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01/29/03 rossana Uniti contro la guerra 24kb 01/30/03 rossana L'Affare guerra e il movimento 16kb 01/31/03 rossana Re: [RK] Il diritto all'Insurrezione 4kb 02/02/03 rossana Re: [RK] insurrezione? 9kb 02/02/03 rossana Archivio Chomsky: il keynesismo militare e il fard... 72kb Date: Wed, 29 Jan 2003 08:22:32 +0100 From: rossana <[EMAIL PROTECTED]> To: [EMAIL PROTECTED] Subject: Uniti contro la guerra L'economia post fordista non ha cambiato solo il modo di lavorare, ma cerca di porre un destino comune quando ci chiede di investire i nostri risparmi in fondi di investimento. Riflettiamo quando ci poniamo contro la guerra da una parte, e poi leghiamo la nostra vita al mercato della guerra. LA PRIVATIZZAZIONE DI FINMECCANICA La privatizzazione di Finmeccanica, attuata con l'Offerta pubblica di vendita conclusasi il 2 giugno 2000, è l'ultima in ordine di tempo tra le grandi privatizzazioni che hanno interessato in questi anni il sistema delle aziende "pubbliche" del nostro paese. Lo Stato, che ultimamente deteneva l'84% delle quote di Finmeccanica, al termine dell'operazione di privatizzazione è sceso al 35,8%. Riconosciuta la strategicità delle attività industriali presenti in Finmeccanica (difesa, aerospazio, energia, trasporti; information technologyŠ), grazie a un meccanismo di garanzie (golden share) definito per legge, esso attraverso il Ministero del Tesoro manterrà dunque capacità di controllo e di governo di quella che sarà la nuova "holding industriale" Finmeccanica. La vendita delle azioni Finmeccanica, per un importo complessivo pari a circa 11.000 miliardi di lire, è stata effettuata attraverso una Opv (Offerta pubblica di vendita) che ha interessato investitori privati, pubblici e anche i lavoratori dipendenti. Una nuova figura: il dipendente azionista Analogamente a quanto è stato fatto nelle precedenti privatizzazioni (Eni, Telecom, EnelŠ), all'interno della Opv sono state previste per i dipendenti Finmeccanica condizioni di sicuro interesse, definite e sancite con un accordo sindacale tra Finmeccanica e Fim Fiom Uilm: - "bonus" di 11 azioni su 100 fino a un massimo di 550 su 5.000, per i lavoratori che "conservano" le stesse per almeno 12 mesi (in altri termini, la possibilità di acquisto di azioni fino a 17 milioni pagandole all'incirca 15 milioni); - possibilità di ricorrere per metà della spesa allo smobilizzo del Tfr maturato (fino a un massimo del 70%); - possibilità di un prestito a condizioni agevolate per l'eventuale acquisto del secondo pacchetto di azioni o per quei lavoratori che non dispongono dell'accantonamento Tfr. La nostra valutazione pur ritenendo che Finmeccanica avrebbe potuto e dovuto "osare di più" per favorire l'azionariato dei propri dipendenti (per esempio differenziando maggiormente il "bonus share" di 11 azioni rispetto alle 10 riservate al mercato) è che si tratti di una interessante opportunità di risparmio offerta alla libera scelta dei circa 44.000 lavoratori di Finmeccanica. In tema di agevolazioni a favore dei dipendenti, la Fim Cisl si sente particolarmente impegnata anche per il futuro: - chiedendo a Finmeccanica di riconoscere ulteriori vantaggi per i dipendenti azionisti (per es. attraverso un secondo "bonus share" da applicare a chi conserverà le azioni per ulteriori 12 mesi, dopo il primo anno); - negoziando col governo adeguati incentivi fiscali a favore dei dipendenti azionisti, quale ad esempio l'esclusione dal reddito imponibile del valore delle azioni (almeno fino a una certa soglia) acquisite nell'ambito di un piano di azionariato dei dipendenti. Un'occasione da non perdere Convinti come siamo che al dipendente azionista di Finmeccanica si chiede in buona sostanza di legare all'azienda in aggiunta al proprio reddito conseguente al rapporto di lavoro anche i propri risparmi da investire in azioni, riteniamo che si debba "andare oltre" le specifiche, e pur importanti, agevolazioni economiche e fiscali. La realtà del mondo finanziario odierno, basato su una pressoché assoluta libertà di circolazione dei capitali, si presenta preoccupante per la stessa stabilità delle imprese. Due sole cifre: il volume annuale globale delle operazioni sui mercati azionari (dati 1996) è stato di 160 miliardi di dollari; gli scambi commerciali globali annuali di merci e di servizi sono ammontati a soli 4,3 miliardi di dollari. Il che vuol dire che il flusso ininterrotto di capitali finanziari in cerca di guadagni immediati, grazie alla speculazione di borsa sui cambi esteri 24 ore su 24, supera di quasi 40 volte il valore delle contrattazioni sui beni e sui servizi: l'economia del solo denaro prevale grandemente su quella reale, che produce lavoro e ricchezza collettiva concreta. È spesso accaduto che per l'interesse di chi opera in borsa sia stato messo a repentaglio l'interesse di chi opera nelle imprese (cioè i lavoratori). L'azionariato dei dipendenti Finmeccanica si presenta pertanto come un'occasione da non perdere, non facilmente ripetibile per l'insieme dei lavoratori: esso può consentire la costituzione, a vantaggio dell'impresa, di un significativo zoccolo di azionariato stabile e può aprire, a favore dei lavoratori, una possibilità di controllo e di condizionamento nei luoghi dove si decidono le strategie dell'impresa. In questo senso il coinvolgimento dei dipendenti Finmeccanica nella vendita delle azioni della Società rappresenta per la Fim Cisl il primo, indispensabile passo verso un modello maggiormente partecipativo, teso all'introduzione nelle imprese di reali elementi di democrazia economica. Se ognuno dei 44.000 lavoratori di Finmeccanica avesse sottoscritto liberamente l'Opv, i dipendenti azionisti sarebbero arrivati a detenere già in questa prima fase circa il 2,5% delle azioni, una quota quasi pari a quel 3% che è la percentuale massima, dopo il 30% del Ministero del Tesoro, prevista per legge (in tempi molto recenti abbiamo visto Ifi e Fiat, cioè la famiglia Agnelli, controllare Telecom con appena lo 0,6%). L'Opv Finmeccanica, dunque, non è solo l'occasione per offrire vantaggi individuali pure importantissimi ai singoli lavoratori, ma anche una forte opportunità di partecipazione democratica dei lavoratori alle scelte importanti dell'impresa. Tutelare il lavoro e l'occupazione Chi più del "dipendente azionista" deve avere diritto a incidere sulle scelte strategiche dell'impresa per la quale lavora, e nella quale ha deciso di investire i propri risparmi? La nostra opinione e per questo la Fim Cisl si sente fortemente impegnata è che si debba