Segnalo l'articolo Habermas: la nuova sfera pubblica digitale, di Leonardo
Ceppa - https://www.leparoleelecose.it/?p=45439 -.
Mia convinzione: non è possibile neppure avviare il cammino senza la
possibilità, almeno teorica, di conoscere il nuovo linguaggio.
Semplificando al massimo: nella sfera digitale tutto - TUTTO - deve essere
trasparente, il business si fa aiutando, insegnando, spiegando ma l'intera
sfera deve essere trasparente.
Mia sintesi dell'articolo segnalato:
(1) - - L’infrastruttura mediale della nuova sfera pubblica deve fare i
conti da un lato con la deformata percezione dei fruitori prodotta dai
condizionamenti economici delle grandi piattaforme della rete, dall’altro
lato con il crescente scetticismo dei fruitori nei confronti della
democrazia, cioè nei confronti della credibilità delle istituzioni, della
imparzialità della scienza, della affidabilità delle informazioni. Ciò
significa che la sfera pubblica digitalizzata *trasforma in corto circuito*
la tensione normativa tra essere e dover essere. Essa* azzera *quel
dislivello cognitivo su cui si fondava – nella distinzione di interesse
privato e bene pubblico – l’autolegislazione democratica. La perdurante
assenza di ogni regolazione politica induce una crescente minoranza di
fruitori a rinchiudersi nelle “casse di risonanza” delle tifoserie di chi
la pensa dogmaticamente allo stesso modo.
(2.1) - - non si tratta soltanto di disciplinare il mercato delle
informazioni e dei dati sensibili.
(2.2) - - Nella sfera pubblica democratica si tratta di disciplinare non
gli standard qualitativi delle merci bensì gli standard cognitivi delle
informazioni.
Cordialmente, Duccio (Alessandro Marzocchi)

* * * * *

Nella teoria habermasiana della democrazia il concetto di “sfera pubblica”,
al di là della semplice demoscopia, unisce la società civile al sistema
politico. Sul piano funzionale, la sfera pubblica indica l’integrazione
della cittadinanza, sul piano politico l’autonomia dell’autolegislazione.
Come sempre in Habermas la mediazione dialettica passa attraverso gli
estremi: l’autonomia si basa sul sistema, il sistema è funzionale
all’autonomia. Così Habermas diventa invincibile: al normativismo di Rawls
contrappone il sistema di Marx e Luhmann, al funzionalismo di questi ultimi
contrappone l’idealismo di Kant e Rawls.

 La democrazia è l’anima spirituale della modernità, la modernità è
l’inevitabile sbocco di un processo. Qui il termine geniale, regalatoci da
Habermas all’inizio di questo saggio, è *normatives Gefälle*: dislivello
normativo, gradiente funzionale, divario che in un senso è pendenza e
bisogno, e nell’altro oltrepassamento e trascendenza. Da questa idea parte
tutto il discorso. Una metafora attinta dalla chimica, il carattere
*insaturo* dei diritti, spiega il segreto kantiano del dover-essere:
insopprimibile voce della coscienza privata e, nello stesso tempo, realtà
storica caratterizzante come *regolativo* ogni fenomeno sociale: dalle
aspettative del comportamento alle morali universalistiche dell’età assiale
fino alla pretesa illuministica dell’eguale rispetto e del pari trattamento.

La forma democratica del diritto moderno si basa sulla mediazione
dialettica di due ruoli antagonistici: cittadino privato e cittadino
pubblico. Membro egoistico della società di mercato il primo, partecipe
della sovranità legislativa il secondo. Sono i due pubblici della
democrazia habermasiana (*two tracks model of democracy*). I presupposti
funzionali della separazione Stato-società derivano dalla progressiva
autonomizzazione della sfera politica *borghese* rispetto a quella
religiosa e a quella della rappresentazione principesca. Sennonché sono
proprio questi presupposti funzionali ­– la netta separazione della società
dallo Stato, dell’utile privato dal bene comune – ciò che i social
digitalizzati degli ultimi decenni mettono in crisi. Infatti la sfera
pubblica digitalizzata deforma, confonde e privatizza *la percezione* di
quella separatezza funzionale di pubblico e privato che stava alla base
della sfera pubblica classica.

