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strategie per la comunicazione indipendente
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01/29/03 rossana Uniti contro la guerra 24kb
01/30/03 rossana L'Affare guerra e il movimento 16kb
01/31/03 rossana Re: [RK] Il diritto all'Insurrezione   4kb
02/02/03 rossana Re: [RK] insurrezione? 9kb
02/02/03 rossana Archivio Chomsky: il keynesismo militare e il fard...  72kb




Date:   Wed, 29 Jan 2003 08:22:32 +0100
From:   rossana <[EMAIL PROTECTED]>
To:     [EMAIL PROTECTED]
Subject:        Uniti contro la guerra

L'economia post fordista non ha cambiato solo il modo di lavorare, ma cerca
di  porre un destino comune quando ci chiede di investire i nostri risparmi
in fondi di investimento. Riflettiamo quando ci poniamo contro la guerra da
una parte, e poi leghiamo la nostra vita al mercato della guerra.

LA PRIVATIZZAZIONE
DI FINMECCANICA

La privatizzazione di Finmeccanica, attuata con l'Offerta pubblica di
vendita conclusasi il 2 giugno 2000, è l'ultima in ordine di tempo tra le
grandi privatizzazioni che hanno interessato in questi anni il sistema
delle aziende "pubbliche" del nostro paese.
Lo Stato, che ultimamente deteneva l'84% delle quote di Finmeccanica, al
termine dell'operazione di privatizzazione è sceso al 35,8%. Riconosciuta
la strategicità delle attività industriali presenti in Finmeccanica
(difesa, aerospazio, energia, trasporti; information technologyŠ), grazie a
un meccanismo di garanzie (golden share) definito per legge, esso
attraverso il Ministero del Tesoro manterrà dunque capacità di controllo e
di governo di quella che sarà la nuova "holding industriale" Finmeccanica.
La vendita delle azioni Finmeccanica, per un importo complessivo pari a
circa 11.000 miliardi di lire, è stata effettuata attraverso una Opv
(Offerta pubblica di vendita) che ha interessato investitori privati,
pubblici e anche i lavoratori dipendenti.


Una nuova figura:
il dipendente azionista

Analogamente a quanto è stato fatto nelle precedenti privatizzazioni (Eni,
Telecom, EnelŠ), all'interno della Opv sono state previste per i dipendenti
Finmeccanica condizioni di sicuro interesse, definite e sancite con un
accordo sindacale tra Finmeccanica e Fim Fiom Uilm:
- "bonus" di 11 azioni su 100 fino a un massimo di 550 su 5.000, per i
lavoratori che "conservano" le stesse per almeno 12 mesi (in altri termini,
la possibilità di acquisto di azioni fino a 17 milioni pagandole
all'incirca 15 milioni);
- possibilità di ricorrere per metà della spesa allo smobilizzo del Tfr
maturato (fino a un massimo del 70%);
- possibilità di un prestito a condizioni agevolate per l'eventuale
acquisto del secondo pacchetto di azioni o per quei lavoratori che non
dispongono dell'accantonamento Tfr.
La nostra valutazione pur ritenendo che Finmeccanica avrebbe potuto e
dovuto "osare di più" per favorire l'azionariato dei propri dipendenti (per
esempio differenziando maggiormente il "bonus share" di 11 azioni rispetto
alle 10 riservate al mercato) è che si tratti di una interessante
opportunità di risparmio offerta alla libera scelta dei circa 44.000
lavoratori di Finmeccanica.
In tema di agevolazioni a favore dei dipendenti, la Fim Cisl si sente
particolarmente impegnata anche per il futuro:
- chiedendo a Finmeccanica di riconoscere ulteriori vantaggi per i
dipendenti azionisti (per es. attraverso un secondo "bonus share" da
applicare a chi conserverà le azioni per ulteriori 12 mesi, dopo il primo
anno);
- negoziando col governo adeguati incentivi fiscali a favore dei dipendenti
azionisti, quale ad esempio l'esclusione dal reddito imponibile del valore
delle azioni (almeno fino a una certa soglia) acquisite nell'ambito di un
piano di azionariato dei dipendenti.


Un'occasione da non perdere

Convinti come siamo che al dipendente azionista di Finmeccanica si chiede
in buona sostanza di legare all'azienda in aggiunta al proprio reddito
conseguente al rapporto di lavoro anche i propri risparmi da investire in
azioni, riteniamo che si debba "andare oltre" le specifiche, e pur
importanti, agevolazioni economiche e fiscali.
La realtà del mondo finanziario odierno, basato su una pressoché assoluta
libertà di circolazione dei capitali, si presenta preoccupante per la
stessa stabilità delle imprese.
Due sole cifre: il volume annuale globale delle operazioni sui mercati
azionari (dati 1996) è stato di 160 miliardi di dollari; gli scambi
commerciali globali annuali di merci e di servizi sono ammontati a soli 4,3
miliardi di dollari. Il che vuol dire che il flusso ininterrotto di
capitali finanziari in cerca di guadagni immediati, grazie alla
speculazione di borsa sui cambi esteri 24 ore su 24, supera di quasi 40
volte il valore delle contrattazioni sui beni e sui servizi: l'economia del
solo denaro prevale grandemente su quella reale, che produce lavoro e
ricchezza collettiva concreta.
È spesso accaduto che per l'interesse di chi opera in borsa sia stato messo
a repentaglio l'interesse di chi opera nelle imprese (cioè i lavoratori).
L'azionariato dei dipendenti Finmeccanica si presenta pertanto come
un'occasione da non perdere, non facilmente ripetibile per l'insieme dei
lavoratori: esso può consentire la costituzione, a vantaggio dell'impresa,
di un significativo zoccolo di azionariato stabile e può aprire, a favore
dei lavoratori, una possibilità di controllo e di condizionamento nei
luoghi dove si decidono le strategie dell'impresa.
In questo senso il coinvolgimento dei dipendenti Finmeccanica nella vendita
delle azioni della Società rappresenta per la Fim Cisl il primo,
indispensabile passo verso un modello maggiormente partecipativo, teso
all'introduzione nelle imprese di reali elementi di democrazia economica.
Se ognuno dei 44.000 lavoratori di Finmeccanica avesse sottoscritto
liberamente l'Opv, i dipendenti azionisti sarebbero arrivati a detenere già
in questa prima fase circa il 2,5% delle azioni, una quota quasi pari a
quel 3% che è la percentuale massima, dopo il 30% del Ministero del Tesoro,
prevista per legge (in tempi molto recenti abbiamo visto Ifi e Fiat, cioè
la famiglia Agnelli, controllare Telecom con appena lo 0,6%).
L'Opv Finmeccanica, dunque, non è solo l'occasione per offrire vantaggi
individuali pure importantissimi ai singoli lavoratori, ma anche una forte
opportunità di partecipazione democratica dei lavoratori alle scelte
importanti dell'impresa.