identificare, attraverso un adeguato supporto giuridico, una sorta di "golden share" che attenga i poteri e i diritti del dipendente-azionista. Nel concreto, i lavoratori che saranno azionisti potranno e dovranno attraverso una propria forma di associazionismo organizzato partecipare al nucleo stabile dell'azionariato e influire così sugli indirizzi di Finmeccanica nell'interesse dell'occupazione e dello sviluppo. Ciò non è in alternativa e tantomeno in contrapposizione con l'azione tradizionale del sindacato finalizzata ai medesimi obiettivi, ma ne costituisce un'importante integrazione. Nel momento in cui i lavoratori collettivamente figurano tra i grandi azionisti dell'azienda, devono avere la possibilità di accedere con loro rappresentanti alle sedi decisionali dell'impresa e quindi nei suoi organi statutari (Assemblea dei soci, Comitato di sorveglianza, ecc.). Onde liberare il campo da ogni possibile strumentalizzazione sulla natura della rappresentatività sindacale, sarà necessario stabilire una netta distinzione tra rappresentanza sindacale e rappresentanza azionaria, in modo che le forme di partecipazione negli organi aziendali che riteniamo utili e necessarie esprimano la forza e la capacità dell'insieme dei lavoratori nel governo e nell'indirizzo strategico dell'impresa. Questa è la grande occasione di rilievo politico e contrattuale che sta di fronte a noi, ai lavoratori, al sindacato nel suo insieme, all'azienda. Riuscire a coniugare la libertà dell'iniziativa economica con l'interesse generale e con il bene comune, crediamo sia proprio di una moderna democrazia. L'OFFERTA FINALE FINMECCANICA IN CIFRE Prezzo definitivo per azione (Opv e istituzionale) 1,50 Euro (2.904,4 lire) Ammontare definitivo offerta globale 3.300 milioni di azioni Prezzo lotto minimo (2.500 pezzi) 7.262.000 lire- Opv2.895,2 milioni di azioni Domanda complessiva 6.369 milioni di azioni - istituzionali404,8 milioni di azioni - pubblico 3.059 milioni di azioni Opzione "greenshoe"*495 milioni di azioni - dipendenti 62 milioni di azioni Totale azioni vendute3.795 milioni - investitori istituzionali 3.248 milioni di azioni Incasso per l'Iri11.022 miliardi Partecipazione residua dello Stato35,8% del capitale * alla lettera "scarpa verde". Termine americano per indicare un'offerta ulteriore di azioni prima della quotazione in Borsa L'ADESIONE DEI DIPENDENTI FINMECCANICA ALL'OPV Settori Numero adesioni% di adesione Finmeccanica Corporate 14471 Aeronautica 4.71653 Spazio 1.92269 Difesa 6.28366i cui AMS 2.698 (64%) Energia 2.48549di cui CMTL 462 (54%) Trasporti 2.34048 Servizi di Information Technology. 1.37653 Elicotteri 3.48971 Altro 28550 Totale adesioni 23.04058 Roma, 13 giugno 2000 Date: Thu, 30 Jan 2003 10:20:58 +0100 From: rossana <[EMAIL PROTECTED]> To: [EMAIL PROTECTED] Subject: L'Affare guerra e il movimento Dopo l'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono il generale Arpino ha così delineato il futuro: Quella contro il terrorismo è guerra totale e il risultato finale testimonierà di fronte al mondo che i Giusti hanno finalmente ripreso l'iniziativa. La nuova allenza globale contro il terrorismo (e non dimentichiamo che il movimento viene inserito fra le nuove minacce indicato come "processo imitativo da parte di gruppi e individui attratti dall'effetto spettacolare dell'azione di protesta e ribellione" anche in ambito PESD/PESC oltre che internazionale) si muove in uno scenario instabile. (vedere rapporto NATO ed EUROPA, la creazione dell'asse Francia-Germania, quello delineato da Sharon con USA-Israele-Russia, o il tentativo americano di tagliare fuori Russia, Iran e Arabia Saudita, la messa sotto controllo della Cina...) A Bologna invitiamo a pensare ad una risposta contro questa guerra mettendo al centro i nostri desideri, la necessità di reclamare reddito per porre fine all' "affare" di un ceto che si autodefinisce nostalgicamente dei "Giusti". RECLAIM THE MONEY (or at list the Media?) REDDITO DI CITTADINANZA Per tutti i gruppi e i singles interessati a questo tema: sentiamoci giovedì 30 gen. negli interstizzi del BSF, per combinare un appuntamento comune sul reddito di cittadinanza a febbraio? Anch'io ero a ROma per il Multibattito. E' stata un'occasione vivace, senza aridi scazzi interni e autismo. Non so quanto il tema "reddito di cittadinanza" riesca a aggregare e rilanciare entusiasmo per il movimento. Se sui massimi comuni multipli, sui mondi possibili desiderati non ci si trova, forse ma forse... sul minimo comune divisore sarà possibile? Certo, la rivendicazione di vile "denaro", è minimale, quasi cinica. Chi nel mondo non si ritrova a desiderare più soldi? Eppure ripartire dalla banalità del quotidiano ha l'effetto di riuscire a far discutere yuppie e hippy, marxisti, liberisti e nichilisti, no e new Global, sindacalisti e movimentisti. Soprattutto, il Reddito di Cittadinanza sembra diventare uno spazio aperto, plurale, a più livelli nel quale riescono a convivere e ricombinarsi in maniera inaspettata temi quali: lavoro, welfare, consumo critico, altra economia, precarietà, flessibilità, emarginazione, sicurezza e conflitto sociale... in altre parole, sotto lo slogan "Reclaim the Money", o meglio "Reddito esistenziale", appare finalmente esplicitarsi la domanda seria: questa moltitudine di soggetti in movimento quali desideri e quali esistenze sta rivendicando per se stessa? Ho incontrato a Roma Rossana (LUC & eM24). Entrambi sentivamo la necessità di capire chi a Bologna si sta muovendo su questi temi (reddito di cittadinanza, lavoro, precarietà, altra economia, ecc.). La sensazione è che da un annetto siamo in molti. Penso ai vari sportelli di lavoratori atipici e precari che sono nati, penso ai collettivi universitari che hanno posto il lavoro all'OdG, penso a vari sottogruppi delle reti presenti al BSF (Lilliput, Attac, PdR, Verdi, Disobbedienti, ecc.), e ancora altri che mi sfuggono. Perchè non organizzare una data per febbraio e confrontarci? Andrea (elCusa) > articolo su Liberazione su multibattito tenuto a Roma presso Acrobax il > 25/26 gennaio > > Manifesti, striscioni, flyer, adesivi, magliette dalle scritte: "Reclaim The > Money", "Lavoro o non lavoro Reclama Reddito", iniziano ad apparire in molte > piazze italiane durante lo sciopero generale dello scorso aprile. Una > presenza nata grazie ad un appello lanciato in rete raccolto, modificato, > stampato, distribuito da una molteplicità di soggetti. Sono i flessibili, > gli intermittenti, i disoccupati, gli studenti, i migranti, gli acrobati > metropolitani che reclamano reddito, di cittadinanza, di