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Qualche giorno fa ho assistito alla discussione sul conflitto USA Europa nella trasmissione L'infedele di Gad Lerner. C'é stata un'intervista con Dani Cohn Bendit che mi ha fatto una certa impressione. La posizione di Cohn Bendit, Fischer, di Sofri, di LIberation, ha subito negli ultimi mesi una mutazione interessante, che ne fa il nucleo più interessante dell'europeismo contemporaneo, evoluzione della cultura sessantottina che raccoglie l'eredità liberale e quella riformista per fonderle in una forma di neoilluminismo umanista e cosmopolita.

Quello che sta emergendo in questa prospettiva é una contrapposizione tra egemonismo americano e autonomia europea che trova il suo contenuto nella difesa dei diritti civili e di un liberismo moderato dalla socialdemocrazia.
E' realistico questo progetto?
Possiamo considerare l'Europa maggiore, l'Europa degli stati nazionali e del grande capitale finanziario come forza capace di imporre il rispetto dei diritti umani?
E più radicalmente: esiste ancora l'Europa, dopo la spaccatura delle scorse settimane? Possiamo vedere nell'egemonia franco-tedesca un progetto europeo rinnovato, autonomo dagli USA? Io vedo un serio pericolo di nazionalismo europeo, in questa prospettiva. Un nazionalismo europeo che si presenta in opposizione al bellicismo della Presidenza Bush ci appare oggi vicino al fronte pacifista e antimilitarista, ma non é questa forse un'illusione ottica? Non c'é dietro l'angolo il pericolo di un risorgente nazionalismo fondato sul pregiudizio antiamericano?
L'ultimo mese ha portato a maturazione in maniera rapida e brutale le contraddizioni implicite nella costruzione europea, e nel corso della crisi che stiamo attraversando, tanto più se questa sfocerà in una guerra guerreggiata, diverrà necessario evitare con cura una identificazione "nazional-europeista". Per evitare qusto nazionalismo europeista e antiamericano non c'é altra via che trasformare la coscienza europeista in coscienza internazionalista.


C'é un pericolo nell'approccio europeista, che proprio in queste ultime settimane é emerso chiaramente: il punto di vista europeo offre una rappresentazione della realtà internazionale come opposizione tra USA ed EU, ma proprio nel contrapporre le virtù dell'approccio europeo alla brutalità dell'approccio unilateralista americano, .
si rischia di rappresentare la situazione in termini nazionalisti-europei, e di produrre un effetto di antiamericanismo.
Il movimento globale contro la guerra non può in alcun modo essere ridotto entro questa prospettiva. E' vero naturalmente che esiste una contrapposizione strategica tra l'egemonismo americano e l'asse franco-tedesco. Ma su questa base non si costruirà altro che il fronte per una nuova guerra fredda che opporrà (ce ne sono ormai tutte le condizioni) capitalismo anglo-americano e capitalismo franco-tedesco.
Sarebbe come se il Novecento non ci fosse mai stato, o meglio, sarebbe come se nel Novecento non fosse stato prodotto nulla di nuovo eccetto la bomba nucleare. Il nuovo ordine mondiale sarebbe l'ordine pre-1914 più gli ordigni per la distruzione totale.


Non c'é America ed Europa. Questa rappresentazione va respinta. C'é un'opinione democratica di euro-americani contro la guerra. C'é un'opinione contro la guerra largamente maggioritaria in Europa e prossima alla metà negli USA. Questo é il punto.
I destini d'Europa a questo punto contano poco. Forse da questa guerra l'Europa uscirà morta. Quel che conta é il riaffacciarsi dell'internazionalismo. L'internazionalismo, che negli ultimi venti anni si é ridotto a solidarietà dei perdenti, nel corso della presente crisi globale dovrà acquistare la forza di una prospettiva politica maggioritaria.
Dimenticare l'Europa, dunque? Niente affatto. Dobbiamo opporci alla riduzione del concetto di Europa a un'entita nazionale. geopolitica, o economica. Dobbiamo affermare un concetto d'Europa come principio di costruzione estensiva post-nazionalitaria dal basso. Quel che di meglio vi é (stato) nell'esperienza europea é proprio questo: la creazione di reti che on coincidono con alcun territorio, e che si protendono verso aree distanti dall'Europa storico-geografica.


Al tempo stesso occorre elaborare un discorso sul futuro degli Stati Uniti d'America che sia libero dell'antiamericanismo. L'antiamericanismo é il peggiore dei pericoli intellettuali. L'America di oggi é prossima a una forma di fascismo militare. La presidenza Bush sta andando risolutamente verso l'imposizione di un regime violento, oligarchico, fascista.
In un articolo dal titolo "Gaining an empire losing democracy?" Norman Mailer scrive: "la combinazione di potere delle corporation, sistema militare e fanatismo della bandiera ha ormai creato un'atmosfera pre-fascista in America."
E' difficile sfuggire ormai alla sensazione che il clan Bush abbia la stessa pericolosità che ebbe il partito nazionalsocialista tedesco, con in più la disponibilità di armi di distruzione totale, che a a Hitler fortunatamente mancavano.
Ma gli Stati Uniti d'America non sono come la Germania degli anni '30.
Occorre far leva sulla contraddizione tra cultura democratica e libertaria degli americani e nazismo bushista, se si vuole uscire dalla trappola che l'ideologia della guerra preventiva ha ormai predisposto. Solo la rivoluzione negli Stati Uniti d'America potrà liberare l'umanità dal pericolo del fascismo globale, non certo l'opposizione delle antiche virtù europee ai vizi dell'egemonismo americano.
Bush é prima di tutto il nemico degli americani. E' negli Stati Uniti d'America che il movimento globale sconfiggerà Bush, la sua furia nazionalista e il liberismo che ha prodotto questa follia.






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