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testo integrale: http://www.sierratimes.com/03/02/07/arpubwc020703.htm
tratto da: THE REAL REASONS FOR THE UPCOMING WAR IN IRAQ A Macroeconomic
and Geostrategic Analysis of the Unspoken Truth di W. Clark se. Files - in
inglese
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Sebbene completamente soppressa dai media USA, la risposta all’enigma Iraq
è semplice ma sconvolgente. La prossima guerra in Iraq è soprattutto su
come la classe dirigente a Langley e l’oligarchia Bush vedono gli
idrocarburi a livello geostrategico e le minacce macroeconomiche centrali
al dollaro USA da parte dell’euro. La Vera Ragione per questa guerra è
l’obiettivo dell’amministrazione Bush di prevenire un’ulteriore spinta
dell’OPEC verso l’euro come valuta standard per le transazioni petrolifere.
Comunque, per prevenire l’OPEC, hanno bisogno di guadagnare il controllo
geostrategico dell’Iraq con le sue provate riserve di petrolio, le seconde
maggiori al mondo.
In questo lungo saggio si parla della macroeconomia del “petrodollaro” e
della non pubblicizzata ma reale minaccia all’egemonia dell’economia USA da
parte dell’euro come valuta alternativa per le transazioni petrolifere.
Ecco come un astuto ed anonimo amico alludeva alla taciuta verità sulla
prossima guerra con l’Iraq…
“Il maggior incubo della Federal Reserve è che l’OPEC per le sue
transanzioni internazionali passi da un dollar standard ad un euro
standard. Effettivamente l’Iraq ha compiuto questo passaggio nel novembre
del 2000 (quando l’euro valeva circa 80 centesimi), ed ha realmente
guadagnato considerando il costante deprezzamento del dollaro nei confronti
dell’euro”. (Nota: il dollaro nel 2002 ha perso il 15% contro l’euro).
“La vera ragione per la quale l’amministrazione Bush vuole un governo
fantoccio in Iraq, o, più propriamente, la ragione per la quale il
complesso militare industriale vuole un governo fantoccio in Iraq, è per
farlo ritornare al dollar standard e farcelo rimanere”. (Sperando anche di
impedire una più ampia spinta dei paesi OPEC verso l’euro, specialmente
dell’Iran, il secondo maggior produttore OPEC che sta attivamente
discutendo il passaggio all’euro per le sue esportazioni di petrolio).
Inoltre, nonostante l’Arabia Saudita sia un nostro ‘stato cliente’, il
regime saudita appare sempre più debole, minacciato da massicci disordini
civili. Alcuni analisti credono che una “Rivoluzione saudita” possa
ritenersi plausibile in seguito ad una impopolare invasione USA dell’Iraq
(come nel 1979 in Iran). Indubbiamente l’amministrazione Bush è
profondamente conscia di tali rischi. Dunque, il disegno neoconservatore
(il piano USA) implica una grande e permanente presenza militare nella
regione del Golfo Persico nell’era post Saddam, se vi fosse la necessità di
circondare e prendere i giacimenti di petrolio sauditi nel caso di un colpo
di stato da parte di un gruppo antioccidentale. Ma prima torniamo all’Iraq.
“Saddam ha segnato il proprio destino quando alla fine del 2000 ha deciso
di passare all’euro (e più tardi ha convertito la propria riserva di 10
miliardi di dollari all’ONU in euro): a quel punto un’altra guerra del
Golfo fabbricata con Bush II è divenuta inevitabile. Solamente le più
estreme circostanze forse possono ora fermarla e dubito fermamente che
qualcosa possa farlo, a meno che Saddam non venga rimpiazzato da un regime
compiacente”.
“Prospettiva complessiva: Qualsiasi cosa esclusa dai temi della valuta di
riserva e del petrolio saudita/iraniano (cioè i temi politici interni e le
critiche internazionali) per questa amministrazione sono periferiche e
dalle conseguenze marginali. Inoltre, la minaccia dollaro-euro è così
potente che essi piuttosto rischieranno molte delle ripercussioni negative
a breve termine per evitare un crollo del dollaro dovuto al cambio dal
dollaro all’euro come standard delle transazioni dell’OPEC nel lungo
termine. Tutto ciò rientra nel più vasto Grande Gioco che include la
Russia, l’India e la Cina”.
L’informazione sulla valuta petrolifera dell’Iraq viene censurata dai media
USA ed anche dall’amministrazione Bush & Federal Reserve poiché la verità
potrebbe potenzialmente piegare la fiducia degli investitori e dei
consumatori, ridurre la richiesta di presiti e la spesa dei consumatori,
creare la pressione politica per formulare una nuova politica dell’energia
che lentamente distragga dal petrolio mediorientale e naturalmente fermi la
nostra marcia verso la guerra all’Iraq. Questo quasi “segreto di stato” si
può trovare nell’articolo di Radio Free Europe del 6 novembre 2000 che
discute del passaggio di Saddam dal dollaro all’euro per le sue vendite di
petrolio.
“Il cambio di Baghdad dal dollaro all’euro negli scambi è diretto a
rimproverare la linea dura di Washington sulle sanzioni ed a incoraggiare
gli europei a sfidarla. Ma il messaggio politico costerà all’Iraq milioni
in rendite perdute. Il corrispondente di RFE/RL, Charles Recknagel, osserva
ciò che Baghdad guadagnerà e perderà, e l’impatto della decisione di andare
verso la valuta europea”.
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Cosa accadrebbe se l’OPEC facesse un improvviso passaggio all’euro invece
che una transizione graduale?
“Altrimenti, l’effetto di un passaggio dell’OPEC all’euro sarebbe che le
nazioni consumatrici di petrolio dovrebbero dar defluire i dollari dai
fondi di riserva delle loro banche centrali e rimpiazzarli con euro. Il
dollaro crollerebbe di valore ovunque dal 20% al 40% e le conseguenze
sarebbero quelle che ci si potrebbe aspettare dal crollo di qualsiasi
valuta e da una massiccia inflazione (pensate per es. alla crisi valutaria
dell’Argentina). I capitali esteri scorrerebbero fuori dalla mercato
borsistico USA e dai beni denominati in dollari, vi sarebbe sicuramente una
fuga dalle banche molto simile a quella degli anni ’30, non si pagherebbero
gli interessi sul deficit delle partite correnti, il deficit di bilancio
non verrebbe coperto e così via. Il classico scenario da crisi economica
del terzo mondo.
L’economia degli Stati Uniti è intimamente legata al ruolo del dollaro come
valuta di riserva. Ciò non significa che gli USA non potrebbero funzionare
altrimenti, ma che la transizione dovrebbe essere graduale per evitare tali
dislocazioni (e come risultato ultimo di questo probabilmente vi sarebbe lo
scambio dei ruoli nell’economia globale tra USA e UE)”.
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