Tutelare il lavoro
e l'occupazione

Chi più del "dipendente azionista" deve avere diritto a incidere sulle
scelte strategiche dell'impresa per la quale lavora, e nella quale ha
deciso di investire i propri risparmi?
La nostra opinione e per questo la Fim Cisl si sente fortemente impegnata è
che si debba identificare, attraverso un adeguato supporto giuridico, una
sorta di "golden share" che attenga i poteri e i diritti del
dipendente-azionista.
Nel concreto, i lavoratori che saranno azionisti potranno e dovranno
attraverso una propria forma di associazionismo organizzato partecipare al
nucleo stabile dell'azionariato e influire così sugli indirizzi di
Finmeccanica nell'interesse dell'occupazione e dello sviluppo.
Ciò non è in alternativa e tantomeno in contrapposizione con l'azione
tradizionale del sindacato finalizzata ai medesimi obiettivi, ma ne
costituisce un'importante integrazione.
Nel momento in cui i lavoratori collettivamente figurano tra i grandi
azionisti dell'azienda, devono avere la possibilità di accedere con loro
rappresentanti alle sedi decisionali dell'impresa e quindi nei suoi organi
statutari (Assemblea dei soci, Comitato di sorveglianza, ecc.).
Onde liberare il campo da ogni possibile strumentalizzazione sulla natura
della rappresentatività sindacale, sarà necessario stabilire una netta
distinzione tra rappresentanza sindacale e rappresentanza azionaria, in
modo che le forme di partecipazione negli organi aziendali che riteniamo
utili e necessarie esprimano la forza e la capacità dell'insieme dei
lavoratori nel governo e nell'indirizzo strategico dell'impresa.
Questa è la grande occasione di rilievo politico e contrattuale che sta di
fronte a noi, ai lavoratori, al sindacato nel suo insieme, all'azienda.
Riuscire a coniugare la libertà dell'iniziativa economica con l'interesse
generale e con il bene comune, crediamo sia proprio di una moderna democrazia.
L'OFFERTA FINALE FINMECCANICA IN CIFRE
Prezzo definitivo
per azione
(Opv e istituzionale) 1,50 Euro
(2.904,4 lire) Ammontare definitivo offerta globale 3.300 milioni
di azioni
Prezzo lotto minimo
(2.500 pezzi) 7.262.000 lire- Opv2.895,2 milioni
di azioni
Domanda complessiva 6.369 milioni
di azioni - istituzionali404,8 milioni
di azioni
- pubblico 3.059 milioni
di azioni Opzione "greenshoe"*495 milioni
di azioni
- dipendenti 62 milioni
di azioni Totale azioni vendute3.795 milioni
- investitori istituzionali 3.248 milioni
di azioni Incasso per l'Iri11.022 miliardi
Partecipazione residua dello Stato35,8%
del capitale
* alla lettera "scarpa verde". Termine americano per indicare un'offerta
ulteriore di azioni prima della quotazione in Borsa


L'ADESIONE DEI DIPENDENTI FINMECCANICA ALL'OPV
Settori Numero adesioni% di adesione
Finmeccanica Corporate 14471
Aeronautica 4.71653
Spazio 1.92269
Difesa 6.28366i cui AMS
2.698 (64%)
Energia 2.48549di cui CMTL
462 (54%)
Trasporti 2.34048
Servizi di Information
Technology. 1.37653
Elicotteri 3.48971
Altro 28550
Totale adesioni 23.04058
Roma, 13 giugno 2000







Date:   Thu, 30 Jan 2003 10:20:58 +0100
From:   rossana <[EMAIL PROTECTED]>
To:     [EMAIL PROTECTED]
Subject:        L'Affare guerra e il movimento
Dopo l'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono il generale Arpino ha così
delineato il futuro: Quella contro il terrorismo è guerra totale e il
risultato finale testimonierà di fronte al mondo che i Giusti hanno
finalmente ripreso l'iniziativa.
La nuova allenza globale contro il terrorismo (e non dimentichiamo che il
movimento viene inserito fra le nuove minacce indicato come "processo
imitativo da parte di gruppi e individui attratti dall'effetto spettacolare
dell'azione di protesta e ribellione" anche in ambito PESD/PESC oltre che
internazionale) si muove in uno scenario instabile. (vedere rapporto NATO
ed EUROPA, la creazione dell'asse Francia-Germania, quello delineato da
Sharon con USA-Israele-Russia, o il tentativo americano di tagliare fuori
Russia, Iran e Arabia Saudita, la messa sotto controllo della Cina...)

A Bologna invitiamo a pensare ad una risposta contro questa guerra mettendo
al centro i nostri desideri, la necessità di reclamare reddito per porre
fine all' "affare" di un ceto che si autodefinisce nostalgicamente dei
"Giusti".


RECLAIM THE MONEY (or at list the Media?)
REDDITO DI CITTADINANZA
Per tutti i gruppi e i singles interessati a questo tema: sentiamoci giovedì
30 gen. negli interstizzi del BSF, per combinare un appuntamento comune sul
reddito di cittadinanza a febbraio?
Anch'io ero a ROma per il Multibattito. E' stata un'occasione vivace, senza
aridi scazzi interni e autismo. Non so quanto il tema "reddito di
cittadinanza" riesca a aggregare e rilanciare entusiasmo per il movimento.
Se sui massimi comuni multipli, sui mondi possibili desiderati non ci si
trova, forse ma forse... sul minimo comune divisore sarà possibile? Certo,
la rivendicazione di vile "denaro", è minimale, quasi cinica. Chi nel mondo
non si ritrova a desiderare più soldi?
Eppure ripartire dalla banalità del quotidiano ha l'effetto di riuscire a
far discutere yuppie e hippy, marxisti, liberisti e nichilisti, no e new
Global, sindacalisti e movimentisti. Soprattutto, il Reddito di Cittadinanza
sembra diventare uno spazio aperto, plurale, a più livelli nel quale
riescono a convivere e ricombinarsi in maniera inaspettata temi quali:
lavoro, welfare, consumo critico, altra economia, precarietà, flessibilità,
emarginazione, sicurezza e conflitto sociale... in altre parole, sotto lo
slogan "Reclaim the Money", o meglio "Reddito esistenziale", appare
finalmente esplicitarsi la domanda seria: questa moltitudine di soggetti in
movimento quali desideri e quali esistenze sta rivendicando per se stessa?
Ho incontrato a Roma Rossana (LUC & eM24). Entrambi sentivamo la necessità
di capire chi a Bologna si sta muovendo su questi temi (reddito di
cittadinanza, lavoro, precarietà, altra economia, ecc.). La sensazione è che
da un annetto siamo in molti. Penso ai vari sportelli di lavoratori atipici
e precari che sono nati, penso ai collettivi universitari che hanno posto il
lavoro all'OdG, penso a vari sottogruppi delle reti presenti al BSF
(Lilliput, Attac, PdR, Verdi, Disobbedienti, ecc.), e ancora altri che mi
sfuggono. Perchè non organizzare una data per febbraio e confrontarci?
Andrea (elCusa)


