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strategie per la comunicazione indipendente
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Posso esprimere il mio motivato dissenso da questa interpretazione della crisi della "new economy"come una congiura dell' "old economy"?
So che è una tesi cara a Formenti, e a molti di voi, ed è pure una tesi intrigrante, ma per me priva di senso economico. Le cose, ahimè sono assi più banali e classiche. Eccovi dunque la spiegazione "classica" della crisi, a costo di essere noioso.
1. L'innovazione tecnologica dovuta alla introduzione delle nuove tecnologie della comunicazione, Internet e non solo, aumenta la produttività del lavoro.
2. Ma non cresce in egual modo la domanda, anche perchè le politiche neoliberiste e antiflazionistiche deprimono la domamnda mondiale di beni e servizi
3.Quindi si determina una sovrapproduzione di merci (Marx). Le imprese (anni '80 e'90) reagiscono licenziando e abbassando i prezzi, proprio nei settori high tech. Guardatevi una serie storica di listini dell'hardware e dei semiconduttori e confrontatela con l'andamentio dell'occupazione dipendente proprio in questi settori e poi ditemi.
4. Un aumento di produttività che non si traduce in aumento di produzione, ma in riduzione della forza lavoro complesssiva determina inizialmente un aumento dei profitti (e dei corsi di borsa) e una ulteriore diminuzione di domanda (Keynes, Schumpeter).
5. Il movimento deflazionistico (abbassamento dei prezzi) nel settore a più alta produttività viene, nelle economie moderne controbilanciato dalla tendenza inflazionistica di fondo del settore dei servizi, che è a più bassa produttività. Ciò inganna spesso gli economisti che non si accorgono di essere in deflazione.
6. La crisi di valorizzazione del capitale investito (sovrapproduzione) (Marx) e il calo della domanda aggregata (Keynes) a un certo punto si manifestano come diminuzione della produzione. Qui scattano i campanelli d'allarme e le Borse crollano. Ovviamente in una fase di forte volatilità delle borse gli speculatori e le canaglie di tutto il mondo si danno da fare e peggiorano la crisi. Ma questo non è la causa della crisi, come nel '29 la vera causa della crisi non va cercata nelle speculazioni di J.P.Morgan e Rockfeller, ma nella crisi dei prezzi dei prodotti agricoli determinata dall'innovazione tecnologica (diminuironodi circa il 50%), che allora era costituita dalle macchine agricole.
7. Come nel '29 l'industria dell'auto e il fordismo, i nuovi prodotti come i frigoriferi, le lavatrici, la televisione, non riuscirono a sostituire immediatamente la produzione e la domanda in paesi che erano ancora largamente agricoli, così oggi i "prodotti materiali e immateriali" della new economy, computer compresi, non riescono a frenare la crisi dell'auto e dell'elettronica da consumo
8. Certo, oggi, come allora le "nuove soggettività" stavano nell'industria d'avanguardia. Certo anche allora gli uomini di punta dell'industria d'avanguardia come Olivetti in Italia, Rathenau in Germania e forse, e con molte differenze, Carnegie e Harriman in America pensavano a un futuro diverso. Un futuro industrial-socialista. Ci credeva anche Schumpeter che era un reazionario purosangue. Quel che è grave è che ci credette anche Lenin, che farneticava di elettrificazione + soviet, e Gramsci, in "Americanismo e Fordismo". Andò a finire come andò a finire, essendo il ciclo del capitale più simile all'eterno ritorno dell'identico che all'eterno ritorno del diverso (Nietzsche).
9. Non per questo rinuncio a divertirmi con Internet ed ad imparare Linux. Ma uscire dal ciclo del samsara (Buddha) dell'economia capitalista è forse un attimo più complicato. O no?
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>UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA QUINTO STATO
>
>Il titolo Scenari del dopo crisi per un dibattito sulla Net Economy
>può suonare strano, visto che la recessione che da tre anni investe
>il mercato mondiale delle nuove tecnologie (software e hardware,
>infrastrutture di rete, e.commerce, news, streaming audio-video,
>e.book, ecc.) non accenna minimamente ad allentare la morsa. Ancor
>più in un paese come il nostro, il quale, benché entrato in ritardo
>nella spirale della crisi, sembra destinato ad esaltarne gli aspetti
>peggiori (licenziamenti selvaggi, concentrazione monopolistica,
>rinuncia agli esperimenti in tema di organizzazione produttiva e
>cooperazione sociale) a causa dei suoi cronici ritardi culturali,
>tecnologici e scientifici. E ancor più ove si tenga conto
>dell’incubo di una nuova guerra del Golfo, che da qui al 15 marzo
>potrebbe essere già scoppiata, provocando ulteriori contraccolpi
>economici, assieme a stragi insensate e catastrofi ecologiche.
