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Dieci frammenti sull'incendio dell'Artemision


1. Fatti diversi.
Nell'Ottavo secolo avanti Cristo i Greci della Lidia iniziano a coniare
monete. I templi, come quello di Era a Egina o quello di Artemide a Efeso,
fanno da banche. Qualche centinaio di anni dopo, Erostrato dà fuoco
all'Artemision di Efeso. Quando i giudici gli chiedono il perché del suo
gesto, Erostrato risponde: "Farei di tutto per far parlare di me". Pare poi
aggiungesse anche altre frasi storiche tipo "Nel futuro tutti saranno famosi
per 15 minuti" e "Lo spettacolo è la produzione principale della società
attuale" (ma verranno tagliate in fase di montaggio). Per questo, e per
altro, nel condannarlo a morte, i giudici stabiliscono per lui la pena
aggiuntiva della damnatio memoriae, la cancellazione del suo nome da tutti
gli atti ufficiali della città.
Se davvero è l'autore degli attentati dell'11 Settembre, Bin Laden è un
Erostrato moderno. Ha distrutto, con una operazione del tutto spettacolare,
un simbolo della cultura e dell'economia attuale. L'Occidente capitalista e
la Grecia. L'America e la Ionia. New York e Efeso. Il WTC e l'Artemision.
Fatti diversi. Oggi il nome del colpevole è tutt'altro che cancellato dalle
cronache. Anzi, è incessantemente ripetuto, fino alla dissipazione
semantica, fino alla consumazione del senso. Erostrato fu dimenticato per
cancellazione, Bin Laden verrà dimenticato per sfinimento.

2. Baudrillard e le case rosa.
Tutti si aspettavano che Baudrillard dicesse qualcosa, dopo il crollo delle
torri gemelle. I suoi allievi, che in Europa e in America sono legione, si
aspettavano che ritrattasse tutti i requiem per la morte dell'evento che da
vent'anni ci vengono ammanniti come oro colato postsituazionista. La barba
di Feuerbach ("il nostro tempo preferisce la copia all'originale, la
rappresentazione alla realtà" -- Prefazione alla seconda edizione
dell'Essenza del Cristianesimo) pronta ad essere tagliata.
E invece no. Qualche mese dopo, Baudrillard ricompare con un articolone su
le Monde. E non siamo davanti a una ritrattazione, bensì a un ennesimo remix
(versione dancefloor) delle stesse fuffe che aveva detto dall'89 in poi.
Campionature di suoi vecchi cavalli di battaglia come "Profilassi e
Virulenza" e "La Guerra del Golfo non c'è mai stata". E' come una di quelle
canzoni di Manu Chao: si sente sotto quel fastidiosissimo "pin!".
Nemmeno un mese fa, il Custode dei Simulacri parlava ai Rendez-vous de
l'Imaginaire di Parigi. Alla Galerie Royale, cristalli, belle fighe e
beveraggi gratis. Io c'ero. I cristalli non mi sono mai interessati. Ero
seduto accanto a una ragazza che avrà avuto venti, ventun anni. All'ingresso c'era
anche una istallazione con delle casette rosa e una piscina con una gabbia
al centro. Baudrillard ha parlato della non-eventualità dell'evento, io ho
chiesto alla mia vicina se dopo aveva voglia di ballare per me nella gabbia.
Lei mi ha sorriso come per dirmi scemo e mi ha sussurrato che però le
casette rosa le ricordavano le cabine di quando andava al mare con i suoi
genitori. Nello stesso momento i caccia bombardieri americani distruggevano
con un razzo intelligente la baita di montagna di proprietà di Jean
Baudrillard, nel distretto delle Alpes Maritimes.
Il fatto che non ci fossero eventi non vuol dire che non stesse succedendo
niente.

3. La parola disinformazione
Il termine disinformazione viene coniato in Russia nell'immediato
dopoguerra. Il regime sovietico lo impiega per la prima volta per designare
la diffusione di false notizie (dezinformatsiya) manipolate dalle potenze
capitalistiche straniere. Inutile dire che la notizia in sé era falsa.
Nel 1972 la parola passa all'inglese (disinformation) e di lì al resto del
mondo.
Odio la parola disinformazione, perché presuppone sempre che ci sia una
informazione, vera, da cui il prefisso /dis/ ci allontana. E invece già
l'informazione non è gran che. Tanto per dire, l'informazione non è verità.
E nemmeno conoscenza. Intendiamoci: non sono così illuso da credere che
"verità" e "conoscenza" esistano in assoluto. Ma nemmeno che siano
paragonabili alla caricatura che se ne fa nel telegiornale della sera e ogni
mattina nei quotidiani.

