--- strategie per la comunicazione indipendente http://www.rekombinant.org/media-activism ---
Anche Bologna rientra in questa inchiesta, e allora facciamola conoscere: La coscienza di Cipputi e la crisi del pensiero unico liberista L'inchiesta tra i lavoratori conferma che sono finiti "i maledetti anni Novanta". In questi giorni, diversi sondaggi (vedi Demos per La Repubblica e SWG per Confindustria-Mediaset), hanno confermato quanto era già emerso dall'inchiesta tra i lavoratori italiani realizzata dal Cestes e recentemente pubblicata nel libro "La coscienza di Cipputi" (edizioni Mediaprint, Roma). Le risposte ottenute dall'inchiesta relative alla sfera immateriale - lo Stato, la "politica", l'Europa - hanno infatti rivelato una realtà di estremo interesse per comprendere la soggettività dei lavoratori nel nostro paese. I risultati emersi dalla prima parte dell'inchiesta, quella dedicata alla condizione materiale dei lavoratori, rivelano una crescente contraddizione tra le aspettative e la realtà che viene offerta dal modello economico-sociale dominante: salari bassi e insufficienti, frustrazione delle proprie ambizioni personali e professionali, sottovalutazione del personale da parte delle aziende a fronte della disponibilità dei lavoratori, diffidenza ed insicurezza verso il dogma della flessibilità. La seconda e terza parte dell'inchiesta è andata invece ad investigare come questo "rumore di fondo" sempre più forte e tendenzialmente rabbioso, si sia dialettizzato con gli istituti della sfera politica e statale. Il questionario ha scavato a fondo su come i lavoratori percepiscono il ruolo dello Stato, dei sindacati, dei partiti e dell'unificazione europea. E qui i risultati sono stati di straordinario interesse per chi - avendo coscienza o ignorando la condizione sociale dei lavoratori - cerchi in qualche modo di organizzarne o, al contrario ostacolarne, l'emancipazione politica, culturale e sindacale. Sono finiti "i maledetti anni Novanta" Due aspetti vanno rilevate subito come premessa e sintesi della analisi "politica" dei risultati dell'inchiesta. Il primo aspetto è relativo al fatto che buona parte dei questionari sono stati compilati quando ancora non si era esaurita l'onda lunga dei maledetti anni Novanta. Con ciò si vuole sottolineare l'influenza ideologica e culturale sui lavoratori dovuta alla stabilità politica e della tregua sociale assicurati dal 1993 al 2001 dall'accordo tra governi di centro-sinistra e sindacati confederali fondato sulla rincorsa per l'entrata nell'Europa di Maastricht, sulla concertazione, sulla politica dei redditi e sul crollo/controllo della conflittualità sociale. Oggi quel quadro di stabilità politica e patto sociale é stato rotto sia attraverso l'opposizione alla vittoria del blocco di centro-destra guidato da Berlusconi sia dal manifestarsi evidente di una crisi economica e sociale a livello interno ed internazionale. Questa rottura sta producendo - almeno nella percezione - una maggiore consapevolezza politica dei fattori di disagio nella condizione sociale dei lavoratori. Se parlare male degli accordi di Maastricht negli anni Novanta era una "eresia", oggi di fronte agli effetti dell'introduzione dell'euro sul carovita è diventato un elemento di consapevolezza assai più diffuso. Se parlare di difesa dello Stato sociale e della spesa pubblica durante il governo dell'Ulivo era un "tradimento" della scommessa europea e della logica del "risanamento" e del mercato, oggi le resistenze allo smantellamento del sistema sicurezza sociale vengono da settori sempre più vasti della società. Di fronte al fallimento doloroso del modello neoliberista, parlare ad esempio di intervento dello Stato non appare più una bestemmia. Lo Stato sociale non si abbatte ma si cambia Il 67,8% dei lavoratori intervistati non crede affatto alla tesi secondo cui "c'è troppo Stato e poco mercato". Di questi, più di sette su dieci sono lavoratori dei servizi privati dove bassi salari e precarietà dilagano. Ma nel 32,2% che rede il contrario ed ha fatto proprio un concetto diffuso a piene mani dagli opinion maker liberisti, quattro