Quest’ultima presupponeva una *cittadinanza attiva* fondata a) sulla
cultura di una tradizione politica liberale, b) sulla relativa eguaglianza
patrimoniale dei privati e c) sulla precaria controspinta dei risarcimenti
dello Stato sociale alla centrifuga disgregazione capitalistica. Solo il
venir meno di questi presupposti funzionali spiega oggi i fenomeni della
rassegnazione civica (astensione elettorale), del populismo antipolitico,
della protesta di chi si avverte “fuori gioco”. Il cittadino avverte allora
la diseguaglianza come un destino insormontabile, come il definitivo “esser
travolto” da una modernizzazione tanto accelerata quanto politicamente
incontrollabile.

Ciò che nel populismo contemporaneo entra in crisi è proprio quel
“dislivello normativo” che collegava l’idealismo della deliberazione
democratica al realismo deludente della fattualità sociale. Ma Habermas non
è Adorno, e non si abbandona al pessimismo storicistico della decadenza.
Nella lunga nota 17 di pagina 34 lo vediamo tentare un *triplice salto
mortale* per sfuggire al positivismo della disperazione. Proviamo a
seguirlo in questa istruttiva oscillazione. Prima tesi pessimistica: la
formazione della opinione e della volontà non può sottrarsi al quadro
realistico della situazione di fatto. Seconda tesi ottimistica: tuttavia,
né i dati-di-fatto né la loro presa di coscienza sociologica possono
annientare, nell’elettorato attivo e passivo, la presunzione pregiudiziale
che gli organi rappresentativi, nel rispettare la volontà dell’elettorato,
seguano una politica di emancipazione. Terza tesi: un pessimismo che vuole
essere immediatamente smentito: «Tuttavia, come dimostra chi polemizza a
priori contro il sistema-dei-partiti, anche i cittadini più longanimi e
pazienti possono rovesciare in disperazione le loro convinzioni normative,
se queste vengono sottoposte a un continuo e generale disfattismo. Allora *Wir
sind das Volk*, noi siamo il *solo* popolo onesto che sa che cosa è vero e
che cosa è falso, mentre più nessun ponte argomentativo ci collega agli
altri cittadini corrotti» (p. 34). Qui trova spiegazione anche il populismo
italiano di chi intendeva aprire il sistema corrotto dei partiti “come una
scatola di sardine”.

Ma la digitalizzazione della sfera pubblica potrà sempre riscattarsi in una
sua autonomizzazione regolata. Nella storia millenaria della specie,
osserva Habermas, dopo l’invenzione della stampa ci vollero secoli prima
che tutti i cittadini imparassero a leggere. Così – *einstweilen*: per il
momento – non possiamo ancora sapere, secondo Habermas, se la
digitalizzazione continuerà in futuro a seguire il disastroso *run to the
bottom* dell’autoaccecamento oppure aiuterà i fruitori della rete a
diventare più* responsabili* per ciò che, come autori, hanno appena
imparato a “postare” sulle loro piattaforme.

Il carattere egualitario di questa autorizzazione universale alla
comunicazione si presentava all’inizio come una promessa di democrazia.
Oggi si vede che la sfera pubblica digitalizzata non produce altro che
caotici *rumori di fondo *in rimbombanti e scoordinate casse di risonanza (
*Echoräume*). «La lava di questo potenziale antiautoritario si presentava,
allo spirito californiano dei fondatori, come sostanzialmente egualitario.
Oggi questa lava si è raffreddata nella smorfia anarchica dei monopoli
digitali che governano il mondo» (p. 46).

Per intanto, nella formazione dell’opinione e della volontà dei cittadini,
Habermas ritiene che la sfera d’azione dei partiti tradizionali, fondati
sulla presenza *face to face* dei loro iscritti (cortei, comizi, circoli
territoriali, fino ai rappresentanti eletti in parlamento) passi *in
secondo piano* rispetto alla comunicazione pubblica di un sistema mediale
(dilatato e frammentato) in cui sono i rumori di fondo a condensarsi in
opinioni rilevanti ed effettive. La lotta dei partiti, come collettivi di
persone fisiche che discutono sul territorio dopo aver letto i giornali,
lascia sempre più spazio allo scontro delle opinioni idiosincratiche nello
spazio anonimo e semipubblico dei social.