>  articolo su Liberazione su multibattito tenuto a Roma presso Acrobax il
>  25/26 gennaio
 >
>  Manifesti, striscioni, flyer, adesivi, magliette dalle scritte: "Reclaim
The
>  Money", "Lavoro o non lavoro Reclama Reddito", iniziano ad apparire in
molte
>  piazze italiane durante lo sciopero generale dello scorso aprile. Una
>  presenza nata grazie ad un appello lanciato in rete raccolto, modificato,
>  stampato, distribuito da una molteplicità di soggetti. Sono i flessibili,
>  gli intermittenti, i disoccupati, gli studenti, i migranti, gli acrobati
>  metropolitani che reclamano reddito, di cittadinanza, di esistenza per
>  "liberare i tempi della mia vita dai tempi del lavoro". Gli stessi che si
>  sono ritrovati a Genova nel luglio del 2002 e nello spazio Hub durante l'
>  FSE, da cui forte è emersa l'esigenza di confrontarsi, di sperimentare
>  percorsi comuni, di "interrogarsi su come passare dal declinare al fare".
>  Nasce da qui l'idea di un Multibattito per il Reddito di Cittadinanza; "un
>  dibattito molteplice", un "battito a molti cuori", come amano definirlo
gli
>  organizzatori. Un luogo aperto in cui poter narrare le proprie esperienze;
>  partire dalle difficoltà incontrate per iniziare ad immaginare ed
elaborare
>  insieme strategie e percorsi da realizzare. Intento concretizzatosi nella
>  due giorni dedicata al Reddito di Cittadinanza, svoltasi sabato 25 e
>  domenica 26 gennaio presso il L.O.A. Acrobax. E non a caso, visto che la
>  nuova occupazione romana nasce come "laboratorio di acrobati in equilibrio
>  sul filo della precarietà, costretti a rincorrere i bisogni quotidiani".
>  Tante le situazioni che hanno preso parte al multibattito; una
>  partecipazione che attraversa il territorio, da Trento a Bari, dimostrando
>  la vitalità e l'interesse di soggettività e situazioni diverse, ma che
hanno
>  saputo incontrarsi e trovare un obiettivo comune, al di là delle
>  appartenenze. Una frammentazione che inizia a ricomporsi, attraverso la
>  conoscenza, la messa in rete dei saperi e delle esperienze di cui ognuno è
>  portatore. Lavoro sul territorio e comunicazione - intesa come elemento
>  centrale di cooperazione tra i soggetti - si sono dimostrati gli elementi
>  cardine su cui continuare a puntare. Tante le proposte e gli appuntamenti
a
>  partire da un netto "No alla guerra", fino all'ipotesi di un secondo
>  appuntamento con l'idea di realizzare un Festival del precariato
>  metropolitano. Si continua così a sperimentare percorsi possibili, ognuno
>  con le proprie peculiarità, ma con la consapevolezza di non essere soli,
di
>  avere a disposizione uno spazio tempo in cui continuare a confrontarsi e a
>  condividere esperienze e scelte.
 >
>  documentazione, materiale, approfondimenti:
>  http://www.infoxoa.org;
>  http://www.redditodicittadinanza.org;
>  http://www.italy.indymedia.org/features/roma/
 >






Date:   Fri, 31 Jan 2003 14:04:34 +0100
From:   rossana <[EMAIL PROTECTED]>
To:     [EMAIL PROTECTED]
Subject:        Re: [RK] Il diritto all'Insurrezione
Sbancor, you wrote:

>Degli operai delle fabbriche d'armi ho la stessa stima che ho delle forze
>dell'ordine: ognuno si sceglie il lavoro che si merita!

ahi Sbancor, perchè hai sentito il bisogno di pronunziare una condanna morale?
Ognuno si sceglie il lavoro che si merita!!!  C'è in questa frase una
reminiscenza cristiano-cattolica che non mi sarei mai aspettata da te. Già
da tempo ho abbandonato la cultura che ti inculca il senso di colpa,
iniziando in modo trasgressivo dal mio corpo e dalla sessualità. Cosa
dovevo meritarmi allora, quale ricompensa avrei perso? Me ne sono liberata
per fortuna, e non sento il  bisogno di pentirmi.
Anch'io ho lavorato una fabbrica d'armi e non ho paura a raccontarlo,
perchè la mia mente non mai stretto un contratto sociale con alcunchè. Vedi
io non citerei mai Rousseau contro Hobbes, ma parafrasando Hobbes stesso,
chiamo la moltitudine contro il popolo.

Ma tu che meglio di me hai raccontato della guerra infinita combattuta tra
potentati economici, lobbies affaristiche, spacciatori di droga e armi,
continua a raccontare, non fermarti al luogo fisico, il più semplice da
colpire moralmente e fisicamente, da te mi aspetto di più.

Sbancor, Diario di guerra, DeriveApprodi



Date:   Sun, 02 Feb 2003 09:59:45 +0100
From:   rossana <[EMAIL PROTECTED]>
To:     [EMAIL PROTECTED]
Subject:        Re: [RK] insurrezione?


A questo punto ho cercato di capire meglio alcuni concetti:
Cos'è l'irreversibilità?

Carattere delle relazioni non simmetriche e dei processi che hanno un senso
determinato.

Il secondo principio della termodinamica introduce il concetto di
irreversibilità dei fenomeni naturali, in sostanza questo principio porta
alla catastrofe perchè renderebbe impossibile ogni trasformazione e quindi
ogni vita (ma questo vale solo nei sistemi chiusi). Il tempo viene ridotto
alla causalità. Anche nella teoria dell'informazione, nella trasmissione
dell'informazione, si ha perdita di informazione. Si ha anche qui una
perdita e l'entropia.

Se ci penso questo concetto di non simmetrico è stato oppurtunamente
escogitato per legittimare la guerra, la novità sta nell'uso del corpo come
arma (kamikaze). Da qui la connessione mistificatoria definita necessaria
fra causa (terrorismo) ed effetto (guerra preventiva).
Ma la guerra preventiva non è altro che l'affermazione della necessità
della guerra sempre. Tutto diventa spaventosamente meccanico.

Anche Einstein scriveva che esistono eventi che non possono essere definiti
causa o effetto degli altri. Il tempo è anche il tempo della vita.
E allora come "rendere possibile il sottrarsi dei corpi"?
Sottraendoci dalla concezione del corpo come kamikaze o come martirio di sè
(in alcuni casi si potrebbe dire che è ora di smetterla di pensarsi degli
eroi guerrieri).
Sottraendoci a quello spazio di tempo della vita quotidiana che ci chiede
di essere complici di un ingranaggio micidiale.

La guerra non è solo il teatro di battaglia, la guerra prevede ad esempio
che la missione dei soldati in Afghanistan costerà 100 milioni di euro al
mese, prevede oltre il pacchetto finanziato per le spese militari nel 2003,
una ulteriore addizionale di 1250 milioni di euro in cinque anni.
E' la nostra vita ad essere stata ipotecata.
Per avvallare l'uso dello spazio aereo e quello delle basi militari in
Italia necessarie alla guerra, si sono mossi in base all'accordo bilaterale
italo-americano del 1954. Ma in almeno due circostanze questi diritti sono
stati negati: nel 1973 in occasione della guerra del Kippur e nel 1986
all'epoca di Eldorado Canyon.
Nell'ultimo vertice della NATO è stato definito un "Pacchetto di Praga", il
ministro Martino ha reso noto di aver sottoscritto un ulteriore accordo in
ambito NATO per accrescere le capacità alleate. Non solo con l'aumento
delle capacità delle forze attualmente disponibili (e saranno sviluppati
con Germania e francia sistemi di disturbo elettronico, questo solo per
evidenziare che gli accordi industriali vanno al di là delle posizioni
politiche), ma ribadendo la sua fedeltà alla tesi atlantista che non
sarebbe in concorrenza con la politica di difesa europea.