su dieci sono lavoratori dell'industria. Quasi otto su dieci (79,8%) e più di sei su dieci (62,4%) ritengono che "lo Stato sia un fattore di equilibrio tra pubblico e privato" e che "lo Stato debba fungere da mediatore nei conflitti di lavoro". E' questo lo spazio oggettivo in cui convivono sia la logica della concertazione che la percezione della sfera pubblica come difesa dalla arroganza e dalla spregiudicatezza degli imprenditori privati. Infatti se il 19% sostiene che il ruolo mediatore dello Stato "accontenta sia i padroni che i sindacati", ben il 43% percepisce lo Stato come "argine ai padroni". Questa percezione si conferma anche dentro quel 32% il quale sostiene che ci sia "troppo Stato o che lo Stato ostacoli l'economia privata". Infatti di essi quasi sei su dieci (59,2%) si dicono d'accordo sul ruolo mediatore dello Stato nei conflitti di lavoro. Ma la cartina di tornasole è la risposta su chi debba dare soluzioni alla disoccupazione. In questo campo i sostenitori del ruolo divino del mercato sono una estrema minoranza (il 20%) ed anche nella minoranza più corposa di coloro che ritengono troppo invandente (il 32%), schizzano al 73,3% quelli che ritengono più idoneo lo Stato piuttosto che il mercato nel dare soluzione alla disoccupazione. Ma la parte dell'inchiesta dedicata al ruolo dello Stato, ha portato alla luce risposte ancora più interessanti quando si è entrati nel merito di uno dei dogmi degli anni Novanta: le privatizzazioni. Su questo, é emersa clamorosamente la contraddizione tra il senso comune diffusosi in questi anni a favore della privatizzazione e la percezione del pericolo rappresentato dalla liquidazione del sistema di sicurezza sociale. Se è vero che più di un lavoratore su due (il 52,8%) si dice d'accordo ad una privatizzazione totale (il 16,4%) o parziale (36,4%) delle aziende econo e statali nei servizi strategici (energia, telefonia, trasporti), si assiste ad un vero e proprio "pblebiscito" con il 71,3% degli intervistati contrari alla privatizzazione dei servizi sociali (pensioni, sanità, scuola). Incrociando i dati con le motivazioni, scopriamo però che quel 52% di lavoratori d'accordo con le privatizzazioni delle aziende economiche statali quando deve argomentare il suo giudizio rivela un allarme superiore alla presa di posizione assunta in via di principio (portando al 64,3% coloro che danno un giudizio negativo sulle privatizzazioni dei servizi strategici). Infatti il 42,7% degli intervistati sostiene che "è meglio che le attività economiche importanti restino nelle mani dello Stato", ad essi va aggiunto il 21,6% secondo cui "le aziende privatizzate aumentano le tariffe e licenziano i lavoratori". Contro la privatizzazione dei servizi sociali (pensioni, sanità, scuola) piuttosto che delle attività economiche (energia, telecomunicazioni, trasporti), c'è una maggioranza compatta dei lavoratori di tutti i settori: più di sette su dieci. Anche tra coloro che prima si erano pronunciati per una riduzione del ruolo dello Stato e maggiore spazio al mercato, quando si passa a parlare dei servizi sociali più della metà (il 54%) si esprime contro la privatizzazione. Tenendo conto di differenze talvolta notevoli tra i vari settori (contrari alle privatizzazioni si dicono nettamente quasi l'80% dei lavoratori del pubblico impiego, il 71% nei servizi privati ma si scende al 68% nell'industria), è chiaro che questo orientamento conferma da un lato le preoccupazioni per il mantenimento di un sistema di welfare state sotto costante minaccia e dall'altro indica un chiaro spazio politico, sindacale e culturale di consenso ad una battaglia contro lo smantellamento della sicurezza sociale. Un no alla rappresentanza politica blindata L'inchiesta è andata poi ad indagare il rapporto tra la "politica" e i partiti o a disposizione sul piano della rappresentanza. E qui il dato rivela un deficit di rappresentanza piuttosto evidente: solo il 36,2% dei lavoratori intervistati si sente rappresentato da un partito politico. Con punte del 32,2% nel Nord (sia a ovest che a est) e - al contrario - del 41,6% nel centro Italia