Le trasmissioni della sfera pubblica classica, nella separazione di privato
e pubblico, collegavano in *due ruoli* separati il trasmittente e il
ricevente: identificabili autori e redattori da un lato, pubblico anonimo
di lettori, ascoltatori e spettatori, dall’altro. Per contro le *nuove*
piattaforme audiovisive, che vengono progressivamente a sostituire i
giornali, producono uno scambio spontaneo di contenuti da parte di un
numero infinito di fruitori. La nuova sfera pubblica digitale è dilatata e
polverizzata. Mentre il vecchio rapporto di trasmittente e ricevente era
*asimmetrico* – autore da un lato, ricevente dall’altro – i nuovi legami
pagano la loro *reciprocità* con il prezzo di una confusa indeterminatezza
tra pubblico e privato, potenziale cognitivo e narcisismo esibizionistico,
proposta ragionevole e intimità sregolata.

Le nuove reti comunicative, sviluppandosi all’infinito in maniera
centrifuga, *si sigillano* dogmaticamente l’una contro l’altra. In questo
saggio del 2021, l’analisi di Habermas non poteva certo prendere atto
dell’abisso di regressione internazionale che si è aperto al centro
dell’Europa il 24 febbraio 2022. Le sfere pubbliche occidentali risultano
da allora ferocemente aggredite dal totalitarismo dei nuovi imperi
geopolitici. La digitalizzazione è oggi subissata dal rumore delle
cannonate. Ma per Habermas la *post-truth-democracy* dell’era Trump e
l’assalto al Campidoglio avevano già fornito esempi evidenti della
regressione populista e della corruzione della sfera pubblica nella più
potente nazione democratica dell’Occidente.

L’infrastruttura mediale della nuova sfera pubblica deve fare i conti da un
lato con la deformata percezione dei fruitori prodotta dai condizionamenti
economici delle grandi piattaforme della rete, dall’altro lato con il
crescente scetticismo dei fruitori nei confronti della democrazia, cioè nei
confronti della credibilità delle istituzioni, della imparzialità della
scienza, della affidabilità delle informazioni. Ciò significa che la sfera
pubblica digitalizzata *trasforma in corto circuito* la tensione normativa
tra essere e dover essere. Essa* azzera *quel dislivello cognitivo su cui
si fondava – nella distinzione di interesse privato e bene pubblico –
l’autolegislazione democratica. La perdurante assenza di ogni regolazione
politica induce una crescente minoranza di fruitori a rinchiudersi nelle
“casse di risonanza” delle tifoserie di chi la pensa dogmaticamente allo
stesso modo.

Così, alla crescente massa di chi si astiene dal voto, si aggiunge il
carattere propagandistico di minoranze faziose che si credono vittime di
complotti planetari: bolle di *disrupted public spheres* che vedono
nell’Occidente l’origine di tutti mali, nei vaccini l’infusione satanica di
veleni, negli aiuti all’Ucraina gli effetti del bellicismo americano e la
causa dell’inflazione incontrollabile. In senso contrario hanno preso
vigore i tentativi di regolare giuridicamente l’anarchia della rete, sia
facendo pagare le tasse ai proprietari delle piattaforme sia disciplinando
i discorsi d’odio dei fruitori.

Sennonché Habermas mette in guardia dal fraintendere la natura normativa di
questo controllo pubblico della rete: non si tratta soltanto di
disciplinare il mercato delle informazioni e dei dati sensibili. Le
commissioni europee addette al controllo della concorrenza e dei monopoli
sbaglierebbero, secondo Habermas, ad applicare semplicemente il diritto
privato della società mercantile. Nella sfera pubblica democratica si
tratta di disciplinare non gli standard qualitativi delle merci bensì gli
standard cognitivi delle informazioni. Come stampa, radio e televisione
sono già oggi obbligati a correggere le falsità che hanno diffuso, così
anche i contenuti delle piattaforme non potranno sottrarsi all’obbligo di
cautela e al dovere di diligenza (*duty of care, Sorgfaltsplicht*) che
sovrintende al dislivello normativo della democrazia.