>Tuttavia è proprio nel mezzo della crisi che ha senso interrogarne i
>meccanismi e studiare le vie per uscirne. Soprattutto perché gli
>ultimi decenni hanno reso trasparenti le forze sociali, culturali e
>politiche che governano le oscillazioni e gli effetti di potere del
>ciclo economico, aiutandoci a capire quanto poco esso sia il
>prodotto di “leggi naturali”.
>
>Non a caso gli economisti conservatori parlano con sollievo di
>"economia tornata con i piedi sulla terra”, e ironizzano sulla
>“rivoluzione culturale” che aveva ipotizzato la fine dell’economia
>in quanto gioco a somma zero e come scienza della gestione razionale
>di risorse scarse. Ciò che si vuole liquidare è l’utopia di un modo
>di produrre in cui cooperazione sociale e condivisione delle
>conoscenze si rivelino più efficienti della competizione intesa come
>“selezione del più adatto”. I vecchi poteri vogliono schiacciare un
>movimento che li ha sfidati sul terreno sociale e culturale più che
>su quello economico: la Net Economy è “rivoluzionaria” solo nella
>misura in cui incarna un aspetto del processo che Manuel Castells e
>altri definiscono come l’avvento di una Network Society.
>
>Sono stati i bisogni, i desideri, i sogni e la volontà di migliorare
>la qualità della propria vita di milioni di donne e uomini che, una
>volta “messi in rete”, hanno guidato i mutamenti tecnologici e
>sociali degli ultimi decenni del XX secolo. Sono stati scelte e
>comportamenti soggettivi a rimettere in discussione modelli
>organizzativi e gerarchie aziendali, mentre le nuove tecnologie
>venivano usate per socializzare, comunicare, scambiare e condividere
>idee e conoscenze invece che per generare profitti, e mentre milioni
>di donne e uomini cercavano di trasformare le proprie attività
>“improduttive” in fonte di reddito. Posto di fronte a queste
>poderose forze di trasformazione il capitale monopolistico ha
>trovato un solo sistema per estrarne profitti: si è lanciato in una
>colossale operazione speculativa che, dopo avere proiettato i titoli
>tecnologici verso valori stratosferici, li ha trascinati al
>collasso.
>
>A tre anni dall’inizio d’una crisi generata – come dimostrano le
>vicende Enron e WorldCom – dall’avidità di centinaia di top manager
>in combutta con le grandi banche di investimento, più che da
>presunti meccanismi “oggettivi” di mercato, le corporation lanciano
>la fase finale del contrattacco. Tagli selvaggi della forza lavoro;
>liquidazione e/o appropriazione dell’intelligenza collettiva
>prodotta dalla prima fase di sviluppo della Net Economy, attraverso
>processi di concentrazione che falcidiano le startup che erano state
>la punta di diamante dell’innovazione tecnologica e culturale (e che
>avevano costretto i monopoli ad abbassare i prezzi e ad accelerare a
>loro volta lo sforzo innovativo); ridimensionamento dei rapporti di
>forza che gli utenti-consumatori erano riusciti a conquistare
>sfruttando le tecnologie di rete.
>
>Gli strumenti politici e legali di questa controffensiva sono
>l’inasprimento ai limiti dell’assurdo delle norme che tutelano i
>diritti di proprietà intellettuale – con la criminalizzazione di
>comportamenti di massa come lo scambio gratuito di file musicali e
>il tentativo di sabotare i modelli di business fondati su nuove
>forme di cooperazione sociale, come quelli del software free e open
>source – e un drastico ridimensionamento dei diritti civili (in
>particolare diritto di espressione e diritto alla privacy). Punta di
>diamante di questo attacco è la politica dell’amministrazione Bush,
>che sfrutta gli attentati dell’11 settembre per creare un clima di
>mobilitazione bellica permanente e stroncare ogni opposizione
>democratica attraverso leggi liberticide come il Patriot Act.