4. Informazione e intelligence.
I militari distinguono fra intelligence e information. Intelligence e quando
vai sul campo e raccogli i dati di fatto. Information è quando qualcuno dice
qualcosa a un qualcunaltro. C'è un emittente e un ricevente. Molti guardano
le cose in tv, o le leggono dalla loro fonte di informazione preferita
(Stratfor, i dispacci dei social forum, o i media di regime o i contromedia
di movimento) e si illudono di aver fatto intelligence gathering. Invece
hanno subìto informazione, e della più becera. Per dire: l'intelligence
prende sempre in considerazione l'affidabilità di chi parla, la
verosimiglianza del messaggio, delle controprove fortificanti. Se la fonte
si è dimostrata affidabile in passato, se il messaggio coincide con quello
fornito da altre fonti, se ci sono abbastanza prove "fisiche" che confermano
il messaggio, possiamo considerare l'intelligence ben fatta.
Perché i fruitori di informazione non si comportano alla stessa maniera? Il
Corriere della Sera (ma anche la Repubblica, il manifesto e tutti, tutti i
telegiornali e le trasmissioni di approfondimento) non si sono forse
dimostrate in passato delle autentiche insalate di cazzate? Sono affidabili?
Sono concordi? Forniscono la maniera di controllare quello che dicono?
Certo che no, vi risponderanno i giornalisti che li fanno. I media non sono
affidabili, ovvero si sbagliano, e poi si viene a sapere che si sono
sbagliati, PROPRIO perché sono degli strumenti democratici. O preferite che
insabbino le stronzate che hanno detto cambiando il corso stesso della
storia, facendo sparire le prove, come in un scenario orwelliano? Quanto più
oggi sai che i mezzi di informazione si sono sbagliati in passato, tanto più
il sistema funziona alla perfezione. Paradossalmente il giornale che ha
fatto più errori è quello di cui di più ci si può fidare.
Per quanto sta poi alla unanimità, vi diranno sempre i giornalisti, quella,
quando non c'è, è anzi segno di pluralismo. Tante testate giornalistiche,
tante versioni diverse. E in certi casi, tante sfumature della stessa
versione. Ma anche in questo caso, il fatto che le voci non coincidano è
segno che il sistema dell'informazione funziona perfettamente.
E infine le controprove. Come si possono fornire? Un giornalista non è come
un professore universitario, che quando scrive i suoi articoli per
specialisti, è tenuto a citare le fonti bibliografiche o etnografiche, pena
l'inaffidabilità del suo lavoro. Il giornalista è come (o meglio fin troppo
spesso ama paragonarsi a) un detective. E un detective protegge le sue
fonti, altrimenti le brucia. Protegge i suoi testimoni. Chessò: li
intervista, di fronte a una telecamera, ma fa in modo che il viso sia
nascosto e che la voce sia mascherata da un filtro audio. Il testimone fa la
sua dichiarazione scottante, ma nessuno lo può riconoscere. Così camuffato
potrebbe essere chiunque. Potrebbe anche essere un falso testimone, ma
questo non lo sapremo mai. Comunque anche questo è segno che il sistema
dell'informazione funziona.
Riassumendo possiamo dunque dire che l'informazione è un sistema il cui
funzionamento presuppone notizie contraddittorie, inaffidabili e non
confermabili.

5. La Via e le Parole.
Lao-tzu, contemporaneo di Confucio, scrisse il Tao Te Ching, il Libro della
Via, o almeno così si tramanda. "Tao" vuol dire parlare. Ma nel Tao Te Ching
il termine non è mai impiegato in quel senso. Anzi il primo degli ottantuno
capitoli del libro inizia proprio con una distinzione molto netta fra la Via
e le Parole. La Via "veramente via" (k'o tao) non è una Parola che si possa
dire "davvero Parola" (k'o ming). Dunque la Via è "wu ming", senza parole,
sprovvista di termini che la differenzino. La Via è quello che è, e non può
essere espressa a parole. Eppure la vera Via, come la vera Parola, non è
costante. Quindi: k'o tao + k'o ming = wu ming.