esistenza per > "liberare i tempi della mia vita dai tempi del lavoro". Gli stessi che si > sono ritrovati a Genova nel luglio del 2002 e nello spazio Hub durante l' > FSE, da cui forte è emersa l'esigenza di confrontarsi, di sperimentare > percorsi comuni, di "interrogarsi su come passare dal declinare al fare". > Nasce da qui l'idea di un Multibattito per il Reddito di Cittadinanza; "un > dibattito molteplice", un "battito a molti cuori", come amano definirlo gli > organizzatori. Un luogo aperto in cui poter narrare le proprie esperienze; > partire dalle difficoltà incontrate per iniziare ad immaginare ed elaborare > insieme strategie e percorsi da realizzare. Intento concretizzatosi nella > due giorni dedicata al Reddito di Cittadinanza, svoltasi sabato 25 e > domenica 26 gennaio presso il L.O.A. Acrobax. E non a caso, visto che la > nuova occupazione romana nasce come "laboratorio di acrobati in equilibrio > sul filo della precarietà, costretti a rincorrere i bisogni quotidiani". > Tante le situazioni che hanno preso parte al multibattito; una > partecipazione che attraversa il territorio, da Trento a Bari, dimostrando > la vitalità e l'interesse di soggettività e situazioni diverse, ma che hanno > saputo incontrarsi e trovare un obiettivo comune, al di là delle > appartenenze. Una frammentazione che inizia a ricomporsi, attraverso la > conoscenza, la messa in rete dei saperi e delle esperienze di cui ognuno è > portatore. Lavoro sul territorio e comunicazione - intesa come elemento > centrale di cooperazione tra i soggetti - si sono dimostrati gli elementi > cardine su cui continuare a puntare. Tante le proposte e gli appuntamenti a > partire da un netto "No alla guerra", fino all'ipotesi di un secondo > appuntamento con l'idea di realizzare un Festival del precariato > metropolitano. Si continua così a sperimentare percorsi possibili, ognuno > con le proprie peculiarità, ma con la consapevolezza di non essere soli, di > avere a disposizione uno spazio tempo in cui continuare a confrontarsi e a > condividere esperienze e scelte. > > documentazione, materiale, approfondimenti: > http://www.infoxoa.org; > http://www.redditodicittadinanza.org; > http://www.italy.indymedia.org/features/roma/ > Date: Fri, 31 Jan 2003 14:04:34 +0100 From: rossana <[EMAIL PROTECTED]> To: [EMAIL PROTECTED] Subject: Re: [RK] Il diritto all'Insurrezione Sbancor, you wrote: >Degli operai delle fabbriche d'armi ho la stessa stima che ho delle forze >dell'ordine: ognuno si sceglie il lavoro che si merita! ahi Sbancor, perchè hai sentito il bisogno di pronunziare una condanna morale? Ognuno si sceglie il lavoro che si merita!!! C'è in questa frase una reminiscenza cristiano-cattolica che non mi sarei mai aspettata da te. Già da tempo ho abbandonato la cultura che ti inculca il senso di colpa, iniziando in modo trasgressivo dal mio corpo e dalla sessualità. Cosa dovevo meritarmi allora, quale ricompensa avrei perso? Me ne sono liberata per fortuna, e non sento il bisogno di pentirmi. Anch'io ho lavorato una fabbrica d'armi e non ho paura a raccontarlo, perchè la mia mente non mai stretto un contratto sociale con alcunchè. Vedi io non citerei mai Rousseau contro Hobbes, ma parafrasando Hobbes stesso, chiamo la moltitudine contro il popolo. Ma tu che meglio di me hai raccontato della guerra infinita combattuta tra potentati economici, lobbies affaristiche, spacciatori di droga e armi, continua a raccontare, non fermarti al luogo fisico, il più semplice da colpire moralmente e fisicamente, da te mi aspetto di più. Sbancor, Diario di guerra, DeriveApprodi Date: Sun, 02 Feb 2003 09:59:45 +0100 From: rossana <[EMAIL PROTECTED]> To: [EMAIL PROTECTED] Subject: Re: [RK] insurrezione? A questo punto ho cercato di capire meglio alcuni concetti: Cos'è l'irreversibilità? Carattere delle relazioni non simmetriche e dei processi che hanno un senso determinato. Il secondo principio della termodinamica introduce il concetto di irreversibilità dei fenomeni naturali, in sostanza questo principio porta alla catastrofe perchè renderebbe impossibile ogni trasformazione e quindi ogni vita (ma questo vale solo nei sistemi chiusi). Il tempo viene ridotto alla causalità. Anche nella teoria dell'informazione, nella trasmissione dell'informazione, si ha perdita di informazione. Si ha anche qui una perdita e l'entropia. Se ci penso questo concetto di non simmetrico è stato oppurtunamente escogitato per legittimare la guerra, la novità sta nell'uso del corpo come arma (kamikaze). Da qui la connessione mistificatoria definita necessaria fra causa (terrorismo) ed effetto (guerra preventiva). Ma la guerra preventiva non è altro che l'affermazione della necessità della guerra sempre. Tutto diventa spaventosamente meccanico. Anche Einstein scriveva che esistono eventi che non possono essere definiti causa o effetto degli altri. Il tempo è anche il tempo della vita. E allora come "rendere possibile il sottrarsi dei corpi"? Sottraendoci dalla concezione del corpo come kamikaze o come martirio di sè (in alcuni casi si potrebbe dire che è ora di smetterla di pensarsi degli eroi guerrieri). Sottraendoci a quello spazio di tempo della vita quotidiana che ci chiede di essere complici di un ingranaggio micidiale. La guerra non è solo il teatro di battaglia, la guerra prevede ad esempio che la missione dei soldati in Afghanistan costerà 100 milioni di euro al mese, prevede oltre il pacchetto finanziato per le spese militari nel 2003, una ulteriore addizionale di 1250 milioni di euro in cinque anni. E' la nostra vita ad essere stata ipotecata. Per avvallare l'uso dello spazio aereo e quello delle basi militari in Italia necessarie alla guerra, si sono mossi in base all'accordo bilaterale italo-americano del 1954. Ma in almeno due circostanze questi diritti sono stati negati: nel 1973 in occasione della guerra del Kippur e nel 1986 all'epoca di Eldorado Canyon. Nell'ultimo vertice della NATO è stato definito un "Pacchetto di Praga", il ministro Martino ha reso noto di aver sottoscritto un ulteriore accordo in ambito NATO per accrescere le capacità alleate. Non solo con l'aumento delle capacità delle forze attualmente disponibili (e saranno sviluppati con Germania e francia sistemi di disturbo elettronico, questo solo per evidenziare che gli accordi industriali vanno al di là delle posizioni politiche), ma ribadendo la sua fedeltà alla tesi atlantista che non sarebbe in concorrenza con la politica di difesa europea. Non si tratta dunque solo di manifestare contro la guerra e per la caduta del governo Berlusconi, ma di rimettere in gioco il mondo della vita, con i nostri corpi e l'immaginazione, la sola che ci consente di riconoscere se stessi nell'altro, quella che liberamente mette da parte le preoccupazioni per lasciare spazio al caos creativo, ad un ordine non guerresco. Date: Sun, 02 Feb 2003 17:25:01 +0100 From: rossana <[EMAIL PROTECTED]> To: [EMAIL PROTECTED] Subject: Archivio Chomsky: il keynesismo militare e il fardello dei giusti Archivio Web Noam Chomsky Anno 501 la conquista continua (indice) PARTE SECONDA. I SOMMI PRINCIPI. Capitolo 4. DEMOCRAZIA E MERCATO. 