Sul Manifesto di oggi si legge un articolo di Ralph Nader "Pentagono connection",  si legge fra l'altro...L'economia militare prosciuga quella civile e questo trend è stato accelerato da quello che Melman chiamaun "gigantesco cambiamento" dell'economia americana...Gli stati e le città roportano deficit sempre più profondi....." vedere anche www.commondreams.org

Pochi giorni fa parlavo con Achille Lodovisi (ricercatore Ires Toscana) delle possibili risposte del movimento contro questa guerra (e quelle che a catena si potrebbero innescare), che includessero oltre  le grandi manifestazioni, una riflessione sulla fine della produzione militare. Fine che costerebbe molto meno a tutt@ attraverso il pensionamento dei lavoratori interessati, piuttosto che continuare a gonfiare le spese militari (che non si devono calcolare solo attraverso i dati della finanziaria). A Genova durante il G8 come gruppo di lavoratori ed ex lavoratori abbiamo portato un appello in cui si chiedeva di adoperare anche lo strumento del reddito di cittadinanza. Ve lo riporto insieme ad un articolo apparso su Guerra&Pace. 


GUERRE&PACE - APRILE - 2002
IL MESTIERE DELLE ARMI
L’industria bellica italiana
di Achille Lodovisi
Dal "successo" di vendite degli anni Ottanta alla crisi: il settore bellico italiano tra ristrutturazioni (pagate dai lavoratori) e nuove alleanze europee.
Nasce un nuovo complesso militare-industriale capace di condizionare le politiche dei paesi dell’Unione Europea
Spesso quando si affronta il tema dell’industria militare in Italia si dimentica di percorrere i tratti salienti della sua storia recente.
IL SUCCESSO DEL MADE IN ITALY
Il successo incontrato dalle armi "made in Italy" negli ultimi anni Settanta e nella prima metà degli anni Ottanta non fu dovuto a reali vantaggi competitivi, bensì alla "divisione internazionale del lavoro" in campo occidentale che riservò all’industria nostrana, favorita da pochissime restrizioni e controlli sulle esportazioni, nicchie di mercato (piccole armi, velivoli addestratori, mine, artiglieria) nelle zone di grande tensione del Terzo Mondo o in paesi nei quali le altre potenze industriali dell’Occidente, Usa in testa, preferivano non comparire per motivi di "opportunità politica" (Sudafrica, Iran, Iraq, Libia, Argentina, Brasile ecc.).
Nel periodo 1986-89 precedente all’entrata in vigore della legge 185/90, che vieta le vendite di armi a paesi in conflitto o che violano i diritti umani (vedi scheda I mercanti di morte alla riscossa), in media i valori delle esportazioni effettuate e delle autorizzazioni furono nell’ordine dei 1.220 e 1.774 miliardi, quote assai vicine, se non lievemente inferiori, a quelle fatte registrare nel periodo 1992-2000 con la legge operante, ovvero 1.333 miliardi di lire per le esportazioni effettuate e 2.043 per quelle autorizzate.
Viene quindi palesemente a mancare di forza la tesi secondo cui l’entrata in vigore della 185/90 avrebbe gravemente danneggiato le esportazioni italiane nel settore, peraltro trascurabili rispetto al valore complessivo del commercio estero dell’Italia.
LA CRISI DEGLI ANNI OTTANTA E NOVANTA
Nel 1985 il fatturato dell’industria delle armi italiane dipendeva per più del 50% dalle esportazioni verso i paesi in via di sviluppo e l’occupazione stimata in quegli anni si aggirava sulle 80.000 unità, con 40.000 addetti nell’indotto; per quanto riguardava gli assetti proprietari, il comparto era dominato da due grandi poli uno composto da aziende pubbliche in gran parte appartenenti ai gruppi Iri ed Efim, l’altro da società del gruppo Fiat.
All’inizio degli anni Novanta la crisi dell’industria italiana si aggravò evidenziando i limiti di un settore caratterizzato da sovrapposizioni, duplicazioni e sprechi. Le alternative che si presentarono furono essenzialmente due: da un lato la "razionalizzazione" del comparto attraverso la concentrazione della proprietà, la chiusura delle aziende non inserite nei settori "d’eccellenza" capaci di sostenere il confronto sui mercati internazionali, il ricorso massiccio ai licenziamenti e agli ammortizzatori sociali; dall’altro la riconversione e diversificazione verso produzioni del settore civile, con l’obiettivo di salvaguardare i livelli occupazionali e promuovere lo sviluppo tecnologico in settori quali le energie alternative, la tutela del territorio, lo sviluppo di sistemi e reti di trasporto moderni ed efficienti. Prevalse la prima opzione.