Non si tratta dunque solo di manifestare contro la guerra e per la caduta
del governo Berlusconi, ma di rimettere in gioco il mondo della vita, con i
nostri corpi e l'immaginazione, la sola che ci consente di riconoscere se
stessi nell'altro, quella che liberamente mette da parte le preoccupazioni
per lasciare spazio al caos creativo, ad un ordine non guerresco.



Date:   Sun, 02 Feb 2003 17:25:01 +0100
From:   rossana <[EMAIL PROTECTED]>
To:     [EMAIL PROTECTED]
Subject:        Archivio Chomsky: il keynesismo militare e il 
fardello dei giusti
Archivio Web Noam Chomsky

Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE SECONDA.
I SOMMI PRINCIPI.

Capitolo 4.
DEMOCRAZIA E MERCATO.
4. IL KEYNESISMO MILITARE.
Il mondo è complicato; anche i progetti di successo hanno dei costi
nascosti. "L'ossessione reaganiana per un'economia dell'offerta unita ad un
certo keynesismo militare" non aveva avuto difensore più entusiasta del
"Wall Street Journal" che adesso invece, nel momento in cui quelle
politiche nuocciono alla ricchezza ed al potere, si lamenta dei loro, pur
prevedibili, effetti. "L'istruzione superiore pubblica - uno dei pochi
settori in cui l'America rimane al primo posto - è tartassata dai tagli al
bilancio dei singoli stati", riferisce il "Journal", facendo eco alle
preoccupazioni di quelle imprese che "dipendono in gran parte da un
costante flusso di neolaureati" con una buona preparazione. Questa è una
delle conseguenze, da tempo previste, dei tagli ai servizi forniti dal
governo centrale alla popolazione (ad eccezione di quelli in favore dei
ricchi e potenti) che hanno distrutto interi stati e comunità locali. La
lotta di classe non è facile da sintonizzare.
I responsabili dell'economia nazionale negli anni '80 non solo hanno
lasciato gli Usa con un debito pubblico e privato senza precedenti, ma
anche con il più basso ritmo di investimenti privati netti tra i paesi
industrializzati. Questi, nel corso degli anni '80, sono scesi al loro
livello più basso (in proporzione al reddito nazionale) dai tempi della
Seconda guerra mondiale. Mentre, negli anni 1989-1990, per quanto riguarda
gli investimenti industriali, gli Stati Uniti, sebbene abbiano una
popolazione due volte più numerosa, sono stati di gran lunga superati in
valori assoluti dal Giappone. Washington in quel decennio ha anche perso
delle posizioni nell'industria ad alta tecnologia. Un'altra eredità
dell''ossessione reaganiana' è una diminuzione della spesa per la ricerca e
lo sviluppo - come anche per la sanità e l'istruzione, tutti 'investimenti'
per il futuro. Il grido d'allarme è stato lanciato a questo proposito dal
"National Science Board", organismo di indirizzo politico della "National
Science Foundation" (l'Istituto Nazionale delle Scienze) il quale, in uno
studio del 1992, denunciava come la ricerca e lo sviluppo fossero scesi a
livelli pericolosamente bassi. Dal 1985 gli investimenti delle società in
questi settori che prima erano saliti costantemente, secondo il rapporto
dell'Istituto, si sarebbero mantenuti stabili (considerando fermo il valore
del dollaro). Se questa tendenza dovesse continuare, i loro effetti saranno
"letali per la competitività Usa nel campo delle nuove tecnologie", ha
dichiarato il co-presidente della "National Science Foundation". Biasimando
errori di gestione e l'indebitamento delle società, l'Istituto ha inoltre
sostenuto che gli Usa, per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo sono
assai indietro rispetto ai loro principali concorrenti, e che i loro
investimenti nel settore industriale non militare sono inferiori di almeno
un 25%. Il debito delle imprese nel periodo reaganiano ha inoltre raggiunto
livelli tali, scrive l'economista Robert Pollin, che "quando iniziò la
recessione nel luglio del 1990, il pagamento degli interessi assorbiva il
44% dei profitti lordi, più del doppio della media degli anni '60 e '70".
Secondo la "National Science Foundation" il ricorso al credito negli anni
1986-87 venne utilizzato per i consumi e la speculazione finanziaria,
compresi mille miliardi di dollari spesi per varie fusioni e scalate, senza
alcuna razionalizzazione dell'economia. E così si ebbe un aumento del
debito ed un declino del 5% negli investimenti per la ricerca e per lo
sviluppo delle imprese coinvolte in queste manovre speculative (rispetto ad
un aumento del 5% delle altre società) (16).
La politica industriale degli Usa si è basata per quarant'anni sul 'sistema
del Pentagono' che sovvenzionava costantemente il settore ad alta
tecnologia e gli garantiva un mercato, ovviando alle eventuali carenze di
gestione. Quando poi era necessario il sostegno del governo, si 'creava'
facilmente una minaccia alla nostra esistenza: la guerra coreana nel 1950,
'l'inferiorità missilistica' nei confronti dell'Urss negli anni di Kennedy,
l'imminente conquista del mondo da parte di Mosca e la 'finestra di
vulnerabilità' tra gli ultimi anni di Carter ed i primi
dell'amministrazione Reagan. La malafede era evidente in ciascuna di queste
occasioni, ma la potenza ed il dispotismo sovietico erano sufficientemente
reali, e questo bastava. Il massiccio intervento dello stato nell'economia
diede così agli Usa un grande vantaggio rispetto all'Urss nei settori
tecnologicamente avanzati. Il pericolo sovietico serviva "come un pilastro
importante dell'economia", ammettono ora gli ideologi ed i dirigenti
economici nel lamentare la fine di quella minaccia, che si poteva sempre
invocare per continuare a ricevere gli aiuti del governo. All'indomani
della Seconda guerra mondiale, furono le spese militari a consentire
l'uscita dalla recessione, afferma un'economista della "Boston Federal
Reserve Bank", e "non c'è mai stato un momento come quello attuale in cui
un aumento della spesa militare avrebbe potuto significare di più per
l'economia del paese". Molti economisti sostengono che il fattore
principale alla base della recessione sotto l'amministrazione Bush sia
stato proprio il taglio alle commesse militari - si tratta di ordini presso
industrie che non solo hanno costituito un settore vitale della produzione
di merci e servizi ma, con un importante effetto moltiplicatore, hanno
creato posti di lavoro nelle società che producono beni di consumo
destinati ai lavoratori relativamente ben pagati delle stesse industrie
(belliche, N.d.C.) così redditizie grazie al sussidio dei contribuenti.
"L'impatto è maggiore di quello che si ricava dalle cifre", fa notare
l'economista conservatore Herbert Stein, dell'"American Enterprise
Institute". "La brusca dissoluzione dell'Unione Sovietica" ha minato quel
dispositivo che ha consentito lo sviluppo dell'economia dopo la Seconda
guerra mondiale, scrive il corrispondente economico del "Times" Louis
Uchitelle, ed ora "importanti aziende militari" quali la "General Electric"
si trovano nei guai, come anche il settore dell'industria ad alta
tecnologia (17).
Gli antichi pretesti sono spariti, e non è più così semplice tessere le
lodi del libero mercato mentre ci si nutre alla mangiatoia dello stato.
Occorrono nuovi espedienti.
Contemporaneamente, l'attenzione del governo e dell'industria si rivolge ad
altri campi, in particolare quello delle biotecnologie. Come altri settori
competitivi dell'economia, le industrie farmaceutiche, quelle per la
ricerca medica e le grandi imprese agricole hanno sempre tratto vantaggi
dai finanziamenti statali per la ricerca, lo sviluppo e la
commercializzazione dei prodotti; questi settori adesso stanno acquistando
una sempre maggiore importanza nella pianificazione per il futuro. Nei
primi anni del dopoguerra, la ricerca scientifica ebbe un riflesso positivo
per le aziende elettroniche e di computer. Oggi, secondo meccanismi assai
simili, sono le ditte di biotecnologia a fiorire attorno a quegli stessi
istituti di ricerca.
Il "Nih" ("National Institute of Health") è impegnato da tempo in quella
che il "Wall Street Journal" ha definito "la più grossa corsa alla
proprietà privata dai tempi di quella alla terra del 1889" ma, in questo