6. Wu ming vs. wu wei
"Wu wei", vuol dire "non agire". Il principio taoista dello stare fermi e
aspettare che le cose succedano -- il laissez-faire universale. Ma noi non
siamo taoisti, siamo confuciani. Noi crediamo nelle quattro virtù: umanità,
rettitudine, condotta rituale e conoscenza.
Ho letto un pezzo di Wu Ming 4 che riferisce della recente protesta
pacifista italiana in questi termini: "I ferrovieri si rifiutano di portare
i treni militari a destinzione [...] noi ci mettiamo sui binari per
impedirne il transito". Luca Casarini, leader dei Disobbedienti, dichiara
che "su linee ferroviarie civili italiane, e con treni civili, si trasporta
materiale che serve alla guerra". Cosa sono in realtà questi materiali? Wu
Ming 4 suggerisce (con una serie di esempi suggestivi) che si tratti di
"carichi di armi e soldati". Casarini invece precisa, in maniera
tutt'affatto imprecisa, che il convoglio bloccato "trasporta i cosiddetti
'mezzi tattici' e altro materiale destinato al fronte iracheno".
Nel porto di Rotterdam, intanto, i militanti di Greenpeace hanno tentato di
salire a bordo della nave NDS Progress che sarebbe stata "affittata
dall'esercito americano per convogliare del materiale militare per l'Irak".
Ma gli americani noleggiano le navi e i treni civili per portare le loro
masserizie? 
Non ce li hanno dei mezzi di trasporto di proprietà? 
E cosa trasportano precisamente queste navi e questi treni?
Cosa sto insinuando? Sto insinuando che in queste poche frasi ci sono tutte
le nostre quattro virtù, tranne una. L'umanità (il pacifismo), la rettitudine
(la militanza), la condotta rituale (la manifestazione). Manca la
conoscenza.
In primis perché a nessuno è venuto in mente di chiedermi da dove ho
estrapolato le affermazioni virgolettate. (Ossia, rispettivamente, da <
http://www.wumingfoundation.com/italiano>, da < http://www.larepubblica.it >
del 21 febbraio 2003 e < http://www.liberation.fr > del 20 febbraio 2003).
E, cosa ancora più grave, a nessuno è venuto in mente di chiedere agli
autori delle fonti citate quali elementi abbiano per suffragare le proprie
affermazioni.

7. La bonne intelligence.
Intelligence è un "false friend", ovvero una parola che, pur suonando simile
in diverse lingue, assume significati completamente differenti. In italiano
vuol dire "facoltà di comprendere", in inglese vuol dire "raccolta di dati
significativi", in francese può significare "comune accordo" -- come nella
frase "vivre en bonne intelligence". Sono troppi i contemporanei che
traducono, alla carlona, "bonne intelligence" come "good intelligence". E
che appunto, essendo d'accordo sul fatto che l'informazione è cattiva,
santificano l'intelligence. Eppure l'uso eccessivo di intelligence è
attualmente una delle fonti principali di falsità.
Come si raccoglie l'"intelligence"? Ci sono degli informatori, beninteso.
Mettiamo che c'è una crisi in Pakistan. Io che non ne so niente del
Pakistan, vado in Pakistan e mi rivolgo ai miei informatori -- che possono
essere degli esperti di politica internazionale, delle spie, dei capimafia,
dei giornalisti, degli imprenditori, degli uomini politici, dei
ricercatori -- dipende. I miei informatori mi danno delle informazioni. A
questo punto ho una serie di parametri (alcuni li ho enunciati prima:
affidabilità pregressa, conferma da parte di altre fonti, evidenza di prove)
per "ponderare" quanto mi è stato riferito dall'informatore. Questo processo
di ponderazione mi dà come risultato una percentuale di attendibilità del
dato. Se la percentuale è superiore al sessanta per cento, il dato è
considerato attendibile. Sessanta per cento mi sembra una percentuale
piuttosto bassa. Quindi diciamo che, se io sono un presidente degli Stati
Uniti o se sono un parlamentare Europeo, mi affido per le mie scelte a dei
dati che possono essere sbagliati QUASI al 50%. Fate un po' voi.

8. Don't believe Chirac
Chirac è un verme. O almeno così titola il Sun. Il "prestigioso giornale
inglese, The Sun". Prestigioso quanto i suoi confratelli "USA Today", "Paris
Match" e, in Italia, "Eva 3000". Comunque, che The Sun sia buono solo per
farsi una pugnetta sulla tettona della terza pagina in un vagone di terza
classe del treno che va da Leeds a Carlyle, in Francia non lo sa nessuno. E
anche se lo sanno, i Francesi, non possono impedirsi di offendersi a morte,
perché sono orgogliosi del LORO presidente. Eletto con una maggioranza
schiacciante dell'82% dei votanti, e presentato come unico antidoto
possibile all'elezione di quel guercio bavoso di Le Pen -- quando si dice
l'omeopatia -- Chirac è stato praticamente l'unico a contrastare apertamente
Bush e i suoi petrolieri bombaroli.
A proposito di petrolieri: com'era quella storia di Chirac e delle ELF?
E a proposito di bombaroli: com'era quella storia di Mururoa?
Che Chirac sia o no un verme, mi interessa davvero poco. Ma posso dire che
la Francia non è né un paese di pacifisti engagés (come sembrerebbe, a
leggere gli autopeana della stampa francese) né un paese di disertori
imbelli (come sembrerebbe, ad ascoltare i muggiti dei vaccari
dell'informazione anglofona targata Murdoch). Anche la Francia è un paese di
guerrafondai, è un paese che si è tenuto De Gaulle per non
so più quanti anni, il paese dell'Indocina e dell'Algeria, il paese che
ancora adesso annovera senza vergogna fra i suoi possedimenti coloniali
parecchi Territori e Domini d'Oltremare (DOM/TOM).
E' il paese nel quale da mesi la propaganda securitaria ha raggiunto degli
apici di isteria totale, grazie all'azione del nuovo uomo forte del governo
in carica, l'orripilante Nicolas Sarkozy. E' il paese in cui da tre mesi a
questa parte, alla TV, all'ora di pranzo, dopo il telegiornale che inneggia
al pacifismo chirachiano, passa la pubblicità dei soldatini "Commandos -- i
veterani della PRIMA Guerra del Golfo, con riproduzioni fedeli delle
uniformi e degli equipaggiamenti speciali". E' il paese dove, nelle
banlieues di Nantes, di Strasburgo e di Parigi, si affiggono giganteschi
cartelloni pubblicitari il cui perentorio slogan è "Basta giocare con i tuoi
videogames: la Marina Militare arruola". Passare dal pacifismo di
convenienza alla prossima leva di massa sarà, qui come altrove, un gioco da
ragazzi.