LA CONCENTRAZIONE DELLE PROPRIETÀ
Nel 1994 il processo di concentrazione dell’industria a produzione militare italiana ha vissuto un passaggio decisivo attraverso la liquidazione delle società del gruppo Efim e il loro assorbimento da parte di Iri-Finmeccanica. Quest’ultima, a partire dal 1° gennaio 1996, ha incorporato Agusta, Agusta Omi, Agusta Sistemi, Elicotteri Meridionali, Oto Melara, Breda Meccanica Bresciana, Officine Galileo e Sma, aumentando contemporaneamente il proprio capitale sociale di 1.772 miliardi di lire. La bipolarità del settore (polo pubblico gestito da Finmeccanica e polo privato egemonizzato dalla Fiat con le società FIiat Aviazione, Iveco e Gruppo Difesa e Spazio) ne uscì ulteriormente rafforzata, ma le operazioni di riassetto e concentrazione coincisero con una drastica riduzione dell’occupazione, in linea con quanto stava accadendo negli Usa e nei principali paesi produttori dell’Europa Occidentale.
Nel 1997, secondo i dati resi noti dall’Associazione Industrie per l’Aerospazio, i Sistemi e la Difesa (Aiad), gli occupati erano 47.500 e il fatturato di tutte le imprese, incluse le attività del settore civile, si aggirava sui 13.000 miliardi.
JOINT VENTURES EUROPEE
In quei mesi prendeva avvio l’incorporazione dei settori di punta dell’industria militare italiana nei colossi europei in via di formazione e consolidamento. Nel dicembre 1998 venne costituita la Alenia Marconi Systems, joint-venture paritetica tra Marconi Electronic Systems e Finmeccanica. Quest’ultima fece confluire nella struttura operativa dell’accordo i comparti missilistico, radaristico e dei sistemi navali.
Il processo di concentrazione in atto nell’industria britannica ha portato alla nascita della Alenia Marconi Systems (Ams) con le attività del settore dei sistemi radar navali e terrestri, un gigante di livello mondiale, presente in circa 100 paesi.
Successivamente (2001) le attività nel settore missilistico a livello europeo sono state concentrate nella Matra Bae Dynamics Alenia (Mbda), società alla quale Finmeccanica partecipa per il 25% e che ha assorbito le produzioni missilistiche (aria-superficie, antinave e superficie-aria) di Matra Bae Dynamics, Eads Aerospatiale Matra Missiles e Ams. Si tratta del secondo gruppo mondiale dopo la statunitense Raytheon; Finmeccanica, per compensare i maggiori apporti di attività dei partners anglo-franco-tedeschi, verserà un conguaglio di 1.500 miliardi di lire.
Nel 1998 è stato siglato l’accordo per la costituzione della joint-venture paritetica nel settore elicotteristico tra Agusta e l’inglese Gkn-Westland, e anche in questo caso è sorto un raggruppamento (Agusta-Westland) di dimensioni mondiali.
Nell’aprile del 2000 si è perfezionato un altro passo avanti nel processo di internazionalizzazione dell’industria italiana, quello che ha visto la costituzione dell’ennesima joint-venture paritetica tra Finmeccanica ed Eads nel settore aeronautico civile e militare (fatturato previsto nel 2001 più di 2,5 miliardi di euro); in seguito tutte le attività del gruppo Finmeccanica nel settore, sia civili che militari, sono state concentrate in Alenia Aeronautica che, nel 2000, vantava un portafoglio ordini complessivo di 7.229 miliardi, 4.566 dei quali per il solo programma Eurofighter.
IL POLO "PUBBLICO"
Successivamente all’accordo Finmeccanica è stata trasformata in holding e si è avviato il processo di privatizzazione che ha portato, a tutto il giugno 2001, a lasciare in mano pubblica (Ministero del Tesoro e Iri) il 37,4% delle quote di azioni ordinarie. Elemento importante dell’alleanza con Eads è la partecipazione al Consorzio Airbus sia nel settore civile che in quello militare. Quest’ultimo è stato avviato dopo il 1999 con il programma relativo all’aereo da trasporto strategico ad ampio raggio A400M, nel quale è fortemente coinvolta anche Fiat Avio.
Il polo armiero a componente pubblica detiene inoltre pacchetti azionari (25,46%) in Aermacchi, tra le maggiori produttrici mondiali di velivoli addestratori che ha in atto una cooperazione con la russa Yakovlev, nella società Elettronica (31,3%) e nella Magnaghi Aerospace (35%), consolidando così il proprio ruolo egemone nel settore aerospaziale e della difesa in Italia.
