzazione del Paese.

In primo luogo, il Partito delle regioni, che a suo tempo difese gli interessi 
del grande capitale in Ucraina, con più insistenza degli altri ha parlato di 
federalismo. Questo capitale, dopo il potere economico, aspirava al potere 
politico. Per questo era pronto a dividere il Paese. Nel 2005, accuse di 
separatismo, sono state avanzate contro un certo numero di deputati ucraini e 
contro gli ex governatori di Kharkiv e Lugansk. Ma l’evento che ha fatto più 
scalpore è stato l’arresto del presidente del Consiglio Regionale di Donetsk 
Boris Kolesnikov da parte del procuratore generale. A dire il vero, lo 
convocarono prima per la questione del separatismo, dopo di che fu arrestato 
con l’accusa di estorsione. Sembra strano, ma l’arresto di Boris Kolesnikov 
andava bene ad entrambe le parti. Viktor Yushchenko fece proprio lo slogan 
«banditi in carcere», e il Partito delle regioni con aria di sfida denunciò sui 
media la repressione del «Potere arancione» contro i «combattenti per l’idea».

Mentre l’attenzione dell’elettorato si focalizzava sull’arresto del 
rappresentante al Consiglio regionale di Donetsk , tra il presidente e «i 
regionalisti» furono portati avanti dei negoziati, tra l’altro, in maniera 
relativamente positiva. Un mese dopo la liberazione di Boris Kolesnikov, Viktor 
Yushchenko mandò“in pensione” il primo ministro Yulia Tymoshenko, e nel mese di 
settembre 2005, con il sostegno attivo dei deputati del Partito delle regioni, 
il nuovo primo ministro è diventato Yuri Yekhanurov. Tanto più gli elettori 
erano convinti della mancanza di principi nel Partito delle regioni, tanto 
minore è diventata la sua popolarità. Come la lotta per il russo come seconda 
lingua di Stato si fermò in concomitanza con la campagna elettorale, allo 
stesso modo, i «regionalisti»misero in secondo piano la convocazione di un 
referendum federalista subito dopo la conclusione degli accordi con Viktor 
Yushchenko. Con la vittoria di Viktor Yanukovich alle elezioni presidenziali 
nel 2010 e fino alla sua caduta nel 2014, la questione del federalismo non ha 
avuto risalto presso il Partito delle regioni.

Il 22 febbraio 2014, a Kharkov, si svolse una riunione dei deputati del Sud-Est 
dell’Ucraina, in cui si annunciò la volontà di assumere su di sé tutto il 
potere in relazione al colpo di stato a Kiev. Tuttavia, la fase successiva 
delle trattative non durò a lungo. Ad esempio, a Donetsk, già il 1 ° marzo, le 
autorità locali, che una settimana prima speculavano sul tema della 
disobbedienza al potere di Kiev, cercarono di organizzare una manifestazione a 
sostegno del governo centrale. Decine di migliaia di manifestanti non 
sostennero tali azioni, e chiesero le dimissioni dei funzionari che 
riconoscevano l’autorità centrale, e anche un referendum sullo status della 
regione. Dopo che il rappresentante dell’amministrazione regionale di Donetsk, 
Andrey Shyshatskiy, protetto dell’oligarca di Donetsk Rinat Akhmetov, ignorò le 
richieste dei manifestanti, è stato effettuato un tentativo di assalto ad un 
edificio amministrativo.