4. IL KEYNESISMO MILITARE. Il mondo è complicato; anche i progetti di successo hanno dei costi nascosti. "L'ossessione reaganiana per un'economia dell'offerta unita ad un certo keynesismo militare" non aveva avuto difensore più entusiasta del "Wall Street Journal" che adesso invece, nel momento in cui quelle politiche nuocciono alla ricchezza ed al potere, si lamenta dei loro, pur prevedibili, effetti. "L'istruzione superiore pubblica - uno dei pochi settori in cui l'America rimane al primo posto - è tartassata dai tagli al bilancio dei singoli stati", riferisce il "Journal", facendo eco alle preoccupazioni di quelle imprese che "dipendono in gran parte da un costante flusso di neolaureati" con una buona preparazione. Questa è una delle conseguenze, da tempo previste, dei tagli ai servizi forniti dal governo centrale alla popolazione (ad eccezione di quelli in favore dei ricchi e potenti) che hanno distrutto interi stati e comunità locali. La lotta di classe non è facile da sintonizzare. I responsabili dell'economia nazionale negli anni '80 non solo hanno lasciato gli Usa con un debito pubblico e privato senza precedenti, ma anche con il più basso ritmo di investimenti privati netti tra i paesi industrializzati. Questi, nel corso degli anni '80, sono scesi al loro livello più basso (in proporzione al reddito nazionale) dai tempi della Seconda guerra mondiale. Mentre, negli anni 1989-1990, per quanto riguarda gli investimenti industriali, gli Stati Uniti, sebbene abbiano una popolazione due volte più numerosa, sono stati di gran lunga superati in valori assoluti dal Giappone. Washington in quel decennio ha anche perso delle posizioni nell'industria ad alta tecnologia. Un'altra eredità dell''ossessione reaganiana' è una diminuzione della spesa per la ricerca e lo sviluppo - come anche per la sanità e l'istruzione, tutti 'investimenti' per il futuro. Il grido d'allarme è stato lanciato a questo proposito dal "National Science Board", organismo di indirizzo politico della "National Science Foundation" (l'Istituto Nazionale delle Scienze) il quale, in uno studio del 1992, denunciava come la ricerca e lo sviluppo fossero scesi a livelli pericolosamente bassi. Dal 1985 gli investimenti delle società in questi settori che prima erano saliti costantemente, secondo il rapporto dell'Istituto, si sarebbero mantenuti stabili (considerando fermo il valore del dollaro). Se questa tendenza dovesse continuare, i loro effetti saranno "letali per la competitività Usa nel campo delle nuove tecnologie", ha dichiarato il co-presidente della "National Science Foundation". Biasimando errori di gestione e l'indebitamento delle società, l'Istituto ha inoltre sostenuto che gli Usa, per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo sono assai indietro rispetto ai loro principali concorrenti, e che i loro investimenti nel settore industriale non militare sono inferiori di almeno un 25%. Il debito delle imprese nel periodo reaganiano ha inoltre raggiunto livelli tali, scrive l'economista Robert Pollin, che "quando iniziò la recessione nel luglio del 1990, il pagamento degli interessi assorbiva il 44% dei profitti lordi, più del doppio della media degli anni '60 e '70". Secondo la "National Science Foundation" il ricorso al credito negli anni 1986-87 venne utilizzato per i consumi e la speculazione finanziaria, compresi mille miliardi di dollari spesi per varie fusioni e scalate, senza alcuna razionalizzazione dell'economia. E così si ebbe un aumento del debito ed un declino del 5% negli investimenti per la ricerca e per lo sviluppo delle imprese coinvolte in queste manovre speculative (rispetto ad un aumento del 5% delle altre società) (16). La politica industriale degli Usa si è basata per quarant'anni sul 'sistema del Pentagono' che sovvenzionava costantemente il settore ad alta tecnologia e gli garantiva un mercato, ovviando alle eventuali carenze di gestione. Quando poi era necessario il sostegno del governo, si 'creava' facilmente una minaccia alla nostra esistenza: la guerra coreana nel 1950, 'l'inferiorità missilistica' nei confronti dell'Urss negli anni di Kennedy, l'imminente conquista del mondo da parte di Mosca e la 'finestra di vulnerabilità' tra gli ultimi anni di Carter ed i primi dell'amministrazione Reagan. La malafede era evidente in ciascuna di queste occasioni, ma la potenza ed il dispotismo sovietico erano sufficientemente reali, e questo bastava. Il massiccio intervento dello stato nell'economia diede così agli Usa un grande vantaggio rispetto all'Urss nei settori tecnologicamente avanzati. Il pericolo sovietico serviva "come un pilastro importante dell'economia", ammettono ora gli ideologi ed i dirigenti economici nel lamentare la fine di quella minaccia, che si poteva sempre invocare per continuare a ricevere gli aiuti del governo. All'indomani della Seconda guerra mondiale, furono le spese militari a consentire l'uscita dalla recessione, afferma un'economista della "Boston Federal Reserve Bank", e "non c'è mai stato un momento come quello attuale in cui un aumento della spesa militare avrebbe potuto significare di più per l'economia del paese". Molti economisti sostengono che il fattore principale alla base della recessione sotto l'amministrazione Bush sia stato proprio il taglio alle commesse militari - si tratta di ordini presso industrie che non solo hanno costituito un settore vitale della produzione di merci e servizi ma, con un importante effetto moltiplicatore, hanno creato posti di lavoro nelle società che producono beni di consumo destinati ai lavoratori relativamente ben pagati delle stesse industrie (belliche, N.d.C.) così redditizie grazie al sussidio dei contribuenti. "L'impatto è maggiore di quello che si ricava dalle cifre", fa notare l'economista conservatore Herbert Stein, dell'"American Enterprise Institute". "La brusca dissoluzione dell'Unione Sovietica" ha minato quel dispositivo che ha consentito lo sviluppo dell'economia dopo la Seconda guerra mondiale, scrive il corrispondente economico del "Times" Louis Uchitelle, ed ora "importanti aziende militari" quali la "General Electric" si trovano nei guai, come anche il settore dell'industria ad alta tecnologia (17). Gli antichi pretesti sono spariti, e non è più così semplice tessere le lodi del libero mercato mentre ci si nutre alla mangiatoia dello stato. Occorrono nuovi espedienti. Contemporaneamente, l'attenzione del governo e dell'industria si rivolge ad altri campi, in particolare quello delle biotecnologie. Come altri settori competitivi dell'economia, le industrie farmaceutiche, quelle per la ricerca medica e le grandi imprese agricole hanno sempre tratto vantaggi dai finanziamenti statali per la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione dei prodotti; questi settori adesso stanno acquistando una sempre maggiore importanza nella pianificazione per il futuro. Nei primi anni del dopoguerra, la ricerca scientifica ebbe un riflesso positivo per le aziende elettroniche e di computer. Oggi, secondo meccanismi assai simili, sono le ditte di biotecnologia a fiorire attorno a quegli stessi istituti di ricerca. Il "Nih" ("National Institute of Health") è impegnato da tempo in quella che il "Wall Street Journal" ha definito "la più grossa corsa alla proprietà privata dai tempi di quella alla terra del 1889" ma, in questo caso, il contendere riguarda "il brevetto di migliaia di tratti di materiale genetico - il D.N.A. - che gli scienziati del "Nih" ritengono siano parti di geni ancora sconosciuti". L'obiettivo, spiega il "Nih", è di assicurare il predominio delle compagnie Usa nel campo dell'industria biotecnologica che, secondo il governo, "nel Duemila genererà redditi annuali di 50 miliardi di dollari" e, successivamente, ancor di più. Per citare solamente un esempio, il brevetto per una cellula di sangue umano potrebbe permettere ad una ditta della California di "controllare completamente il mercato per una vasta gamma di tecnologie salvavita". Secondo il "Journal" la biotecnologia è divenuta un affare con una decisione della Corte Suprema del 1980 che permise di brevettare un microrganismo, ottenuto con l'ingegneria genetica, capace di dissolvere il petrolio. Anche procedimenti medici quali il trapianto del midollo e le terapie con manipolazioni genetiche saranno protette da brevetto. Lo stesso potrebbe avvenire con gli animali ed i semi manipolati geneticamente. Quel che qui è in questione è l'essenza della vita; al confronto l'elettronica si occupa di quisquilie. I governi stranieri, quelli che potranno farlo, non sembra intendano accettare in silenzio tutto ciò. Contrarie sono anche le comunità scientifiche degli Usa e degli altri paesi che più volte hanno espresso il loro dissenso. Un ricercatore ha detto cinicamente che di questo passo, grazie agli sforzi congiunti dello stato e dell'industria, un giorno i genitori potrebbero essere costretti a pagare i diritti d'autore per i loro figli. La rivista "Science" riporta che durante un incontro alla "National Academy of Sciences" (Accademia Nazionale delle Scienze) è stato approvato "un duro comunicato con cui le comunità degli scienziati che si occupano di genetica, sia negli Usa che all'estero, si sono opposte con veemenza alle decisioni del "Nih"". I rappresentanti delle maggiori organizzazioni scientifiche Usa ed europee "hanno affermato che se sarà permesso al "Nih" di andare avanti, inizierà una corsa per il brevetto che distruggerà la collaborazione internazionale ed intralcerà la ricerca". La prima conferenza Nord-Sud sul genoma (l'insieme dei geni presenti nel corredo cromosomico aploide di una specie, N.d.C.) umano ha approvato all'unanimità una risoluzione nella quale si sostiene che "la proprietà intellettuale deve basarsi sull'uso che si fa delle sequenze dei geni piuttosto che sulle sequenze stesse", ed anche i più importanti scienziati europei hanno lanciato un appello per un trattato internazionale che vieti la possibilità di brevettarle in quanto tali. Un rappresentante dell'americana "Industrial Biotechnology Association" (Associazione per l'Industria Biotecnologica) ha fatto notare come, pur avendo delle riserve, l'industria "crede che il "Nih" non abbia altra scelta se non quella di presentare le domande di brevetto". La direttrice di questo istituto, Bernadine Healy, ha inoltre aggiunto che il "Nih" andrà avanti su questa strada allo scopo di "proteggere i suoi interessi - e quelli del contribuente", eufemismo questo usato generalmente per indicare coloro ai quali vanno i profitti ed i vantaggi delle politiche sociali negli stati capitalistici del welfare (per i ricchi). Nel marzo del 1992, il senatore Mark Hatfield presentò una proposta di legge per la sospensione della concessione dei brevetti sugli organismi creati con l'ingegneria genetica ma, in seguito, la dovette ritirare perché "aveva provocato una forte opposizione dell'industria e soprattutto una massiccia campagna di pressioni da parte dell'"Industrial Biotechnology Association"", come sostiene la rivista specializzata del settore della ricerca medica. Anche alcuni funzionari dell'Amministrazione si opposero all'emendamento, come d'altra parte il Comitato sulla biotecnologia del Congresso. Una moratoria, ha affermato il segretario della "Health and Human Services", "ci porterebbe a rinunciare al vantaggio acquisito nella biotecnologia, un campo dove i diritti di brevetto sono la chiave per accedere ai grossi investimenti (privati) necessari per lo sviluppo dei prodotti". Intanto, una ricerca dell'"Accademy of Science and Engineering" ha proposto la formazione di una compagnia semigovernativa da 5 miliardi di dollari "per canalizzare i fondi del governo centrale federale verso la ricerca applicata privata": gli studi sono finanziati dallo stato ed i profitti vanno invece ai privati. Un altro rapporto, dal titolo "Il ruolo del governo nello sviluppo delle tecnologie civili: la costruzione di una nuova alleanza", invita a compiere ulteriori sforzi per approfondire quel rapporto tra governo ed industria così "stretto e di lunga data" che "ha contribuito alla nascita dell'industria biotecnologica commerciale". Il documento raccomanda inoltre la creazione di una "impresa per la tecnologia civile" finanziata dal governo con l'obiettivo di aiutare l'industria Usa nella commercializzazione delle sue tecnologie, favorendo la nascita di "imprese miste per il finanziamento ad alto rischio della ricerca e dello sviluppo in settori pre-commerciali". Queste società saranno 'cooperative' - nel senso che i contribuenti ne pagheranno i costi - fino al momento dello sviluppo del