tra coloro che si sentono in qualche modo rappresentati da un partito, si ha la netta percezione del vuoto che si è aperto nelle aree industriali del paese e della "tenuta" nelle regioni centrali dove è ancora consolidato l'insediamento storico della sinistra. I sindacati solo in parte riescono a veicolare consenso politico verso i partiti. Infatti tra i lavoratori iscritti ad un sindacato solo il 41,7% si sente rappresentato da un partito, mentre tra i non iscritti si scende al 31%. Solo meno di quattro su dieci lavoratori che hanno risposto di ritenere utile la "lotta collettiva" si sentono rappresentati politicamente. Più che la estraneità si manifesta con forza la disillusione. Tra chi è "stato deluso dal partito in cui credeva prima" e chi "non capisce più chi sia di destra o di sinistra", si arriva al 50% degli intervistati, mentre la mobilità di orientamento elettorale di chi "decide di volta in volta quale partito votare" appare una quota ridotta (il 15,1%). Ma il dato più sorprendente e che rivela chiaramente un elemento di forte indipendenza culturale e "politica" dei lavoratori, è quello relativo ai sistemi elettorali. Nonostante i plebisciti referendari, l'omogeneità di orientamento di quasi tutti i partiti e il martellamento mediatico, il 62,9% dei lavoratori intervistati si pronuncia a favore del sistema elettorale proporzionale piuttosto che di quello maggioritario. Su questo orientamento si divaricano però i settori: i più "proporzionalisti" sono quelli del pubblico impiego con il 65,8%, i più "maggioritaristi" sono quelli dell'industria dove il proporzionale convince invece il 59,8% degli intervistati. Co successo tra il plebiscito referendario del 1993 e il periodo in cui è stata condotta l'inchiesta? E' possibile che le poche tornate elettorali con il nuovo sistema maggioritario abbiano già disilluso così profondamente i lavoratori? I dati - e non solo quelli dell'inchiesta - dicono di sì e se l'inchiesta rileva che i più proporzionalisti sono in Italia centrale (con il 67,9%), ci sarebbe abbondante materia di riflessione per i dirigenti dei DS che continuano a sostenere un sistema antidemocratico come quello maggioritario facendolo "ingoiare" a buona parte dei loro elettori. Esiste dunque un crescente deficit di rappresentanza politica del mondo del lavoro che non casualmente leader provenienti dai sindacati (Bertinotti, D'Antoni, Cofferati) stanno cercando di riempire con maggiori e minori fortune. Il totem dell'Europa e la realtà di Maastricht L'altro grande totem con cui si è misurata l'inchiesta è stato quello sull'Europa. I risultati si sono rivelati di straordinario interesse. Essi confermano la divaricazione tra il senso comune imposto dal pensiero dominante, dalle martellanti campagne mediatiche e dalla convergenza politico-culurale dei partiti con le verifiche sulla realtà fatte concretamente dai lavoratori. Il 70,7% dei lavoratori intervistati si è infatti espresso a favore dell'Unione Europea. La punta più bassa di questi consensi la troviamo tra i lavoratori dell'industria (dove si scende al 65,3%) nonostante che, a livello geografico, sia proprio il Nord Ovest ad esprimere maggiori consensi verso l'Unione Europea (76,3%) mentre nel Meridione si scende al 65,6%. Si potrebbe parlare quasi di un plebiscito europeista, anche se non si possono sottovalutare, in un clima di apparente unanimismo, le nicchie di "euroscettiscismo" che vanno tra il 30 e il 37% nei vari settori produttivi e nelle varie aree regionali. Le aspettative sugli effetti benefici dell'Unione Europea sono elevati. Quasi sette su dieci ritengono che dizioni di vita, i servizi e la cultura" (42,4%) o che questa "darà una prospettiva più sicura ai giovani" (23,7%). Questa aspettativa sul miglioramento scende però di quasi sette punti (35,8%) tra i lavoratori dell'industria, un dato questo che conferma il maggiore scetticismo di chi sta in fabbrica e già rilevato nella domanda generale. Se i consensi più alti li troviamo tra chi in precedenza si era detto favorevole alle privatizzazioni (con l'86,6%) e più bassi tra chi si era detto contrario