>
>In Italia, come è già più volte capitato nel corso della storia,
>questa drammatica situazione internazionale assume connotati
>farseschi. Così una Net Economy nata in ritardo e all’insegna dei
>peggiori difetti della Net Economy americana (speculazione
>finanziaria, modelli di business inconsistenti, management avido
>quanto privo di reale capacità innovativa), batte oggi
>disordinatamente in ritirata, tentando di scaricare il costo della
>crisi sulle uniche componenti dotate delle energie e delle
>competenze necessarie a progettare il rilancio: networkers,
>professionisti, ricercatori, management delle startup innovative,
>comunità virtuali, reti sociali di cooperazione, ecc. Gli interessi
>economici immediati di questi soggetti non sono necessariamente
>convergenti (spesso possono essere anzi in conflitto), ma essi
>appaiono sempre più consapevoli di appartenere a un blocco sociale
>fondato su una cultura comune, vale a dire dal sogno di realizzare
>una network society in grado di garantire la libera circolazione di
>idee e conoscenze, e una network economy in grado di sfruttare come
>carburante la cooperazione e il valore aggiunto delle reti
>comunitarie piuttosto che la competizione individuale.
>
>Da questa consapevolezza nascono progetti come quelli di Quinto
>Stato, Bread & Roses, Tute arancione, Rekombinant, Lo Sciame e
>altri. Il seminario del 15 marzo, di cui pubblichiamo qui di seguito
>il programma, vuole essere un primo momento di confronto
>teorico-pratico fra queste realtà, con l’obiettivo di rinsaldare la
>nostra identità comune, approfondire la natura delle sfide che ci
>troviamo davanti e discutere gli strumenti per farvi fronte. Nel
>corso dei lavori verranno utilizzati, fra gli altri materiali di
>discussione, i risultati della ricerca sulla Net Economy lombarda
>realizzata dal consorzio Aaster.
>Milano, Sabato 15 marzo, Casa della Cultura, Via Borgogna 3
>NET ECONOMY: GLI SCENARI DEL DOPO CRISI
>Incontro seminariale promosso e organizzato dal Quinto Stato, in
>associazione con Tute arancioni e Bread & Roses, il Consorzio AASTER
>e la Casa della Cultura
>9. 30
>Relazioni introduttive:
>Carlo Formenti (Quinto Stato), La rivoluzione è appena iniziata…
>Aldo Bonomi (AASTER), …oppure siamo già al Termidoro?
>10. 30
>Tavola Rotonda su Conflitti e forme di rappresentanza
>Partecipano: Gabriele Battaglia (Tute Arancione), Franco Bifo
>Berardi (Rekombinant), Enrico Brambilla (Sindaco di Vimercate),
>Filippo Di Nardo (Bread & Roses), Hanay Raja (Shesquat) Riccardo
>Sarfatti (Imprenditori Liberal); interviene l’associazione Lo Sciame
>in teleconferenza da Roma; coordina Carlo Formenti
>11.30 Dibattito
>11.45 Break
>12.00
>Tavola Rotonda su Comunità e forme del lavoro
>Partecipano: Anna Carola Freschi (Università di Firenze), Giovanni
>Lanzone (Domus Academy), Pierluigi Macola (Webb.it), Stefano
>Maffulli (Free Software Foundation), Pier Pierucci (eventologo,
>direttore Aquafan), Andrea Ranieri (responsabile DS per la scienza e
>la tecnologia), Marco Tosi (Icon Media Lab); coordina Aldo Bonomi
>13.00 Dibattito
>14. 30
>Relazione introduttiva
>Antonio Calabrò, La Milano delle comunicazioni
>15.00
>Tavola Rotonda su Modelli di business e prospettive
>Partecipano: Piero Celli (ex direttore Rai), Fausto Lupetti
>(Editore), Massimiliano Magrini (Google Italia), Carlo Paris
>(Unicredito), Sergio Scalpelli (Fastweb); Fabio Terragni
>(Associazione Sviluppo Milano Nord) ; coordina Stefano Porro (Quinto
>Stato) .
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>www.quintostato.it
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