prodotto. Quando poi i costi diventeranno profitti, allora lo stato li regalerà all'industria privata (18). La 'spregevole regola dei padroni' ha un corollario nelle società capitalistiche: finanziamenti pubblici, profitti privati. Alcune settimane dopo la comparsa di questi documenti, il capo del progetto del "National Institute of Health" ("Nih") diede le dimissioni insieme a quasi tutto il suo staff per dar vita ad un laboratorio privato, con un finanziamento di 70 milioni di dollari concesso da un gruppo di capitalisti d'assalto. Il presidente dell'impresa finanziatrice "disse di essersi improvvisamente reso conto dell'esistenza di una gara internazionale per mettere sotto chiave il genoma umano", e che il "Nih" non aveva i fondi per vincere: "Mi sono detto: 'Mio Dio - se questa cosa non si farà negli Stati Uniti, sarà la fine della biotecnologia nel nostro paese'". Forse bisognerebbe dare qualche dollaro a questi benefattori che tentano di salvare l'economia nordamericana e che si terranno i diritti di qualsiasi prodotto verrà sviluppato con quelle ricerche! Gli scienziati "sono atterriti dalla possibilità che il genoma umano possa essere messo sotto chiave e diventi così proprietà degli investitori privati", notando anche che la tecnica usata per isolare il gene lascia ad altri gli aspetti scientifici, come la scoperta delle sue funzioni. Gli scienziati, nel complesso, vorrebbero un accordo internazionale per proibire tali brevetti ma, per il momento, continua la corsa per impadronirsi dell'industria delle biotecnologie del futuro (19). Questi sviluppi hanno spinto gli Usa nel corso dei negoziati internazionali sui commerci e le tariffe ("Gatt") a richiedere con ancor più vigore una maggiore protezione per i 'diritti di proprietà sulle opere d'ingegno', brevetti inclusi. "L'interesse dell'America per le opere intellettuali non è certo una forma d'altruismo", scrive l'"Economist". Mentre la maggior parte degli altri paesi sviluppati registrano in questi settori forti deficit ed il Terzo Mondo è fuori gioco, gli Usa "nel corso del 1990 hanno registrato con il commercio delle idee, dai film ai microchip, un attivo di ben 12 miliardi di dollari". Il principale obiettivo che Washington si prefigge con le nuove misure protezionistiche è quello di far sì che le società americane dominino l'industria farmaceutica e quella agricola, mettendo le mani sui settori essenziali per la vita umana; e, così facendo, garantire enormi profitti per le compagnie Usa del settore. Secondo una ricerca del 1992 i prezzi dei 20 farmaci più prescritti hanno avuto un aumento, dal 1984 al 1991, pari a quattro volte il tasso d'inflazione portando alle imprese proventi astronomici; quasi la metà di quell'aumento annuo del 10% è stata destinata alle reti di vendita, ai profitti ed alle spese amministrative. "La ricerca biomedica di base è stata a lungo finanziata dai contribuenti americani", scrive la pagina economica del "New York Times", ed "i prodotti farmaceutici più all'avanguardia sono nati grazie agli interventi ed agli scienziati del governo", finanziati con miliardi di dollari dei contribuenti. Ma chi, con le tasse, ha finanziato le ricerche di quei farmaci non li può acquistare a causa dei loro prezzi proibitivi, per non parlare della maggior parte della popolazione mondiale. La protezione dei 'prodotti d'ingegno' ha infatti lo scopo di garantire profitti monopolistici alle società finanziate dal governo, non di andare a beneficio di coloro che le pagano. Inoltre si propone anche di negare al Sud il diritto di produrre a basso costo farmaci, semi ed altri prodotti essenziali. In base ad una logica simile, gli Usa si sono rifiutati di firmare un trattato per la difesa delle specie biologiche del mondo. A questo proposito il "Times" riporta la dichiarazione del sottosegretario di Stato per l'Ambiente, Curtis Bohlen, secondo cui il trattato "non darebbe adeguata protezione nel campo dei brevetti alle società americane che trasferiscono biotecnologie alle compagnie nei paesi in via di sviluppo", e "tenta di regolamentare il settore delle manipolazioni genetiche, un'area di concorrenza nella quale gli Stati Uniti sono al primo posto" (20). Secondo la "International Trade Commission Usa" (Commissione per il Commercio Internazionale) le compagnie americane potrebbero ricavare 61 miliardi di dollari all'anno dal Terzo Mondo nel caso in cui i diritti sui 'prodotti d'ingegno' venissero garantiti come richiesto dagli Stati Uniti; il costo per il Sud si aggirerebbe poi tra i 100 ed i 300 miliardi di dollari se si considerano tutti gli altri paesi industrializzati, una somma che fa impallidire il flusso dei capitali dal Sud al Nord per il pagamento dei debiti. Gli Usa vorrebbero costringere gli agricoltori poveri a pagare diritti sui semi alle multinazionali, negando poi loro la possibilità di riutilizzare i semi prodotti dai loro raccolti. Anche le varietà derivate da raccolti commerciali esportati dal Sud (olio di palma, cotone, gomma, eccetera) diventeranno proprietà commerciali, soggette al pagamento di sempre più costosi diritti d'autore. A questo proposito Kevin Watkins aggiunge: "I maggiori beneficiari saranno i membri di un piccolo gruppo di una dozzina di compagnie farmaceutiche e di produzione di sementi che controllano più del 70% del commercio di questo settore" e, più in generale, il settore agricolo (21). Mentre gli Usa cercano di ipotecare a loro vantaggio il futuro del settore, sotto la loro protezione le compagnie farmaceutiche del Nord stanno tranquillamente sfruttando le conoscenze accumulate dalle culture indigene per dar vita a prodotti che fruttano 100 miliardi di dollari di profitti all'anno, senza dare praticamente nulla in cambio a quelle popolazioni che mostrano ai ricercatori le medicine, i semi ed altri prodotti da loro sviluppati e perfezionati nel corso di migliaia di anni. "Il valore annuo del mercato mondiale di prodotti derivati dalle piante medicinali scoperte dai popoli indigeni - sostiene l'etnobotanico Darrell Posey - è di 43 miliardi di dollari". "Ai popoli indigeni che hanno rivelato ai ricercatori i loro medicamenti tradizionali è tornato meno dello 0,001% dei profitti ricavati da quei medicinali". Secondo Posey, le società del Nord hanno guadagnato altrettanto con gli insetticidi, i repellenti naturali ed i materiali genetici delle piante. Inoltre, aggiunge Maria Elena Hurtado, l'industria internazionale dei semi che si basa in gran parte su varietà "selezionate, allevate, perfezionate e sviluppate dallo spirito innovativo degli agricoltori del