Analogo processo di concentrazione interna e di internazionalizzazione si è registrato nella cantieristica navale, che sarà chiamata alla costruzione delle fregate antiaeree lanciamissili Orizzonte, e della Nuova Unità Maggiore della marina, nave portaeromobili e per il trasporto di mezzi ruotati e cingolati che dovrebbe agevolare la "proiezione di potenza" in zone di intervento e di conflitto.
L’INDUSTRIA ITALIANA OGGI
Ormai pienamente inserita nel processo di concentrazione in atto in Europa, l’industria italiana rappresenta, in termini di fatturato, circa l’8% del comparto aerospaziale, dei sistemi e della difesa europeo. Quel negoziato difficile, che la relazione del governo Prodi preconizzava nel 1997, sembra ormai concluso con il prevalere degli interessi "forti" degli "assi" militari-industriali europei e, nelle relazioni dei governi successivi fino a quella per l’anno 2000, la scelta appare chiara: adesione scontata al progetto di costruzione di una politica di difesa europea voluto dai potentati industriali e dai vertici militari dei singoli paesi e della Nato. Un disegno caratterizzato peraltro da stridenti contraddizioni e aspri contenziosi tra l’alleanza franco-tedesca e il polo "anglosassone" (Gran Bretagna, Usa ed ora anche Italia).
I dati Aiad relativi al 2000 confermano una occupazione nel settore aerospaziale, dei sistemi e della difesa pari a 48.000 unità con un leggero incremento del fatturato a 14.000 miliardi. I due gruppi più importanti si confermano Finmeccanica e Fiat, con il primo divenuto ormai monopolio nazionale dell’aerospazio, dell’elettronica per la difesa, dei sistemi di comando, controllo, comunicazione, informazione e dei mezzi militari terrestri, e il secondo che ha scelto il core business della motoristica, delle turbine, dei propellenti per missili e del munizionamento per artiglieria.
IL CASO EUROFIGHTER
Da quanto scritto in precedenza si può concludere che la partecipazione dell’industria italiana al processo di concentrazione del settore degli armamenti in Europa è in atto da tempo e la legge 185/90 non l’ha certo ostacolata; è opportuno ribadire come l’attacco attuale alla normativa si può interpretare quale distruzione ‘strutturale’ di qualsiasi possibilità di controllo autonomo rispetto alla logica delle grandi aziende e della costituenda lobby militare-industriale europea. L’intento è quello di non ostacolare le strategie di consorzi e joint venture, sul mercato interno - che tra qualche anno si pensa possa eguagliare, in dimensione della domanda, quello Usa - e nella lotta per la conquista dei mercati mondiali. Un caso emblematico in tale direzione è rappresentato dall’Efa: una volta superata la soglia minima di redditività degli investimenti effettuati per le fasi di ricerca e sviluppo di un velivolo del genere (pari a più di 600 unità prodotte), il margine di profitto aumenta mano a mano che si concretizzano altri ordini.
Eurofighter International, la società di commercializzazione dell’aereo con sede a Londra ed operativa dal 2000, ha già concluso un accordo per la fornitura, nel 2004, di 60 velivoli alla Grecia ed avviato negoziati con Arabia Saudita, Olanda, Singapore e Corea del Sud. Anche nel settore elicotteristico la Agusta-Westland si sta attivando per acquisire in tutto il mondo gli ordinativi che si affiancheranno e sostituiranno alle commesse "di partenza" italiane, britanniche, francesi, tedesche, olandesi, canadesi. Identiche politiche di promozione sono state intraprese per il programma Amx (il velivolo addestratore è già stato selezionato dal Venezuela) e per il C27J (offerto a Grecia, Polonia, Brasile, Israele, Malesia, Portogallo e Usa).
UN NUOVO COMPLESSO MILITARE-INDUSTRIALE
La presenza di gruppi industriali e finanziari così potenti condizionerà pesantemente le scelte dei governi in materia di politica della difesa, seguendo la classica logica del complesso militare-industriale già sperimentata nella storia degli Usa e, seppur con caratteristiche diverse, dell’ex Unione Sovietica.
Tutto ciò si trasformerà in una alienazione di fatto della sovranità popolare ed in un attacco deciso alla trasparenza e alla possibilità di controllo democratico. La propaganda giustificherà tali sviluppi negativi con le necessità per l’Europa di vincere la sfida mondiale con gli Usa nei "settori tecnologici di punta", identificati semplicisticamente e con scarsa ragione con la tecnologia militare nelle sue multiformi espressioni. Quando il fideismo tecnologico non basterà si agiterà l’imprescindibile necessità di espandere e "difendere" gli "interessi europei" nel mercato globale.