caso, il contendere riguarda "il brevetto di migliaia di tratti di
materiale genetico - il D.N.A. - che gli scienziati del "Nih" ritengono
siano parti di geni ancora sconosciuti". L'obiettivo, spiega il "Nih", è di
assicurare il predominio delle compagnie Usa nel campo dell'industria
biotecnologica che, secondo il governo, "nel Duemila genererà redditi
annuali di 50 miliardi di dollari" e, successivamente, ancor di più. Per
citare solamente un esempio, il brevetto per una cellula di sangue umano
potrebbe permettere ad una ditta della California di "controllare
completamente il mercato per una vasta gamma di tecnologie salvavita".
Secondo il "Journal" la biotecnologia è divenuta un affare con una
decisione della Corte Suprema del 1980 che permise di brevettare un
microrganismo, ottenuto con l'ingegneria genetica, capace di dissolvere il
petrolio. Anche procedimenti medici quali il trapianto del midollo e le
terapie con manipolazioni genetiche saranno protette da brevetto. Lo stesso
potrebbe avvenire con gli animali ed i semi manipolati geneticamente.
Quel che qui è in questione è l'essenza della vita; al confronto
l'elettronica si occupa di quisquilie.
I governi stranieri, quelli che potranno farlo, non sembra intendano
accettare in silenzio tutto ciò. Contrarie sono anche le comunità
scientifiche degli Usa e degli altri paesi che più volte hanno espresso il
loro dissenso. Un ricercatore ha detto cinicamente che di questo passo,
grazie agli sforzi congiunti dello stato e dell'industria, un giorno i
genitori potrebbero essere costretti a pagare i diritti d'autore per i loro
figli. La rivista "Science" riporta che durante un incontro alla "National
Academy of Sciences" (Accademia Nazionale delle Scienze) è stato approvato
"un duro comunicato con cui le comunità degli scienziati che si occupano di
genetica, sia negli Usa che all'estero, si sono opposte con veemenza alle
decisioni del "Nih"". I rappresentanti delle maggiori organizzazioni
scientifiche Usa ed europee "hanno affermato che se sarà permesso al "Nih"
di andare avanti, inizierà una corsa per il brevetto che distruggerà la
collaborazione internazionale ed intralcerà la ricerca". La prima
conferenza Nord-Sud sul genoma (l'insieme dei geni presenti nel corredo
cromosomico aploide di una specie, N.d.C.) umano ha approvato all'unanimità
una risoluzione nella quale si sostiene che "la proprietà intellettuale
deve basarsi sull'uso che si fa delle sequenze dei geni piuttosto che sulle
sequenze stesse", ed anche i più importanti scienziati europei hanno
lanciato un appello per un trattato internazionale che vieti la possibilità
di brevettarle in quanto tali. Un rappresentante dell'americana "Industrial
Biotechnology Association" (Associazione per l'Industria Biotecnologica) ha
fatto notare come, pur avendo delle riserve, l'industria "crede che il
"Nih" non abbia altra scelta se non quella di presentare le domande di
brevetto". La direttrice di questo istituto, Bernadine Healy, ha inoltre
aggiunto che il "Nih" andrà avanti su questa strada allo scopo di
"proteggere i suoi interessi - e quelli del contribuente", eufemismo questo
usato generalmente per indicare coloro ai quali vanno i profitti ed i
vantaggi delle politiche sociali negli stati capitalistici del welfare (per
i ricchi).
Nel marzo del 1992, il senatore Mark Hatfield presentò una proposta di
legge per la sospensione della concessione dei brevetti sugli organismi
creati con l'ingegneria genetica ma, in seguito, la dovette ritirare perché
"aveva provocato una forte opposizione dell'industria e soprattutto una
massiccia campagna di pressioni da parte dell'"Industrial Biotechnology
Association"", come sostiene la rivista specializzata del settore della
ricerca medica. Anche alcuni funzionari dell'Amministrazione si opposero
all'emendamento, come d'altra parte il Comitato sulla biotecnologia del
Congresso. Una moratoria, ha affermato il segretario della "Health and
Human Services", "ci porterebbe a rinunciare al vantaggio acquisito nella
biotecnologia, un campo dove i diritti di brevetto sono la chiave per
accedere ai grossi investimenti (privati) necessari per lo sviluppo dei
prodotti". Intanto, una ricerca dell'"Accademy of Science and Engineering"
ha proposto la formazione di una compagnia semigovernativa da 5 miliardi di
dollari "per canalizzare i fondi del governo centrale federale verso la
ricerca applicata privata": gli studi sono finanziati dallo stato ed i
profitti vanno invece ai privati. Un altro rapporto, dal titolo "Il ruolo
del governo nello sviluppo delle tecnologie civili: la costruzione di una
nuova alleanza", invita a compiere ulteriori sforzi per approfondire quel
rapporto tra governo ed industria così "stretto e di lunga data" che "ha
contribuito alla nascita dell'industria biotecnologica commerciale". Il
documento raccomanda inoltre la creazione di una "impresa per la tecnologia
civile" finanziata dal governo con l'obiettivo di aiutare l'industria Usa
nella commercializzazione delle sue tecnologie, favorendo la nascita di
"imprese miste per il finanziamento ad alto rischio della ricerca e dello
sviluppo in settori pre-commerciali". Queste società saranno 'cooperative'
- nel senso che i contribuenti ne pagheranno i costi - fino al momento
dello sviluppo del prodotto. Quando poi i costi diventeranno profitti,
allora lo stato li regalerà all'industria privata (18).
La 'spregevole regola dei padroni' ha un corollario nelle società
capitalistiche: finanziamenti pubblici, profitti privati.
Alcune settimane dopo la comparsa di questi documenti, il capo del progetto
del "National Institute of Health" ("Nih") diede le dimissioni insieme a
quasi tutto il suo staff per dar vita ad un laboratorio privato, con un
finanziamento di 70 milioni di dollari concesso da un gruppo di capitalisti
d'assalto. Il presidente dell'impresa finanziatrice "disse di essersi
improvvisamente reso conto dell'esistenza di una gara internazionale per
mettere sotto chiave il genoma umano", e che il "Nih" non aveva i fondi per
vincere: "Mi sono detto: 'Mio Dio - se questa cosa non si farà negli Stati
Uniti, sarà la fine della biotecnologia nel nostro paese'". Forse
bisognerebbe dare qualche dollaro a questi benefattori che tentano di
salvare l'economia nordamericana e che si terranno i diritti di qualsiasi
prodotto verrà sviluppato con quelle ricerche! Gli scienziati "sono
atterriti dalla possibilità che il genoma umano possa essere messo sotto
chiave e diventi così proprietà degli investitori privati", notando anche
che la tecnica usata per isolare il gene lascia ad altri gli aspetti
scientifici, come la scoperta delle sue funzioni. Gli scienziati, nel
complesso, vorrebbero un accordo internazionale per proibire tali brevetti
ma, per il momento, continua la corsa per impadronirsi dell'industria delle
biotecnologie del futuro (19).
Questi sviluppi hanno spinto gli Usa nel corso dei negoziati internazionali
sui commerci e le tariffe ("Gatt") a richiedere con ancor più vigore una
maggiore protezione per i 'diritti di proprietà sulle opere d'ingegno',
brevetti inclusi. "L'interesse dell'America per le opere intellettuali non
è certo una forma d'altruismo", scrive l'"Economist". Mentre la maggior
parte degli altri paesi sviluppati registrano in questi settori forti
deficit ed il Terzo Mondo è fuori gioco, gli Usa "nel corso del 1990 hanno
registrato con il commercio delle idee, dai film ai microchip, un attivo di
ben 12 miliardi di dollari". Il principale obiettivo che Washington si
prefigge con le nuove misure protezionistiche è quello di far sì che le
società americane dominino l'industria farmaceutica e quella agricola,
mettendo le mani sui settori essenziali per la vita umana; e, così facendo,
garantire enormi profitti per le compagnie Usa del settore. Secondo una
ricerca del 1992 i prezzi dei 20 farmaci più prescritti hanno avuto un
aumento, dal 1984 al 1991, pari a quattro volte il tasso d'inflazione
portando alle imprese proventi astronomici; quasi la metà di quell'aumento