Terzo Mondo per centinaia, anzi migliaia di anni" da sola frutta al Nord circa 15 miliardi di dollari all'anno (22). Solo le 'opere d'ingegno' dei ricchi e potenti meritano di essere 'protette'. Il direttore del Gruppo di Lavoro sulle Leggi di Brevetto in India afferma che in materia "le contraddizioni e le ipocrisie hanno raggiunto livelli da togliere il fiato". I ricchi "invocano la concorrenza, ma quel che vogliono è il monopolio. E' un ricatto. I potenti tentano ora di ottenere, fissando le regole dell'economia, quel che una volta cercavano di prendersi con gli eserciti d'invasione e di occupazione". Secondo il dirigente di una compagnia farmaceutica di Bombay, l'Occidente "ha prima protetto le proprie industrie quando erano deboli e poi razziato il mondo per accumulare le sue ricchezze; adesso invece chiede agli altri paesi di comportarsi in maniera differente da lui". I paesi sviluppati "hanno permesso la concessione di brevetti solo dopo che le loro infrastrutture e le industrie locali si erano consolidate. La Germania riconobbe i brevetti sui prodotti del settore farmaceutico solo nel 1966, il Giappone nel 1976, l'Italia nel 1982". L'effetto delle nuove regole economiche sarà quello di impedire a paesi quali l'India la possibilità di produrre farmaci salva-vita a prezzi inferiori di quelli imposti dalle società (con finanziamenti statali) dei paesi ricchi. Gli Usa del resto, come gli altri stati industrializzati, non hanno mai rispettato le regole che oggi tentano di imporre agli altri. Ad esempio, per tutto il 1800 Washington respinse le richieste provenienti dall'estero per l'istituzione di diritti di proprietà sui prodotti d'ingegno perché ciò avrebbe ostacolato il proprio sviluppo economico. Il Giappone ha sempre seguito la stessa strada. E oggi, il concetto di 'diritti sulla proprietà intellettuale' è stato finemente elaborato per soddisfare gli interessi dei potenti. Esattamente come nel caso del 'libero scambio', non verrà mai permesso alle "nazioni affamate", nelle parole di Churchill, con le loro indecenti lagnanze di comportarsi come fecero "gli uomini ricchi che abitano in pace nelle loro dimore" (23). L'insieme di progetti relativi a questi settori portati avanti da coloro che dominano il mondo appaiono agli occhi del Sud come "gesti di pirateria sfrenata", osserva Watkins, visto che i materiali genetici impiegati dalle società occidentali per creare i loro prodotti brevettati e protetti derivano da raccolti e piante selvatiche del Terzo Mondo, coltivate, selezionate ed identificate da generazioni e generazioni. Così mentre le industrie produttrici di semi e di farmaci "percepiscono profitti monopolistici, il talento degli agricoltori passati e presenti del Terzo Mondo, impiegato nel selezionare e sviluppare differenti varietà non viene ricompensato". L'autorevole giornale egiziano "al-Ahram", riferendosi alle manovre di Bush per arrivare ad un conflitto con Gheddafi sulla base, come al solito, di motivazioni di politica interna, ha descritto il Nuovo Ordine Mondiale come "una forma di pirateria internazionale codificata". La terminologia è abbastanza appropriata (24). La 'pirateria sfrenata' occidentale, che minaccia gravemente l'agricoltura ed il sapere degli indigeni, ha assunto un'ancora maggiore invadenza con la richiesta che, negli interessi delle multinazionali, il Sud abbandoni le sue produzioni destinate ai bisogni interni a favore delle agroesportazioni, ecologicamente insostenibili. Conseguenza di questa tendenza è il declino delle risorse biologiche del mondo - soprattutto nel Sud - con il pericolo di malattie e pestilenze potenzialmente assai pericolose. Così se verranno accolte le richieste delle imprese per una maggiore protezione dei loro brevetti, qualunque possano essere i rimedi forniti dalla biotecnologia, l'effetto sarà ancora una volta quello di un trasferimento del potere e della ricchezza nelle mani dei dominatori del mondo. Del resto è puramente retorico domandarsi se le richieste delle società del Nord verranno o meno accolte, visti i rapporti di forze nella Nuova Era Imperiale e l'impermeabilità del processo decisionale, ad ogni 'intromissione' dell'opinione pubblica. Note: N. 16. Sonia Nazario, "The Wall Street Journal", 5 ottobre 1992. Wachtel, op. cit., 'Afterword'. John Zysman, 'U.S. power, trade and technology', "International Affairs", Londra, gennaio 1991. Benjamin Friedman, "The New York Review of Books", 13 agosto; "Christian Science Monitor", 14 agosto; "Science", 21 agosto. Pollin, "Guardian", New York, agosto 1992. N. 17. Uchitelle, "New York Times", p. A1, 12 agosto 1992. N. 18. Michael Waldholz e Hillary Stout, 'Rights to Life', "The Wall Street Journal", 7 aprile. Leslie Roberts, "Science", 29 maggio 1992. "The Blue Sheet", 8, 15 aprile 1992. N. 19. Gina Kolata, "New York Times", 28 luglio 1992. N. 20. "Economist", 22 agosto 1992. Richard Knox, "Boston Globe", 11 settembre 1992, ricerca della Families USA Foundation; l'industria farmaceutica ne ha ammessa l'attendibilità. Fazlur Rahman, "New York Times", 26 aprile. William Stevens. "New York Times", 24 maggio 1992. N. 21. Watkins, "Fixing", p. 94-5. N. 22. 'Intellectual Property Rights', "Anthropology Today", Gran Bretagna, agosto 1990. N. 23. Jeremy Seabrook, "Race & Class", luglio 1992. Watkins, "Fixing", p. 96. N. 24. David Hirst, "Guardian", Londra, 23 marzo 1992. · Anno 501 la conquista continua - · indice · Archivio Web Noam Chomsky - · homepage Archivio Web Noam Chomsky PARTE SECONDA. I SOMMI PRINCIPI. Capitolo 5. DIRITTI UMANI E PRAGMATISMO. 1. IL FARDELLO DEI GIUSTI. Tra i nobili ideali ai quali ci siamo votati, accanto alla Democrazia e al Mercato, vi è quello dei Diritti Umani, divenuto 'l'anima della nostra politica estera', proprio quando l'orrore suscitato nell'opinione pubblica da incredibili atrocità si è fatto incontenibile. Per essere sinceri la nostra opera in favore del genere umano non è del tutto scevra da errori. Ad esempio molti commentatori, citando alti funzionari governativi, sostengono che abbiamo indubbiamente esagerato "nel dare all'idealismo una posizione preminente nella politica estera". Infatti la nostra nobiltà d'animo ci pone in una posizione svantaggiata quando abbiamo a che fare con i 'feroci selvaggi' di cui parlava il giudice Marshall. E' lo stesso problema che ha tormentato l'Europa nel corso della sua lunga storia di 'scontri' con altri popoli. Ad esempio la guerra di Corea, come scrisse il consigliere di Kennedy Maxwell Taylor, sollevò "seri quesiti su come l'Occidente, così mite ed umanitario, possa competere