Il processo di concentrazione dell’industria militare europea, in nome del quale si chiede oggi il sacrificio della legge 185/90 (vedi scheda I mercanti di morte alla riscossa), è un'ulteriore sfida nel processo di costruzione dell’Europa; in questo confronto si misurano da un lato il progetto dei potentati economici e finanziari e delle loro lobby politiche, dall’altro le reali aspirazioni della stragrande maggioranza dei cittadini e dei lavoratori del continente.


NO ALLA GUERRA SEMPRE:
come lavoratori, individui che non hanno appartenenze da difendere, siamo solidali con i riservisti israeliani che si sono rifiutati di combattere contro la popolazione palestinese. Rivolgiamo questo appello, già distribuito a Genova, a tutto il movimento che ha, come sua prima discriminante, il NO ALLA GUERRA

COSA VOGLIAMO
I risultati della scienza e la loro applicazione tecnologica sono sempre stati al centro dell’interesse militare, per questo noi vogliamo esercitare un controllo sociale su ciò che avviene nelle industrie, nei centri di ricerca e nei laboratori industriali. La logica della privatizzazione della conoscenza, sottesa alla normativa sui brevetti, mette a repentaglio non solo la salute e la vivibilità dell’ambiente, ma anche la pace e la sicurezza di miliardi d’esseri umani.
Chiediamo l’abolizione del segreto militare e più in generale il rifiuto della segretezza e la diffusione delle notizie scientifiche e tecniche, queste notizie devono essere pubbliche in forma accessibile alla comprensione di tutti.
Chiediamo la drastica riduzione delle spese militari e la demilitarizzazione delle politiche industriali degli Stati, scienza e sviluppo tecnologico devono servire a favorire il benessere dell’umanità intera e a garantire i delicati equilibri ecologici.
Chiediamo la riduzione della esportazione di armi a partire dalla piena applicazione dello spirito originale della Legge 185/90 contro gli attacchi arrivati da più parti anche con la scusa della sua armonizzazione e superamento a livello europeo.
Chiediamo la piena attivazione dell’Agenzia regionale per la riconversione dell’industria bellica in Lombardia. (legge regionale n. 6 del 1994) Questo organismo ha sino ad oggi sofferto limitazioni dovute ad opportunismi politici, ma uno dei suoi principali obiettivi consiste nell’elaborazione di studi e documentazioni sulle prospettive di riconversione del settore, con riferimento alle implicazioni occupazionali nonché finanziare iniziative di diversificazione e riconversione al civile. Le sue iniziative non solo devono riprendere, ma devono darsi la corretta dimensione internazionale. Parallelamente chiediamo che a livello nazionale e internazionale (e almeno a livello europeo) siano definiti (o rilanciati) programmi di sostegno alla riconversione al civile anche attraverso l’istituzione di Agenzie per la loro gestione.
La riconversione delle produzioni militari ed il controllo sulla utilizzazione finale delle tecnologie ad uso duale, sono obiettivi concretamente realizzabili solo attraverso la consapevolezza e la mobilitazione dei lavoratori, e di tutto il movimento che si batte contro la natura guerrafondaia del processo di globalizzazione.
Chiediamo la possibilità per tutti i lavoratori in forma non discriminatoria, di sesso, di razza, di religione, di poter decidere circa la loro responsabilità sulla finalità della loro produzione, di avere garantita una vita dignitosa indipendentemente dalla prestazione lavorativa (reddito di cittadinanza). In particolare occorre sia riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza alla produzione militare e dunque la garanzia del mantenimento del posto di lavoro degli obiettori.
Chiediamo, infine, trasparenza, e dunque l’assicurazione della possibilità da parte della società civile di poter esercitare un reale controllo sulle norme e gli indirizzi operativi relativamente a:
UEO e PESC - RAPPORTI ONU - CONTROLLO EXPORT ARMI (legge 185/90) - TRIBUNALI INTERNAZIONALI E TUTELA DIRITTI - STAZIONE SPAZIALE CIVILE INTERNAZIONALE - SICUREZZA NUCLEARE - ORGANIZZAZIONE E PERSONALE MILITARE - NATO E PARTENARIATO PACE - MISSIONI MILITARI ALL’ESTERO - COMPARAZIONE NEL CAMPO DEGLI ARMAMENTI E DELLA DIFESA MILITARE - CONTROLLO PARLAMENTARE SU QUESTIONI MILITARI - BILANCI DI PREVISIONE DELLO STATO, ART. SPESE DIFESA negoziati: LIMITAZIONE O MESSA AL BANDO ARMAMENTI - INIZIATIVE OSCE



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