La differenza principale tra gli eventi del 2004, verificatesi nel sud-est, 
egli eventi del 2014, sta nel fatto che nel primo caso si sono svolti 
completamente sotto il controllo degli oligarchi locali e sono stati utilizzati 
nella lotta contro le altre fazioni oligarchiche, mentre nel secondo — si sono 
svolti contro la loro volontà. Il fatto è che in dieci anni è cambiato 
l’equilibrio di potere all’interno del Paese e fuori. Gli oligarchi, chiarendo 
i rapporti al loro interno, si basano sulla piccola borghesia e sul 
proletariato, ma nel 2014, nel sud-est , le forze piccolo borghesi sono andate 
fuori controllo ed hanno iniziato a rivendicare un ruolo indipendente. I capi 
dell’”anti-Maidan” e della «primavera russa» nel Donbass, a partire dall’ ex 
“governatore del popolo Pavel Guberev, fino all’attuale presidente del 
Consiglio Popolare della DNR (Repubblica Popolare di Donetsk) Denis Puscillin, 
provengono dalla piccola borghesia. In questo consiste la differenza principale 
tra il l’”anti-maidan” e l’”euromaidan” (protesta fin dall’inizio manovra dagli 
oligarchi).

Anche nel 2004 gli oligarchi di Donetsk controllavano il «separatismo» locale. 
Sulla scia degli eventi nacquero una serie di organizzazioni, tra cui la 
«Repubblica di Donetsk». Così, Alexandr Tsurkan, in quel momento presidente e 
tra i fondatori di questa organizzazione, durante le elezioni presidenziali del 
2004 ha lavorato con lo staff di Viktor Yanukovich, che indicava la presenza di 
una sorta di connessione tra le attività del Partito delle regioni e l’avvento 
della «Repubblica di Donetsk» (tra virgolette, intesa come organizzazione 
popolare, da non confondersi con la Repubblica vera e propria NdT). Il grande 
capitale ha cercato di far passare i propri interessi come l’ interesse di 
tutto il Donbass e del Sud-Est dell’Ucraina. Pertanto, per i «regionalisti» era 
importante mostrare che, l’appello per la creazione di una federazione di 
partiti, non proveniva tanto da loro, quanto dal «popolo». Anche se 
organizzazioni come «Repubblica di Donetsk » fossero sorte esclusivamente su 
iniziativa dei loro fondatori, l’ attività sociale tuttavia non uscirebbe mai 
dai confini determinati da un importante capitale.

Nel 2014 la situazione in Donbass è cambiata. Attualmente «Repubblica di 
Donetsk» è la forza trainante della DNR, ma tra gli esponenti dello stato non 
riconosciuto, non ci sono gli oligarchi. L'»Antimaydan» nel Donbass fin 
dall’inizio è stato un movimento democratico, cioè un movimento indipendente 
della piccola borghesia. Gli oligarchi al contrario, si opponevano uniti all’ » 
Antimaydan», dimenticando per un po’ di combattersi tra di loro. Alla DNR è 
stata dichiarata guerra, sia dal «padrone del Donbass» ,Rinat Akhmetov, sia dal 
suo rivale Sergey Taruta. Ma le azioni, anche le più radicali, della piccola 
borghesia, rimangono incongruenti. Fino all’ultimo hanno cercato di raggiungere 
un accordo con gli oligarchi locali, assicurandoli che non ci sarebbe stata 
alcuna nazionalizzazione. Anche l’introduzione nel marzo 2017 della gestione 
esterna di tipo statale nelle imprese, prima di proprietà della grande 
borghesia, non deve trarre in inganno. Ciò non avvicina affatto il Donbass al 
socialismo. Anche Friedrich Engels scrisse nell’ «Anti-Duhring» che nella 
società capitalista ci sono casi in qui lo Stato è costretto a prendere il 
controllo di alcuni rami dell’economia.

L’attuale situazione nel Donbass incarna l’idea piccolo-borghese di mantenere 
le relazioni di mercato, ma senza l’oligarchia. Il problema è che una tale 
società non può sopravvivere per molto tempo. La logica delle relazioni merci- 
denaro è tale che, o vengono superate, cioè al capitalismo si sostituisce il 
socialismo, o tali relazioni ritornano alla posizione iniziale. Non appena la 
DNR ha cercato di liberarsi da un gruppo di oligarchi, subito è sorta la 
minaccia da parte di un altro gruppo. Secondo alcune fonti, un oligarca, Sergey 
Kurcenko, vicino alla famiglia di Viktor Yanukovich, cerca di influenzare 
l’economia della Repubblica. Dopo il colpo di stato a Kiev, anche lui, come il 
presidente, è fuggito dal paese e attualmente vive in Russia.