annuo del 10% è stata destinata alle reti di vendita, ai profitti ed alle
spese amministrative.
"La ricerca biomedica di base è stata a lungo finanziata dai contribuenti
americani", scrive la pagina economica del "New York Times", ed "i prodotti
farmaceutici più all'avanguardia sono nati grazie agli interventi ed agli
scienziati del governo", finanziati con miliardi di dollari dei
contribuenti. Ma chi, con le tasse, ha finanziato le ricerche di quei
farmaci non li può acquistare a causa dei loro prezzi proibitivi, per non
parlare della maggior parte della popolazione mondiale. La protezione dei
'prodotti d'ingegno' ha infatti lo scopo di garantire profitti
monopolistici alle società finanziate dal governo, non di andare a
beneficio di coloro che le pagano. Inoltre si propone anche di negare al
Sud il diritto di produrre a basso costo farmaci, semi ed altri prodotti
essenziali.
In base ad una logica simile, gli Usa si sono rifiutati di firmare un
trattato per la difesa delle specie biologiche del mondo. A questo
proposito il "Times" riporta la dichiarazione del sottosegretario di Stato
per l'Ambiente, Curtis Bohlen, secondo cui il trattato "non darebbe
adeguata protezione nel campo dei brevetti alle società americane che
trasferiscono biotecnologie alle compagnie nei paesi in via di sviluppo", e
"tenta di regolamentare il settore delle manipolazioni genetiche, un'area
di concorrenza nella quale gli Stati Uniti sono al primo posto" (20).
Secondo la "International Trade Commission Usa" (Commissione per il
Commercio Internazionale) le compagnie americane potrebbero ricavare 61
miliardi di dollari all'anno dal Terzo Mondo nel caso in cui i diritti sui
'prodotti d'ingegno' venissero garantiti come richiesto dagli Stati Uniti;
il costo per il Sud si aggirerebbe poi tra i 100 ed i 300 miliardi di
dollari se si considerano tutti gli altri paesi industrializzati, una somma
che fa impallidire il flusso dei capitali dal Sud al Nord per il pagamento
dei debiti. Gli Usa vorrebbero costringere gli agricoltori poveri a pagare
diritti sui semi alle multinazionali, negando poi loro la possibilità di
riutilizzare i semi prodotti dai loro raccolti. Anche le varietà derivate
da raccolti commerciali esportati dal Sud (olio di palma, cotone, gomma,
eccetera) diventeranno proprietà commerciali, soggette al pagamento di
sempre più costosi diritti d'autore. A questo proposito Kevin Watkins
aggiunge: "I maggiori beneficiari saranno i membri di un piccolo gruppo di
una dozzina di compagnie farmaceutiche e di produzione di sementi che
controllano più del 70% del commercio di questo settore" e, più in
generale, il settore agricolo (21).
Mentre gli Usa cercano di ipotecare a loro vantaggio il futuro del settore,
sotto la loro protezione le compagnie farmaceutiche del Nord stanno
tranquillamente sfruttando le conoscenze accumulate dalle culture indigene
per dar vita a prodotti che fruttano 100 miliardi di dollari di profitti
all'anno, senza dare praticamente nulla in cambio a quelle popolazioni che
mostrano ai ricercatori le medicine, i semi ed altri prodotti da loro
sviluppati e perfezionati nel corso di migliaia di anni. "Il valore annuo
del mercato mondiale di prodotti derivati dalle piante medicinali scoperte
dai popoli indigeni - sostiene l'etnobotanico Darrell Posey - è di 43
miliardi di dollari". "Ai popoli indigeni che hanno rivelato ai ricercatori
i loro medicamenti tradizionali è tornato meno dello 0,001% dei profitti
ricavati da quei medicinali". Secondo Posey, le società del Nord hanno
guadagnato altrettanto con gli insetticidi, i repellenti naturali ed i
materiali genetici delle piante. Inoltre, aggiunge Maria Elena Hurtado,
l'industria internazionale dei semi che si basa in gran parte su varietà
"selezionate, allevate, perfezionate e sviluppate dallo spirito innovativo
degli agricoltori del Terzo Mondo per centinaia, anzi migliaia di anni" da
sola frutta al Nord circa 15 miliardi di dollari all'anno (22).
Solo le 'opere d'ingegno' dei ricchi e potenti meritano di essere 'protette'.
Il direttore del Gruppo di Lavoro sulle Leggi di Brevetto in India afferma
che in materia "le contraddizioni e le ipocrisie hanno raggiunto livelli da
togliere il fiato". I ricchi "invocano la concorrenza, ma quel che vogliono
è il monopolio. E' un ricatto. I potenti tentano ora di ottenere, fissando
le regole dell'economia, quel che una volta cercavano di prendersi con gli
eserciti d'invasione e di occupazione". Secondo il dirigente di una
compagnia farmaceutica di Bombay, l'Occidente "ha prima protetto le proprie
industrie quando erano deboli e poi razziato il mondo per accumulare le sue
ricchezze; adesso invece chiede agli altri paesi di comportarsi in maniera
differente da lui". I paesi sviluppati "hanno permesso la concessione di
brevetti solo dopo che le loro infrastrutture e le industrie locali si
erano consolidate. La Germania riconobbe i brevetti sui prodotti del
settore farmaceutico solo nel 1966, il Giappone nel 1976, l'Italia nel
1982". L'effetto delle nuove regole economiche sarà quello di impedire a
paesi quali l'India la possibilità di produrre farmaci salva-vita a prezzi
inferiori di quelli imposti dalle società (con finanziamenti statali) dei
paesi ricchi.
Gli Usa del resto, come gli altri stati industrializzati, non hanno mai
rispettato le regole che oggi tentano di imporre agli altri. Ad esempio,
per tutto il 1800 Washington respinse le richieste provenienti dall'estero
per l'istituzione di diritti di proprietà sui prodotti d'ingegno perché ciò
avrebbe ostacolato il proprio sviluppo economico. Il Giappone ha sempre
seguito la stessa strada. E oggi, il concetto di 'diritti sulla proprietà
intellettuale' è stato finemente elaborato per soddisfare gli interessi dei
potenti. Esattamente come nel caso del 'libero scambio', non verrà mai
permesso alle "nazioni affamate", nelle parole di Churchill, con le loro
indecenti lagnanze di comportarsi come fecero "gli uomini ricchi che
abitano in pace nelle loro dimore" (23).
L'insieme di progetti relativi a questi settori portati avanti da coloro
che dominano il mondo appaiono agli occhi del Sud come "gesti di pirateria
sfrenata", osserva Watkins, visto che i materiali genetici impiegati dalle
società occidentali per creare i loro prodotti brevettati e protetti
derivano da raccolti e piante selvatiche del Terzo Mondo, coltivate,
selezionate ed identificate da generazioni e generazioni. Così mentre le
industrie produttrici di semi e di farmaci "percepiscono profitti
monopolistici, il talento degli agricoltori passati e presenti del Terzo
Mondo, impiegato nel selezionare e sviluppare differenti varietà non viene
ricompensato". L'autorevole giornale egiziano "al-Ahram", riferendosi alle
manovre di Bush per arrivare ad un conflitto con Gheddafi sulla base, come
al solito, di motivazioni di politica interna, ha descritto il Nuovo Ordine
Mondiale come "una forma di pirateria internazionale codificata". La
terminologia è abbastanza appropriata (24).
La 'pirateria sfrenata' occidentale, che minaccia gravemente l'agricoltura
ed il sapere degli indigeni, ha assunto un'ancora maggiore invadenza con la
richiesta che, negli interessi delle multinazionali, il Sud abbandoni le
sue produzioni destinate ai bisogni interni a favore delle
agroesportazioni, ecologicamente insostenibili. Conseguenza di questa
tendenza è il declino delle risorse biologiche del mondo - soprattutto nel
Sud - con il pericolo di malattie e pestilenze potenzialmente assai
pericolose. Così se verranno accolte le richieste delle imprese per una
maggiore protezione dei loro brevetti, qualunque possano essere i rimedi
forniti dalla biotecnologia, l'effetto sarà ancora una volta quello di un
trasferimento del potere e della ricchezza nelle mani dei dominatori del
mondo. Del resto è puramente retorico domandarsi se le richieste delle
società del Nord verranno o meno accolte, visti i rapporti di forze nella
Nuova Era Imperiale e l'impermeabilità del processo decisionale, ad ogni
'intromissione' dell'opinione pubblica.