Si vede qui l’ambizione enorme della teoria habermasiana della democrazia:
controllare e misurare l’autonomia dei *due pubblici* su cui essa si basa.
Società e Stato si coniugano tra loro passando attraverso gli estremi (il
dislivello normativo da cui siamo partiti). La stessa struttura massmediale
che regola il pluralismo anarchico della *società*, trasformandola nella
cassa di risonanza dei problemi che spetta allo Stato risolvere, regola
anche le decisioni vincolanti degli *organi rappresentativi*, cui spetta
realizzare l’autolegislazione della cittadinanza sovrana. L’amministrazione
statale deriva la sua legittimità soltanto dal popolo: dunque lo Stato non
può regolare e programmare sé stesso con logica tecnocratica, economica,
neoliberistica.

Naturalmente, secondo Habermas, l’uomo può anche decidere di *spegnere* il
riflesso creaturale della sua libertà. Allora l’azzeramento del dislivello
normativo si manifesterà sia nella ingovernabilità della cacofonia
propagandistica sia nel totalitarismo dello Stato. Di qui le difficoltà cui
Habermas costringe il lettore di questo saggio: una analisi senza
indicazione di sbocco. Da un lato echeggia il ricordo del “cervello nella
vasca”, di cui parlava Hilary Putnam, dall’altro l’idealismo normativo
della *Teoria della giustizia* di Rawls.

 Ecco allora le parole con cui Habermas conclude il suo saggio: «In un
mondo inimmaginabile di *Fake news* – che come tale non potrebbe neppure
identificare sé stesso, distinguendosi dalle informazioni vere – nessun
bambino potrebbe crescere senza sviluppare sintomi clinici. Dunque non ci
serve una direttiva politica, bensì un imperativo costituzionale: quello di
conservare una struttura mediale che renda possibile il carattere inclusivo
della sfera pubblica e il carattere deliberativo della pubblica formazione
dell’opinione e della volontà» (p. 67).

*Nota al titolo dell’articolo*

1 <https://www.leparoleelecose.it/?p=45439#sdfootnote1anc> Jürgen
Habermas, *Überlegungen
und Hypothesen zu einem erneuten Strukturwandel der politischen
Öffentlichkeit*, raccolto in M. Seeliger, S. Sevignani (a cura di), *Ein
erneuter Strukturwandel der Öffentichkeit?* (=*Leviathan*. *Sonderband 37*)
Baden-Baden 2021. Il saggio viene ripreso nel recente volume J. Habermas, *Ein
neuer Strukturwandel der Öffentlichkeit und die deliberative Politik*,
Surhkamp Verlag, Berlin 2022, pp. 9-67.