alle privatizzazioni (con il 60,2%), spicca il dato secondo cui quasi otto su dieci dei lavoratori (il 76,3%) che si sentono rappresentati dai partiti giudica positivamente l'Unione Europea. Un dato analogo lo verifichiamo nelle aziende dove viene percepita come maggioritaria l'influenza di CGIL CISL UIL o dei sindacati autonomi (con il 70% dei consensi). Dunque l'orientamento quasi unanime dei partiti e dei sindacati confederali sull'Europa ha creato un vasto serbatoio di consenso. Al contrario, nelle aziende dove è percepita con maggiore forza la presenza dei sindacati di base, i consensi sull'Unione Europea scendono di cinque punti (65%) e scendono ancora di più lì dove ci sono sindacati di orientamento leghista (50%). Ma la verifica più interessante della contraddizione tra senso comune e realtà delle proprie condizioni sociali, emerge quando l'inchiesta entra nel merito delle valutazioni sulle conseguenze del processo che ha portato all'Unione Europea. Infatti solo il 31,5% dei lavoratori ritiene che "gli accordi europei hanno migliorato le proprie condizioni di vita". E' una contraddizione evidente: il 70% valuta positivamente l'Unione Europea ma solo tre su dieci hanno valutato positivamente gli effetti sociali della sua applicazione. I più disincantati appaiono i lavoratori del pubblico impiego (con il 72,2% delle valutazioni negative) e, come già visto, quelli delle fabbriche (con il 71,2%), i meno disincantati sono i lavor ori dei servizi privati (66,2%). Il pensiero unico liberista è in crisi di credibilità Ma perchè i lavoratori non hanno una percezione positiva degli effetti innescati dagli accordi di Maastricht? Lo zoccolo duro (il 47,6%) ritiene di "aver fatto troppi sacrifici senza benefici" o "di aver pagato troppe tasse per entrare in Europa". Gli europeisti avrebbero la tentazione di liquidare questo indicatore di controtendenza come qualunquismo o sbrigativamente come euroscetticismo. Al contrario, il giudizio negativo di merito sull'Unione Europea, attiene a ragioni molto concrete e molto legate alla condizione sociale dei lavoratori. Il 97% di coloro che si sono pronunciati negativamente sull'Unione Europea lo fanno perchè non ritengono "che gli accordi europei migliorino le proprie condizioni di vita". Lo stesso fanno il 76,7% di coloro che si erano pronunciati contro le privatizzazioni. Non si tratta dunque di semplice disincanto o scetticismo, al contrario, ci sono tutte le caratteristiche di un pensiero "politico" autonomo di una buona parte del lavoro dipendente in Italia che ha resistito alle sirene della logica mercato, della competizione e del totem europeo nonostante questi fossero gli assi portanti del cosiddetto pensiero unico. E' un ottimo indicatore su cui lavorare tenendo conto delle due osservazioni preliminari: oggi si sta esaurendo l'egemonia culturale "dei maledetti anni Novanta" e tra i lavoratori si stanno riaffacciando o recuperando elementi di identità sociale e politica più marcati che rispetto a qualche anno fa. Seppur sospinte da una crescente rabbia dovuta alle evidenti contraddizioni tra le aspettative sociali maturate e la miseria che offre la realtà, questo che è stato definito un "rumore di fondo" non sembra voler andare oltre un riformismo "radicale". Il sistema dominante non è ancora in discussione, ma alcuni suoi istituti (vedi il sistema elettorale maggioritario, le privatizzazioni o il totem dell'U no oggi "sulla graticola". La crisi politica, morale e materiale del dogma neoliberista è evidente in Italia come nel resto del mondo (da Seattle a Durban). Il problema è come rovesciarla contro il sistema del capitale nel suo complesso e nelle sue varianti congiunturali, neokeynesiane o semi-liberiste che siano. I dati completi dell'inchiesta e i commenti di Filippo Viola, Luciano Vasapollo, Rita Martufi, Sergio Cararo, Mauro Casadio curatori dell'inchiesta stessa, li potete trovare su "La coscienza di Cipputi" in libreria oppure telefonando al Cestes:06-7628275 ( http://space.tin.it/economia/rmartufi/ ) ___________________________________________ Rekombinant http://www.rekombinant.org