È qual è il ruolo del proletariato negli eventi del Donbass? Certamente ha 
partecipato agli eventi, ma non come una forza indipendente, bensì come parte 
del movimento democratico... Salvo rare eccezioni i lavoratori hanno agito in 
modo organizzato e sono intervenuti con le proprie esigenze. In alcune città, 
nelle fabbriche e nelle piazze centrali, hanno organizzato diversi raduni a 
sostegno della DNR. La più grande manifestazione è avvenuta il 28 maggio 2014 a 
Donetsk. Contro l’operazione » Antiterrorista» in Donbass, circa un migliaio di 
minatori hanno partecipato alla marcia di protesta, avvenuta due giorni dopo il 
bombardamento di Donetsk da parte dell’aviazione di Kiev. I combattimenti 
aumentarono significativamente il pericolo di una situazione d’emergenza nelle 
imprese. L’impatto di un proiettile in una sottostazione della miniera, 
equivale a morte sicura per i minatori. Ecco perchè i minatori si sono uniti 
alle proteste. È interessante notare che i tentativi di Rinat Akhmetov di 
organizzare una protesta dei lavoratori a Mariupol contro la DNR pochi giorni 
prima, non ebbero molto successo.

Nel Donbass la maggior parte dei lavoratori si oppose al colpo dello stato di 
Kiev, simpatizzando con la DNR. E’ importante poi evidenziare come i 
partecipanti all'»Euromaydan» trattarono con disprezzo il proletariato del 
Donbass, chiamandolo «bestiame», cercando, poco prima del colpo di stato di 
esportare la loro » rivoluzione», tramite periodiche incursioni nel sud-est del 
paese. Proprio per il fatto che l'»Euromaydan» è stato appoggiato dagli 
oligarchi, inclusi quelli di Donetsk, il proletariato si è opposto ad esso. Nel 
Donbass risuonarono gli slogan contro gli oligarchi, non causati tuttavia da 
una protesta contro lo sfruttamento in quanto tale, ma contro i capitalisti 
intesi come sostenitori e partecipanti al colpo dello stato. Qui non abbiamo a 
che fare con una posizione di classe, ma con patriottismo locale. Niente di 
sorprendente, perché l’introduzione della coscienza di classe è compito dei 
comunisti. Altrimenti il proletariato continuerà a svolgere il ruolo di 
«sinistra della borghesia».

Dagli eventi in Donbass è possibile fare la seguente conclusione: in 
determinate circostanze le masse lasciano uno stato di indifferenza e sono 
pronte non solo ad una partecipazione passiva agli eventi, prendendo cioè parte 
a raduni e votando in un referendum, ma anche ad azioni attive. Sono pronti non 
solo a simpatizzare per un’ idea, ma anche a lottare per essa. Questo vale 
anche per i lavoratori. Con l’inizio della ostilità è stata creata la 
«Divisione dei Minatori», in cui entrarono a far parte in particolare i 
minatori della miniera Scochinskiy. Uno dei comandanti della divisione, che 
attualmente dirige un’organizzazione sindacale, è un minatore. La sua divisione 
ha preso parte a molte battaglie, tra cui la battaglia di Shakhtersk. 
L’esperienza militare dei lavoratori del Donbass ovviamente non passerà senza 
lasciare traccia. Infatti, la condizione necessaria per una rivoluzione 
socialista è il proletariato indurito nelle battaglie, guidato dal partito 
comunista rivoluzionario. Ma a proposito del ruolo del partito nel movimento 
operaio parleremo nelle parti seguenti dell’articolo, basate sulle opere di 
Lenin, Lukacs e Gramsci.

Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR



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