Note:
N. 16. Sonia Nazario, "The Wall Street Journal", 5 ottobre 1992. Wachtel,
op. cit., 'Afterword'. John Zysman, 'U.S. power, trade and technology',
"International Affairs", Londra, gennaio 1991. Benjamin Friedman, "The New
York Review of Books", 13 agosto; "Christian Science Monitor", 14 agosto;
"Science", 21 agosto. Pollin, "Guardian", New York, agosto 1992.
N. 17. Uchitelle, "New York Times", p. A1, 12 agosto 1992.
N. 18. Michael Waldholz e Hillary Stout, 'Rights to Life', "The Wall Street
Journal", 7 aprile. Leslie Roberts, "Science", 29 maggio 1992. "The Blue
Sheet", 8, 15 aprile 1992.
N. 19. Gina Kolata, "New York Times", 28 luglio 1992.
N. 20. "Economist", 22 agosto 1992. Richard Knox, "Boston Globe", 11
settembre 1992, ricerca della Families USA Foundation; l'industria
farmaceutica ne ha ammessa l'attendibilità. Fazlur Rahman, "New York
Times", 26 aprile. William Stevens. "New York Times", 24 maggio 1992.
N. 21. Watkins, "Fixing", p. 94-5.
N. 22. 'Intellectual Property Rights', "Anthropology Today", Gran Bretagna,
agosto 1990.
N. 23. Jeremy Seabrook, "Race & Class", luglio 1992. Watkins, "Fixing", p. 96.
N. 24. David Hirst, "Guardian", Londra, 23 marzo 1992.

