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Car*, il neurofisiologo Damasio (quello di L'ERRORE DI CARTESIO e di EMOZIONE E COSCIENZA): L'io è nel cervello o nella mente? Incontro con il neuroscienziato Antonio Damasio, in Italia per ritirare il premio Nonino. La questione principale riguarda la dimensione sociale propria a ogni mente individuale: una prospettiva che porta lontano dal riduzionismo cognitivista secondo cui il funzionamento della mente andrebbe paragonato a quello di un computer. Sottraendo così alla condizione umana quel che le è più proprio: il senso, il linguaggio, l'anima politica FELICE CIMATTI Da alcuni anni il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio propone un approccio unitario allo studio della mente umana: le capacità più complesse e apparentemente «incorporee» del pensiero sarebbero - dice - inestricabilmente intrecciate a quelle che, come le emozioni, sembrano più semplici e comprensibili, soltanto perché crediamo di saperne di più. Una concezione di questo tipo si scontra, soprattutto, con l'immagine della mente che, negli ultimi decenni, ha dominato la psicologia e la filosofia statunitensi (quella delle scienze cognitive), e di riflesso ha interessato anche ampi settori della filosofia cosiddetta continentale. E' una immagine basata su una analogia fondamentale: per capire la mente umana occorre paragonarla al modo in cui funziona un calcolatore elettronico. È evidente che se pensiamo alla mente umana come a uno speciale calcolatore biologico considereremo importanti alcuni suoi aspetti a discapito di altri; per esempio, un computer funziona perfettamente se dispone di energia, programmi e dati (numeri) da elaborare. Come a dire, un calcolatore non ha bisogno, in linea di principio, di fare parte di una comunità. Vale lo stesso per una mente umana? La politica fa parte o no della natura (e quindi della biologia) umana? Potremmo definire umano qualcuno che nascesse e vivesse senza un altro con cui entrare in relazione? E siccome con questo altro entriamo in rapporto soprattutto attraverso le emozioni, è possibile impostare uno studio scientifico e filosofico della mente umana a partire da una macchina - il calcolatore, appunto - che, almeno al momento, non sembra aver bisogno di emozioni per funzionare correttamente? Di fatto, allora, siamo tornati a Cartesio, perché la questione che si pone è - oggi come al suo tempo - quale rapporto si dia fra il corpo (e quindi emozioni, e quindi altri corpi) che siamo e i pensieri (la mente) che quel corpo rende possibili. Sono questi gli interrogativi sui quali si è basato il nostro incontro con Damasio, a Percoto, in provincia di Udine, dove sabato scorso ha ricevuto il premio Nonino, insieme al pittore Emilio Vedova e allo scrittore irlandese John Banville. Di Damasio la Adelphi ha pubblicato L'errore di Cartesio ed Emozioni e coscienza , mentre sta per uscire (dallo stesso editore) la traduzione del suo ultimo libro, Looking for Spinoza: Joy, Sorrow and the Feeling Brain. Partiamo, dunque, dal rapporto fra pensiero e corpo, fra mente e cervello. Probabilmente non è un caso che almeno alcuni dei filosofi più importanti, Cartesio, ma prima di lui Aristotele, fossero anche profondi conoscitori del corpo umano. Quanto è importante sapere del corpo per arrivare a una rappresentazione realistica della mente umana? Penso sia molto importante. Non arriveremo mai ad avere una visione completa della mente se non disponiamo di estese conoscenze sulla fisiologia in generale e sulla fisiologia del cervello in particolare. La filosofia contemporanea dovrebbe essere informata sulle scoperte della scienza, sarebbe un peccato davvero se non se ne interessasse. Noi diciamo «il mio corpo, la mia mente, il mio cervello», invece di dire «il corpo che sono, la mente che sono, il cervello che sono». Nella prima formulazione è implicita l'idea di una separazione fra me - qualsiasi cosa sia questo «me» - e il corpo in cui questo stesso «me» vive. Ma si può dire che «io» ho un corpo nello stesso senso in cui «io» ho due cipolle nel frigorifero? Sono modi di dire utili, nel loro ambito, ma che non esprimono direttamente la realtà come essa è. È un fatto, tuttavia, che l'unità del corpo è una collezione di processi, e che alcuni di essi sono relativamente semplici, perché si collocano ad un livello che è strettamente biologico. Ma anche all'interno di questi processi biologici, ciò che noi chiamiamo «mente» è di una tale complessità da venire sentita come un qualcosa di indipendente dai più semplici livelli fisiologici. Ed è a questo livello che si colloca la distinzione fra «se stessi» e le «altre» parti del corpo, così che diventa possibile parlare del «mio» corpo o della «mia» gamba. Sono modi di dire usuali, ma - da un altro punto di vista - non sono corretti, perché pur dando rappresentazione al nostro modo naturale di pensare, creano l'equivoco di una mente separata dal corpo. Mentre sono parti distinte per quel che riguarda la diversa qualità dei fenomeni nella loro complessità, non c'è nessuna ragione di considerarle come realmente separate. A proposito di questa diversa qualità dei fenomeni complessi. Siamo proprio sicuri che, oggigiorno, sapremmo di più sulla mente umana (non parlo, dunque, di cervello) di quanto ne sapesse Cartesio? Non ne sono completamente sicuro, penso che Cartesio avesse una conoscenza molto sofisticata della mente, anche se lo stesso si potrebbe dire delle sue cognizioni sulla fisiologia in generale, anch'esse molto avanzate rispetto al suo tempo. Credo, tuttavia, che oggi sappiamo qualcosa di più sulla mente di quanto non ne sapesse Cartesio, soprattutto grazie alle ricerche svolte negli ultimi anni dalle scienze cognitive. Rimane il fatto che l'avanzamento delle ricerche è stato minore sul versante della mente di quanto non sia successo per quel che riguarda il cervello. Visto che ha introdotto il tema delle cosiddette «scienze cognitive», le chiedo se lei ritiene che questo paradigma - la cui idea guida è che la mente sia una specie di calcolatore - disponga delle risorse teoriche adeguate per farci capire cosa sia la mente umana. No, penso che il modello del computer non sia affatto un buon modello, né per la mente né, tantomeno, per il cervello. Non c'è nessuna ragione per credere che un qualsiasi fenomeno biologico funzioni come un computer. L'idea che la mente sia una specie di software mi sembra avere molti limiti. In realtà ciò che chiamiamo «mente» è fortemente influenzato dall'hardware. Da questo punto di vista si potrebbe sostenere che l'idea secondo cui la mente sarebbe una specie di software la separa così nettamente dall'hardware (ossia dal corpo, dal cervello) da ricadere in quel dualismo di cui si accusa Cartesio. Certo, peraltro, non mi preoccupa una qualche forma di dualismo degli aspetti, per così dire; mentre mi preoccupa il dualismo tra una sostanza materiale e una spirituale, perché non ha alcun senso. Il modello del calcolatore impone un vincolo impegnativo: un calcolatore funziona da solo, mentre la mente umana non sembra poter esistere, per quel che ha di umano, in isolamento. Detto altrimenti: la dimensione sociale è intrinseca alla mente individuale. E quindi, ci può essere una mente umana senza una necessaria relazione con altre menti? È una questione di prospettive. Può una mente umana esistere in isolamento? La risposta è sì. Ma, attenzione: il punto è se sarebbe potuta esistere da sola. Una mente può trovarsi in una condizione di isolamento, ad esempio in un carcere, dove nessuno parla con te per, poniamo, dieci anni. Sarebbe probabilmente una mente disturbata, ma manterrebbe la sua autonomia. Il punto, è: avremmo la mente che abbiamo oggi se non fosse vissuta in società? E ancora: potremmo avere il cervello che abbiamo oggi se non si fosse evoluto all'interno di un contesto sociale? La risposta è no. Pertanto la risposta alla sua domanda è duplice: fino ad un certo livello la mente individuale esiste. La mia e la sua mente sono dentro un corpo che delimita un confine, che ci separa: siamo creature separate. Per altro verso una buona parte di quello che costituisce la mia e la sua mente è il risultato di una complesso intreccio di interazioni collettive e sociali, nella storia in generale e nella nostra storia individuale in particolare. Per cui, tanto la mente che il cervello sono il prodotto di un contesto sociale molto ricco, e direi anche che ci sono aspetti della nostra biologia i quali esistono soltanto come il risultato di interazioni sociali. Pensi, ad esempio, alle emozioni sociali, che si sono sviluppate soltanto perché noi viviamo, appunto, in una società. La compassione verso un altro, o l'ammirazione non avrebbero alcun senso se si vivesse in isolamento. Torniamo allo stato delle nostre conoscenze sulla mente. Intanto, si pone l'esigenza di una chiarificazione fondamentale: secondo lei mente e cervello sono due parole che indicano uno stesso oggetto, oppure si tratta di due parole per due tipi di entità diversi? Mente e cervello sono due termini per due tipi molto diversi di processi, non di oggetti. Penso che quella di «processo» sia la nozione principale per intendere la struttura del nostro universo. C'è la tendenza a considerare un processo come una cosa, e questo è un errore, come lo è quello del pensiero che sta dietro - lo abbiamo ricordato prima - modi di dire come «il mio cervello», «il mio cuore». Restiamo ancora su questa coppia «mente» e «cervello» per affrontare il problema del riduzionismo secondo cui la mente andrebbe ridotta al cervello: il risultato è che la mente sarebbe una specie di apparenza. Secondo questo progetto della scienza bisognerebbe fare a meno della mente. Ma, allora, rispetto ad una visione così impoverita e meschina, sembra non resti che tornare al dualismo cartesiano... Penso che non sia affatto necessario adottare un riduzionismo di questo tipo. Si parla continuamente di riduzionismo, come se ne esistesse solo un tipo, credo invece che ce ne siano diverse varietà. Per esempio: c'è un riduzionismo che chiamerei selvaggio, o stupido, secondo il quale di fatto distruggi l'oggetto che stai studiando, lo elimini mediante la tua spiegazione. Questo riduzionismo, applicato alla mente, sostiene che una volta che sarà stata raggiunta una buona comprensione del cervello non ci sarà più bisogno di usare descrizioni che si riferiscono al livello della mente. Non è questo il riduzionismo che mi interessa. Io parlo di «spiegazioni». Voglio spiegare come funziona la mente, ma dopo questa spiegazione la mente rimane. Anche perché è la mente che descrive la mente, o il cervello. Non si tratta di eliminare i fenomeni, ma di spiegarli, di darne una descrizione più approfondita. Tantomeno si tratta di ridurre la dignità o la bellezza della mente, non è questo in gioco. Fra i fenomeni più caratteristici della mente c'è sicuramente la coscienza. Secondo molti filosofi la «coscienza» è uno dei pochi misteri che ancora rimangono nella scienza. Lei che ne dice, è davvero un mistero? Penso che la «coscienza» sia solo in parte un mistero. Direi che la coscienza è ciò che accade quando hai un modo estremamente complesso di rappresentare nel cervello tanto lo scorrere di quanto stai percependo quanto ciò che accade, a livello fisiologico, nel tuo organismo, e di come un livello modifica l'altro. Si tratta di una rappresentazione articolata in una molteplicità estremamente complessa di modi. Ci sono più di sessanta parametri che vengono costantemente controllati dal cervello. Mentre lei mi sta osservando, sta ascoltando le mie parole, non soltanto controlla questo complesso processo, ma lo modifica anche. Mi sorprenderebbe molto trovarmi di fronte a un tipo di spiegazione diversa della coscienza, anche se i dettagli non li conosciamo con precisione. In questo senso non credo che, quello della coscienza, sia un mistero. È l'estrema complessità e ricchezza di questo processo che ci fa esclamare «oh, è un mistero, non ce la farò mai a capire cosa sia». Proviamo ad addentrarci in questa complessità. Per esempio, quando dico «io», chi è che lo dice? Il mio cervello, la mia mente, il mio linguaggio? La coscienza è costituita da molti livelli di organizzazione... come una specie di cipolla ... ... sì, ed ogni proprietà è associata a un determinato livello della coscienza. Quando lei dice «io» sta traducendo nel linguaggio, usando un pronome, un processo che nell'insieme è organizzato intorno alla rappresentazione individuale che si sta sviluppando in quel momento. L'«io» è linguaggio che sta traducendo un processo mentale, il quale a sua volta è fondato su un livello biologico diverso. Così sono all'opera contemporaneamente tutti questi livelli, come in una cipolla se vuole, ma una cipolla veramente molto grande. In un sistema così complesso e stratificato sembra prevalere l'aspetto spaziale della coscienza. Ma la coscienza è stata sempre pensata come intrinsecamente temporale. Che relazione c'è, allora, fra coscienza e tempo? È una questione molto intricata. Tuttavia, possiamo individuarne almeno un aspetto centrale. La coscienza è un processo, abbiamo detto, un processo che si svolge nel tempo. In questo senso si è coscienti di qualcosa che è già accaduto, piuttosto che coscienti di qualcosa che sta accadendo ora. Qualcosa accade, e poi ne diventiamo coscienti. Per finire, quale definizione darebbe del concetto di «natura umana»? Io parlerei piuttosto di qualcosa come una natura umana femminile, una natura umana maschile... Se un simile concetto è utile, dovrebbe descrivere fenomeni che si collocano tanto a un livello biologico quanto a un livello sociale, per non parlare delle influenze storiche che agiscono tanto sull'ambito sociale che su quello fisico. Il concetto di «natura umana» si applica a una situazione complessa e molto differenziata al suo interno, di certo non lo restringerei soltanto all'ambito della biologia. c/ *********************** Se arrivi a un bivio...prendilo!! *********************** www.materialiresistenti.blogspot.com www.zabrinskypoint.org www.informationguerrilla.org ___________________________________________ Rekombinant http://www.rekombinant.org