9. De propaganda fide in u(x)
Siamo già in guerra e la disinformazione non basta più. Certo, la
disinformazione è un'arma (la famosa "arma psicologica"), che mira a
demoralizzare il nemico creando un clima di confusione e incertezza. Ma c'è
anche un'arma che va rivolta contro il proprio popolo, la propaganda. La
parola propaganda è molto più antica della parola disinformazione, infatti
nasce nel 1689 con la cattolica "congregatio de propaganda fide". La
propaganda diffonde una convinzione ben precisa, e il messaggio è dichiarato
("vota X", "arruolati nella marina militare" ecc.); la disinformazione
diffonde un messaggio subdolo e dai contorni sfumati ("gli ebrei sono tutti
cattivi", "gli arabi sono fondamentalisti islamici e terroristi -- ma anche
alcuni dei non arabi, come i sovversivi nostrani"). La propaganda si assume
il compito di diffondere una convinzione, la disinformazione punta invece a
scatenare una reazione (un linciaggio, una pressione sui decisori politici,
una protesta pubblica "spontanea" contro i mostri di turno, ecc.). 
Soprattutto, e questo è il punto più delicato, dietro la propaganda c'è
sempre una "congregatio", cioè un gruppo di persone che credono nel
messaggio propagandato -- e che sono note per questa loro convizione. Ma
dietro la disinformazione no. Dietro la disinformazione c'è un "sistema",
una struttura acefala che spesse volte è indipendente dalle singole volontà
che entrano in gioco per determinarla. La disinformazione è una proprietà
emergente di questo sistema, e non può essere imputata a nessuna delle parti
in causa, solo al sistema in quanto tutto unico. Poi, per definizione un
sistema non "crede", perché è indipendente dalle volontà personali, e questo
chiarisce la differenza fra disinformazione e propaganda. La volontà non
c'entra niente. Si può finire a fare disinformazione, a contribuire al clima
generalizzato della disinformazione, pur credendo di stare facendo
tutt'altro. Si può essere dei disinformatori involontari, magari credendo di
fare "buona informazione" o, meglio ancora, "contrinformazione".  Anzi,
sarebbe bello vedere quanta della disinformazione in atto sia provocata
dall'"effetto rimbalzo", ovvero dalle reazioni che contrastano il discorso del potere. 
La propaganda è una voce riconoscibile, proveniente da
un punto x. La disinformazione è un'eco indistinta, che riverbera
nell'intorno u(x).

10. Il Signore che ha oracolo a Delfi
"Il Signore che ha oracolo a Delfi", recita il frammento 91 di Eraclito,
"non dice né cela -- segnala". Eraclito di Efeso, "o skoteinòs" (l'oscuro),
scrisse il suo libro misterioso a cavallo fra il VI e il V secolo avanti
Cristo. Diogene Laerzio tramanda che il titolo dell'opera era un anodino
"Della Natura". Ma si sa che Diogene Laerzio, che certo non mancava di
immaginazione, non abbondava in fantasia. Molti filosofi ilozoisti, Talete
in testa, si guadagnavano da vivere facendo i commercianti, e ne sapevano di
economia. Che il libro fosse un trattato sulla moneta? Non si sa. Si sa
soltanto che quando Erostrato appiccò il fuoco al tempio di Artemide, mentre
le monete si fondevano, il manoscritto originale di Eraclito andava in
fiamme. Quindi non lo sapremo mai. E possiamo solo accontentarci di qualche
frammento avanzato da un discorso unitario. Così come, per l'informazione,
possiamo solo accontentarci di qualche piccolo indizio. Perché è noto che le
Autorità Oracolari di oggi, come Apollo di Delfi, non dicono nulla e non
negano nulla. Si limitano a farci dei segni.
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