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PARTE SECONDA.
I SOMMI PRINCIPI.

Capitolo 5.
DIRITTI UMANI E PRAGMATISMO.
1. IL FARDELLO DEI GIUSTI.
Tra i nobili ideali ai quali ci siamo votati, accanto alla Democrazia e al
Mercato, vi è quello dei Diritti Umani, divenuto 'l'anima della nostra
politica estera', proprio quando l'orrore suscitato nell'opinione pubblica
da incredibili atrocità si è fatto incontenibile.
Per essere sinceri la nostra opera in favore del genere umano non è del
tutto scevra da errori. Ad esempio molti commentatori, citando alti
funzionari governativi, sostengono che abbiamo indubbiamente esagerato "nel
dare all'idealismo una posizione preminente nella politica estera". Infatti
la nostra nobiltà d'animo ci pone in una posizione svantaggiata quando
abbiamo a che fare con i 'feroci selvaggi' di cui parlava il giudice
Marshall. E' lo stesso problema che ha tormentato l'Europa nel corso della
sua lunga storia di 'scontri' con altri popoli. Ad esempio la guerra di
Corea, come scrisse il consigliere di Kennedy Maxwell Taylor, sollevò "seri
quesiti su come l'Occidente, così mite ed umanitario, possa competere con
personaggi" quali gli 'spietati' leader asiatici. Quando la guerra del
Vietnam entrò nella sua drammatica spirale verso l'abisso, alle
"preoccupazioni sul futuro dell'Occidente in Asia" di Taylor fecero eco
quelle di importanti esponenti liberal critici del conflitto nel Sud-Est
asiatico. A loro parere, nonostante i "poveri dell'Asia" avessero adottato
"la strategia dei più deboli", spingendoci a portare "alle estreme
conseguenze, cioè al genocidio, la [nostra] strategia", noi non avevamo
intenzione di "autodistruggerci... contraddicendo il nostro sistema di
valori". Miti e sentimentali come siamo, noi americani sentiamo nel nostro
animo che "il genocidio è un terribile peso da sopportare" (William Pfaff,
Townsend Hoopes). L'analista Albert Wohlstetter spiega a questo proposito
che "era più difficile per noi far pagare alti prezzi ai vietnamiti che per
loro sopportarli". Siamo troppo nobili per questo mondo crudele.
Il dilemma di fronte al quale ci troviamo è stato oggetto delle riflessioni
dei più importanti filosofi occidentali. Hegel ha meditato a lungo sul
"disprezzo per l'umanità manifestato dai Negri" d'Africa, "che si lasciano
uccidere a migliaia nelle guerre con gli europei. La vita ha un valore solo
quando si pone come obiettivo qualcosa di prezioso", un pensiero che non
può essere afferrato da questi 'meri oggetti'. Incapaci di capire i nostri
nobili valori, i selvaggi ci disorientano nel nostro cammino verso la
giustizia e la virtù (1).
Il fardello dei giusti non è facile da portare.
Possiamo comunque verificare queste tesi proclamate con tanta sicurezza
esaminando il rapporto tra gli aiuti Usa ed il rispetto dei diritti umani.
Ed è quanto è stato fatto dall'accademico latinoamericano Lars Schoultz,
secondo il quale l'assistenza economica americana "ha generalmente
beneficiato quei governi latinoamericani che torturano i loro cittadini...
coloro che si sono più distinti nell'emisfero per le violazioni dei diritti
umani". Si tratta di un flusso di aiuti che comprende anche forniture
militari, ignora le necessità della popolazione, e non si è mai interrotto
neppure sotto l'amministrazione Carter, quando la questione dei diritti
umani ricevette un po' di attenzione.
Una ancor più generale ricerca di Edward Herman ha dimostrato l'esistenza
in tutto il mondo di un rapporto tra gli aiuti Usa e le violazioni dei
diritti dell'uomo, e ne ha indicato le ragioni: l'erogazione di aiuti è
strettamente correlata alla creazione, o al miglioramento, nel paese
destinatario di un clima favorevole agli investimenti, un risultato che di
solito si raggiunge assassinando preti e sindacalisti, massacrando i
contadini che tentano di organizzarsi, facendo saltare in aria i giornali
indipendenti, e così via. Vi è quindi una precisa relazione tra
l'assistenza allo sviluppo e le più rilevanti violazioni dei diritti umani.
Queste ricerche inoltre precedono gli anni di Reagan, quando il problema
non è stato neppure posto.
Altrettanto interessante è studiare il rapporto tra gli autori delle
atrocità ed i sentimenti che essi suscitano nel nostro paese. Vi sono molte
ricerche in merito, tutte giunte alle medesime conclusioni: le atrocità dei
'nemici ufficiali' degli Usa risvegliano grande angoscia ed indignazione,
un forte interessamento dei media e, spesso, una gran massa di spudorate
menzogne al fine di dipingerli ancor più gravi di quel che sono; assai
diversa invece la reazione quando vi è un nostro coinvolgimento diretto o
indiretto. (Le atrocità che non hanno alcuna influenza sulla politica
interna sono generalmente ignorate.) Inoltre sappiamo anche, senza analoghi
approfondimenti, che è avvenuto esattamente lo stesso nel caso della Russia
di Stalin e della Germania nazista.
L'assurdità di questa situazione è accresciuta dal fatto (per oscurare il
quale i commissari politici di tutte le parti del mondo sono sempre al
lavoro) che sul piano morale gli abusi dei diritti umani richiedono tanto
più un nostro interessamento quanto più possiamo fare qualcosa per porvi
termine; a cominciare dai nostri e da quelli perpetrati dai nostri 'clienti'.
Numerosi studi confermano del resto come la politica, quando siano in gioco
la ricchezza ed il potere, coincida con il richiamo di Kennan sulla
"irrealtà di obiettivi come i diritti umani" (2).
Nessun fatto concreto ha il minimo impatto sui 'sommi principi'. Ma questo
è logico. Come nel caso del rapporto tra democrazia e mercato, i documenti
storici riguardano solamente quelle che Hegel definì "esistenze negative,
senza valore" e non il "piano di dio" e la "luce pura di quest'Idea
divina". Questo punto di vista è stato a volte reso esplicito dagli
studiosi contemporanei, come Hans Morgenthau, fondatore della scuola
'realista', secondo il quale, basandosi sulla documentazione storica, si
rischia di "confondere la deformazione della realtà con la realtà stessa".
Quest'ultima è infatti costituita dai "superiori obiettivi" della nazione,
che sono sicuramente nobili, mentre le "irrilevanti" prove documentarie ne
danno una versione deformata (3).
Il resoconto dei fatti, al contrario, è effettivamente fuorviante se si
limita a descrivere il sostegno da noi dato alle più orrende atrocità,
tralasciando di raccontare quanto esse siano state ben accolte se
considerate parte di una giusta causa, caratteristica essenziale questa dei
500 anni della Conquista. Basti ricordare le reazioni alle atrocità
compiute nell'ultimo decennio in Centroamerica sotto la supervisione Usa.
Per illustrare quanto solido sia questo pilastro della cultura
tradizionale, sarà sufficiente ricordare quanto avvenne nell'era del
governo mondiale Usa, nelle Indie Orientali olandesi, uno dei primi
avamposti del colonialismo europeo in Asia.

Note:
N. 1. Thomas Friedman, "New York Times", 12 gennaio 1992; vedi p. 183.
Taylor, "Swords", p. 159. Pfaff e Hoopes, commenti virtualmente identici
senza riferimenti incrociati, quindi non è chiaro a chi debba essere
accreditato; vedi "At War with Asia", p. 297-300, "For Reasons of State",
p. 94-5. Wohlstetter, "The Wall Street Journal", 25 agosto 1992. Hegel,
"Philosophy", p. 96.
N. 2. Schultz, "Comparative Politics", gennaio 1981. Herman, in Chomsky,
"Political Economy and Human Rights", 1, cap. 2.1.1; "Real Terror Network",
126n.n. "Political Economy and Human Rights" e "Manifacturing Consent", per
un'analisi comparativa.
N. 3. Vedi Chomsky, "Towards a New Cold War", 73n., per ulteriori
discussioni. Vedi anche "Necessary Illusions" e "Deterring Democracy".

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