con personaggi" quali gli 'spietati' leader asiatici. Quando la guerra del Vietnam entrò nella sua drammatica spirale verso l'abisso, alle "preoccupazioni sul futuro dell'Occidente in Asia" di Taylor fecero eco quelle di importanti esponenti liberal critici del conflitto nel Sud-Est asiatico. A loro parere, nonostante i "poveri dell'Asia" avessero adottato "la strategia dei più deboli", spingendoci a portare "alle estreme conseguenze, cioè al genocidio, la [nostra] strategia", noi non avevamo intenzione di "autodistruggerci... contraddicendo il nostro sistema di valori". Miti e sentimentali come siamo, noi americani sentiamo nel nostro animo che "il genocidio è un terribile peso da sopportare" (William Pfaff, Townsend Hoopes). L'analista Albert Wohlstetter spiega a questo proposito che "era più difficile per noi far pagare alti prezzi ai vietnamiti che per loro sopportarli". Siamo troppo nobili per questo mondo crudele. Il dilemma di fronte al quale ci troviamo è stato oggetto delle riflessioni dei più importanti filosofi occidentali. Hegel ha meditato a lungo sul "disprezzo per l'umanità manifestato dai Negri" d'Africa, "che si lasciano uccidere a migliaia nelle guerre con gli europei. La vita ha un valore solo quando si pone come obiettivo qualcosa di prezioso", un pensiero che non può essere afferrato da questi 'meri oggetti'. Incapaci di capire i nostri nobili valori, i selvaggi ci disorientano nel nostro cammino verso la giustizia e la virtù (1). Il fardello dei giusti non è facile da portare. Possiamo comunque verificare queste tesi proclamate con tanta sicurezza esaminando il rapporto tra gli aiuti Usa ed il rispetto dei diritti umani. Ed è quanto è stato fatto dall'accademico latinoamericano Lars Schoultz, secondo il quale l'assistenza economica americana "ha generalmente beneficiato quei governi latinoamericani che torturano i loro cittadini... coloro che si sono più distinti nell'emisfero per le violazioni dei diritti umani". Si tratta di un flusso di aiuti che comprende anche forniture militari, ignora le necessità della popolazione, e non si è mai interrotto neppure sotto l'amministrazione Carter, quando la questione dei diritti umani ricevette un po' di attenzione. Una ancor più generale ricerca di Edward Herman ha dimostrato l'esistenza in tutto il mondo di un rapporto tra gli aiuti Usa e le violazioni dei diritti dell'uomo, e ne ha indicato le ragioni: l'erogazione di aiuti è strettamente correlata alla creazione, o al miglioramento, nel paese destinatario di un clima favorevole agli investimenti, un risultato che di solito si raggiunge assassinando preti e sindacalisti, massacrando i contadini che tentano di organizzarsi, facendo saltare in aria i giornali indipendenti, e così via. Vi è quindi una precisa relazione tra l'assistenza allo sviluppo e le più rilevanti violazioni dei diritti umani. Queste ricerche inoltre precedono gli anni di Reagan, quando il problema non è stato neppure posto. Altrettanto interessante è studiare il rapporto tra gli autori delle atrocità ed i sentimenti che essi suscitano nel nostro paese. Vi sono molte ricerche in merito, tutte giunte alle medesime conclusioni: le atrocità dei 'nemici ufficiali' degli Usa risvegliano grande angoscia ed indignazione, un forte interessamento dei media e, spesso, una gran massa di spudorate menzogne al fine di dipingerli ancor più gravi di quel che sono; assai diversa invece la reazione quando vi è un nostro coinvolgimento diretto o indiretto. (Le atrocità che non hanno alcuna influenza sulla politica interna sono generalmente ignorate.) Inoltre sappiamo anche, senza analoghi approfondimenti, che è avvenuto esattamente lo stesso nel caso della Russia di Stalin e della Germania nazista. L'assurdità di questa situazione è accresciuta dal fatto (per oscurare il quale i commissari politici di tutte le parti del mondo sono sempre al lavoro) che sul piano morale gli abusi dei diritti umani richiedono tanto più un nostro interessamento quanto più possiamo fare qualcosa per porvi termine; a cominciare dai nostri e da quelli perpetrati dai nostri 'clienti'. Numerosi studi confermano del resto come la politica, quando siano in gioco la ricchezza ed il potere, coincida con il richiamo di Kennan sulla "irrealtà di obiettivi come i diritti umani" (2). Nessun fatto concreto ha il minimo impatto sui 'sommi principi'. Ma questo è logico. Come nel caso del rapporto tra democrazia e mercato, i documenti storici riguardano solamente quelle che Hegel definì "esistenze negative, senza valore" e non il "piano di dio" e la "luce pura di quest'Idea divina". Questo punto di vista è stato a volte reso esplicito dagli studiosi contemporanei, come Hans Morgenthau, fondatore della scuola 'realista', secondo il quale, basandosi sulla documentazione storica, si rischia di "confondere la deformazione della realtà con la realtà stessa". Quest'ultima è infatti costituita dai "superiori obiettivi" della nazione, che sono sicuramente nobili, mentre le "irrilevanti" prove documentarie ne danno una versione deformata (3). Il resoconto dei fatti, al contrario, è effettivamente fuorviante se si limita a descrivere il sostegno da noi dato alle più orrende atrocità, tralasciando di raccontare quanto esse siano state ben accolte se considerate parte di una giusta causa, caratteristica essenziale questa dei 500 anni della Conquista. Basti ricordare le reazioni alle atrocità compiute nell'ultimo decennio in Centroamerica sotto la supervisione Usa. Per illustrare quanto solido sia questo pilastro della cultura tradizionale, sarà sufficiente ricordare quanto avvenne nell'era del governo mondiale Usa, nelle Indie Orientali olandesi, uno dei primi avamposti del colonialismo europeo in Asia. Note: N. 1. Thomas Friedman, "New York Times", 12 gennaio 1992; vedi p. 183. Taylor, "Swords", p. 159. Pfaff e Hoopes, commenti virtualmente identici senza riferimenti incrociati, quindi non è chiaro a chi debba essere accreditato; vedi "At War with Asia", p. 297-300, "For Reasons of State", p. 94-5. Wohlstetter, "The Wall Street Journal", 25 agosto 1992. Hegel, "Philosophy", p. 96. N. 2. Schultz, "Comparative Politics", gennaio 1981. Herman, in Chomsky, "Political Economy and Human Rights", 1, cap. 2.1.1; "Real Terror Network", 126n.n. "Political Economy and Human Rights" e "Manifacturing Consent", per un'analisi comparativa. N. 3. Vedi Chomsky, "Towards a New Cold War", 73n., per ulteriori discussioni. Vedi anche "Necessary Illusions" e "Deterring Democracy". ___________________________________________ Rekombinant http://www.rekombinant.org