Il giorno gio 1 ago 2024 alle ore 07:45 <nexa-requ...@server-nexa.polito.it>
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> from the European Commission's Open Source Observatory provides an in-depth
> qualitative analysis of open source policy across 15 European and
> non-European countries. It is based on the research carried out for the
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> https://joinup.ec.europa.eu/collection/open-source-observatory-osor/open-source-software-country-intelligence>
> by the OSOR team. Highlighting the increasing importance of open source
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> Key findings reveal that governments, including those in the EU, are
> adopting open source to enhance digital sovereignty, data privacy, and
> control over digital infrastructures. Open source has proven crucial during
> crises like the COVID-19 pandemic, improving transparency and accelerating
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> The report underscores the role of cities, regions, and municipalities in
> driving open source adoption due to its cost-effectiveness and local
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> providers are essential for implementing regional digital services.
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> [….]
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> Content-Type: text/plain; charset=ISO-8859-1
>
> > ci sono le bugie, le maledette bugie, e i benchmark .. :-)
> > comunque quando i modelli multilingua di Meta, DeepMind e Mistral sui
> > benchmark italiani vanno al doppio di quelli 'autarchici', qualcosa dovrà
> > pur dire
>
> Se per questo vanno anche venti volte meglio [1], ma è un numero che non
> vale nulla.
> Stiamo confrontando mele con pere.
> Alcuni sono Base model, altri SFT (Supervised Finetuning), RM (Reward
> Modeling), RL (Reinforcement Learning) model.
> I Base model (come Minerva-3B-base) non sono assolutamente adatti per
> questo tipo di confronti.
> Oltre, ovviamente, al fatto che 3B è un tantino meno di 405B.
> Lungi da me parteggiare per i modelli autarchici per amor patriae, sul
> Modello Italia non credo di esserci andato leggero [2], ma da qui a dire
> che i modelli multilingua sono migliori a prescindere non mi trova
> d'accordo.
> I modelli multilingua sono solo un enorme spreco per l'ambiente.
> Prendiamo un Minerva-3B-base, gli diamo in pasto qualche centinaio di
> migliaia di prompt di buona qualità (sono sufficienti un centinaio di
> GPU/days per il reinforcement learning) e poi rifacciamo girare lo script
> di benchmark. Scommettiamo che il divario diminuisce?
>
> A.
>
> [1]
> claude-3.5-sonnet: 92.2
> Meta-Llama-3.1-405B-Instruct: 86.1
> gpt-4-turbo: 86
> gemini-pro-1.5: 81.2
> ...
> Minerva-3B-base-v1.0: 4.9
>
> [2] https://www.saela.eu/modelloitalia/
>
>
> ------------------------------
>
> Message: 3
> Date: Thu, 1 Aug 2024 07:44:44 +0200
> From: Guido Vetere <vetere.gu...@gmail.com>
> To: Antonio <anto...@piumarossa.it>
> Cc: nexa@server-nexa.polito.it
> Subject: Re: [nexa] i language model alle prove INVALSI
> Message-ID:
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> cad3hhb662tydlyautnxx8ck9-y1codntnbqlubmtgg0hb4y...@mail.gmail.com>
> Content-Type: text/plain; charset="utf-8"
>
> Certo, confrontiamo le cose comparabili.
>
> Tra i modelli c.d. 'aperti' di dimensioni <= 70B spiccano oggi Llama 3.1
> 70B (82.7) e gemma-2 27B (80.7), che hanno ormai prestazioni comparabili
> con i modelli 'chiusi' come GPT e Claude (non parlo solo del task INVALSI
> naturalmente, la situazione 'sul campo' sta diventando molto interessante).
>
> I modelli italianissimi sono saldamente in fondo, anche quelli instructed.
> Un po' certamente si deve alle dimensioni (d'altra parte su come costruire
> un 70B solo con testi italiani 'kosher' nessuno ha uno straccio di idea),
> un po' si deve alle instruction, diciamo che ci si dovrà lavorare, però mi
> sembra che l'autarchia linguistica non stia producendo grandi risultati
> fino ad oggi.
>
> Infine certo: un benchmark è solo un benchmark (anche quelli 'standard'
> come le risposte multiple), la vera misura l'avremo quando potremo
> ragionare sull'adozione.
>
> Cheers,
> G.
>
>
>
> On Wed, 31 Jul 2024 at 19:37, Antonio <anto...@piumarossa.it> wrote:
>
> > > ci sono le bugie, le maledette bugie, e i benchmark .. :-)
> > > comunque quando i modelli multilingua di Meta, DeepMind e Mistral sui
> > > benchmark italiani vanno al doppio di quelli 'autarchici', qualcosa
> dovrà
> > > pur dire
> >
> > Se per questo vanno anche venti volte meglio [1], ma è un numero che non
> > vale nulla.
> > Stiamo confrontando mele con pere.
> > Alcuni sono Base model, altri SFT (Supervised Finetuning), RM (Reward
> > Modeling), RL (Reinforcement Learning) model.
> > I Base model (come Minerva-3B-base) non sono assolutamente adatti per
> > questo tipo di confronti.
> > Oltre, ovviamente, al fatto che 3B è un tantino meno di 405B.
> > Lungi da me parteggiare per i modelli autarchici per amor patriae, sul
> > Modello Italia non credo di esserci andato leggero [2], ma da qui a dire
> > che i modelli multilingua sono migliori a prescindere non mi trova
> > d'accordo.
> > I modelli multilingua sono solo un enorme spreco per l'ambiente.
> > Prendiamo un Minerva-3B-base, gli diamo in pasto qualche centinaio di
> > migliaia di prompt di buona qualità (sono sufficienti un centinaio di
> > GPU/days per il reinforcement learning) e poi rifacciamo girare lo script
> > di benchmark. Scommettiamo che il divario diminuisce?
> >
> > A.
> >
> > [1]
> > claude-3.5-sonnet: 92.2
> > Meta-Llama-3.1-405B-Instruct: 86.1
> > gpt-4-turbo: 86
> > gemini-pro-1.5: 81.2
> > ...
> > Minerva-3B-base-v1.0: 4.9
> >
> > [2] https://www.saela.eu/modelloitalia/
> >
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> End of nexa Digest, Vol 184, Issue 1
> ************************************
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